Aggiornamento: Il caso Bilbolbul , ovvero la necessità di una decolonizzazione italiana
Carissimi lettrici e lettori di Nazione Indiana vi volevo aggiornare sugli esiti del dibattitto sull’articolo: Il caso Bilbolbul , ovvero la necessità di una decolonizzazione italiana https://www.nazioneindiana.com/2014/11/14/il-caso-bilbolbul-ovvero-la-necessita-di-una-decolonizzazione/.
Sono stati molti i commenti, le prese di posizione, le conclusioni.
Vorrei segnalarvi qui le risposte (due) che ci hanno inviato gli organizzatori della rassegna Bilbolbul e di seguito troverete anche una mia gentile replica. Io spero che questo articolo e questo fecondo scambio di opinioni possa portare ad un incontro e ad uno scambio ancora più fecondo.
Ecco la prima lettera degli organizzatori:
Ci sembra giusto rispondere all’interrogativo posto da Igiaba Scego che ci ha chiamato in causa sulla scelta di utilizzare Bilbolbul come riferimento della nostra manifestazione. Non crediamo infatti che la questione sia relativa all’immagine di Sarah Mazzetti che come tutti gli artisti delle edizioni precedenti si è trovata a riattualizzare, facendolo brillantemente, un personaggio di inizio secolo, un’icona che è data in partenza da una nostra committenza. È quindi sull’opportunità di questa committenza che ha più senso replicare. Ci dispiace che questa possa ferire la sensibilità e toccare l’esperienza individuale di qualcuno, ma davvero crediamo che i messaggi razzisti oggi passino per immagini di questo tipo? Se ancora ben esiste un immaginario coloniale, conscio e inconscio, nel nostro modo di vedere e di vivere dubitiamo proprio che si espliciti in un repertorio di questo tipo. Ben altri sono i pericoli, come ci sembra di leggere nelle stesse parole di Igiaba Scego. A partire dal fatto di giocare sempre di rimessa nei confronti di un immaginario che muovendo per dati assodati, per punti di riferimento incontrovertibili, è di per sé sempre a rischio del rifiuto dell’altro, e di rimettersi in discussione. I linguaggi artistici hanno sempre avuto, tra le altre, anche la funzione implicita di lavorare ai fianchi un immaginario di questo tipo, perché si costruiscono sull’ambiguità e complessità di senso, sul ribaltamento delle aspettative, sulle fratture del fantastico, sul gioco delle metafore. Esattamente quello che faceva, e per chi lo legge, continua a fare Bilbolbul di Attilio Mussino. Per chi fosse interessato – perché Igiaba Scego già è al corrente del lavoro della nostra associazione – noi stessi abbiamo parlato sul numero 35 (http://hamelin.net/hamelin-35-il-migrante ) delle problematiche che affrontano ogni giorno i popoli migranti.
Ecco la seconda lettera degli organizzatori:
Cara Igiaba, cari tutti,
scusate anche voi la risposta lunga, ma come immaginerete i giorni del post festival sono ancora pienissimi di mail e decisioni da prendere.
Continuiamo a rispecchiarci nella risposta che vi abbiamo mandato, risposta che non vedevamo e continuiamo a non vedere inserita nella lunga e a tratti poco centrata trafila dei commenti. Non siamo contrari alla pubblicazione della risposta, ma alla sua pubblicazione in un commento che non pensiamo offra davvero spazio al dialogo.
Ci dispiace, ma non saremo al convegno: parte di noi è a Tokyo per la mostra di Iela Mari e altri a Montreuil per il Salone del libro. Però ci piacerebbe in futuro fare una chiacchierata per conoscerci meglio e confrontarci.
Intanto un saluto.
Ecco la mia risposta (con la speranza mia di un futuro incontro tutti insieme)
Carissimi organizzatori del festival Bilbolbul, sono Igiaba Scego e mi scuso per il ritardo con cui vi rispondo alla vostra mail.
Volevo innanzitutto ringraziarvi per la risposta. Trovo sempre apprezzabile ricevere risposte su quello che si scrive.
Però carissimi rimango ferma nella mia opinione, quella ribadita nell’articolo pubblicato su Nazione Indiana sull’iconografia di Bilbolbul. Non vi ho accusato di “razzismo”, non mi permetterei mai di lanciare un’accusa così infamante. Conosco il vostro lavoro e come ho detto nell’articolo vi considero in gambissima. Sono anche al corrente dello spazio che date ai temi interculturali nei giorni del festival. Insomma seguo il vostro lavoro da vicino e non ultimo amo molto i fumetti.
Proprio per questo, per il vostro essere così in gamba, mi fa male “bilbolbul” e in particolare il manifesto di quest’anno. Io (e non solo io) credo che l’immaginario giochi oggi un ruolo non secondario nella costruzione delle dinamiche discriminatorie. Ne hanno parlato con più sapienza di me persone come F.Fanon o E.Said, per non parlare dei vari Appadurai e Ngugi Wa Thiong’o. Sono temi trasversali che in altre parti del mondo sono stati discussi, analizzati e in parte superati. In Italia invece siamo purtroppo ancora lontani da una discussione che metta davvero in gioco. L’immagine stereotipata porta ai deliri xenofobi di Salvini o all’intolleranza di zone di confine, periferie sempre più abbandonate a se stesse. Anche chi non crede in quei deliri lì diventa inconsapevolmente portatore di stereotipo. C’è un filo rosso che lega tutto. In una situazione italiana delicata e sempre pronta a sfociare nello scontro violento dobbiamo cominciare anche (oltre ai tanti salvagenti sociali) occuparci di quale immaginario condiziona la nostra vita e il nostro sguardo.
è fondamentale lavorare anche sullo sguardo e soprattutto su quello che è offerto allo sguardo.
Non è un discorso intellettualoide il mio, ma so (provato sulla mia pelle nera) quanto gli stereotipi facciano soffrire e inferiorizzino i soggetti colpiti.
L’iconografia non è la sola colpevole. Infatti ci sono anche le parole dell’odio. Pensate solo alla parola clandestino, non significa niente, ma appiccica addosso a chi la subisce quasi lo stigma dell’untore. Per questo è stato creata la Carta di Roma (purtroppo poco applicata) il codice deontologico contro il razzismo che i giornalisti dovrebbero teoricamente applicare.
Ecco credo che anche il fumetto e voi come organizzatori non vi potete tirare indietro in questa discussione.
Per questo carissimi vi invito ad un convegno performativo PRESENTE/ IMPERFETTO che si svolgerà a Roma il 27/28 Novembre presso casa della Memoria, Via Francesco di Sales. Il convegno è un primo step nella via che ci porterà ad una (spero vicina) decolonizzazione italiana.
Davvero sarebbe non solo gradita la vostra presenza, ma anche a questo punto necessaria.
Io ve l’ho scritto nell’articolo, ma ecco quello che cerco io (e non solo io) è un confronto su questi temi. Non una mera polemica da consumarsi nella realtà virtuale.
Ecco i dettagli del convegno: https://www.facebook.com/events/363753383784052/
spero di vedervi.
Se così non fosse mi piacerebbe che io come redazione di Nazione Indiana, altri redattori di Nazione Indiana, le organizzatrici del convegno Viviana Gravano, Giulia Grechi potessimo vederci da qualche parte, discutere e scambiarci opinioni. Dove? Non so, possiamo deciderlo insieme.
Io penso che da questa situazione possa nascere una feconda esperienza di collaborazione e ascolto reciproco.
Un caro saluto, Igiaba Scego.
Comments are closed.
Mi sembra che la risposta che dicono di aver mandato gli organizzatori qui non ci sia, né sia altrove sul sito. Quindi non si capisce a quale posizione facciano riferimento dove dicono “Continuiamo a rispecchiarci nella risposta che vi abbiamo mandato…”.
caro Andrea, Igiaba pubblicherà presto la prima lettera, c’è stato un piccolo gap nel post. Aspettiamo fiduciosi. :)