La caduta
di Gianni Biondillo
Diogo Mainardi, La caduta, Einaudi, 2013, 155 pagine, traduzione di Tiziano Scarpa
Mai come in questi anni, proprio quando barbuti professoroni dichiarano la definitiva morte del padre, c’è un florilegio di romanzi che trattano il tema della paternità. Sta quasi diventando una moda. Poi fortunatamente ci sono libri di una bellezza rara, che ti rimettono in pace con le letture, come La caduta, storia vera di Tito, un bambino che per colpa di uno sprezzante e tragico errore medico nasce afflitto da una paralisi cerebrale. A raccontarla è Diogo Mainardi, il padre.
Di fronte alla disabilità del figlio Mainardi, colto da terrore panico, riorganizza la sua esistenza, diventando, negli anni, una sorta di sacerdote del culto filiale. Tito è un Dio generoso e bizzarro, puro e disarmante. Tutto, la vita quotidiana, il lavoro, gli affetti domestici, ma persino la Storia dell’intera umanità, ruota attorno alla storia di Tito. Il padre, grazie alla diversità del figlio, al suo continuo metterlo alla prova, ricostruisce la propria visione del mondo e delle sue priorità. Legge i gesti, i sorrisi, le continue cadute di Tito come un aruspice che interpreta l’oracolo volto a svelargli i misteri oltre-umani.
La caduta non è un romanzo, non è autofiction, nega la prosa memorialistica. È scritto per punti, per illuminazioni, per aforismi. Cita artisti e filosofi, mostra opere d’arte e foto private, collega tragedie a commedie, i fatti personali a quelli collettivi. La verità e la vita sono così potenti che ogni espediente è lecito. La scrittura di Mainardi – leopardianamente – assomiglia a quella di una fiaba morale. Libro colto, scritto con una lingua semplice, diretta, senza sconti, furberie o patetismi; in certi momenti al limite del comico. Eppure di una profondità etica e di una qualità letteraria unica.
Vedere le cose del mondo attraverso il precario equilibrio di Tito è comprendere come l’umanità stessa sia altrettanto precaria, sempre ad un passo dalla caduta. Sempre pronta, però, a rialzarsi. Come Tito, Dio vivente dell’eccentricità delle cose.
(pubblicato precedentemente su Cooperazione, n°13 del 25 marzo 2014)