Miti Moderni/10: la rete
di Francesca Fiorletta
I giorni della ripresa sono così.
Aveva provato a raggiungere il concerto, c’era il sound check, gli artisti con la chitarra, gli artisti obesi, svaccati, a bere birra intorno a un tavolo, giocare a carte, con le nuvole grosse dietro, pesanti, marroni, un brutto effetto dell’ iPhone, aveva addosso i pantaloni verdi, un top nero sdrucito dai carichi in lavatrice, senza ammorbidente, continuava a sudare, ha tolto i pantaloni senza curarsi delle serrande alzate, la donna grassoccia, dal palazzo di fronte, la fissava immobile, non era più tanto giovane, i capelli grigi raccolti da cento mille bigodini, la sigaretta in bocca, non batteva ciglio, aveva scelto una gonna lunga coi merletti, le infradito ai piedi.
– Ti piace farti guardare
– Sei un’esibizionista
Ridevano.
Non faceva più tanto fresco, al telefono, dopo una doccia così lunga, l’asciugamano bagnato sui capelli, non si sentiva più quasi nessun rumore d’oltraggio.
Ma non era vero, non si erano mai capiti, fino in fondo, fingevano all’unisono, solo per provare a scopare meglio, senza intoppi, erano meno coinvolti, s’illudevano che la bassa stagione avrebbe lenito il senso di colpa, ma ormai era troppo forte l’assillo del conto in banca, la stretta manica sul divenire, il meteo continuava a ripetere: sereno poco nuvoloso sul versante adriatico occidentale.
– Io ti conosco
Ma non era vero niente, ha riattaccato in fretta il telefono, è uscita di casa piangendo, ha fatto il giro largo del palazzo, ha incrociato un metro cubo di arcobaleno, se ne rimaneva appeso lì, monco, senza avverbi, di certo non era per lei, quello spettacolo, nulla le apparteneva davvero, ormai.
Ha aspettato che scattasse il verde ai due semafori davanti la banca, in mezzo ai chioschi dell’usato, i monili di rame, gli asciugamani con le iniziali di finta scuola toscana, il bar che vende le sigarette, un lungo bancone apparecchiato, arriva l’aperitivo, mancano i clienti, le olive nere, lo spritz in caldo, già versato nei bicchieri, le noccioline stufate che si rapprendono, il signorotto è compiacente, attonito, calvo, ma non intorno alle orecchie, ha pagato il conto con dieci euro, in tasca il resto, senza fretta, poi è uscita salutando muta, le è venuto un attacco di panico per strada, non poteva più camminare, reggersi in piedi, si è appoggiata di traverso a un lampione ancora spento, un messaggio sul cellulare, ha scritto:
– Mi manchi
È rientrata in casa, ha passato l’aspirapolvere ovunque, dentro tutti gli angoli, li ha disposti in fila indiana, ha mangiato una scatoletta di tonno, controvoglia, le modelle caraibiche in tv, i musicisti al pianoforte, l’odore arcigno della lacca per capelli, ricci.
Ha augurato un buon viaggio che sapeva di lutto precoce, guardando una fiction su una famiglia italiana emigrata in Argentina, dove tutti parlavano la lingua italiana, vestivano abiti italiani, mangiavano cibo italiano e ascoltavano Vincenzo Bellini, pensava: tutto quello che si fa nella vita è provare a rimandare il dolore, giorno più giorno meno, il dolore, la paura di soffrire, una fatica inutile, perché alla fine torna sempre, quel sentimento di vuoto, quel caos della testa, oggi vuole aggirare il pericolo dell’impotenza, usa il pennarello nero su un post-it arancione e lo attacca allo specchio del bagno, c’è scritto sopra: basta palliativi.
Non c’è più campo qui dentro, impossibile accedere al supporto, il led è rosso, recupera le password, la linea è inesistente, l’utente da lei contattato, il led è bianco, scade il tempo, inserire cavo USB, il tutor aziendale torna domani, gli occhi blu che invogliano ai pompini, bisogna maledire, pensare a lavorare, due piccioni entrano in casa, stanno ridendo, in principio era una linea ferroviaria, oggi vive in un call center precario, dorme solo di domenica, e venne quel giorno, in camerata video, la posa di bottiglia, buttassero via tutti i mobili, buttassero giù le pareti, rompessero anche gli stipiti delle finestre, i termosifoni, pure il letto.
Proviamo ancora un’altra guida elettrificata, specialmente in corridoio, quando piove, non si recuperano facilmente gli anni persi, non è più tanto giovane, il server proxy non è abilitato a ricevere questa chiamata:
– Invecchiamo insieme!
E invece il telefono fisso non squilla mai, è un cordless usato dell’Ikea, l’avete montato insieme, prima di abortire, voi due, voi tre, voi quattro, quanti siete diventati, prima di finire.
Manca il polso della situazione, ormai, le distanze dal portone, tutte nuove, mancano di perimetro, lo sciamano è un buon cliente consolidato, volano ancora gli uccelli, leccano i piedi, non inviare, ti prego, quella mail, non pensare al lavoro, è tutto inutile, adesso, che non c’è più il senso di te.
Aaa, cercasi nuovo appartamento.
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