La lottatrice di sumo
di Giorgio Nisini
Margherita era stata una specie di “calamita dell’attenzione”, aveva ridato di colpo densità alle cose presenti, consentendomi di attraversare la fase finale della mia adolescenza senza perdere definitivamente il contatto con la realtà.
Non ricordo quando l’avevo vista la prima volta, forse l’inverno precedente, a una delle riunioni del collettivo studentesco, o forse fuori la sua classe durante una pausa di ricreazione, comunque con largo anticipo rispetto all’istante in cui qualcuno, dopo che l’avevo notata sulla pista da ballo, tra una massa di ragazzi che si muoveva al ritmo di Imitation of Christ degli Psychedelic Furs, me la presentò. Di quei momenti ricordo soprattutto i dettagli del viso: certi sguardi veloci, certi sorrisi lievi che mi erano sembrati pieni di cose da dire, la sua espressione malinconica quando c’eravamo salutati a fine serata. Per tutta la notte avevo ripensato a lei, avevo provato a immaginare l’evoluzione della nostra amicizia, che nella mia mente non era più amicizia, ma qualcosa che già rasentava pericolosamente il concetto di amore. Avevo ripensato anche ai mesi trascorsi, quando l’avevo intravista tra le mura della scuola, e non riuscivo a capacitarmi del fatto che in tutto quel periodo avessi potuto fare a meno di lei.
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E poi c’era un’altra questione: Margherita era una ragazza bella, o perlomeno io la ritenevo tale, visto che la maggior parte dei miei amici non la pensava come me. Che poi la sua fosse una bellezza un po’ anomala e particolare non importava. Una volta un suo compagno di classe mi disse che Margherita sembrava una tipa fuori dal tempo – usò proprio questa espressione: “fuori dal tempo” – e in effetti aveva ragione, perché somigliava a una principessa medievale che si aggira esitante in un’epoca che non le appartiene fino in fondo. Ma era proprio questo lieve attrito con la realtà che le donava fascino; ed era anche la ragione per cui non riuscivo a catalogarla in nessuna tipologia socio-antropologica a me nota: non era la più carina della scuola, la ragazza snob, la sfigata, la bruttina simpatica o la secchiona, né appunto l’adolescente complessata, né tanto meno l’aspirante showgirl o la sportiva o l’intellettuale femminista impegnata politicamente. No, nulla di tutto questo: Margherita era Margherita, e la sua inclassificabilità era ciò che mi aveva fatto innamorare di lei.
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Nel giro di poco tempo, però, osservando con attenzione alcuni suoi atteggiamenti, alcuni sguardi, alcuni modi di fare, mi convinsi che non stava lì il problema: spesso assumeva espressioni distaccate, diceva cose che sembravano nascondere un doppio senso, non rispondeva o evitava le mie domande. Tutto ciò andava al di là della sua naturale stravaganza e del suo carattere riflessivo: era piuttosto qualcosa di molto indeterminato, che gettava una luce ambigua su ciò che sarebbe accaduto di lì a poco, lasciandomi nel dubbio che ci fosse un lato oscuro nella sua personalità che mi aveva sempre tenuto nascosto.
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Di tutti i potenziali destini non potevo immaginare l’unico che la stava aspettando. Quando, pochi giorni dopo, avrebbe perso la vita in un incidente stradale sulla via Flaminia, ebbi l’assoluta certezza che il nostro ponte di comunicazione si fosse interrotto per sempre.
Ma, forse, mi sbagliavo.
La lottatrice di sumo, Giorgio Nisini, Fazi Editore