cinéDIMANCHE #25 WERNER HERZOG La grotta dei sogni dimenticati
Note movie
di
Carlo Grande
Werner Herzog, nello splendido docfilm “Cave of forgotten dreams”, l’ha definita la grotta dei sogni dimenticati, una macchina del tempo, un’istantanea del passato, un viaggio nel cuore dell’umano per scoprire se esiste qualcosa che si dice anima. Immersa in ettari di boschi, nel Sud della Francia (a Pont d’Arc, Ardèche, dipartimento Rhône-Alpes), si inaugura il 25 aprile l’esatta replica della grotta Chauvet, la Cappella Sistina dell’antichità, meraviglia umana che si declina al presente e al passato remoto: l’originale è a pochi chilometri, sigillato da una frana preistorica che creò una perfetta capsula del passato, ora accessibile solo a scienziati, paleontologi, storici, archeologi e geologi e protetta da una pesante porta d’acciaio, come il caveau di una banca.
Fu scoperta nel ’94 e mai aperta al pubblico perché non facesse la fine di Lascaux in Dordogna, altra grotta delle meraviglie alla quale l’eccessivo carico di visitatori rischiava di causare danni irreversibili.
Il nostro sguardo su quei lontani millenni cominciò con il sito di Altamira, in Spagna: “Mira toros, mira!” disse nel 1879 una bambina di quattro anni mostrando al padre esterrefatto grandiosi dipinti rupestri di una grotta. Poi nel 1940 vennero il cagnolino di un ragazzo francese che si intrufolò in una fenditura del terreno, sbucando nelle stupefacenti grotte di Lascaux (che si pensavano l’apice dell’arte preistorica) e nell’88 il subacqueo Cosquer, che percorse un cunicolo sommerso fino a un antro coperto da pitture di mani, cavalli, foche e persino pinguini.
Ma il tempio assoluto è qui, non lontano da Montélimar, a Nord di Nimes e Avignone.
L’originale della grotta Chauvet, troppo fragile per resistere alla massa di visitatori (la sola condensa del fiato alimenta le muffe e rovina i dipinti), è stato mappato con scanner al laser e riprodotto al millimetro: gli 8.500 metri quadrati reali (400 metri di lunghezza), condensati in tremila. Si tratta di dipinti così integri da sembrare inizialmente dei falsi, se le concrezioni e la calcite che li intaccano non potessero crescere che in migliaia di anni.
La grotta contiene un migliaio di disegni, dei quali 425 sono figure d’animali. Un bestiario favoloso di quattordici differenti specie, per lo più predatori: orsi delle caverne, rinoceronti lanosi, mammut, leoni, pantere e grandi felini, stambecchi, lupi, un’aquila reale, molti sono ormai estinti e rappresentati solo qui, nell’unico “fotogramma” trasmesso dai nostri antenati nei più antichi dipinti mai scoperti, vecchi il doppio di Lascaux, ovvero circa 35 mila anni.
La grotta contiene anche centinaia di ossa e scheletri di animali (nessun resto di uomini, che venivano a dipingere e compiere cerimonie), tracce di fuochi e delle torce, graffi di orsi preistorici sulle pareti, forse inferti 5 o 10 mila anni prima. Ci sono le impronte di un ragazzino di circa otto anni e vicino a lui quelle di un lupo: andava a caccia? Camminavano insieme amichevolmente? O ciascuno per conto suo, a migliaia di anni di distanza?
I dipinti sono una delle più vertiginose, straordinarie opere d’arte al mondo: nella penombra appaiono lotte di rinoceronti, un orso delle caverne dipinto di nero e ritratti di cavalli – uno sinuoso e altri con le teste accostate – forse le immagini più belle, intorno a un buco a terra da cui gorgoglia l’acqua dopo ogni pioggia; tutti sono ripresi con movimenti realistici, precisi, in vividi chiaroscuri su pareti rugose – non tele o tavole lisce – con una dinamica tridimensionale: sembra di essere davanti a una caccia preistorica, gli animali sembrano vivere ancora – un bisonte con otto zampe, teste di leoni e leonesse di una bellezza sconcertante – possiedono l’illusione del movimento, suggeriscono, ha detto Herzog quasi una forma di “proto cinema”, come fotogrammi di un film animato.
Una discesa nell’ignoto, nel ventre della terra, che ha qualcosa di uterino. Ma l’incontro, fra stalattiti e stalagmiti prodotte dallo sgocciolare paziente di millenni, è reale, davanti a un’enigmatica figura femminile, una Venere paleolitica, dipinta vicino a una specie di toro-bisonte: l’antichissimo mito del Minotauro.
Forse non potremo ascoltare il magico silenzio della caverna, non sapremo mai realmente cosa pensavano, quali emozioni provavano quegli uomini, chi erano i loro figli e le loro donne. Il passato è perduto, ma rimane questa meraviglia; un universo familiare, magico e distante, una specie di sogno notturno; l’artista ha sognato belve e leoni veri e ora li sogniamo anche noi, ma senza spavento, tanto le immagini sono intense, profonde, potenti. Sono una vita sognata e dipinta sulla roccia, trasmessa da uomini preistorici che al lume delle torce, nel gioco delle luci e delle ombre, disegnarono con i tizzoni spenti e pregarono a modo loro la natura. Lasciarono con grazia l’ombra colorata di sentimenti umani, trasmisero l’emozione primigenia e produssero visioni, come solo un artista sa fare, attraverso gli abissi del tempo.
Nella pausa delle domeniche, in pomeriggi verso il buio sempre più vicino, fra equinozi e solstizi, mentre avanza Autunno e verrà Inverno, poi “Primavera, estate, autunno, inverno… e ancora primavera“, riscoprire film rari, amati e importanti. Scelti di volta in volta da alcuni di noi, con criteri sempre diversi, trasversali e atemporali.