4 testi
di Lucia Manetti
SHOCKWAVE FLESH
Occhi di mosca slittano sul bordo di saltuarie riflessioni abitative: adesso è l’oscillazione a garantire il contatto dei corpi nell’odore di chiuso delle stanze, come protetti da una squadra, un gruppo, una parola d’ordine, per riorganizzare l’assalto all’inter(n)o numerico – status quo determinato dal costo totale dell’operazione -. Stanno alla pelle gli scheletri come i monti alle cataratte sul finestrino: questo discorso è una rinuncia, un qui pro quo, capovolgi lo sterminio e sollevi l’arco delle cause ad intenderne gli arti, gli strumenti disossati della fame, tenuti in caldo (cioè riavvolti in pellicola laminata). Insiste sul laterizio il cappello dei vecchi. Cimitero, Prima Porta: una distesa di like alla morte – occorre distinguersi nella miscellanea nominale, l’eco della stasi resiste al divenire in forme sempre più approssimate allo zero, nel ricordo si sgonfiano i piani, si inchinano le architravi abilmente ripiegate nelle ginocchia dei cari: tu salti nel vuoto, cadi in circostanze identiche a te stesso – qui sai che è finita (anche tuo padre tiene il berretto sempre più basso, la schiena più curva). In lacrime lipidiche, esodi proteici, si squagliano i cadaveri – resi abili nella manutenzione anatomica, rapidi nella polvere agitandone i contorni in volti noti/ nascono già con il capo chinato, le narici fredde, sapendo che i loro nervi si tenderanno, messi a fuoco, come corde di violino.
NOI SPROVVISTI DI PATENTE ABBIAMO UN CUORE
In canali distinti a partire dal centro del nodo/ dove a pancia in su, i gatti riversi sul fondo stradale ne tengono con la zampa il full stop/ giunti all’apofisi della normale viabilità, la suola incontra il suppedaneo e nella bassa marea del flow si gioca al ribasso cinetico. Ore 19:00, in coda – qui tutto è leggibile come una profezia di lamiere – ciò che lampeggia tra le mani armate della A90: rientrano i pendolari. Esauriti gli arbres magiques, via libera all’umana natura del traffico – verba onomatopeici di bimbi-a-bordo rilanciano il voltaggio delle molle incancrenite nei cervelli – l’ultimo arrivato ne tiene il ritmo col tacco, lo zoccolo duro detto boom americano (alla radio) evolve gli indici Dow Jones con forte impatto volumetrico, riscontrabile nel pluris di risacca, finchè ogni cosa torna regolare nell’assenza di trazione (per la gioia dei pedali)./ Guardrail: allude al convoglio, i veicoli procedono uno affianco all’altro scaricando la tensione orizzontale nel clacson, ribattezzato segnavia dell’happyhour – colonna sonora che induce alla macerazione dell’asfalto cartesiano -. Ma il traguardo è riassorbito dal buio/ spenti i lampioni, fanali complici, viene meno il Raccordo – le esce il fumo dai denti, autista laureata, i capelli tenuti su con fascette colorate–. Indiscriminatamente fuoritutti al blackout, disposti in modo casuale – quanto fa all’ora questa decisione: di fare qualcosa-. Nella confusione generale le macchine scompaiono. Motori in fuga / la luce in fase di decollo illustra in negativo due chilometri di fila/ supera a tratti il panico degli ex-conducenti lo sciaguattio di Coca cola nelle bottiglie ben salde dietro le sospensioni, i panini caldi nel radiatore – guadagnano terreno -. Sette chilometri all’Autogrill, dal fastfood profumo di libertà.
WASHING UP THE SINDONE
Strumenti utili per la consultazione dell’ipertermia -> in alto, terzo scaffale a partire dal basso, sulla scacchiera muovi in avanti e poi a destra, perché si compia il rito – titolo del film: Dal mercurio alla verità in dieci minuti. Oh divano, sketch, macchia rossa nel cordone vettoriale della casa_ alt e tasto destro per tutto il perimetro – la proprietà privata è sotto gli occhi di tutti, si sporge alla ringhiera, tiene alta la risoluzione del cave canem – . Lo stesso accavallarsi di angoli scandisce il ritmo della scala in caricamento tra la messa a terra e la schermata blu del cielo. Quell’appartamento/ dove i lavaggi che non ho fatto sono fantasmi d’acqua dolce/ lo ricordo, ora, nel tuono della febbre – che seduta in questa stanza, sulla scatola dei kleenex, incrocia gli occhi sui miei ventidue anni, vuol dire centonovantaduemilaottocentoquarantasette ore di gioco, zero medaglie, quaranta gradi per i calzini più sporchi – promessa mai realizzata, in bilico sulla valvola del cuore. Al limite del campo uditivo, il condotto inciso tra i lobi auricolari si apre una breccia nella lavatrice – spalle al muro – l’acqua è subito dopo, chiusa nel bacino d’acciaio_mentre diagnostica la condizione dei capi ne appesantisce l’intreccio, al termine del processo conclude in maggioranza – è sempre dall’altra parte del cestello che la redenzione non si compie e dall’acqua, scarico lento, centrifuga doxa è la memoria dei santi.
A PORTA SUSA FS STORY
Dalle fondamenta si alza un polverone in vite spicciole_ il passo del barbone che si trascina, si sposta dietro la linea gialla, dice, fa lo spelling di una calma inumana – è il colpo di coda dietro il vetro dell’acquario, chi cerca la chiave conferma la prigione – e l’ascensore improvvisamente si apre sui binari della sotterranea, dietro ai passeggini di terza mano, Hogan tarocche_ si alza il vento dietro al treno merci, non è facile farsi strada, mettere la sicura. Dentro il drogato del primo binario la circolazione è ampia, si attivano corsie preferenziali dove scocca l’incrocio del laccio emostatico e parte l’iniezione – incide l’aggiunta nella circoscrizione cutanea, passata con il compasso, la penna a sfera, cancellatura e riporto – in un binario a fior di pelle, nella vena, ancora un’alta velocità (quella del sangue) che inciampa nel segno – pensare, sempre pesare le cose in container inadatti (i feriti giacciono ai piedi della bilancia). Ciascuno degli astanti ignora il task manager, i vagoni venuti giù a scavezzacollo per cui il deragliamento. Poi l’annuncio, e si moltiplica di tempo in tempo la decrescita dei corpi sulla banchina. Ma il treno Frecciarossa 9517 ferito, accartocciato, distante, senza speranza di restart, si sbottona le maniche motrici, fischia, dilata il runtime di arresto. Allarme pneumatico – Trenitalia risponde con l’arrembaggio di inspiegabili mongolfiere. Così l’anima di 9517 si unisce a quella degli altri treni soppressi e prende quota fino al paradiso dei motori. Ps: si intravede attraverso la calotta trasparente della stazione, anche senza binocolo. A nord est.