Il silenzio del lottatore di Rossella Milone
di Licia Ambu
Il silenzio del lottatore è un libro di maiuscole. Un libro che quando lo chiudi comunque non è finito. Diciamo che resta, e ben preciso, nella memoria di testa e corpo.
Una raccolta di racconti, sei per la precisione, un inno all’intensità. Protagoniste femminili di età diverse, appartenenti a diverse epoche di vita e di storia, sono le padrone di questa narrazione che non concede scampo. Donne che potrebbero essere sempre la stessa o molte, e più che un romanzo di racconti, definizione che l’ha accarezzato, ogni racconto potrebbe farsi romanzo. Un mondo, quello raccontato dalla Milone, popolato da un femminile nella geografia delle relazioni umane, zona che mette in luce fragilità e punti di forza portandole oltre i loro limiti. Eroine che attendono, resistono, e lottano, di fronte alle difficoltà dei rapporti e delle situazioni.
Si comincia con Erminia che balla il charleston e vuole che la guerra le restituisca il suo grammofono (Operazione Avalanche); Erminia che ha amato Paul e sposato Amedeo, il marito che non c’è più e che pure lei continua a vedere in altri volti. Si avvertono forte il desiderio di distacco e indipendenza dalle madri, dai genitori.
Nonostante i loro geni, nonostante i loro sforzi e i loro gemiti, io ero riuscita a creare da sola qualcosa di nuovo, che non dipendeva da nessuno dei due, ma soltanto dal fatto che fossi lì, a esistere.
L’adolescenza è Marianna che sperimenta il sesso e la violenza (Il peso del mondo) sul corpo e nell’amicizia. Ci sono storie d’amore e di coniugi che specchiano i diversi gradi di sentimento (Le domande di un uomo), i precisi momenti che scandiscono le relazioni nel loro incipit o nel loro declino, quando si è stanchi e afflitti in quel modo ormai insanabile o senza recupero (Luccicanza).
Era così liberatorio, era così ampio lo spazio che mi lasciava quella decisione. Si era insediata in qualche parte del corpo da tempo, intrecciandosi ai tessuti, radicandosi come una pianta. E solo dopo averlo detto, solo confessandola, mi era parso chiaro quanto fosse diventata inutile, per me, quella vita con lui.
C’è anche tanto corpo in queste pagine. Il corpo è necessità, è storia di noi. Finalmente esiste: la sensualità, il sentire fisico, il contatto e l’istinto quasi animale sono in prima linea. Corpo è lo spazio fisico di occupazione del mondo, abitare i propri confini diventa linguaggio e assume un senso costruttivo nei singoli percorsi, nella buona come nella cattiva sorte, dei personaggi. Una fisicità che si rispecchia anche nella parola, nella scrittura, che lo percorre tutto attraverso nomi di parti, muscoli, organi.
Leggere i racconti di Rossella Milone trasmette la sensazione che si prova durante le conversazioni occhi negli occhi con le pause di senso, quando il dialogo è permeato da autorevolezza, sincerità, una specie di complessità trasparente, e tutta un’energia dialogica e gestuale diretta rafforza i significati e rende l’attimo colmo di una tensione. Per questo è un libro di maiuscole, perché incisivo, determinato, con una luce affatto comune da trovare sulle cose che dice, e un altrettanto particolare zona d’ombra.
I personaggi sono immersi in un apprendimento sentimentale faticoso, guadagnato centimetro per centimetro. Un bagno costante nell’educazione all’istinto, al respiro. Apparentemente confinati a vivere tra le pagine mentre noi siamo qui fuori a guardarli, con il potere di vedere più di quanto non vedano loro; privilegiati osservatori dello spazio d’ombra che non si può né si deve spiegare, ma solo leggere. Forse è proprio in questo spazio, anche in questo, che sta la magia del libro, in questa fessura che non lo fa finire, che lascia sempre uno spiraglio, una connessione. In queste voci sembra non esserci soluzione, ma ricerca. In questo libro non si deve arrivare da qualche parte, a un traguardo in senso sintetico, si deve solo viaggiare dietro a questi agenti, perché di azione si tratta e di un’azione che trascende il positivo o il negativo: anche la fuga dal fare o dal dire è azione stessa in questi termini perché è accadere, rimanere, lottare.
Il silenzio è come un laccio che lega tutti i racconti e tutti i vissuti. Il silenzio, che è assenza di voce, in verità diventa uno spazio di permanenza e non un arresto, è pensiero, costruzione, pausa. Il silenzio imposto a nonna Erminia per farla fumare di nascosto, il silenzio della guerra finalmente interrotto dalla musica, il silenzio del monastero dove ci si nasconde dalle lezioni di scuola. Il silenzio degli amanti, delle case tristi, di quelle all’improvviso vuote, dei mercati chiusi, il silenzio per reazione a certi spaventi, durante i primi incontri o dopo gli ultimi. Il silenzio come una dedica, come il dubbio, il silenzio del lottatore, appunto, che avanza. Con una delicatezza determinata e incisiva, che fa dire la perfezione del titolo.