Il monoscopio

Culler(ecco il penultimo degli Incontri ravvicinati di tutti i tipi. Oggi andremo in casa addirittura di un premio Nobel! G.B.)

di Alberto Tonti

L’atmosfera al Politecnico di Milano è già bella calda. Si passano giorni interi in assemblea a discutere di tutto e di più, fondamentalmente contro qualcosa o qualcuno. Le idee in gioco non sono ancora confluite in diverse, distinte fazioni, simili fra loro ma con sfumature che andranno dal rosa pallido al rosso sangue. Spesso mi ritrovo su posizioni critiche rispetto al Movimento Studentesco, soprattutto giudico le frange estremiste sconsiderate e, in fondo, assimilabili per certi versi a modalità che puzzano di fascismo. Sono sempre presente alle occupazioni e ai cortei, convinto che una parte di quella rivoluzione sia salutare per la scuola e per il paese. Respiro a pieni polmoni gas lacrimogeni, mi becco qualche manganellata, sono testimone di tutte le occasioni di scontro politico e fisico. Non getto mai la prima pietra e deploro quelli che lo fanno. Conosco di vista chi, coi sampietrini in mano, bersaglia le vetrate del Corriere della Sera, chi si salva per un pelo in Corso XXII marzo, chi spara in via De Amicis.

Le ragioni della mia personale protesta seguono più un filo legato al buon senso che al cambiamento rivoluzionario, al ribaltamento violento, alla negazione assoluta dello Stato. Mando a quel paese chi mi fa notare che a Natale lo scambio di auguri debba essere inteso per ricordare la nascita di Mao Tse Tung e non quella di Gesù. Mi vergogno quando, col libretto universitario in mano, mi metto in fila a ricevere il voto politico per una decina d’esami di cui non conosco neppure i contenuti. Non oso guardare in faccia i professori, tanto più se coinvolti forzatamente nella farsa. E’ in quel frangente che decido di allontanarmi per un po’ dai compagni per chiudermi in casa a studiare le materie per le quali ho ricevuto gratis un trenta, per fortuna senza lode.

Durante una vacanza in Costa Azzurra, organizzata da un assistente di Composizione dalle larghe vedute, ho la fortuna di conoscere Gordon Cullen, un anziano e geniale architetto inglese, di rara simpatia e disponibilità. Mi prendo una cotta per le sue analisi sui segnali muti: una sorta di sistema per “navigare in città” che comprende segnaletica, punti di riferimento, particolari memorizzabili, comunicazione fra città e cittadino, linguaggio e vocabolario visivo. In pochi giorni di incontri con Cullen, raccolgo tutto il materiale che serve per scrivere un lungo articolo e, tornato a Milano, ho la sfrontatezza di proporlo a Domus, la più importante rivista di architettura del momento. Dato che una volta nella vita una botta di fortuna può anche capitare, dopo una settimana mi arriva una lettera della redazione dove mi viene comunicata la decisione di pubblicarlo su sette pagine con tanto di schizzi, foto, e via dicendo. Resto talmente incredulo che non ho il coraggio di dirlo a nessuno.

Devo dire che la vacanza in Costa Azzurra ti ha fatto proprio bene!” esclama l’assistente dalle larghe vedute con in mano una copia della rivista. Potevi anche dirmelo, ma ti perdono: hai fatto proprio un bel lavoro, bravo. Nell’intervallo delle dieci andiamo a berci un caffè, ti devo parlare.”

Confuso e colto da improvviso senso di colpa accenno un sorriso mentre sento che le orecchie s’infiammano, poi annuisco e mi rimetto a tirar righe sul tavolo da disegno.

Al bar il colloquio si svolge rapidamente.

Ho la possibilità di ristrutturare la casa di Salvatore Quasimodo e ho pensato che potresti darmi una mano anzi, per dirla tutta, mi piacerebbe aprire uno studio con te, se te la senti.”

salvatore-quasimodoPer la seconda volta nel giro di pochi giorni resto sbalordito da come all’improvviso tutto stia volgendo verso il meglio: cosa posso sperare di più che avere come primo cliente un premio Nobel e, contemporaneamente, aprire uno studio con il mio assistente universitario preferito? Appena prima che mi vada di traverso il caffè riesco a balbettare qualcosa che assomiglia ad un sì strozzato e, quando comincio a tossire, rosso in viso e coi polmoni in subbuglio che non gradiscono affatto l’arrivo invadente di un po’ di quel liquido nero e bollente, mi becco una violenta manata sul groppone dal mio neo-socio. Botta che traduco sia come mano santa per porre fine alla tosse, sia come apprezzamento maschio dell’appena sancita alleanza.

Detto fatto nel giro di pochi giorni ci organizziamo per trovare in affitto un paio di locali da adibire a studio e fissiamo un appuntamento col sommo poeta per la fine del mese.

Nell’attesa dell’incontro l’agitazione e l’ansia crescono: mi compro una bella bindella da cinque metri, un block notes formato UNI molto chic, forse troppo, uno stock di matite di varie durezze, una bella gomma bianca della Staedtler, insomma mi manca solo il nettapenne, la carta assorbente e il cestino per la merenda e sono pronto per tornare alle elementari. A poche ore dall’appuntamento mi faccio una doccia e la barba, mi pettino con la riga e riesco persino a ritrovare in fondo a un cassetto una bella cravatta tutta colorata che fa molto architetto navigato.

Al quarto piano di Corso Garibaldi 16, appena la porta dell’appartamento si apre la donna di servizio (identica a quella che in uno spot dichiara: “arrivo presto, finisco presto, ma non pulisco il water”) mi guarda come si guarda un ragazzino a cui non affiderebbe neppure il riordino di una cucina o di una camera da letto, figuriamoci la casa del Maestro. Lui, invece, ci riceve con un sorriso cordiale e rassicurante, mi stringe la mano come si fa con un uomo anche se, palesemente, ho proprio l’aspetto di uno sbarbatello alla prima esperienza. E’ basso, sul viso pallido brillano occhi penetranti, parla lentamente, è elegante nei modi, mette a proprio agio e, insomma, dopo un paio di minuti mi ha completamente conquistato.

Ci fa accomodare nel suo studio e, con un gesto della mano per sottolineare le sue parole, dice: Come potete notare vivo in un caos, ho bisogno di mettere ordine in questa casa. Ormai non trovo più niente, lo vedete da voi è tutto accatastato: libri, documenti, oggetti. Dovete essere in grado di trovare soluzioni di arredo ma, soprattutto, tentare di riordinare il più possibile. Se vi lascio carta bianca, ce la farete?”

Annuiamo all’unisono come due bravi soldati.

Certo!” osa esclamare il mio socio “vedrà, alla fine le sembrerà di essere in un’altra casa …”

Beh, spero proprio di no, a questa ci sono affezionato…”

Faceva per dire” mi affretto ad affermare prima che una seconda gaffe convinca Quasimodo a chiamare la signora di cui sopra per farci accompagnare alla porta. “Bene, bene… allora d’accordo: lunedì prossimo partirò per un lungo viaggio in Europa, starò via per un paio di mesi, queste sono le chiavi di casa. Basteranno due mesi?”

Ce li faremo bastare, professore!” risponde il socio senior intascando le chiavi e lanciandomi un’occhiata che sta a significare non c’è nient’altro da aggiungere “e grazie ancora per la fiducia.”

L’appartamento di Corso Garibaldi è molto grande e ricorda alla lontana un campo di battaglia alla fine della stessa: per muoversi all’interno di una qualsiasi stanza è necessario seguire stretti percorsi obbligati che si aprono appena nei punti dove è strettamente indispensabile avere più spazio: attorno al tavolo da pranzo e al letto matrimoniale, davanti al divano, alle poltrone e alla libreria. Tutto il resto dei metri cubi disponibili è occupato da cataste di libri dall’altezza variabile, da altrettante cataste di fogli, cartelline, documenti, da oggetti i più disparati che si sono ritagliati a forza uno spazio e, ovunque, da una serie di riproduttori elettronici tutti contemporaneamente funzionanti. Radio, registratori, giradischi e televisori a volume molto basso che rimandano, ciascuno per proprio conto, soffici e avvolgenti folate di suoni, parole, musica che si rincorrono senza sopraffarsi aleggiando, come un continuo mormorio per le varie stanze, tranne che in cucina, regno incontrastato della vera padrona di casa: la signora Teresa.

Tornati nei due locali del nostro piccolo studio mi viene da dire: Ma sei sicuro che in due mesi ce la faremo?”

Dobbiamo farcela! A costo di lavorare giorno e notte. Se il risultato finale fosse molto buono e lo sarà, hai idea di quanti altri clienti potremmo avere nel giro di poco tempo? Un premio Nobel conosce il mondo e, se saremo stati bravi, il mondo diventerà nostro.”

Ho come il sentore che l’affermazione sia azzardata ma, al momento, non mi sembra il caso di farglielo notare.

Dal fatidico lunedì, saltando alcune lezioni, passiamo intere giornate in casa Quasimodo cercando le soluzioni più appropriate, se non altro per mettere un po’ di ordine in quel groviglio inimmaginabile. Mentre discutiamo e prendiamo appunti, mentre facciamo degli schizzi o misuriamo con la bindella da cinque metri nuova di zecca, ogni tanto incrociamo lo sguardo incredulo della signora Teresa che, sparendo dalla nostra vista, se ne va in cucina scuotendo immancabilmente la testa. La sua fiducia nei nostri confronti è totale.

Una volta riusciti ad individuare il bandolo della matassa, in pochi giorni mettiamo nero su bianco sui nostri bei fogli di lucido: piante, prospetti, sezioni, assonometrie, prospettive, particolari costruttivi, eccetera. Scegliamo accuratamente i fornitori giusti e la piccola, ma efficiente impresa, che eseguirà i lavori. Ci restano circa 40 giorni di tempo per portare a termine il cosiddetto “chiavi in mano”, che poi sono le stesse che il professore ci ha consegnato prima di partire.

Si decide di procedere con i lavori stanza dopo stanza. Se ne svuota una accumulando tutto il contenuto in quella accanto, si porta a termine la scatola come da progetto (pareti, soffitti e pavimento) poi si passa all’arredo e alla distribuzione ordinata di qualsiasi pezzo presente in precedenza. Si va avanti così fino alla fine e man mano che l’appartamento assume un aspetto prima decente poi finalmente impeccabile ci rendiamo conto di aver fatto un buon lavoro. Nonostante l’apprezzamento insperato e incondizionato da parte della signora Teresa non riusciamo a convincerla a metter mano anche alla cucina. Appoggiata con le braccia spalancate agli stipiti della porta ci comunica che: Qui dentro non entra nessuno. Qui dentro va bene così. Chiaro?”

Per farla breve a due giorni dall’arrivo del professore, quindi in anticipo sui tempi, la casa ci sembra perfetta e confrontandola con le varie foto scattate prima del nostro intervento non c’è proprio paragone.

Il mattino seguente il suo arrivo notturno all’aeroporto di Linate ci diamo appuntamento in studio alle nove. Per stemperare la tensione che incombe nell’attesa di un colpo di telefono ci incartiamo in una accesa discussione pseudo politica sulle strategie del Movimento Studentesco nel bel mezzo della quale veniamo interrotti e placati da un trillo importante, un trillo che mi vibra nelle ossa e che mi fa assumere l’aspetto di un qualsiasi ebete in circolazione.

Pronto. Buongiorno professore…si mi dica. Oh grazie, grazie davvero, sono felice che le sia piaciuto. Nel pomeriggio? Verso le cinque va benissimo. Ci saremo. A dopo allora e grazie ancora.”

Sempre come un qualsiasi ebete mi alzo dallo sgabello e con le braccia alzate, tipo dopo un gol, mi metto a urlare per la stanza, poi abbraccio il socio, mi astengo dal baciarlo perché sarebbe troppo e, continuando a saltellare, vado in bagno prima di farmi la pipì addosso.

monoscopioIl nostro premio Nobel adorato ci riceve nel soggiorno dove, comunque, appoggiati su mensole e tavolini, rumoreggiano un paio di radio, un registratore, un giradischi e un televisore. E’ molto contento del “miracolo” (così lo definisce lui) che siamo riusciti a compiere in soli due mesi, ci ha messo circa sei ore a capire come e dove avevamo posizionato tutto quel ben di dio che prima invadeva ogni centimetro quadro delle stanze ma, in compenso, una volta scoperta la logica da noi adottata per mettere ogni cosa al suo posto, si è sentito pienamente appagato di un ordine che ormai credeva aver perduto per sempre. E di questo ci era veramente grato. Nessun altro complimento avrebbe potuto renderci più felici, al punto che il socio senior, eccitato da quelle parole, decide di raccontare per filo e per segno tutti i passaggi che ci hanno portati a quel risultato. Mentre è nel bel mezzo della spiegazione mi rendo conto che il Sommo Poeta è interessato allo schermo del televisore, che a quell’ora manda in onda l’immagine fissa del monoscopio ad uso dei tecnici, e non alla valanga di parole che stanno invadendo il suo padiglione auricolare. E’ vero, ogni tanto sorride, ogni tanto annuisce, ogni tanto sussurra qualcosa, ma per lo più è attratto in maniera irresistibile da quell’immagine in bianco e nero con sfumature di grigio, tanto da assumere un’espressione dubbiosa, altre volte interrogativa, altre volte addirittura cupa. La storia del mio partner non è ancora giunta al termine che, alzando una mano, il professore chiedendo la parola lo blocca sul più bello, chiede venia per un minuto, prende in mano la cornetta del telefono, compone un numero e alla risposta dice:

Buona sera, sono Salvatore Quasimodo, può cortesemente passarmi il tecnico che manda in onda il monoscopio” e rivolgendosi a noi sussurra “ è la RAI, scusate solo un istante.”

Si pronto… buona sera a lei, sono Salvatore Quasimodo mi spiace disturbarla ma, solo per curiosità, rispetto a un paio di mesi fa avete per caso cambiato il monoscopio che mettete in onda al pomeriggio?” Silenzio, poi un lieve sorriso, poi ancora silenzio e finalmente: Ah, ecco volevo ben dire, c’erano troppi particolari che non mi tornavano, quindi da una settimana avete dovuto mettere in onda il vecchio monoscopio perché quello nuovo si è rovinato… ecco, ecco… capisco. Ma si figuri, cose che succedono…no grazie a lei e buon lavoro.”

Scusatemi, a questo punto vi devo una spiegazione se no potreste prendermi per matto. Alla RAI ormai mi conoscono, sono molto cortesi, ogni tanto li chiamo per delle informazioni e così ho…come dire…insomma le porte spalancate. Guardando attentamente il monoscopio, che come credo sappiate viene utilizzato per calibrare luminosità, contrasto, sintonia e altre diavolerie simili, mi sono reso conto che non era quello solito mandato in onda prima della mia partenza e così ho voluto sincerarmene. Avevo ragione: sono stati costretti a sostituirlo con uno precedente perché quello nuovo, in onda da più di un anno, per un incidente non era più utilizzabile. Tutto qui.”

Se ci avessero fotografato in quel momento con un flash saremmo sembrati due deficienti con la bocca spalancata, gli occhi sbarrati causa incredulità crescente e inarrestabile.

Complimenti” riesco solo a dire dopo essermi ripreso. “Complimenti davvero per la sua straordinaria memoria visiva e…”

Grazie ma no, niente di particolare, lasciamo stare. Piuttosto torniamo a noi: allora fra una decina di giorni ho deciso di organizzare una cena con pochi amici e mi farebbe piacere avervi ospiti, giusto per inaugurare la nuova casa, che ve ne pare?”

Beh” balbetta il socio “ che dire, non avremmo sperato di meglio, saremo felici di esserci.”

quasimodoBene allora grazie e ancora complimenti, domani se passate dalla mia assistente troverete il saldo della vostra parcella e verrete chiamati fra un paio di giorni per la data della cena. A presto.”

Esattamente dieci giorni dopo alle 20.30 siamo entrati, stavolta in qualità di ospiti, nell’appartamento di Corso Garibaldi. Era tornato, più o meno, come la prima volta che lo avevamo visto: impraticabile.

Accomodatevi: ecco amici, vi presento gli architetti che mi hanno riprogettato la casa da capo a piedi, meritano un applauso o no?”

Non mi ricordo se c’è stato l’applauso, però mi ricordo le loro facce.

E’ inutile sottolineare che il “mondo” che avrebbe dovuto diventare nostro cliente non ci ha cercato né il giorno dopo, né per il resto della nostra lunga carriera.

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GIANNI BIONDILLO (Milano, 1966), camminatore, scrittore e architetto pubblica per Guanda dal 2004. Come autore e saggista s’è occupato di narrativa di genere, psicogeografia, architettura, viaggi, eros, fiabe. Nel 2011 il romanzo noir I materiali del killer ha vinto il Premio Scerbanenco. Nel 2018 il romanzo storico Come sugli alberi le foglie ha vinto il Premio Bergamo. Scrive per il cinema, il teatro e la televisione. È tradotto in varie lingue europee.