Il sesto giorno
Da ieri nelle librerie, pubblicato da Fazi Editore, nella collana Darkside, “Il sesto giorno” di Rosanna Rubino è un libro che s’interroga e ci fa riflettere sul futuro umano e tecnologico che (forse) ci aspetta.
Di seguito, un breve estratto.
di Rosanna Rubino
Ronnie era rimasto in piedi sulla porta.
Ragazzo continuava a pettinare i capelli del padre, ciocca per ciocca, aiutandosi con le dita per allentare i nodi, fino a quando i nodi si scioglievano e il pettine andava giù liscio lungo tutta la lunghezza del capello, dalla radice fino alla punta.
L’uomo non sembrava accorgersi di quello che accadeva intorno a lui. Fissava il vuoto con sguardo bovino. Ruminava come se stesse masticando qualcosa, ma non aveva nulla in bocca. Aveva il viso affilato, così magro che pareva scarnificato. La sua testa era tutta occhi, due schegge trasparenti, affilate come ghiaccio.
Ragazzo disse che andava avanti così da un paio d’anni oramai. La vita gli era esplosa in testa frantumandosi in tante immagini tra loro scollegate. Di tanto in tanto una di queste figurine saltava fuori da qualche luogo remoto della me- moria e gli passava davanti, priva di profondità, poi spariva.
A Ronnie sembrò che l’uomo avesse uno sguardo sereno. Dava l’impressione di esistere in uno spazio fuori dal tempo, libero da ricordi, indifferente al futuro. L’uomo sorrise e un filo di saliva gli colò sul mento. Ragazzo gli pulì la bocca, poi girò intorno alla sedia e prese a sistemargli i capelli sulla nuca. I suoi movimenti erano gentili, come se stesse maneggiando una bambola antica. Ronnie pensò che ci fosse del buono in quella gentilezza.
Padre e figlio erano simili.
Ronnie guardò il figlio, poi guardò il padre, e pensò che il padre fosse una versione avvizzita del figlio. Nei tratti del vecchio, guastati dall’età, Ronnie lesse il futuro di Ragazzo: col passare degli anni il suo viso già magro si sarebbe assottigliato ancora di più e il naso sarebbe apparso enorme al centro della faccia, e gli occhi troppo piccoli dentro le orbite svuotate di carne. Era come se Ragazzo, guardando il padre, potesse vedersi allo specchio con decenni di anticipo, in un bizzarro gioco di salti temporali.
Lui invece non ce l’aveva uno specchio del tempo, pensò Ronnie, né l’avrebbe mai avuto. Niente padre o madre, zero legami di sangue. Esisteva slegato da vincoli, veniva dal nulla, era destinato all’assenza. La sua fine si sarebbe compiuta nel vuoto. Provò stupore, poi inquietudine, infine sollievo.
Fu in quel momento che l’uomo alzò il viso e incrociò gli occhi di Ronnie, fulminandolo con lo sguardo. Erano occhi furenti. Fu come se per un istante fosse rientrato nel tempo ricordando cose dimenticate, e Ronnie pensò che dovevano essere cose molto brutte per incendiargli gli occhi in quel modo.
L’uomo fece una smorfia e cominciò a urlare. Ragazzo gli strinse la mano e prese a parlargli all’orecchio sottovoce accarezzandogli i capelli, ma lui non smetteva di gridare. Gridava più forte che poteva, pareva terrorizzato. Fuori aveva ricominciato a piovere.
Ricorda il clima leggermente allucinatorio del miglior Michael Shaara