Tutti i ragni 2 – Ragni che cadono

di Vanni Santoni

2 red house spiderQuando torno da scuola mangio da mia nonna. Appena arrivo accendo la televisione e se c’è un cartone animato mia nonna dice sempre ma cosa guardi queste stupidaggini. Un giorno porto su il videoregistratore dei miei e metto I predatori dell’arca perduta. Lei non dice niente: si vede che per il cinema ha rispetto, anche se non l’ho mai vista davanti a un film.

Mia nonna è considerata una brava cuoca, anzi è lei stessa a dire di sé: sono una cuoca bravissima. Io mi sono sempre immaginato che un cuoco bravissimo sia uno che sa cucinare una varietà di piatti ma lei fa sempre le solite cose. Le sue specialità sono i fegatini e il ragù, che tuttavia solo raramente mette sui maccheroni, ovvero quando suo fratello li fa e li manda e allora si mangiano i maccheroni del bis-zio, belli spessi e col ragù. Altrimenti il ragù va sulla polenta. Altre volte suo fratello fa le tagliatelle e le mangiamo in brodo. Nella pulizia del pollo per il brodo – poiché fare il brodo significa farlo con una gallina ruspante intera, e poi mangiare gallina lessa per giorni, arricchita dalla maionese che fa mio nonno (per tale maionese mio nonno è celebratissimo, benché non si tratti di fare altro che mescolare tuorli e limone in una tazza). Quando le tagliatelle fatte a mano finiscono, nel brodo che avanza la nonna mette la pastina. A Natale, in quel medesimo brodo ci vanno i tortellini, essi pure fatti a mano, ma da mia nonna.

È un giorno normale, sicché a pranzo stelline in brodo. Giro il brodo col cucchiaio. Nel brodo, un filamento nero. Lo giro ancora. Tra le gocce gialle di grasso, le zampe dritte, tutte su un lato, flosce come alghe, un ragno, affogato.

Nonna, che schifo! C’è un ragno nel brodo!

Macché, mi risponde la nonna dalla cucina, senza neanche voltarsi – sta sbuzzando un pollo sul lato dell’acquaio, con le dita affilate cava fuori reni e interiora e uova premature. Qualunque cosa contravvenga al disegno che mia nonna fa di sé e del mondo, non solo è per forza di cose falsa, ma esprimerla è come fare una critica a lei direttamente. E mia nonna non ama le critiche.

C’è un ragno nel brodo, nonna.

Sarà un gambo.

Ti dico che è un ragno.

Macché! Si volta. È rossa. È un gambo di prezzemolo, sibila, poi torna al suo pollo.

Allora io pesco il ragno col cucchiaio e vado da lei e glielo verso lì, in quella superficie ondulata che c’è sul lato dell’acquaio.

È un gambo, fa lei, e lo sposta appena con l’unghia.

Adesso si vede bene che è un ragno. È un ragno, le dico, e lei lo guarda, con un panno lo sposta nell’acquaio insieme alla sua pozza di minestra, apre l’acqua, il ragno fa un mezzo turbine e sparisce nel buco. Poi mi molla uno scapaccione.

È sicuramente caduto dal soffitto, mi dice.

Nel periodo delle medie sogno moltissimo. Spesso sono incubi. Nel più terribile sono alla casa che prendevamo in affitto al mare, accendo la televisione e si vede la faccia di un vecchio a cartoni animati, forse il nonno di Sanpei, ma solo per un attimo perché la scena cambia e c’è una musica terribile e stanno torturando un burattino che però è anche un bambino, la testa di legno scuro, i lineamenti pitturati, qualcosa a mezzo tra un pupo siciliano, Pinocchio e un feticcio vudù, e lo torturano; con una macchina gli svitano la testa, gliela girano a forza di centottanta, trecentosessanta, settecentoventi gradi, e i lineamenti dipinti del burattino non hanno un’espressione di dolore, non possono averla, ma io so che sta soffrendo moltissimo ed è terrorizzato.

C’è una bambina di classe mia che mi piace. A volte vado da lei al pomeriggio. Ci raccontiamo i sogni (ma non questi più spaventosi, perché non mi piace ripensarci). Lei dice che sogna ragni, serpenti, lupi, tigri. Penso che sarebbe ganzo sognare delle tigri.

A volte rimango a dormire a casa sua. Hanno una cameretta che era di una sua zia. C’è una foto di questa donna su uno scaffale e c’è il suo letto, a una piazza, alto, molleggiato, un budino meccanico coperto da un drappo celeste. Sotto il drappo però le lenzuola che mette sua madre sono fresche, e dopo che ti sei infilato è bello sentire il peso del drappo su di te, l’importante è accertarsi di aver rivoltato bene le lenzuola, perché non vuoi ritrovarti a toccare quel velluto polveroso. A volte mi sono chiesto che fine abbia fatto questa zia, se qualcuno se la sia portata via. Se abbia adesso una sua famiglia.

Di solito stiamo in camera di Francesca, giochiamo a Brivido, a Dragon il gioco dei misteri cinesi, a scopa, briscola e rubamazzo. Lei mette la musica. Io di musica non ne so niente. Sulla tasca superiore dello zaino ho fatto la scritta IRON MAIDEN uguale sputata a quella che c’è nei poster che vendono in cartoleria, ma non ho mai sentito un loro disco. Possiedo la cassetta originale di “C’è da spostare una macchina” di Francesco Salvi, quella di “Sei come la mia moto” di Jovanotti e una di Madonna che comprò mia madre da un ambulante. Lei invece ha vari gruppi e cantanti preferiti, ogni volta uno nuovo. Oggi è: Bon Jovi. Mentre la musica va, lei mette la custodia della cassetta di Bon Jovi lì sul letto, come a dire, “guarda, la custodia della cassetta di Bon Jovi”. C’è sopra una foto di Bon Jovi, che è un ragazzone coi capelli lunghi e ricci, il torso nudo e un sorriso un po’ sognante e un po’ imbronciato. Che schifo, dico. Ma cosa ne vuoi capire, tu, fa lei, e mette via la custodia.

Un giorno Francesca mi prende per il polso e mi porta in una stanza dei suoi fondi. Mentre scendiamo mi dice che mi vuole far vedere una cosa e mi prende il batticuore e sudo e quasi non riesco a parlare, ma quando siamo giù mi fa solo vedere un ragno in un angolo. Dice che siccome i suoi la mandano sempre a prendere l’olio in cantina, ogni volta lo vede e finisce per sognare i ragni.

Torniamo su da lei e finiamo la partita e sua madre dice che è ora. Siccome non abbiamo fatto in tempo a cominciarne un’altra, andiamo a letto. Lei in camera sua e io in camera della zia, che mi piace anche perché sulla parete accanto al letto c’è una grossa tela che è il mio quadro preferito dalla prima volta che sono andato da lei e l’ho vista. Ci sono a sinistra Adamo ed Eva con in mezzo Gesù, a destra un inferno con diavoli dalla testa di uccello e di lepre che mangiano le persone o le portano in giro come trofei di caccia, gente che vomita, che caca rondini oppure monete, frecce che trafiggono colossali orecchie da cui spuntano coltelli, teschi di cavallo, slitte, carte da gioco, fiamme, padelle e giganteschi strumenti musicali usati come patiboli. E poi in mezzo, nel pannello più grande, una folla di gente nuda, e pesci, e frutta, in grandi caroselli; uccelli enormi e tende di corallo, tritoni e navi volanti e amanite muscarie di due metri, bacche grandi come palloni, cozze enormi da cui spuntano i piedi di chi ci si è nascosto dentro, uova da cui escono folle di giovani nudi, e all’orizzonte palazzi fatti di carne o di foglie o di rovi, essi pure ricolmi di gente che balla, si tocca, si accoppia, si abbuffa di frutti giganti.

Una notte sogno un “clac”. Sogno un ragno che cade dal quadro, da quella fitta folla di gente nuda e frutti e animali cade un ragno e le zampe sono gambe umane, glabre, passa sopra al mio braccio, cammina sulle lenzuola rivoltate verso la mia bocca. Mi sveglio. Il ragno, una bestiola tozza, le zampe brune, da ragno, è quasi sulla mia faccia. Lancio un grido che è un ruggito e con uno strattone sradico coperte e lenzuola e le getto in fondo alla stanza. Ne esce il ragno, fa per zampettare via. Gli rivolto sopra il mucchio di coperte e lo percuoto con una sedia. Arriva Francesca, in pigiama. Morbida, i capelli impastati sul viso, si strofina un occhio. Ha un profumo un poco appiccicoso, l’odore del suo sonno. Cosa c’è, mi fa. La spingo fuori e chiudo la porta imbarazzato. Sollevo le lenzuola e il ragno è spiaccicato, sull’azzurro del drappo le sue interiora fanno una macchia gialla. Strofino via la poltiglia con un fazzolettino, lo butto fuori dalla finestra. Torno a letto ma non mi riaddormento, entra già troppa luce da fuori. Vado da Francesca, che immagino pure non dorma, e provo a entrare, ma ha chiuso la sua porta a chiave.

[II – continua]

Primo capitolo

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francesca matteoni
francesca matteonihttp://orso-polare.blogspot.com
Curo laboratori di poesia e fiabe per varie fasce d’età, insegno storia delle religioni e della magia presso alcune università americane di Firenze, conduco laboratori intuitivi sui tarocchi. Ho pubblicato questi libri di poesia: Artico (Crocetti 2005), Higgiugiuk la lappone nel X Quaderno Italiano di Poesia (Marcos y Marcos 2010), Tam Lin e altre poesie (Transeuropa 2010), Appunti dal parco (Vydia, 2012); Nel sonno. Una caduta, un processo, un viaggio per mare (Zona, 2014); Acquabuia (Aragno 2014). Dal sito Fiabe sono nati questi due progetti da me curati: Di là dal bosco (Le voci della luna, 2012) e ‘Sorgenti che sanno’. Acque, specchi, incantesimi (La Biblioteca dei Libri Perduti, 2016), libri ispirati al fiabesco con contributi di vari autori. Sono presente nell’antologia di poesia-terapia: Scacciapensieri (Millegru, 2015) e in Ninniamo ((Millegru 2017). Ho all’attivo pubblicazioni accademiche tra cui il libro Il famiglio della strega. Sangue e stregoneria nell’Inghilterra moderna (Aras 2014). Tutti gli altri (Tunué 2014) è il mio primo romanzo. Insieme ad Azzurra D’Agostino ho curato l’antologia Un ponte gettato sul mare. Un’esperienza di poesia nei centri psichiatrici, nata da un lavoro svolto nell’oristanese fra il dicembre 2015 e il settembre 2016. Abito in un borgo delle colline pistoiesi.