Tutti i ragni 4 – Ragni immaginari

di Vanni Santoni

4Al liceo mi viene facile ottenere risultati scolastici dignitosi col minimo impegno, il che mi lascia sconfinate teorie di pomeriggi da dedicare al mio pc e dunque a Monkey Island I & II, Leisure Suit Larry I, II, III & IV, Ultima V, VI & VII, Populous, Civilization, Syndicate, Doom, Sim City, Sim Life, Sim Ant.

Sono ormai indubitabilmente, e considero me stesso, una persona che patisce di aracnofobia. Tuttavia, essendosi fatte più rare le occasioni di passare una giornata fuori e avendo sviluppato un totale dominio della tecnica della pisciata a occhi chiusi per quanto riguarda le serate di gioco di ruolo, si sono fatte rare anche le occasioni di incontro con i ragni, almeno con quelli reali.

Nel mondo dei videogiochi i ragni non hanno una posizione prominente: visti aspetto e caratteristiche, non possono che essere relegati al ruolo di antagonisti e la loro frequenza è media, sebbene a volte possano essere memorabili.

Nella serie Ultima, i ragni giganti compaiono come nemico solo nel quinto episodio, e sono di quelli che anche il giocatore meno abile è facilmente in grado di sgominare. Nelle campagne fuori da Trinsic ne schiaccio dozzine; il loro aspetto – in Ultima V i mostri sono poco più che icone – non è del resto in grado di intimorirmi.

In King of Dragons, la faccenda si fa più complessa. King of Dragons non è un gioco che ho sul computer: non soddisfatto di passare davanti a uno schermo le mie cinque o sei ore al giorno, ogni pomeriggio prendo la bici e vado a un bar vicino casa, che ospita Street Fighter II, Vendetta e lo stesso King of Dragons. Lì i ragni sono parte del mostro finale del settimo livello, una grande quercia dai cui rami calano, appesi ai loro fili, dei ragni tozzi e aggressivi, delle dimensioni di un barile. Il punto è evitarli quando piombano giù per afferrarti, e anzi picchiarli al volo in quel breve lasso di tempo. In ogni dato momento, fuori dall’albero non ci sono più di un paio di ragni, ma quando finalmente si sferra l’ultimo colpo, quelli muoiono tutti insieme e dalla chioma si scatena una pioggia di carogne: vengono giù con le zampette rattrappite e rimbalzano al suolo con un realismo che dà i brividi.

C’è poi Doom, dove non ci sono ragni ma soldataglia mutante e demoni, almeno fino all’ultimo schema. Lì allora, dopo qualche secondo di silenzio, ci si trova di fronte un colossale ragno cyborg, dotato di due mitragliatrici tipo M-60. Non riesco mai a vincerlo, e anzi il suo aspetto, i suoni che emette, la difficoltà nell’ideare tattiche per combatterlo, la velocità con cui profitta di ogni mio momento di dubbio, mi cagionano una sensazione che solo molti anni dopo, fattane più reale e continuativa esperienza, avrei potuto identificare come stress.

Anche in Sim Ant il ragno costituisce l’antagonista principale. A differenza di Sim City, dove le opzioni di gioco erano numerose, e Sim Life, dove erano così numerose da includere un menu dedicato agli eucarioti, tutto quello che c’è da fare in Sim Ant è andare in giro per un giardino a raccogliere semi e briciole di pane – che deve fare, del resto, una formica? – stando attenti a evitare gli insetti predatori e soprattutto il gran nemico, un ragno errante che effettua implacabili ronde sull’erba.

Quando arriva Baldur’s Gate ho perso un po’ di interesse nei videogiochi: il liceo è finito e godo di una maggiore libertà, che mi porta a rivolgere la mia attenzione ad altre questioni. Il motivo per cui non arrivo a finirlo non ha tuttavia a che fare con i postumi di una o più sbronze, o con la necessità di dimostrare la mia virilità a una qualche ragazzotta rinunciando per sempre ai videogiochi, bensì al fatto che uno schema secondario sia infestato di ragni giganti. La grafica dei pc ha ormai quasi raggiunto quella dei coin-op, e quelle orde di ragni grandi come pony, che sopraggiungono in equilibrio su lunghe zampe, che mordono i personaggi, che muoiono con rivoltante rattrappimento, sono per me qualcosa di insormontabile, a meno di giocare a occhi chiusi, cosa che tento un paio di volte solo per vedere un glorioso gruppo di avventurieri destinato a salvare i Forgotten Realms finire invece ghermito da un mucchio di aracnidi.

In quegli anni scopro il cinema. In casa mia si noleggiano film da sempre, ma è a scuola, con un cineforum indetto dal professore di lettere di un’altra classe, che scatta davvero qualcosa. Lo sento che parla con la nostra prof durante l’intervallo, dice qualcosa sul “farli appasionare, mantenendo però un minimo standard di qualità”: fatto sta che il cineforum ha nel suo primo ciclo di programmazione Blade Runner, Excalibur e Arancia Meccanica. Se tale idea non sarà sufficiente a farci andare alla seconda programmazione, che avrebbe virato improvvisamente su Rohmer e Kieslowski, serve almeno a farci uscire di scuola ogni giovedì alle 15 invece che alle 13, in preda a uno stato di esaltazione.

Ecco, al cinema i ragni non contano proprio niente. È come se si fosse stabilito di tenerli il più possibile fuori dal circo dei sogni. A volte fanno una comparsata, come quando si appiccicano alla schiena del compare di Indiana Jones. A volte la funzione è solo simbolica, come in Spider di Cronenberg. La figura migliore la fanno forse in Alien, ma il facehugger è solo una derivazione, un figlio spurio: quella coda ne fa qualcosa di morfologicamente diverso. Stesso destino per gli aracnoidi di Starship Troopers e Shelob del Signore degli Anelli, il cui pungiglione sull’addome ne esclude l’appartenenza all’ordine. Né esistono film con qualcuno intrappolato in casa col ragno velenoso, e sì che con i serpenti ne esistono una mezza dozzina. Anche nel cinema horror, dove avrebbero potuto fare la loro onesta figura, si manifestano solo sporadicamente. L’unico tentativo è quello di Aracnofobia, pellicola mediocre che esce tra qualche attesa da parte degli adolescenti, e che evito accuratamente, rallegrandomi anzi che non esistano imperdibili capolavori la cui visione impone anche quella di cospicue inquadrature di aracnidi.

[IV – continua]

Primo capitolo

Secondo capitolo

Terzo capitolo

4 COMMENTS

  1. Che poi, pensiamoci bene, lo Spider Mastermind di Doom (e la sua progenia Arachnotron in Doom II) era un ben strano aracnide, con quattro (!) gambe meccaniche, e atipico resta anche se aggiungiamo al conteggio le due braccia umanoidi. Eppure, riesce evidentemente a rientrare nella Gestalt prototipica del ragno. (Comunque, due botte di BFG 9000 e passa la paura.)

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francesca matteonihttp://orso-polare.blogspot.com
Curo laboratori di poesia e fiabe per varie fasce d’età, insegno storia delle religioni e della magia presso alcune università americane di Firenze, conduco laboratori intuitivi sui tarocchi. Ho pubblicato questi libri di poesia: Artico (Crocetti 2005), Higgiugiuk la lappone nel X Quaderno Italiano di Poesia (Marcos y Marcos 2010), Tam Lin e altre poesie (Transeuropa 2010), Appunti dal parco (Vydia, 2012); Nel sonno. Una caduta, un processo, un viaggio per mare (Zona, 2014); Acquabuia (Aragno 2014). Dal sito Fiabe sono nati questi due progetti da me curati: Di là dal bosco (Le voci della luna, 2012) e ‘Sorgenti che sanno’. Acque, specchi, incantesimi (La Biblioteca dei Libri Perduti, 2016), libri ispirati al fiabesco con contributi di vari autori. Sono presente nell’antologia di poesia-terapia: Scacciapensieri (Millegru, 2015) e in Ninniamo ((Millegru 2017). Ho all’attivo pubblicazioni accademiche tra cui il libro Il famiglio della strega. Sangue e stregoneria nell’Inghilterra moderna (Aras 2014). Tutti gli altri (Tunué 2014) è il mio primo romanzo. Insieme ad Azzurra D’Agostino ho curato l’antologia Un ponte gettato sul mare. Un’esperienza di poesia nei centri psichiatrici, nata da un lavoro svolto nell’oristanese fra il dicembre 2015 e il settembre 2016. Abito in un borgo delle colline pistoiesi.