Tutti i ragni 6 – Ragni che attaccano
di Vanni Santoni
Due anni più tardi, da una diversa città nordeuropea, mi aggrego a una carovana di tekno traveler, incurante del fatto che potrei non trovare da tornare indietro in tempo per il mio volo. Ora, costoro possiedono effettivamente un soundsystem ma ben presto scopro che sono soprattutto dediti all’acquisto in stock di sostanze e alla rivendita delle medesime in occasione di teknival e feste varie. Salendo sul loro camion mi ritrovo a correre per le strade spoglie dell’est Europa, a schivare pattuglie sgarrupate e sonnolenti posti di blocco, a dormire in appartamenti occupati alla periferia di Tallinn, mi ritrovo un giorno nella casa del guardiano di uno zoo ceco.
La ketamina è un anestetico per uso pediatrico e veterinario: se negli ospedali è posta sotto stretto controllo, per gli zoo ottenerla è più semplice, così come è semplice sovrastimare gli ordini e rivendere il surplus. Ed ecco i miei accompagnatori che vanno da questo guardiano ad acquistare qualche centinaio di flaconi di Ketaset. In casa ha dei terrari. Spiega che una volta lo zoo aveva una sezione con ragni, serpenti, iguana. Poi gli iguana sono morti e la sezione ha chiuso e allora lui si è preso in casa questi quattro ragni, per fargli compagnia, dice, e mentre mi spiega sento un urlo e Tchou-tchou, un francese della carovana, si tiene la mano e grida e sul palmo e sull’interno dell’indice e del medio ha degli aculei, sottilissimi, come se avesse agguantato un cactus, e il guardiano gli dice coglione o qualcosa del genere in ceco e lo spinge via e chiude il coperchio del terrario della tarantola red knee e Tchou-tchou, grande grosso e cattivo, Tchou-tchou che a Linz due giorni prima aveva rotto i denti a uno con una testata, piange come un marmocchio e guarda quei piccoli aculei e non crede ai suoi occhi e Sylvie e Rex e Thea e io ridiamo come matti e lui si incazza e dice vorrei vedere voi figli di puttana e intanto il guardiano rientra con una pinzetta e un batuffolo di cotone facendo nx nx nx.
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Il mio amico Staderini, più solerte di me e dunque laureatosi ingegnere oltre che chierico, forte di un 110 e lode si trasferisce a fare un dottorato in Texas.
Al Czechtek dell’anno prima la polizia ci ha sgomberati con la forza; in tutta Europa quel movimento a cui tardivamente mi ero aggregato subisce repressioni. Alcuni amici, gente che non vive sui camion, gente a cui interessano in fin dei conti solo le feste, iniziano ad andare per festival goa, hanno del resto uno stpendio e preferiscono pagare un biglietto e farsi una settimana di rave tranquilli piuttosto che vivere il sogno dei free party e rischiare sgomberi e mazzate. La cosa mi deprime un poco e per quell’estate decido di andare a trovare lo Staderini.
Texas, la casa del ragno eremita. Quante volte avevo sfogliato il mio libro a quella pagina; quante avevo osato scrivere quelle due parole su Google images e visto uscir fuori gallerie di ferite piagate, di dita maciullate, di primi piani di questo ragno affilato, scattante, immancabilmente definito “vicious”.
Sapevo che il vicious brown recluse mi aspettava lì. Del resto nella suburbia di Houston non ci sarebbe stato molto da fare e il mio amico non era il tipo che sapeva andar dietro alla scia di locali ed eventi. Faccio dunque la valigia immaginando di andare incontro a quel ragno, già scherzando con l’idea di riportarne indietro una coppia per errore, nascosta nel bagaglio, e dare luogo a un’invasione di ragni eremita in Toscana.
Quando ne parlo al mio amico, lui mastica il suo controfiletto e dice che non ne ha mai visto uno.
L’incontro avviene al terzo giorno, mentre leggo steso sul letto, un futon ad altezza suolo. Volto il capo a sinistra e lo riconosco. Sta lì, a poco più di un metro di distanza. Inevitabile. Brandisco il libro, ma appena l’ombra del mio braccio incoccia il ragno, quello scatta via. Si nasconde in un mucchio di vestiti. Vado al mucchio, lo percuoto con una sedia, non vedo movimenti, lo percuoto ancora un po’. Inizio a lanciar via gli indumenti uno per uno, e al terzo che tiro via lo sento che mi punge. Grido e scaglio in terra quella felpa, la pesticcio e pesticcio mentre la punta del mignolo mi diventa livida. Il dolore è intenso, ma non terribile. Tuttavia sento un capogiro, mi sale una specie di febbre. Ricordo di aver visto un ospedale lì vicino, nei giorni precedenti. Prendo la macchina del mio amico e ci vado. Mi anestetizzano e mi asportano la parte avvelenata, necrotizzata. Mi mettono cinque punti sul polpastrello del mignolo, che rimarrà come smussato, rispetto alla pienezza dell’altro. Che è successo, te l’ha mangiato un ragno? Sì.
[VI – continua]
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