Nicola Vacca, «Vite colme di versi»
di Giacomo Verri
Nicola Vacca, raffinato amante della poesia, e poeta lui stesso, racconta, in un volume uscito per i tipi di Galaad edizioni, il proprio viaggio ideale attraverso ventidue poeti del Novecento; non solo maestri italiani, ma anche stranieri, non solo i nomi dei grandi ma anche quelli dei ‘sommersi’ nel mare sempre più vasto e inquinato di chi si autoelegge poeta: accanto ai ritratti di Caproni, di Ungaretti, di Campana, di Celan o di Prévert, abbiamo così anche quelli di Beppe Salvia, di Lorenzo Calogero o di Nika Turbina, “la poetessa bambina”, morta a Mosca a soli ventisette anni nel 2002, e il cui nome, in Italia, è pressoché sconosciuto ai più.
A ognuno di questi poeti, Nicola Vacca regala un ritratto stringato ma sempre teso a cogliere l’essenziale delle loro formule, delle loro parole, delle loro esistenze. Se vogliamo indicare un filo rosso che lega i ventidue medaglioni, diremmo che la voce dei poeti prediletti dall’autore è quella che pone il verbo in “disarmonia con l’epoca” (per forzare una formula di Caproni il cui ritratto, forse non a caso, sta in apertura di volume).
Così di Dario Bellezza scrive che “con la docile rabbia del diverso ha pronunciato la deriva e la forza dei sentimenti, con la pietra del peccato ha scolpito nel nulla il colore eterno della poesia”, oppure dell’appartato Beppe Salvia si dice che attraverso le parole quotidiane, quelle che tanti di noi utilizzano per essere orrendi e banali, egli ha invece affidato al cuore “le beffe più dolci e più misere del dolore e della memoria”.
Mentre indugia e pennella intorno alle figure dei poeti amati, in specie quelli che stanno bocconi sull’orlo dell’oblio, Nicola Vacca tira le orecchie al nostro triste Paese quando non rende omaggio ai suoi padri, quando lascia “che si spengano nell’indifferenza assoluta” e nell’effimero abbaglio dell’apparenza. E al contempo indica anche, indirettamente, il compito della poesia: “definire l’indefinibile” come ha insegnato Giuseppe Ungaretti, laddove l’indefinibile è quel bilico precario che simboleggia la grazia e la condanna dell’esistere, a un tempo; ma anche “mantenersi integri nel mare magnum della nuova schiavitù globale”, come da decenni fa un artista poliedrico qual è Leonard Cohen, o come ha fatto, orgogliosamente, il folle genio di Marradi.
La poesia, dunque, va oltre e custodisce le solitudini, spiega Nicola Vacca, anche e soprattutto quando le parole si consumano “in prossimità della morte” o sull’orlo dell’orrore.
Nicola Vacca, Vite colme di versi, Galaad edizioni, euro 11
[…] Articolo apparso per la prima volta su Nazione Indiana, il 23 giugno 2016: https://www.nazioneindiana.com/2016/06/23/nicola-vacca-vite-colme-versi/ […]