L’antagonista
(esce domani il romanzo d’esordio di Edoardo Zambelli intitolato L’antagonista, Laurana editore, collana Rimmel. Ne ha parlato qui su Vibrisse Giulio Mozzi. L’editore ci regala un estratto e noi lo ringraziamo con piacere.)
di Edoardo Zambelli
Aveva smesso di piovere. Densi nuvoloni neri facevano però presagire che si trattasse solo di una breve tregua. Si accedeva al cimitero tramite un viale di ghiaia, costeggiato da alti cipressi. Il bianco del viale creava uno strano contrasto da fine del mondo con il cielo nero che lo sovrastava. Al termine del viale, c’era un pesante cancello nero. Aperto. C’era una sola macchina parcheggiata accanto ai bidoni della spazzatura. Oltrepassato il cancello, c’era il gabbiotto del custode. Un uomo obeso, sui quarant’anni. Stava leggendo un giornale. Bussai al vetro del gabbiotto. Mi rivolse uno sguardo un poco assonnato. Mi chiese cosa volevo. Gli spiegai che stavo cercando la tomba di Erika, feci nome e cognome. Lui mi fissò in un modo strano. Al nome di Erika l’espressione sonnolenta era sparita lasciando il posto a una diffidenza mal dissimulata.
“La ragazza che si è suicidata?”
“Sì, lei”.
Strizzò gli occhi, facendoli scomparire nel a faccia rotonda e chiazzata di rosso. Non riusci a capire cosa stesse accadendo.
Sembrava stranamente sulla difensiva. In ogni caso, dopo qualche istante di silenzio, mi indicò la strada. Mi allontanai, con la sicurezza che mi stesse seguendo con lo sguardo. Non che importasse granché, ma l’espressione sul suo viso mi aveva leggermente turbato. Ebbi l’impressione che mi stesse nascondendo qualcosa, o forse, che pensava che io gli stessi nascondendo qualcosa. A un tratto mi trovai a fissare gli occhi di Erika. Lei, come la ricordavo, giovane e sorridente. La foto doveva essere stata scattata proprio ai tempi della nostra relazione o comunque poco dopo o poco prima. I capelli ancora dorati, il viso immacolato, senza l’orrenda cicatrice che avevo visto sul giornale. Mi ritrovai in lacrime. Sentivo le forze venirmi meno. Non mi aspettavo una reazione del genere. Non riuscivo a staccare i miei occhi dai suoi. Ero triste e felice insieme. Al contempo, l’avevo ritrovata e l’avevo persa di nuovo. Stavolta per sempre.
Sulla tomba c’erano due mazzi di fiori. Uno piccolo e l’altro invece molto grande, sfarzoso. Quello piccolo aveva anche un biglietto. Mi rammaricai di non aver preso parte al funerale.
Certo, forse mi sarei sentito a disagio. Ma almeno le sarei stato vicino, un’ultima volta. Forse avrei colmato, almeno ai miei occhi, un po’ di quel vuoto che dieci anni di lontananza avevano creato. Avrei potuto chiederle scusa per non averle risposto. Mi sarei sentito assolto. Era questo che cercavo? Un’assoluzione? Sapevo che ciò che le era accaduto non poteva avere alcun nesso con me. Eppure non riuscivo ad allontanare il senso di colpa. Mi tormentavo al pensiero della sua solitudine. Una solitudine nella quale, qualche volta, aveva invocato sottovoce il mio nome. E quando aveva trovato finalmente il coraggio di cercarmi era stata ignorata. Se n’era andata senza nemmeno sapere che mi aveva effettivamente trovato.
Sentii dei passi alle mie spalle. Mi voltai di scatto, spaventato. Era il custode. Mi osservava con lo stesso sguardo di prima. Stavolta però sembrava incerto, come se non sapesse se parlare o meno.
“Lei è un parente?”, mi chiese, dopo una breve esitazione.
“No, un vecchio amico”.
Lo vidi strizzare nuovamente gli occhi. Capii che quella era l’espressione che assumeva quando rifletteva su qualcosa. Gli occhi finivano ingoiati nella superficie gommosa del suo viso.
Il doppio mento prendeva a tremolare leggermente. E chissà quali pensieri si agitavano in quel corpo gigantesco in quei momenti.
Si aprì finalmente in un sorriso imbarazzato.
“Non so se sia il caso di parlarne…”
“Parlare di cosa?”, chiesi.
“Be’ sono successe delle cose… strane”.
“In che senso strane? E in merito a cosa? Non la seguo”.
“In merito al funerale. Le ho chiesto se lei è un parente perché… vede, al funerale non c’era nessuno”.
“Come sarebbe nessuno? E i fiori?”
“Nessuno, le assicuro. I fiori li ho trovati lì, ma non so chi li abbia lasciati. Qui entra parecchia gente, non posso star dietro a tutti. Ho cercato di fare attenzione, ma se qualcuno non voleva farsi vedere ci è riuscito molto bene”.
Rimasi in silenzio. Certo, non era ciò che mi aspettavo.
Avevo immaginato parenti e amici in lacrime, sconvolti dal dolore. Era ancora molto giovane. Mi era già capitato una volta di perdere un amico a quell’età e ricordo la cerimonia come qualcosa di straziante. La morte di una persona giovane fa sempre una certa impressione. E comunque, al di là di queste considerazioni, c’è il fatto che amici e parenti presenziano sempre a un funerale. Il fatto che a quello di Erika non si fosse presentato nessuno era effettivamente una cosa strana. Ma pur volendo ammettere la stranezza di un funerale deserto, erano cose che potevano accadere per mille motivi.
Vedendo che non parlavo, il custode riprese.
“Forse ho fatto male a parlarne con lei. Non volevo certo turbarla”.
“No, si figuri. Anzi, ha fatto bene. Anche se, sinceramente, non vedo cosa ci sia di così strano”.
“Vede, non le ho detto tutto. Forse è il caso che parli con don Diego. Lui potrà dirle di più. Mi aveva chiesto di avvisarlo quando e se si fossero fatti vivi parenti o conoscenti della ragazza”.
“Dove posso trovarlo?”
Mi indicò la strada per la chiesa. Ci ero passato davanti andando al cimitero. L’avrei trovata senza problemi. Poi il custode si congedò e tornò nel suo gabbiotto, lasciandomi di nuovo solo con Erika.
Guardai ancora la sua foto. Poi i fiori sulla tomba. In effetti, era davvero strano che al suo funerale non fosse presente nessuno. Mi inginocchiai. Guardai verso il gabbiotto per assicurarmi che il custode non mi stesse fissando. La testa era china e non mi stava guardando. Doveva essere tornato al suo giornale. Ora che mi aveva parlato, come togliendosi un peso, aveva esaurito il suo interesse per me. Non c’erano motivi per tenermi d’occhio. Presi allora il mazzo di fiori più piccolo e ne sbirciai il biglietto. Era un pezzo di cartoncino bianco piegato in due.
Lo aprii.
Dentro, a stampatello, c’era scritta una sola parola: perdonami.
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Fantasmi d`amore, e strade perdute. Coinciso e tagliente.
http://youtu.be/kCns-PWr13A