Aren’aria

di Marino Magliani

marino_copertinaarenariaPreso posto sulla corriera per Caprasottana, il geometra P. Prensotti aprì il suo libretto su Santa Maria Maddalena.
Pensò a un torrente lontano, ma poi successe una cosa che gli tolse il sorriso: si era accorto che i passeggeri maschi usavano uno strano protettore di cuoio, un cinturone, evidentemente a doppio uso, che reggeva regolarmente i pantaloni e nello stesso tempo proteggeva i genitali.
Prensotti notò che anche l’uomo salito alla fermata successiva era dotato di un cinturone simile.
Essendoglisi costui seduto accanto, con la coda dell’occhio, Prensotti si dispose a studiare la cosa.
Il cinturone era di pelle scadente, logora, e dove avvolgeva la zona dei genitali era rinforzato da uno strato di pelle scamosciata sul quale brillavano le lettere M e F.
Saranno le iniziali, pensò il Prensotti.
L’uomo si sentì osservato e sorrise. A quel punto Prensotti tornò sul libretto. Non leggeva, o leggeva qualche riga e poi pensava a come far venire il discorso per saperne di più, ma quando era lì per dire qualcosa si bloccava. Come si fa a chiedere a uno: perché, brav’uomo, sente il bisogno di proteggersi i genitali?
Lasciata l’Aurelia, lungo l’asfalto s’alternavano vigne e orti a paesini con un solo negozio, il palazzo del municipio al centro e le mura del cimitero fuori dell’abitato.
Il motore si spense in una piazza circondata dalle palme.
Prensotti aspettò che la corriera si svuotasse e s’avvicinò al posto di guida.
«Cosa bisogna fare per attirare un po’ di turismo» disse l’autista notando lo stupore di Prensotti nel vedere che anch’egli si stava allacciando un orribile cinturone.
Prensotti si presentò: «P. Prensotti, geometra della Regione, devo andare in Comune perché ho un appuntamento».
L’autista, con quel gesto dissimulato che viene naturale quando le mutande stringono, si abbassò quattro dita, le dita sistemarono meglio il cuoio. Poi scese dalla corriera per spiegargli dov’era il municipio.
E comunque, disse ancora, se si perdeva, ad ogni angolo di strada trovava un contenitore pieno di opuscoli con la piantina di Caprasottana e alcuni cenni storici sul castello dei Crosalis.
Era un ometto ben disposto, Prensotti lo ringraziò pensando che a quel punto poteva chiedergli apertamente come mai portavano tutti quanti quel genere di cintura.
L’autista sorrise.
«Da dove viene lei, geometra?»
«Da Genova, sono un funzionario della Regione.»
«Allora in Comune le racconteranno tutto, io non sono neanche della valle, ma cosa vuole, qui anche gli autisti devono stare alle regole.»
Di là della piazza c’erano un paio di supermarket, con agenzie immobiliari e diversi bancomat.
Prensotti seguì le indicazioni dell’autista, quando successe una cosa strana: una macchina dei carabinieri, giunta a grande velocità, gli frenò accanto con stridio di gomme, e scese un maresciallo, un omaccione barbuto.
«Faccia presto» suggerì il carabiniere rimasto alla guida.
Il maresciallo si diresse al bancomat ma, quasi subito, accorgendosi della donna che gli correva incontro, balzò nuovamente a bordo e la Uno blu schizzò via, inseguita dalla donna.
Un battito di ali alle spalle spaventò Prensotti. Un paio di pappagalli, uno variopinto e l’altro tutto verde, rasentavano l’asfalto. Poi un terzo pappagallo, spellato e grassottello, a larghi giri planò sul gioco delle bocce.
Il sindaco in municipio non c’era.
«Avevo un appuntamento» si lamentò Prensotti.
«Vuole che le chiami il vice?» disse il messo.
«Mi chiami il vice.»
Al di qua del bancone venne un signore abbronzato, indossava un bel completo di tela bianca, e un gran proteggiballe ricamato.
«Il sindaco non dovrebbe tardare. Io sono il vicesindaco.»
Prensotti gli diede la mano.
«P. Prensotti, geometra della Regione, sono qui per esporre al sindaco il progetto della strada dei Ballei.»
Il vicesindaco sbadigliò: «Lei, geometra, non deve esporci proprio nulla, avendo noi stessi, il sindaco ed io, caldeggiato quel progetto, il suo compito semmai è di convincere chi a quel progetto si oppone…».
E finì picchiando col piccolo pugno sul bancone.
Il geometra Prensotti restò calmo, aprì la borsa e tirò fuori e aprì una mappa.
Il vicesindaco gliela tolse di mano. «Ecco vede, geometra, chi si oppone? Il maledetto è il proprietario di tutta questa roba qui.»
Prensotti cercò nella borsa altri fogli, visure catastali e mappali. La sorpresa fu grande: le terre di cui parlava il vicesindaco appartenevano a una sola persona. Arturo Testina Crosalis.
«È un discendente della dinastia Crosalis?»
«Esatto, e vive a Caprasoprana, e oltre alle terre alte possiede i palazzi e il rudere del castello e colline di ulivi, ma si oppone alla strada.»
«Non c’è la possibilità di far passare la strada accanto alle sue terre?»
Il vicesindaco mosse gli ossetti delle guance. «Vuole una bastonata sulla faccia? Lei pensa che se fosse possibile non avremmo già provveduto?»
Ma poi cambiò tono.
«Dia retta a me, torni fra un’ora, così parla col sindaco.»


Questo è l’incipit del racconto lungo (incompiuto), o romanzo breve (incompiuto) che dir si voglia, “Aren’Aria”, di Marino Magliani, ovvero Fernando Guglielmo Castanar (per capirci meglio si veda la bella introduzione), pubblicato recentemente da Fusta Editore, Saluzzo (Cuneo). Il testo è bilingue (italiano e tedesco), e è accompagnato da lunghe e precise note dello storico dell’arte Alessandro Giacobbe, e da fotografie di Ariodante Calvini. Un libro, tutto ligure, come solo Magliani può ideare e realizzare, insomma.

 

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