Appunti nomadici 2
di Giuseppe Cossuto
Proseguiamo il nostro viaggio nel passato di coloro che venivano considerati nomadi, scrivendo qualche nota sulla situazione degli zingari nell’ex mondo del “Socialismo Realmente Esistente” (la prima puntata è qui).
Elevare il grado socio-culturale distruggendo la cultura tradizionale
Dopo la Seconda Guerra Mondiale, la fine del nazismo e del fascismo come sistemi di governo rappresentò per gli zingari sopravvissuti alle politiche di sterminio la fine di un tremendo incubo. Ancora scossi, molti sopravvissuti spesso rifiutavano di fornire le proprie generalità sia alle autorità americane che a quelle sovietiche. Molti, in vari Paesi europei, riconoscendo fascisti, nazisti e delatori, compirono vendette private e furono puniti dai tribunali militari alleati.
Tuttavia, nessuno zingaro venne mai chiamato a testimoniare contro gli aguzzini nei processi di Norimberga e, in quanto legalmente non perseguitati per motivi razziali ma per i “loro precedenti sociali e delinquenziali”, a buona parte dei superstiti non venne concesso alcun risarcimento da parte del governo della Repubblica Federale Tedesca.
Ciò nonostante un numero notevole di zingari provenienti dall’Europa Centrale ed Orientale continuò a scegliere proprio l’Austria e la RFT come luogo di immigrazione dopo l’instaurazione dei governi comunisti.
Il motivo dell’emigrazione è abbastanza complesso, e si lega soprattutto all’applicazione della concezione dogmatica marxista riguardo il “nomadismo” come stadio evolutivo primitivo dal quale emancipare gli zingari (ed altri gruppi nomadici).
Per l’emancipazione sociale degli zingari (e dei nomadi e dei vaganti) secondo i gradi progresso che contrastavano nettamente con i loro modi di vita, i governi del socialismo realmente esistente, investirono molte energie e risorse, sia economiche che di impegno umano.
Sedentarizzazione, collettivizzazione, lotta al presunto nomadismo si accompagnavano a politiche di acculturazione e di elevazione sociale, il più delle volte non gradite agli zingari, specialmente a chi da secoli viveva spostandosi.
Si erano avuti antecedenti di queste politiche già nei primi anni della presa di potere dei bolscevichi in URSS con attivisti comunisti di origine rom, come Ivan Ivanovich Rom-Lebedev, che molto si prodigarono nell’opera di combattere le “pratiche nemiche del lavoro produttivo”, intendendo per queste soprattutto la mendicità e la chiromanzia. Già nel 1925, era stata autorizzata la creazione dell’Unione Rom Pan-Russa, che aveva giurisdizione su tutta l’Unione Sovietica.
Con la creazione della prima fattoria collettiva per Rom, a Rostv, nel 1925, si intensificarono le pratiche anti-nomadiche e tra il 1926 e il 1928, ben 5000 rom si insediarono stabilmente in fattorie collettive in Crimea, Ucraina e Caucaso settentrionale. Nel 1927 venne creato un alfabeto romanes avente per base il cirillico, mentre la prima grammatica, la Tziganskji Jazik (La lingua zingara), apparve nel 1931, così come l’anno prima era stato dato alle stampe il dizionario zingaro-russo, comprendente circa 10.000 vocaboli.
Oltre alla sedentarizzazione in fattorie collettive, tipica dei primissimi anni del bolscevismo, nei primi anni Trenta si iniziò ad “industrializzare” gli zingari, in appositi gruppi di lavoro chiamati artel’ (cooperative industriali specialmente chimiche e meccaniche).
Tuttavia l’Unione Rom Pan-Russa, già nel 1927-28 era stata oggetto di indagini e meticolosi controlli statali e polizieschi, che ne minarono l’azione, incarcerando e destituendo con vari capi di imputazione, molti dirigenti, per finire nello scioglierla definitivamente.
Sempre nei primi anni Trenta, numerosi zingari non di lingua russa, ma riconducibili ai Vlax, si accamparono nei dintorni di Mosca per venire poi radunati in un numero di 5470, per essere successivamente inviati nei campi di lavoro in Siberia.
Queste azioni del governo centrale contro i rom, colpirono, fino al 1938, numerose altre piccole nazionalità.
Grandi passi nella cultura ma che comportarono la distruzione dello stile di vita tradizionale.
Lo stesso schema fu applicato, con alcune varianti e differenze tra Stato e Stato, nei diversi Paesi del “Blocco Socialista”.
Ad esempio la lotta contro il nomadismo (o meglio, contro la non-stanzialità) come sistema di vita portò alla creazione di immensi ghetti zingari, come “Fakultet” a Sofia o di città abitate quasi esclusivamente da zingari come in Romania e in Bulgaria.
In Slovacchia, coloro che praticavano il “nomadismo”, dal 1958, potevano essere messi in carcere per sei mesi e, nel 1972, le politiche governative cercavano di invogliare le donne zingare a farsi sterilizzare.
Come “zingari” venivano classificati tutti i nomadi e, probabilmente, è proprio a causa di queste politiche assimilative “ziganizzanti” che si è perduta la maggior parte delle culture nomadiche, molte delle quali antichissime, che sopravvivevano, sia pur con difficoltà, nell’Europa orientale.