Babbo Natale giustiziato
di Ornella Tajani
I pagani pregavano i morti, mentre i cristiani pregano per i morti.
S. Reinach
È il 23 dicembre del 1951. A Dijon si assiste a un’esecuzione sensazionale: Babbo Natale viene impiccato alle grate della cattedrale e poi bruciato sulla pubblica piazza. Nel comunicato dei giustizieri, ripreso anche dall’edizione di France-Soir dell’indomani, si legge: «In rappresentanza di tutti i cristiani della parrocchia desiderosi di combattere la menzogna, 250 bambini, raccolti davanti alla porta principale della cattedrale di Dijon, hanno bruciato Babbo Natale».
La notizia cattura l’attenzione nazionale e Claude Lévi-Strauss trae spunto dal fatto di cronaca per scrivere il suo Père Noël supplicié, oggi riproposto in Francia da Seuil in una nuova edizione (in italiano: Babbo Natale giustiziato, ed. Sellerio, 1995, trad. Clara Caruso).
La chiesa di Dijon organizza la spettacolare esecuzione per denunciare una preoccupante «paganizzazione» del Natale, che dal suo punto di vista dovrebbe restare la festa della natività. Ma è già un paradosso, commenta subito Lévi-Strauss, fare di Babbo Natale un simbolo dell’irreligione, lasciando alla chiesa il ruolo di paladina della verità, e ai razionalisti quello di guardiani della superstizione. È questo rovesciamento, necessariamente sintomo di fenomeni più complessi, che accende l’interesse dell’etnologo, spingendolo a compiere un’analisi sincronica e diacronica, tessendo una tela di rimandi storici che rimonta fino ai Saturnali dell’antica Roma.
Babbo Natale, scrive L.-S., non è un essere mitico, perché non esiste alcun mito che renda conto della sua origine, né è un personaggio leggendario, perché non c’è nessun racconto semi-storico collegato alla sua figura. Di fatto si tratta di una sorta di divinità: un’entità sovrannaturale, immutabile, caratterizzata da apparizioni periodiche e fisse, e oggetto di venerazione da parte di una specifica categoria di persone: i bambini. Ciò che in primis va rivelato è che dunque, sebbene gli adulti non credano alla sua esistenza, si occupano nondimeno di incoraggiare i bambini nel loro culto.
Si delinea così una separazione fra due gruppi di persone: gli iniziati – cioè gli adulti, che sanno che Babbo Natale non esiste – e i bambini. Ciò inscrive la narrazione di Babbo Natale nello schema dei riti di passaggio e di iniziazione, che prevedono, fra i vari obiettivi, quello di permettere agli iniziati l’esercizio di un potere di controllo sui non iniziati, imponendo loro ordine e obbedienza:
«Durante tutto l’anno invochiamo la visita di Babbo Natale per ricordare ai bambini che la sua generosità sarà commisurata alla loro bontà; e il carattere periodico della distribuzione dei regali serve a disciplinare in maniera appropriata le richieste dei bambini, a circoscrivere il periodo in cui hanno davvero diritto di pretendere dei regali. Ma questa semplice affermazione basta a far saltare lo schema della spiegazione utilitaria» (trad. mie).
Cosa significa, si chiede infatti Lévi-Strauss, che i bambini hanno dei diritti, e perché gli adulti si sentono in obbligo di industriarsi nel creare una mitologia, fra l’altro dispendiosa, per contenerli e limitarli? L’autore lo spiega paragonando l’opposizione fra adulti e bambini – iniziati e non iniziati – a quella fra i vivi e i morti, caratteristica di molti riti di passaggio: i non iniziati, come i morti, hanno anche dei poteri speciali, ed è per questo motivo che gli iniziati si preoccupano di compiacerli. I bambini, che non sono ancora parte attiva e ufficiale della società ma lo diventeranno, sintetizzano in un’unica figura il ruolo di vivo e quello di morto: la loro richiesta di regali natalizi può essere vista in effetti come l’ultimo attimo della lunga questua che inizia con l’autunno, nel periodo critico in cui «la notte minaccia il giorno allo stesso modo in cui i morti assillano i vivi». Ne è paradigma la festa di Halloween, durante la quale i bambini, vestiti da scheletri, fantasmi o zombie, tormentano i vivi, che offrono loro dei dolci in cambio di una pace che duri fino all’autunno seguente. Per l’autore, Babbo Natale sarebbe il discendente di una schiatta che annovera fra i suoi appartenenti l’Abbé de Liesse, vescovo-bambino «abate della gioia», il Saturno romano divoratore di fanciulli, lo Julebok scandinavo e San Nicola che resuscita i fanciulli e offre loro dei doni, senza contare le sue affinità con le divinità Kachina delle popolazioni indiane d’America, sulle cui ritualità Lévi-Strauss entra nel dettaglio, comparandole alle usanze natalizie.
«Si chiariscono allora le caratteristiche apparentemente contraddittorie dei riti di Natale: per tre mesi i morti hanno visitato i vivi in modo sempre più insistente e oppressivo. Il giorno della loro partenza vengono festeggiati e si concede loro un’ultima occasione per manifestarsi liberamente o, secondo l’appropriata espressione inglese, to raise hell. Ma chi altri, nel mondo dei vivi, può rappresentare i morti, se non coloro che, in un modo o nell’altro, non sono ancora pienamente integrati nel gruppo e partecipano dell’alterità propria del dualismo supremo: essere, insieme, vivo e morto? Non sorprende che siano gli stranieri, gli schiavi e i bambini i principali beneficiari della festa».
Per quanto concerne gli stranieri e gli schiavi, il riferimento è alle usanze natalizie medioevali, per le quali la festa era concepita come momento di abolizione d’ogni distinzione di classe, come occasione per servi e padroni di sedere insieme alla stessa mensa. Protagonisti del Natale contemporaneo restano invece i bambini, ed ecco che le strenne appaiono come un sacrificio offerto alla vita, una richiesta di rinviare la morte. Gli adulti regalano ai bambini ciò che desiderano perché questi, in cambio, li aiutino a tenere chiuse le porte dell’aldilà: i non ancora adulti, i non iniziati, si collocano fuori della vita, vicinissimi alla morte – essendone sua “personificazione classica”, secondo l’autore – e al contempo lontanissimi da essa, mentalmente e oggettivamente; è esattamente questa condizione che regala loro il potere di esorcizzarla.
Così, con l’autodafé della comunità cattolica di Dijon, Babbo Natale riemerge in tutta la sua essenza pagana: una figura divina, strettamente legata ai riti di iniziazione, che per Lévi-Strauss riafferma con prepotenza, proprio nel momento della condanna religiosa al rogo, la sua invulnerabilità.
Articolino interessante, fa venire voglia di andare a cercare il vecchio volume Sellerio ’95. Questa è una piccola nota di un bibliofilo insonne, che scrive poco prima delle sette del mattino di Natale, quindi un po’ rimbambito. Siate benevoli.