Salentitudini tondelliane – quinta parte
Trent’anni dopo Ragazzi di piazza. Che cos’è diventato il Salento di Tondelli
QUINTA PUNTATA / Quei ragazzi di piazza
qui la prima, la seconda, la terza e la quarta tappa del reportage
di
Giorgia Salicandro
«TRICASE – Massimo Urbani è uno dei pochi personaggi della scena jazz italiana che sia riuscito a ritagliarsi un proprio spazio stilistico, una spanna al di sopra di musicisti, magari validissimi sotto il profilo tecnico, ma privi di grande personalità. Il concerto di giovedì scorso, tenuto nella discoteca “Tam Tam” di Tricase ed inserito nella rassegna “Primavera jazz”, ha confermato in pieno la sua statura di solista e di personaggio di punta del panorama italiano».
Il lettore stereo ingoia la lingua del cd. Si illumina un rebus verde, prende forma esatta, scrive: No Autostop. Il primo a raggiungerci è un fiato. Acuto, così simile allo stridio delle ruote su questo asfalto impervio, sembra ripetere l’irrisione del titolo come un soffio disturbante. Il batterista, duecento metri più avanti, colpirà in solitaria il rullante del freno. Il giro di chitarra darà il la al testacoda. Dove siamo diretti? Chi c’è al volante? Nel nostro tour nel passato si aprono gorghi, zampillano domande da un asfalto liquefatto, perdono consistenza obiettivi fotografici e taccuini. Ci sono gorghi più profondi, come buchi neri, ombre più lunghe. Indirizzi che non esistono. Dove andare a cercare la storia di Toni Robertini?
Per pochi giorni, nel giugno dell”86, l’indirizzo di Toni e quello di Pier coincisero lungo la costellazione di strade del Salento. La storia di Toni si fermò negli appunti dello scrittore, attraversò rotative ed edicole, e anni più tardi, nei cassetti dei compagni di viaggio, una copia de L’Espresso avrebbe trovato il proprio posto accanto a polaroid e riedizioni speciali di fanzine.
E lì lo cerchiamo anche noi, tra voci che cambiano impercettibilmente tono e fotocopie dateci in consegna, replicanti gli stessi testi scritti dieci o vent’anni prima, ancora e ancora.
Il posto di Toni, al tempo della nostra storia, era l’uscita di sicurezza del Tam Tam se lì, a fine concerto, era previsto che Massimo Urbani accendesse una sigaretta. Pino Daniele tornava a fare blues, lui lo avrebbe raggiunto a Taranto. Roma per la «dolente poesia» degli Smiths, Berlino per «il sound grezzo, violento e primitivo» dei Ramones. Autostop, altro che no, o carrette di famiglia chieste in prestito, o treni. Prendeva e partiva. Poi, a concerto finito, telefonava al Quotidiano di Lecce e annunciava di avere un pezzo. Studiava, Toni. Aveva scritto un saggio sulla filosofia del rock, e altri che avrebbe pubblicato su Alfabeta, risoluti come manifesti politici. Ma soprattutto, Toni suonava. «Cose mai sentite», dicono oggi i ragazzi degli anni Ottanta. Non c’era ancora un nome per quello che facevano i Band Aid. Lo chiamarono “no jazz”, in omaggio all’avanguardia no-wave. Qualche anno più tardi “acid jazz”, dal titolo di un album della Urban Records, sarebbe stato il nome anagrafico di quella musica.
Il volto rock di Lecce, che iniziò, a cavallo del ’77, con il mix A tour in Italy dei Band Aid, è oggi confermato. I Band Aid non esistono più, ma il loro creatore, Tony Robertini, ventottenne dottore in filosofia è ancora sulla breccia. Tornato da Bologna e da Urbino, dove si è perfezionato, oggi ha dato vita a un nuovo gruppo, Moments of Life, che cerca le vie di un “pop transculturale”.
Mentre l’auto tagliava la litoranea, Pier appuntava il profilo di Toni sul suo taccuino. Dopo la telefonata di Pierfrancesco Pacoda il giornalista si era preso in carico il collega del Nord, e insieme al compagno di sempre, Alberto Giorgino, aveva preso a portarlo con sé nei posti che frequentava.
Il Corto Maltese a Lecce, il Tam Tam a Tricase, il Ciack a Castrignano, l’Enoteca a Maglie. Il Gatto Rosso a Melpignano, fucina della musica di quegli anni quando ancora la Taranta non era di casa, né se ne era mai vista la “Notte”, ma al contrario, si erano viste e sentite innumerevoli notti rock.
Lo portò anche in un appartamento nella periferia di Aradeo, via 24 Maggio, dove la musica erano lui e il suo gruppo a farla.
«Andiamo con ordine: La Mela d’oro era un collettivo di artisti che faceva teatro di strada, una specie di factory – ricorda Pierfrancesco Pacoda – quando si sciolse, il gruppo dei musicisti al suo interno diede vita ai Band Aid. In quegli anni avevano pubblicato due dischi con un’etichetta bolognese, “Italian records”, giravano nell’ambiente underground. Insomma, erano l’unica cosa veramente creativa che ci fosse a Lecce». Mino Toriano, Roberto Gagliardi, Felice De Donno, Paolo Cesano: qualcuno ha fatto carriera da musicista, qualcun altro no, Frank Nemola ha iniziato un lunghissimo tour con Vasco Rossi. Ma quando si è giovani si deridono le carriere. Così anche i Band Aid si sciolsero, e arrivarono i Moments of Life, qualche membro de La Mmela d’oro – Gigi Lezzi, Stefania Miscuglio, Massimo La Greca – insieme a due ragazzi “tedesco-occidentali”, che stupirono il giornalista Tondelli per la loro straordinaria raccolta di strumenti degna di un museo etnologico. Norbert Loghin e Effath Fatemah Djalili, esperimento di vita on the road finito in una casa-studio ad Aradeo, in via 24 maggio.
«Siamo arrivati qui in vacanza, per guadagnarcela andavano in giro a suonare. Lecce, Otranto: lungo la strada abbiamo conosciuto altri ragazzi che venivano dal teatro e dalla musica. Sono nati i Moments of Life, e noi siamo rimasti. Il mio compagno era percussionista, io cercavo di fare del mio meglio come potevo. Erano anni sperimentali, anni in cui era più importante fare qualcosa di nuovo che essere bravi. A Melpignano, una volta chiusa l’esperienza dei Moments of Life, con i Mista&Missis abbiamo vinto il concorso del festival “Le Idi di marzo”, e nell”89 siamo finiti in tour in Russia con Litfiba e Cccp. Ciò che abbiamo fatto allora, oggi non potremmo più farlo».
«Avevamo delle antenne, Toni era una di queste – sorride Mauro Marino – No Autostop è un disco autoregistrato e autoprodotto. La capacità di superare la provincia sta nel creare da soli i luoghi della produzione culturale, nello scarto dell’agire. Una cosa piccola, povera, autoprodotta, però mia. Mettere un punto, che non rimanga un sogno, un vagheggiamento. Avevamo cominciato a viaggiare, leggevamo questo avvertimento, “No Autostop”, a ogni casello. Sulla copertina del disco c’è una foto di quello di Pesaro».
No Autostop, il manifesto di quei ragazzi. Una pernacchia a chi o cosa impediva di andare. Perché, allora, si fermò quel viaggio?
Pochi anni più tardi, Toni ricevette una convocazione per insegnare a Brescia. Il suo caposervizio al Quotidiano di Lecce, Massimo Melillo, lo raccomandò a Brescia Oggi perché continuasse a scrivere, e difatti lo fece. Ebbe un figlio, continuò anche con la musica.
C’era tuttavia un dettaglio, in quegli anni, che si ostinava a stonare. Una nota sbagliata è la benedizione del jazz, dicono alcuni: chissà se è vero.
Giocare, con il proprio talento, alla roulette russa. Strapazzarlo, gettarlo, immiserirlo, sprecarlo, dannarlo, sapendo di poterlo ritrovare intatto il giorno dopo, ancora più brillante e sgargiante. Pier lo avrebbe scritto nell”88 per l’amico Andrea Pazienza. Ne avrebbero scritto in molti, negli anni Ottanta. Sgargiante, e maledetto, fu anche il talento di Toni. No Autostop, fine del tour.
Spento il registratore, Massimo Melillo avrà fumato mille sigarette, e non avrà da aggiungere altro.
Mauro Marino richiuderà il taccuino segnato di mappe e toponomastiche che non esistono più.
Alberto Giorgino sorriderà e basta, pregando un commiato.
Per un momento, Effath desidererà varcare la soglia di casa. Non lo farà.
«Abbiamo vissuto ad Aradeo per sei anni, e abbiamo anche messo su un laboratorio musicale. Nel ’91 siamo tornati in Germania, io ho fatto la logopedista. Non ce la facevamo a tirare avanti col minimo sindacale. E poi in quell’ambiente girava tanta eroina, Toni Robertini era morto per questo. Era ovunque intorno a noi. E con un figlio di mezzo, no, non si poteva più fare».
In ordine di citazione:
- ROBERTINI, «È vero, il jazz sembra fermo. Presto ci sarà qualcos’altro», intervista a Massimo Urbani, «Quotidiano di Lecce», n.d.
Id., «Il mio rock napoletano tra l’oriente e l’Europa», intervista a Pino Daniele, «Quotidiano di Lecce», n.d.
Id., Smiths, dolente poesia del rock, «Quotidiano di Lecce», n.d.
Id., Una boccata d’aria pura con quattro ragazzacci a cui non piace la politica, «Quotidiano di Lecce», n.d.
Id., Per una filosofia del rock, in «Libero cantiere», maggio 1998, n. 0
Id., Le scelte del rock, «Alfabeta», n. 104, gennaio 1988
P.V. TONDELLI, Ragazzi di piazza, «L’Espresso», 14 settembre 1986, ora in Opere. Cronache, saggi, conversazioni, a cura di F. PANZERI, Milano, Bompiani, 2001, pp. 251-254
Id., In punta di matita, Rockstar, n. 96, settembre 1988, ora in Opere, cit., pp. 229-232
Soundtrack
Band Aid, No Autostop, LP, Italian Records Service, 1981