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Le lettere alle amiche di Céline

CCéLINe

 

di Ornella Tajani*

«Sono L.F. Céline ma anche Destouches. Non ci sono misteri!», esclama l’autore in una delle Lettere alle amiche. Colin W. Nettelbeck, curatore della raccolta, fornisce gli apparati utili a illuminare i tenebrosi, sdrucciolevoli anni ’30 attraverso i quali si snoda la corrispondenza di Céline con sei donne, spesso amanti e sempre privilegiate confidenti. È un periodo particolare della sua biografia sentimentale, che sta tra il rientro negli Stati Uniti del grande amore Elizabeth Craig, cui è dedicato Voyage au bout de la nuit, e l’incontro con la futura moglie Lucette Almanzor. Ma è anche un decennio cruciale per la formazione dell’autore: nel ’32 il successo del Voyage, unito alla delusione per il mancato Goncourt (che andrà invece a Guy Mazelin per Les loups); poi la faticosa stesura di Mort à crédit; in seguito i pamphlet antisemiti con i quali Céline si marchierà a fuoco per sempre. E, in sottofondo, il rombo della guerra imminente.

«Per leggere bene queste lettere bisogna aver chiaro che ciascuna di queste donne rappresenta una tappa nel viaggio che Céline compie verso la condizione di uomo pubblico», sottolinea Nettelbeck: una condizione certamente non facile da accettare per un autore che, in un biglietto a Simone Saintu, posto non a caso in apertura al volume, prorompe in un sofferto «Purtroppo sì, sono io!», cioè «l’autore più detestato dopo Zola».

Come in un caleidoscopio, ogni corrispondenza riflette nel rapporto con l’amica di turno un profilo di Céline lievemente diverso, sfumando di volta in volta la voce del maestro dello style émotif. Erika Irrgang è una studentessa tedesca con la quale l’autore si mostra paterno e prodigo di consigli che vanno dall’esistenziale all’erotico. Lei, «bella, viziosa, brillante», si rivela anche disordinata, bugiarda, un po’ ladra («Deve giurarmi che non andrà più a rubare alla Samaritaine»). È in queste lettere che Céline, mentre già nel ‘34 profetizza «l’unione europea si farà nel sangue», talvolta conclude con un «Heil Hitler!», tanto più agghiacciante perché usato in maniera ambiguamente ironica.

Le allusioni all’antisemitismo e ai relativi pamphlet pubblicati, presenti in varie missive, si mitigano solo quando Céline scrive a N., un’insegnante di ginnastica ebrea austriaca. Con lei l’autore sembra avere un’intimità particolare, che procede per vie sotterranee. Si firma quasi sempre soltanto «Louis», a volte le dà del tu, si lascia andare a confidenze che sfiorano il patetico: «Mia madre che diventa vecchia. Mia figlia che diventa grande… E io che non divento più giovane». L’eccesso tuttavia resta il registro preferito, così in una stessa lettera si legge uno sfogo come «Ho voglia di morire più che di vivere» e, poche righe dopo, riferendosi a conoscenze comuni, «Bisognerà pure che si vada a letto tutti insieme un giorno o l’altro». Per l’autore è costante la preoccupazione che N. sia al sicuro dalla follia di Hitler; eppure il suo commento alla notizia della morte del marito di N. a Dachau sancirà l’inevitabile rottura tra i due.

Dopo poche lettere inviate a Élisabeth Porquerol, giornalista belga che recensì il Voyage, si passa alla corrispondenza con Évelyne Pollet, anche lei belga e scrittrice. Con Pollet si crea una sintonia da colleghi, ravvivata dal fatto che l’autore si dichiara «fiammingo per parte di padre e bruegheliano d’istinto», e le lettere sono disseminate di consigli e commenti letterari («La difficoltà sta nel trovare un tono irresistibile. Il resto va da sé»), cosa non frequente per Céline, la cui prima, singolarissima dichiarazione di poetica si avrà nel ’55 con gli Entretiens avec le Professeur Y. Le ultime due corrispondenti sono affinità elettive sul piano artistico: Karen Marie Jensen, ballerina danese dal magnifico talento, e Lucienne Delforge, pianista che l’autore arriva a chiamare «mio doppio». Con Karen, bella giramondo, Céline è particolarmente sentimentale: al suo confronto si sente vecchio e nelle lettere a lei indirizzate emerge un pensiero della morte costante, orizzonte mentale privilegiato per lui, in letteratura come nella vita.

Oltre a costituire una variopinta galleria di ritratti, queste lettere offrono frammenti di storia del secolo filtrati attraverso l’esperienza che l’autore fa del mondo (il soggiorno negli Stati Uniti, paese in cui individua un «lirismo da Galeries Lafayette» e «entusiasmi da ascensore»; la deludente scoperta della Russia; la prigionia in Danimarca). Al centro, è chiaro, trionfa lui, il medico terrorizzato dalla solitudine e dalla miseria, che affermava di non avere opinioni, «come l’acqua»: un meteorite in parte ancora inesplorato, come lo definisce Henri Godard, il quale sottolinea che, dopo il Voyage, a scrivere è sempre Céline-Bardamu, anche nelle lettere. Sulla pagina le due identità si fondono nel gusto per la provocazione, nell’attitudine alla malinconia e al disincanto: i ferri del mestiere di chi sosteneva d’avere sul tavolo «un enorme mucchio d’Orrore in sospeso» da sistemare prima di farla finita.

*[Questa recensione è già apparsa su
L’Indice dei libri del mese, aprile 2016]

Louis-Ferdinand Céline
Lettere alle amiche
A cura di Colin W. Nettelbeck, trad. di Nicola Muschitiello
pp. 257, € 15
Adelphi, Milano 2016

4 COMMENTS

  1. Buongiorno dr.ssa Tajani, da poco più di un anno seguo NI e ultimamente pubblico e commento su Eulalia, dove ho il mio profilo in quanto autrice. Uno scrittore necessita di leggere per nutrirsi. Leggo un centinaio di libri l’anno e tengo da qualche tempo un blog di recensioni libresche. Sarei onorata di sottoporLe la lettura del mio blog per una Sua opinione.

  2. Sono sempre un po a disagio quando si parla dI luis ferdinand, poiche` ritengo che nel suo caso l`adesione al nazismo abbia davvero poche giustificazioni. La cosa mi impedisce persino di apprezzare la sua opera anche se spesso, per esigenze di palcoscenico, mi sono sperticato le corde vocali per cantare le sue lodi, con l`anima che si rivoltava. Per fare giustizia sara` il caso di ricordare che nella repubblica di salo` vigeva una leva obbligatoria talmente severa che disertare significava condannarsi a morte rapida. Spessi quando si parla di quell`esercito non si tiene conto di questa piccola circostanza buttando tutto nel calderone

  3. non è un pezzo molto ispirato, peccato. sarà che ho un debole sia per l’autrice della recensione che per il recensito e forse mi aspettavo troppo.

  4. Di Céline ho, praticamente, letto tutto trovandolo autore immaginifico seppure con riserve circa la sua posizione antisemita ma che farci! Peraltro la mia personale scoperta del Nostro, negli anni a cavallo della Laurea in Architettura, la devo a mio lontano amico Partenopeo, Ebreo e studioso di letteratura all’Orientale di Napoli che ne parlava benissimo a prescindere dall’antisemitismo! Vorrei mostrare alla Autrice, Dott.ssa Ornella Tajani, gli Ex Libris che ho realizzato per i testi scritti da L. F. Céline, incluso quello per il libro oggetto di recensione, con stima
    Roberto Matarazzo

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Ornella Tajani insegna Lingua e traduzione francese all'Università per Stranieri di Siena. Si occupa di studi di traduzione e di letteratura francese del XX e XXI secolo. È autrice del saggio "Tradurre il pastiche" (Mucchi, 2018). Per Marchese editore ha tradotto e curato L'aquila a due teste di Jean Cocteau (premio di traduzione Monselice "Leone Traverso" 2012) e Tiresia di Marcel Jouhandeau (2013). Ha scritto una tesi di dottorato in Letterature comparate sul Kitsch e il romanzo contemporaneo ed è uno dei membri fondatori del collettivo italo-francese di traduttrici meridiem. Suoi articoli e recensioni sono apparsi anche su Alfabeta, L'indice dei libri del mese, Le parole e le cose. Seguendo questo link, la lista completa dei suoi post: https://www.nazioneindiana.com/tag/ornella-tajani/ - Cliccando su "View all posts", una lista parziale