Erotomaculae
di Sonia Caporossi
Le tue mani
muschi estatici del senso
papille del terzo occhio addormentato
le tue mani, ora
mi lisciano come fossi un gatto arruffato
e piegano i silenzi dei nostri rancori passati
come fossero spighe del sonno
che s’inchinano ad un vento impietosito
i guanti eburnei della tua pelle
e tutte le carezze del tuo respiro
che effonde su di me la ritmica dell’attimo
ricercano sul mio corpo i segni del futuro
esitando sul velluto del vulcano a cono
baciando l’epidermide dei miei pensieri sacri
dispersi in nubi amorfe
nel deserto del tuo grembo
restiamo qui, penombre nebulari
impiccate un tempo al giogo del dolore
che ora lecca le ferite dell’interiorità
cercando avidamente, nei sogni silenziosi,
le mute ambiguità di grida sconosciute.
* * *
Arterie
mi disintegri d’un soffio
ogni mio mezzo di difesa
sta svanendo nel nulla
di un no lusinghiero
mentre un battito violento
cancella ogni recriminazione
e rimbomba nelle arterie viola
del mio collo gonfio
livido di disperata ebollizione
perché tu mi stai uccidendo
tocchi perfettamente
e ogni vena del mio corpo
freme di soddisfazione.
* * *
Imene
le tue grandi labbra traboccano bocche di mille baccanti
ti vedo danzare nel Sole, danzare in un sacro sorriso
coraggio salato – esitante del tuo membranoso segreto
mi chiama fuggevole e densa la guaina del guanto che aspetta
la fistola ferita a fuoco si piega in un riso affamato
la guaina che aspetta il mio guanto che ride iracondo e festoso.
* * *
Le labbra di M
una cruda indecenza:
labbra rosso sangue
che ammorbano l’aria
del loro uso funzionale.
e il peso dei tuoi baci dati a un altro
mi rende un vecchio Sisifo sfinito:
io sorreggo sulle spalle
l’amore che non ho.
* * *
Alle tue mani, alle tue dita, oggi
tenaglie loquaci di parole illanguidite
bisbigli smorzati nell’amplesso del tuo seno
mi incalzi ancora una volta di bruciature tattili
mi abiti la carne in stalattiti digitali
colonie di sensi impazziti nel bosco del monte di Venere
recuperano fili di Arianna tessuti dalle tempie al pube
le trame son senza parole – barlume di senso allo stremo
e quando ritorno a nuotare nel{mare – Ananda} d’amore
e dispero di respirare strozzata fra bocca e collare
che invisibile rapprende la mia sostanza al tuo laccio
mi marchi di morsi e rimorsi, possesso perimetrale
trapassi di segni la carne con i tuoi steli digitali
mi calchi l’impronta mentale, innervi la suite cerebrale
a niente io posso sfuggire se l’inseguitore sei te.
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[“Queste pagine trasudano un corpo, ne portano l’impronta sindonica, e sono un corpo, e per questo la lettura non è leggera, perché sembra di attraversarlo, questo corpo, nelle sue vicissitudini fisiche, nel suo essere carne+sangue+umori+soffio vitale… Dell’amore, o meglio, dell’eros, si attraversano tutte le fasi nelle varie sezioni: dalla dimensione fisica assoluta del corpo femminile …, alla dimensione della relazione fisica di due corpi …, dall’intimità … alla crisi dell’armonia amorosa …, con il suo portato di dolore/dissidio assoluto …, dalla rinascita dell’innamoramento (la sezione “orientale”…) fino al sacrificio estremo di impronta saffica… Di questo corpo-poesia più che un significato complessivo al termine della lettura rimane un suono, o meglio, una partitura di suoni dissonanti che la nostra mente ha prodotto interpretando questi testi che sono dei veri e propri “spartiti epidermici”, oltretutto ossessivi (prova ne siano le frequenti anafore, collegate all’uso frequente della tecnica dell’elencatio): insomma, ci si trova ad avere immerso le mani in una sostanza fisica senza essercene accorti, pensando di avere tra le mani il solito libro di poesia. E invece, si ha a che fare con qualcosa di vivente e sussultante, difficile da dimenticare, perturbante, certo unico nel panorama poetico italiano. Un libro da vivere, prima ancora che da penetrare con l’intelletto.”
dalla prefazione di Giovanna Frene a Sonia Caporossi, Erotomaculae, Algra editore, Catania, 2016]
[…] che s’inchinano ad un vento impietos(it)o
ogni vena del mio corpo….freme di soddisfazione
con ‘sta storia del post moderno
Non solo c’è chi pubblica queste cose, ma c’è anche chi fa la prefazione.
“insomma, ci si trova ad avere immerso le mani in una sostanza fisica senza essercene accorti, pensando di avere tra le mani il solito libro di poesia. E invece, si ha a che fare con qualcosa di vivente e sussultante, difficile da dimenticare, perturbante, certo unico nel panorama poetico italiano. (Giovanna Frene)
“le tue grandi labbra traboccano bocche di mille baccanti”
“colonie di sensi impazziti nel bosco del monte di Venere
recuperano fili di Arianna tessuti dalle tempie al pube”
Da brividi sulla pelle. Non ci sono dubbi, non è il solito libro di poesia ed è unico nel panorama italiano, indimenticabile. Anafore, allitterazioni, paronomasie, si sono costituite in giudizio.