Hai perduto i compagni

di Mariasole Ariot

Michelangelo cammina sulle punte, si avvicina al bordo del fiume, si specchia nell’acqua : un riflesso non è un riflesso : è una nuova realtà descritta, uno sconfinamento. Michelangelo è un cigno, le ali spiegate si muovono solo quando apre la bocca per pronunciare l’ultima parola e la prima, quando mi guarda e mi dice : questa per me è la vita, quando ho scelto di uscire, aprire la porta.

La porta si apre e si chiude, siamo noi ad avere chiavistelli negli occhi.

Michelangelo cammina per le vie di Torino con la testa china, lo zaino sulle spalle come un guscio di tartaruga che lo protegge dalle offese , Michelangelo è un bambino ed è un adulto, porta un mondo nell’occhio sinistro e lo difende.

Eravamo tutti imprigionati nella verità dettata dall’alto, piccoli incarcerati imbottiti di bianco, con l’odore di tabacco sulle dita, il consiglio dei medici che parlava e parlava e parlava di noi e di loro, di noi che non eravamo loro. Oggetti di plastica da riempire. Dopo dodici anni è arrivato un angelo, ha aperto la porta, ha detto : esci. Vedi come muovo le mani, ragazza? Vedi come non tremo più?
Le mie mani da cui nascevano fiori ora sono strumenti, le muovo per non morire. I miei amici, invece, sono tutti morti.

Esiste un sottomondo di sguardi e di ossa, un mondo sotterraneo dove tutto si muove sottopelle, dove l’occhio vede e allucina, e l’Altro è altrove, nel fuori, nell’impossibile della comunicazione e del travaso. In questa piccola sfera, il silenzio è solo una forma per dire basta, una tragedia incompiuta e che sta sempre per compiersi : non essere mai caduti : continuare a cadere.

Poi mi sono alzato. Mia madre impiccata, mio padre con gli strumenti del dentista e non è dentista, bipolare d’occasione, mia sorella – la più bella, la più brava – nella scuola con le croci appese e le preghiere del mattino, mio fratello era mio figlio. Eppure, ad ogni sveglia, arrivava l’incubo : essere visto, spiato, vivisezionato, traghettato da inferno a inferno. Conosci Hemingway? Le sue strade : io sono una strada di Hemingway.

Michelangelo e la cena dei tre porci, Michelangelo e il giro nei musei, Michelangelo che innaffia le piante reali del giardino del Palazzo, Michelangelo che mi insegna pietre dure, Michelangelo che parla, che sale sulla torre e la percorre, Michelangelo che ride, Michelangelo che scappa, Michelangelo che installa una videocamera per controllare casa a distanza, Michelangelo e il tedesco, Michelangelo e i sotteranei, Michelangelo e la morte :

Non ho paura di morire. Ho paura di spegnermi come mio padre. Ho paura di invecchiare, ho paura della vita che mi sono perso, ho paura di finire di nuovo là dentro e non poter uscire. Abbiamo due caffè e una caraffa d’acqua : ci sei tu, e ti parlo del mio passato : questo per me è il senso. Raccontarmi. La vedi quella zona lontana? Là ci vanno i peccatori. Ora gira la testa: la vedi la cupola a sinistra: là ci andremo noi quando saremo puliti.

Tracciamo zone immobili che prima erano feconde, pietre dolomitiche parlavano, ora mute non dicono un verbo, tacciono come sassi disancorati dallo sguardo. Le pillole chiare sottraggono frammenti dalla testa, sganciano sinapsi, fanno bianco il dolore : e cos’è un dolore bianco se non la chiusa degli dei, la loro scomparsa, la negazione del particolare, della vista.
Michelangelo ha la nuca ricoperta di lividi, gli arti si allungano e si piegano in preghiera : dire : sono vivo : dire : non esisto : dire : ho paura : dire : sono salvo. Da cosa, dalle periferie dell’uguale, dalle dimenticanze incise sul muro, dalle labbra chiuse con un sonnifero, dai troppi denti, dall’inappartenenza che pronuncia la maledizione. Michelangelo cammina, Michelangelo scrive lo schema della vita : mi senti? Mi vedi? Dove non esisto sono, dove sono non esisto.

Non ho amici, ho compagni di vita, morti nella prigionia della testa, gettati fuori dalle grate, la defenestrazione delle parole mute. E la mia muta è questo continuo togliere i boccioli dalle escrescenze, questo corpo a corpo con l’uguale : ad ogni scoccare dell’ora io strappo una radice dalle mani, la pianto sulla terra. E’ un innesto, significa togliere, spremere la cute che fiorisce e poi piantarne i semi negli orti degli altri. Vedere come cresce una pianta fuori dalla mia testa.
Ho partorito un figlio nella notte, un ratto e un intestino. Il figlio piange, impreca, dice il non dire, mangia per procura : se ho creato non è per congiunzione : ho figli come magnolie che bucano il suono. Figli senza madre, senza sesso, senza vista. Nascono ciechi, e io li accompagno a morire.

Ancora tutto è assenza, le piccole sottrazioni di parole e di persone ingrandiscono sotto le lenti del cervello fino a occupare la stanza, i prati, le praterie, la pronuncia dei versi. Grandi teste di teste conosciute s’infilano negli orifizi della nuca. Entrano, si contorcono, urlano giorno e notte, e ancora nei sogni che non sogniamo più, negli alberi divorati dall’edera : s’infilano una a una : una festa per loro, l’agonia per il me che è nessuno. Contorcersi sulle parti immobili della chiusa che mi è stata data in dotazione in un anno malato di una valle malata. Non è parlare, non è distillare verbi per costruirne sensi e frasi. E’ l’orrore di ciò che non va visto, del continuo insinuarsi di corpi su corpi su corpi. Lo senti, Michelangelo, questo movimento statico invisibile agli occhi dei passanti? La senti questa voce che piange sulle mani, che sbuca dalle mani, che preme sulle mani : la senti questa nostra zona comune che c’inghiotte come una voragine senza preghiera? Io sono il non sono di questa testimonianza, di questo vociare assordante che debilita gli arti. Se un tempo era cammino, se era migrazione, ora il falco ha avvistato la preda : scendi dallo stormo, atterra, mangia piccole foglie, attendi. Hai perduto i compagni : ne arriveranno altri.

4 COMMENTS

  1. Mariasole Ariot bravissima come sempre, e il suo linguaggio ormai inconfondibile a dare voce ad un dolore spesso muto

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mariasole ariot
mariasole ariothttp://www.nazioneindiana.com
Mariasole Ariot (Vicenza, 1981) ha pubblicato Anatomie della luce (Aragno Editore, collana I Domani - 2017), Simmetrie degli Spazi Vuoti (Arcipelago, collana ChapBook – 2013), La bella e la bestia (Di là dal Bosco, Le voci della Luna 2013), Dove accade il mondo (Mountain Stories 2014-2015), Eppure restava un corpo (Yellow cab, Artecom Trieste, 2015), Nel bosco degli Apus Apus ( I muscoli del capitano. Nove modi di gridare terra,Scuola del libro, 2016), Il fantasma dell'altro – Dall'Olandese volante a The Rime of the Ancient Mariner di Coleridge (Sorgenti che sanno, La Biblioteca dei libri perduti 2016). Nell'ambito delle arti visuali, ha girato il cortometraggio "I'm a Swan" (2017) e "Dove urla il deserto" (2019) e partecipato ad esposizioni collettive. Ha collaborato alla rivista scientifica lo Squaderno, e da settembre 2014 è redattrice di Nazione Indiana. Aree di interesse: esistenza.