L’originale di Zanotti
di Francesca Fiorletta
Anch’io, come tutti, ho il mio elenco di cose che mi fanno paura: la solitudine, poniamo, e gli incendi, i ragni troppo grossi e le stanze troppo piccole, le strade di campagna e i televisori accesi la notte, i sogni di animali compositi e quelli di bambine bionde. Ma niente, davvero niente, mi fa più paura delle nuvole.
Leggere Paolo Zanotti è come fare una passeggiata fra le nuvole; a tratti possono risultare gonfie, pericolosamente dense e persino lugubri, cinerine, che sembra quasi di non riuscire più a cogliere la fine del cammino, lo spiraglio di sollievo che può regalarti anche solo un caldo raggio di sole, quando appare all’improvviso.
A volte, invece, quelle amiche nemiche nuvole – descritte dallo stesso Zanotti come “dei parallelepipedi più pesanti e artificiali delle automobili” – sanno farsi sfumate, leggiadre e affascinanti, irresistibilmente cristalline come la prosa avvolgente di questa raccolta di racconti.
Ne L’originale di Giorgia, recentemente edito da Pendragon con la curatela di Nicola Barilli, nella collana I Chiodi diretta da Matteo Marchesini, troviamo fulgidi esempi di come la scrittura di Paolo Zanotti sappia farsi materia e pensiero insieme, non abbandonandosi alle contraddizioni che siamo abituati a conoscere – mi riferisco ad esempio alle categorie di sperimentalismo e lirismo, se vogliamo esprimerci attraverso le ben note etichette della critica letteraria – ma dirigendole, convogliando questa duplicità – anzi molteplicità, a ben guardare – di tratti e aspetti stilistici e narrativi, verso una vera e propria fonte di purezza linguistica, genuinità artistica e anarchia vitale.
Così, i ricordi della prima giovinezza non si limitano ad essere semplici memorie ma diventano immediatamente l’”infanzia delle castagne”, e le prime pulsioni erotiche verso una donna che probabilmente è in primis un archetipo di donna, la Giorgia appunto che presta il nome al titolo della raccolta, altro non sono che un “amore di latte e ovomaltina”.
L’estate, stagione sempre amata, specie se forti della spensieratezza tipica di cui possiamo godere nell’adolescenza, viene descritta in maniera quasi del tutto inedita come “la più brutta delle stagioni, la più brutta l’estate, irredimibile, e al sole dell’estate mi sono annoiato, la sabbia si è attaccata alla carne.” E ancora, il tè viene servito “per non mangiare”, carta penna e candele servono per scrivere “cose terribili”.
In quest’immaginario candidamente torbido, insomma, parossisticamente infantile, generato dalla frenesia fervida di una mente brillante come quella dell’autore, la popolazione che più facilmente riusciamo a incontrare è composta da agenti metaforici e metonimie incalzanti. A ogni pagina giocano a nascondino, rincorrendosi, i vari epiteti tanto viscerali da risultare persino chirurgici: “Mammaluna, treccerosse, gambe-a-scale. Rosapesce.”
Ma, si badi bene, nessuna concessione al cosiddetto “stile giovanilistico”; come precisa Barilli nella sua corposa introduzione al testo, il rapporto con l’infanzia e l’adolescenza è sempre stato un tema particolarissimo e certamente fondante nella scrittura di Zanotti.
Leggiamolo allora nel dettaglio, da una sua intervista: «Non mi importa affatto recuperare la mia infanzia perduta, e non mi importa neanche che i bambini siano del tutto realistici […]. Una delle cose che mi interessa molto è il childlore, una parola inventata da due studiosi inglesi di folklore. Il childlore è la cultura dei bambini di strada, l’insieme di conte, canzoni, giochi. Quello che trovo affascinante è che si tratta di una cultura vera e propria che si tramanda pur venendo perduta dai singoli bambini appena crescono […]. Bambini bonsai è anche un tentativo di immaginare la cultura dei bambini di strada del futuro».
Giovani sì, ma decisamente forti e soprattutto dotati di una spiccata autocoscienza, sono i tanti personaggi che incontriamo in questi undici racconti, già apparsi su riviste e in sedi differenti, che finalmente possiamo leggere tutti insieme, raccolti in questo splendido libro “originale”; il desiderio vagheggiato si fa possibilità d’espressione e sentimento, raziocinio e smodatezza, voglia di rompere gli schemi e allo stesso tempo di crearne di nuovi, sovvertire le regole per ricomprendere meglio una sorta di ordine molto personale delle cose del mondo.
Paolo Zanotti, ovviamente, ha espresso meravigliosamente bene il concetto: “Le rane e le libellule si erano fatte troppo smaliziate per noi.”