Il fatale talento del signor Rong
di Gianni Biondillo
Mai Jia, Il fatale talento del signor Rong, Marsilio editori, 2016, 412 pagine, traduzione di Fabio Zucchella
Rong Jinzhen è stato il più geniale crittografo cinese del secolo scorso. Ma questo lo scopriremo solo a metà della lettura di Il fatale talento del signor Rong. Prima di giungere a questo punto l’autore, che è anch’esso personaggio del romanzo, decide di cercare nel passato le ragioni del suo genio. Rong Jinzhen era destinato a diventare quello che è diventato. Perché aveva una antica ava capace di interpretare i sogni e un nonno professore all’università. Una dinastia di menti aperte e curiose. Una famiglia dalla testa grossa, in tutti i sensi. Rong Jinzhen ha avuto un’infanzia complicata, abbandonato dalla madre, cresciuto da un vecchio tutore inglese che lo ha educato leggendogli la bibbia e gli ha lasciato sul letto di morte un incarico gravoso, che diverrà stimolo involontario della sua intelligenza matematica. Ancora adolescente, fragile e geniale entrerà in contatto con un matematico ebreo che riconoscerà il suo talento prodigioso. Fino all’incontro con i servizi segreti.
L’autore riesce a comporre una storia che avvince e allo stesso tempo non rispetta alcuna stanca regola delle spy stories all’occidentale. Sembra, quello raccontato in questo romanzo, il reportage di un giornalista curioso, di uno scrittore che nella vita vera ha lavorato per anni come crittografo e che quindi conosce un mondo fatto di muri invalicabili, di porte chiuse, di misteri da tenere segreti. Al punto che si dubita se Rong Jinzhen sia vissuto per davvero o sia solo il sogno di un crittografo diventato scrittore.
Mai Jia evita orientalismi inutili. Racconta la Cina da cinese, nel secolo di Mao, della seconda guerra mondiale, dell’invasione giapponese, della rivoluzione culturale. Il tutto visto nel chiuso della testa di un genio fragile, ai limiti dell’autismo. Ai limiti della follia.