L’eleganza del Riccio (Ignazio)
di
Francesco Forlani
Conosco Ignazio da molti anni e ho imparato a conoscerlo attraverso un bel progetto editoriale da lui curato insieme a Paolo Graziano. Ne animava le pagine un coraggioso manipolo di redattori, cronisti, critici della cultura e dello spettacolo, penne finissime come quelle di Anna Smeragliuolo e di Giusi Marchetta, fotografi come Salvatore Di Vilio, solo per citarne alcuni. Sulle pagine di Fresco di Stampa quello che mi colpiva della scrittura di Ignazio, sia che si trattasse di editoriali o di inchieste era la sobrietà dello stile, l’incisività, l’asciuttezza della frase, quella concretezza che richiama la parola inglese concrete, cemento; the jungle concrete, la giungla di cemento potrebbe essere anche il titolo di quella Campania divisa tra Napoli e Caserta, quella per intenderci che coinvolge città come Aversa dal prefisso telefonico napoletano e dal codice postale casertano. Aversa, la città di cui Ignazio è non solo uno storico cronista ma uno dei suoi maggiori animatori intellettuali, una delle voci, insieme a quella di Pino Montesano o di Salvatore D’Angelo, di quella radura che è la storica libreria Quarto Stato fondata da Ernesto Rascato.
Questa conversazione, tra Ignazio Riccio e Gianluca Di Gennaro procede per condensazioni, divagazioni, tappe obbligate, quella di Scampia per esempio nel capitolo 7 , e riflessioni che offrono attraverso le parole del giovane attore napoletano veri e propri spiragli di vento, di correnti d’aria in grado di rendere respirabili luoghi altrimenti cupi, ossessivamente rinchiusi su di sé.
La storia di Gianluca Di Gennaro però non è solo la storia di un giovane attore che riesce a “cogliere” il momento giusto, a giocarsi le sue chance, il debutto a quattordici anni in Certi Bambini ( Premio Flaiano per la migliore interpretazione), le serie, soprattutto Un posto al sole, La Squadra e da ultima Gomorra dove interpreta lo zingariello, insomma di uno che nonostante the jungle concrete ce l’ha fatta. Il valore di questo libro è a mio avviso nel tono generale dello scambio tra i due autori, un tono senza retorica, quel tono di chi è interessato a sapere, più che a far sapere, parlare più che far parlare. Il suo valore inoltre non va cercato nel memoir che data la giovane età del protagonista, ventotto anni, sarebbe un po’ prematuro, quanto nel tentativo costante di farsi testimone di questo tipo di narrazioni cinematografiche e attraversare con vere e proprie turnè il territorio per disinnescare certi pericolosi dispositivi di sovrapposizione fiction-realtà e certe altrettanto pericolose derive mimetiche che in questi nostri territori “di confine” della legalità ma non solo, visto il successo internazionale di Gomorra, sono all’ordine del giorno. Scrive così Ignazio:
“Scampia per Gianluca non è solamente una tappa lavorativa. Tra il giovane attore e gli abitanti del luogo, durante e, soprat- tutto, dopo le riprese de L’oro di Scampia, si è instaurato un rapporto speciale. L’incontro con Gianni e Pino Maddaloni e con le associazioni che operano per il rilancio del territorio, sommato all’affetto spontaneo dei ragazzi che vivono nelle vele, i cosiddetti borderline, sempre sul filo tra il bene e il male, hanno spinto Gianluca ad assumere un impegno morale e materiale nei confronti di questa gente, di cui lui stesso ci racconta.”
Ecco perchè auguro a Ignazio e Gianluca, al loro libro, di continuare a girare per le scuole, per i quartieri a rischio, facendosi oltre che testimoni messaggeri di un altro mondo possibile al di là di quello che viene solitamente raccontato.
ps
Pochi giorni fa in una delle due scuole medie in cui insegno, in quasi Normandia, un giovane che sembrava appena uscito da una strada dei quartieri, ma francese da almeno tre generazioni, con uno sguardo a metà tra la sfida e la complicità mi spara passandomi accanto : “song xxx di Scàmpia“. Mi sorprende, mi ha quasi battuto, ma poi faccio in tempo a girarmi e a correggerlo: Scampìa, on dit Scampìa, je t’ai eu!
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