Elegia e distacco: spiriti e corpi celesti nel firmamento di “Stelle Ossee”
di Rino Garro
Orazio Labbate con Stelle Ossee, Liberaria, 2017, colpisce il cuore del lettore attraverso una serie di racconti che indaga le trame più profonde dell’essere umano: le accensioni paradossali e stranianti; le sospensioni dal reale; i vuoti dell’abbandono e i surreali desideri di colmarlo; la melanconia ossessiva fino allo scivolamento schizofrenico.
Ma i caratteri che agiscono tra le pagine di questi racconti non sono uomini senza senno pronti a squartare e a scalcare chiunque capiti a tiro: sembrano piuttosto anime tenere, fragili, tutte introiettate in sé stesse, in un loro mondo interiore che non riescono più a contenere, che deborda e allaga al punto che si potrebbe perfino dubitare delle vicende che gli io narranti si dispongono a raccontare con così tanta dovizia e sfavillio di linguaggio. Per esempio in Un innamorato nell’Apocalisse, apparso in Nuovi Argomenti nel luglio del 2015, il bambino è morto di morte naturale e Nathalie è realmente fuggita di casa, o forse il dramma famigliare non è che la conseguenza di una progressiva perdita di senso del protagonista causata dal lungo isolamento nella neve e nel ghiaccio che circondano la sua abitazione nei boschi del Minnesota? E Horace e Malcom, i protagonisti di Case incendiate, che si dichiarano non piromani schiavi di un puro piacere incendiario bensì bruciatori di case “mossi dalla metempsicosi verso una casa: dall’estrazione dell’anima incassata didentro un’abitazione”, sono due amici d’infanzia resi orfani di entrambi i genitori dall’incendio della loro dimora, oppure, verosimilmente, Malcom non esiste, essendo egli la proiezione di una personalità disturbata che desidera ritornare “all’ontologia della prima casa bruciata”?
Nella silloge si alternano alcune narrazioni dal respiro più ampio – sebbene anche qui l’intreccio rimanga ancorato al confronto essenzialmente duale – ad altre brevi e brevissime, fino al frammento da prosa d’arte. Scritti in epoche diverse, alcuni di questi pubblicati in rivista (Nuovi Argomenti, Fuori Asse, Achab, Nazione Indiana, Il Primo Amore, Vicolo Cannery), i racconti di Stelle Ossee risultano contigui e continui, e grazie ai topoi ricorrenti (le ambientazioni americane, il cimitero di Corsico, la melanconia profonda, la neve, il coniglio bianco, la mano destra, l’evento luttuoso) e ai personaggi visionari tendenti, tutti, alla ricerca di senso o di centro, s’intessono di trame finissime e riescono a formare un’opera unitaria. Dove il linguaggio, rammendatore al contempo potente e prezioso, appare in tutta la sua straniante luminescenza.
La Madonna verde è uno dei pochi racconti nei quali il plot sembra prevalere sulla scrittura. Il lungo, doloroso viaggio di Vinny Butera nella pancia del transatlantico Rex verso la Madonna di Nuova York precede le ambientazioni americane, perfettamente riuscite, dove i personaggi vibrano di autentica sicilianità esportata e dove appare inatteso ma non del tutto incomprensibile l’epilogo della vicenda. Ma qui il linguaggio, seppure abilmente manipolato, indugia più del necessario in metafore e lirismo evocativo.
È in racconti come L’asino di notte che la scrittura di Labbate trova perfetta corrispondenza con il setting isolano e i temi e i valori di una tradizione arcaica e moresca: lo scurissimo orizzonte intinto di sanguigno può essere vinto soltanto dalla magia di un cielo da mille e una notte, dall’ anima cara del nonno che inizia il nipote alla morte e lo conduce per mano al mistero oltre di noi: “ci rendevamo conto di quanto fossimo oggetti genuflessi alla morte”. Così come in Tempesta di stelle, nel quale il protagonista piange da dieci anni la scomparsa della nonna Mariduzza: disperato, “oramai magro come uno scheletro a causa del bilìo”, cerca il di lei volto nelle pietre delle case, nel mare che si diceva è il letto ultimo delle nonne, nel “firmamento metà porpora metà stellato”. E qui il linguaggio lirico, evocativo, si intarsia di un vocabolario dialettale – minimi accenni – assolutamente necessario.
Nelle perle della raccolta (Lavanderia slava, L’ombra della neve, Luce accesa, Passeggiata per la defunta), le influenze del gotico americano via via si riducono all’osso per lasciare spazio a un linguaggio più misurato capace di creare atmosfere stranianti e ectoplasmatiche, dove l’ombra di Cortázar sembra allungarsi con cautela. Il corpo del tacchino di Lavanderia slava, “esecutato” dal macellaio e acquistato dal protagonista/mandante, è in qualche modo il corpo di Cristo venduto e comprato dai suoi aguzzini, e vani sono i tentativi del protagonista di lavare via dalla candida maglietta il sangue colato dalla bestia raschiata. E lo stesso angoscioso senso di colpa, di melanconia profonda, agita i protagonisti degli altri racconti alla ricerca del loro sé attraverso le ombre e gli spiriti dei dipartiti. E quando in Luce accesa l’io narrante rimane sorpreso dal buio, nella sua stanza, egli sembra di colpo catapultato in un’altra dimensione, onirica, ultraterrena, dove le camere si allungano, i letti non si trovano, gli sputi nel vuoto nero non cadono mai sul pavimento; dove egli però viene sfiorato dalle carezze dei defunti, dei nonni, di chi in vita lo ha amato. Una malinconia suggestiva ma opprimente, dalla quale bisogna liberarsi: così, salvifica, irrompe la luce accesa, la voce della sua ragazza che chiama dal bagno: “Amore, sono nella vasca. Vieni, ti sto aspettando”. Ma per tutti, in Stelle Ossee, questo confine è solo una linea sottolissima, probabilmente invisibile.
Applausi.
Grazie, Vincenzo!
Applausi a Stelle Ossee, giusto?
Rino Garro
Anime fragili come asini nella notte o ombre della neve🤙