Otto e Leo
di Irene Russo
Otto e Leo avevano smesso di andare a scuola qualche giorno prima di Margherita, quando le lezioni non erano ancora finite. L’estate li aveva chiamati dalle finestre ed erano andati a correre nei campi. Quando li vedeva, Margherita notava sempre le strisce di fango fino alle ginocchia. Li aveva sorpresi diverse volte mentre stavano in bilico sugli argini, finché uno dei due cadeva nell’acqua.
Il giorno che la portarono a vedere la collezione di bruchi, pioveva a dirotto e sembrava che la bella stagione si fosse interrotta di colpo. I campi erano allagati e Otto aveva pensato di invitare Leo e Margherita nella serra di suo padre. Sperava che nessuno li scoprisse in un giorno che poteva essere speciale.
Margherita non aveva mai visto una collezione di bruchi, perciò si avvicinò con cautela alla teca di vetro. Erano almeno un centinaio, impegnati a mangiare le foglie o a trovare uno spazio libero nel groviglio. Leo sapeva già come toccarli senza spremerli per errore. E quando un bruco si raggomitolava terrorizzato, lui aveva il potere di calmarlo. Non si sapeva come, sul dito di Leo il bruco ritornava disteso, con tutte le zampe a posto.
Margherita non conosceva il carattere dei bruchi, ma subito pensò che non le facevano schifo. Semplicemente, era difficile credere che sarebbero diventati farfalle. A dire il vero, un po’ di disgusto le saliva fino alla gola quando vedeva la bava sulla faccia di Otto, mentre Leo giocava ad ammaestrare i vermi e li guidava a scalare il naso del suo amico. Margherita faceva finta di niente, o si sarebbero pentiti di averla portata con loro. Ma quando Leo si infilava il bruco dentro ai pantaloni, Otto non la smetteva di ridere. Margherita non ci trovava niente di divertente. Doveva esserci un segreto che lei non conosceva.
A un certo punto, Otto le lanciò una sfida. Ingoiare un bruco vivo, senza chiudere gli occhi.
Margherita decise di prendere un bruco a caso e di non pensarci. Se avesse osservato troppo a lungo il bruco, le sarebbe passato quel po’ di coraggio che stava sentendo nei pugni. Lo prese con un bastoncino e se lo ficcò in gola in un attimo, così in fretta che Leo per un po’ credette che lo avesse nascosto tra le pieghe della mano. Otto fece finta di niente, perché sapeva che Leo aveva urlato e sbraitato prima di accettare la prova, e poi si era messo in ginocchio pregandolo di non dirlo a nessuno. Otto chiuse la teca, disse a Margherita “Sei una di noi”, poi le mise una manciata di bruchi sul palmo senza nemmeno guardarla negli occhi.
Quel giorno, Margherita non ci trovò niente di dolce nel bruco tra i denti. Tornò anche lei con un po’ di fango sull’orlo, ma nessuno a casa se ne accorse. Entrò dal retro e, in lavanderia, prese un pezzo di sapone per strofinare la punta della gonna. L’indomani arrivò a scuola senza aver fatto i compiti. La maestra non la interrogò perché la bambina sembrava tutt’uno con la finestra. Ripensava al pomeriggio passato coi suoi amici, che erano tornati a scorrazzare insieme al sole. Era una di loro.
Così, quando suo padre le disse che non poteva allontanarsi fino al palazzo abbandonato, non riuscì neanche a piangere perché pensava fosse uno scherzo. Poi, quando vide la ciurma di ragazzi che tirava dritto senza chiamarla dal vetro, chiuse le imposte e si mise a letto come fosse inverno.
Ci furono altri giorni, ma nessuno così speciale come quello in cui Margherita aveva ingoiato un bruco. Una volta fece una torta e la portò ai suoi compagni, un’altra volta loro le chiesero il piacere di badare ai bruchi mentre erano al mare. Leo le aveva regalato il bastoncino che li ammaestrava, Otto le aveva spiegato come trovare le foglie buone. Al loro ritorno, avrebbero trovato le farfalle?
Nella serra, Margherita smise di preoccuparsi se suo padre la cercava da ore. Immaginava Otto e Leo persi tra le dune, con la sabbia alle ginocchia. Era giunta l’ora di lasciarli andare. Semplicemente, era difficile credere che qualsiasi cosa sarebbe stata, un giorno, diversa da com’era. I bruchi si agitavano nella sua mano, danzando un addio. O così le sembrò un attimo prima di stringere il pugno e schiacciarli.
Questo racconto è stato scritto all’interno di Bottega Finzioni, la scuola di scrittura fondata a Bologna da Carlo Lucarelli.