Cielo di stelle
di Gianni Biondillo
Erminio Ferrari, Cielo di stelle, Casagrande, 147 pagine
Era una notte di febbraio del 1966 quando quindici operai italiani e due pompieri ticinesi trovarono la morte nella galleria d’adduzione dell’impianto idroelettrico in costruzione fra le valli Bedretto e Bavona. Uccisi in modo subdolo, da un gas tossico ristagnate nel cunicolo.
Cielo di stelle racconta questa storia. Ma, prima ancora, questo libro ci racconta come l’autore, un quarto di secolo dopo la tragedia, sia incappato in questa storia all’apparenza lontana e come l’abbia ossessionato. Cercando testimoni, documenti, riscontri. Il cipiglio di Erminio Ferrari è quello del giornalista d’inchiesta, ma la scrittura è di tutt’altra natura. Ferrari ci racconta il più rovinoso incidente sul lavoro del Ticino senza usare toni scandalistici. A lui, passate ormai due generazioni, interessa l’umanità perduta, interessa la pietas.
Con dovizia, con fermezza, ha parlato con i minatori sopravvissuti, ormai in pensione, con le vedove, con la figlie ormai donne e madri. Non ha cercato il nome di un colpevole – anche se molte sono la pagine dedicate ai processi dell’epoca. Ha, con questa indagine, voluto scrivere la storia di una terra, il Ticino, che a passo forzato voleva modernizzarsi e di un popolo migrante e miserabile, l’italiano, che voleva emanciparsi dalla fame, pronto per questo ogni giorno a rischiare la vita.
Uno dei pochi doveri della letteratura è “fare memoria”. Non perdere le piccole storie dei viventi, quelle macinate dalla Storia con la S maiuscola. Fare memoria significa avere consapevolezza che il paesaggio che si attraversa, oggi all’apparenza idilliaco, è stato scenario di dolori e perdite. Che certe parole d’ordine, certi razzismi quotidiani che oggi riaffiorano, hanno origini lontane. È chiedere di non ricadere negli stessi errori dei nostri padri. Questo fa Ferrari: fa letteratura.
(precedentemente pubblicato su Cooperazione numero 24, del 13 giugno 2017)