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Portogallo
di Marco Viscardi
Amália Rodrigues, Uma Casa Portuguesa -> play
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Da Reinhold Schneider, Portogallo. Diario di viaggio, trad. Sarina Reina, Torino, EDT, 1995.
Probabilmente non è il paesaggio ad attirare il viaggiatore in Portogallo, forse nemmeno l’architettura, pure unica nelle grandi opere di questo paese; ciò che davvero incanta è la sua anima; ciò che intimamente ci scuote è la linea spietata, eroica del suo destino. Sono l’anima e il destino che irradiano le montagne scoscese e le valli velate, le campagne deserte, i giardini abbandonati e i grandiosi viali costieri fiancheggiati da palme, riflettendosi persino nel mare, creatore e distruttore a un tempo; l’anima e il destino lambiscono ogni pietra toccata dall’uomo e ogni rudere che il tempo dissolve. Qui è l’uomo che affascina, così come la sua sorte; qui l’uomo si aggrappa ai margini del continente, al principio del mare, e poiché la sua presenza si avverte in ogni pietra che la sua mano ha sollevato e in ogni zolla di terra che egli ha calpestato, l’intero litorale lungo e sottile alla fine appare come un’esperienza irripetibile. Qui non si tratta di comporre un’esperienza rintracciandone il percorso nelle opere storiografiche, di portare a fatica qualcosa di antico in un presente vuoto e al tempo stesso sovraccarico; chiunque abbia mai contemplato Lisbona dall’alto della piccola cappella di Nossa Senhora do Monte o abbia camminato, abbagliato dalla luce, lungo le sue strade sfavillanti e perennemente incompiute, sa che la sventura di questa città è ancora inspiegabilmente vicina, ne vede lampeggiare il segreto nell’azzurro intento del cielo, sa che è come se il grande impero fosse andato perduto in una sola notte – la notte appena trascorsa -, sente ancora l’eco di un crollo colossale risuonare dalle alture al di là del Tago. Il destino è il tempo presente e ne è impregnata l’aria che si respira; l’enigma che ci pone questa vicenda giocata nei continenti si scioglie nella terra in cui il gioco ha avuto origine, nel ritmo di questa vita non europea, un ritmo così sconosciuto che il nostro orecchio deve prima di tutto imparare a coglierlo.
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[Mots-clés è una rubrica mensile a cura di Ornella Tajani. Ogni prima domenica del mese, Nazione Indiana pubblicherà un collage di un brano musicale + una fotografia o video (estratto di film, ecc.) + un breve testo in versi o in prosa, accomunati da una parola o da un’espressione chiave. Poiché l’agosto è lento, questo mese il post esce nella seconda domenica.
La rubrica è aperta ai contributi dei lettori di NI; coloro che volessero inviare proposte possono farlo scrivendo a: tajani@nazioneindiana.com. Tutti i materiali devono essere editi; non si accettano materiali inediti né opera dell’autore o dell’autrice proponenti.]