La strategia del gambero
di Gianni Biondillo
Piero Colaprico, La strategia del gambero, Feltrinelli, 2017, 343 pagine
L’ex agente per la sicurezza dello Stato Corrado Gemito è di fronte ad un aut aut. O restare a scontare la pena, 12 anni per una storia balorda di sequestri di persona finita in sesso e morte (del suo più caro amico e collega) oppure accettare la missione offerta dai servizi segreti: infiltrarsi nei loschi piani di due famiglie della ‘Ndrangheta del Nord e far saltare i loro propositi. Missione suicida in cambio della libertà.
E scopre così Ranirate, paese dell’anonimo varesotto, dove la mafia non esiste solo in facciata, ma prospera da anni, fra usura, commerci illeciti e pizzo, grazie a paura, controllo del territorio e connivenze politiche. Gemito ha un piano: si finge imprenditore del divertimento, apre un locale notturno proprio a Ranirate, pieno di belle ragazze e fiumi di champagne. Non avanza, indietreggia. Aspetta che siano i mafiosi a contattarlo. Per poi pungere, forte come un’ape.
Ne La strategia del gambero Piero Colaprico costruisce una macchina narrativa complessa, come un enorme ottovolante dove per la prima parte del racconto si sale lentamente verso la cima per poi precipitare improvvisamente in un vortice di accadimenti, colpi di scena, apparizioni e sparizioni, pestaggi violenti, omicidi, rapine. Tutto l’armamentario del più solido noir così come dovrebbe essere.
Ranirate è lo scenario ideale: provincia all’apparenza pacifica e sonnolenta, in realtà la “Poisonville” perfetta di una falsa coscienza industriosa che non vuole ammetter i suoi intimi legami con l’economia criminale. Gemito ha la furbizia di Ulisse e anche la scelleratezza. Nessun personaggio, della pletora presente nel romanzo, si salva. Tutti compromessi, tutti colpevoli. Tranne una.
(precedentemente pubblicato su Cooperazione numero 51 del 19 dicembre 2017)