Nietzsche, Klossowski e la risata degli dèi
di Adriano Ercolani
Il corpo a corpo di Pierre Klossowski con Friedrich Nietzsche inizia nel 1937, ai tempi gloriosi della rivista Acéphale e trova un decisivo compimento nel saggio del 1969 su Nietzsche e il circolo vizioso.
Come scrive il curatore Giuseppe Girimonti Greco, i due testi ora raccolti da Adelphi con il titolo Nietzsche, il politeismo e la parodia, sono “i primi saggi maturi che Klossowski dedica a un autore destinato a diventare un punto fermo della sua riflessione, ma soprattutto il principale modello ispiratore della sua poetica e dell’insieme della sua produzione, saggistica e letteraria.”.
Si tratta di due saggi di notevole interesse: il primo è Su alcuni temi fondamentali della <<Gaia Scienza>> di Nietzsche, ovvero l’introduzione all’edizione curata da Klossowski del classico nietzscheano nel ’56; il secondo, che dona il titolo alla pubblicazione, è il testo di una straordinaria conferenza tenuta al Collège de Philosophie a Parigi l’anno successivo.
È rivelatore come Klossowski, così prossimo ai risvolti più oscuramente misterici del pensiero nietzscheano, affronti il testo che fa da cerniera nel percorso del filosofo tedesco, ovvero, il libro che, dopo l’inizio della “campagna contro la morale” (come la definirà in Ecce Homo) segnata da Aurora, conduce dalla riflessione “illuminista” di Umano, troppo umano (addirittura dedicato a Voltaire), all’abisso oracolare (e in questo senso sommamente parodico, per restare in tema) di Così parlò Zarathustra.
Come nota Maurizio Ferraris nella sua riflessione su Il Manifesto (https://ilmanifesto.it/nietzsche-soggetto-di-una-ilarotragedia/): “Per ben due volte, nel primo dei due saggi, Klossowski scrive che la Gaia scienza esce vent’anni dopo l’Inattuale sulla storia. Poiché questa risale al 1876, allora la Gaia scienza sarebbe del 1896. Ma come sappiamo è del 1882. Non è un errore di traduzione perché c’è anche nell’originale. Non può essere una svista di Klossowski sia perché lo scrive nella introduzione alla sua traduzione della Gaia scienza, sia perché – fateci caso nella lettura – spende alcune pagine a spiegare come nella Gaia scienza si assista al riemergere carsico di temi antichi, il che per l’appunto ha senso per opere distanti venti, e non sei anni”.
Questo “riemergere carsico”, che forse guida incosciamente la svista citata, è ancora più evidente tra i primi scritti del “filologo” Nietzsche e gli ultimi, sospesi tra piena consapevolezza della propria grandezza e incipiente follia, del profeta dell’Oltreuomo.
Non a caso, Klossowski non può non citare, parlando dell’ultima Considerazione Inattuale del 1876 (“agli antipodi di ogni filosofia della storia derivante da Hegel”), Friedrich Hölderlin, affratellato a Nietzsche dalla “tenace nostalgia” (come dal comune approdo iniziatico alla follia) che è “vera ispiratrice della concezione antihegeliana”: un giorno dovremo dedicarci a una riflessione cruciale sul divergersi antitetico dei destini, sulla meravigliosa e straziante antinomia degli esiti, filosofici ed esistenziali, di cui sono stati protagonisti i due studenti universitari, Hegel ed Hölderlin, cantori innamorati di Eleusi nella loro stanzetta a Tubinga, 48 anni prima che a Röcken nascesse il futuro Dioniso Crocifisso (come egli alternativamente si firmava nei cosiddetti “biglietti della follia” spediti da Torino negli ultimi anni a diverse figure della cultura e della politica).
Non è nemmeno un caso che Klossowski all’inizio della sua introduzione, ponendosi il problema di come forse spetti agli eventi, “la verifica di un pensiero e della sua attualità”, esalti “il carattere illuminativo”e l’ “estatica serenità” de La gaia scienza, proprio nel momento in cui, paradossalmente, la definisce opera “frutto della più grande solitudine che si possa immaginare”.
Nel testo della conferenza successiva, il “riemergere carsico” dei temi (come i leitmotiv nelle opere dell’amato/odiato Wagner) è mostrato da Klossowski in un crescendo argomentativo vertiginoso, che accompagna il lettore (originariamente l’uditore) a conclusioni ardite quanto convincenti: partendo dal presupposto che “Nietzsche ha sviluppato non una filosofia, bensì (…) delle variazioni su un tema personale”, “in balìa di una rivelazione inesplicabile dell’esistenza che non può esprimersi se non attraverso il canto e l’immagine”, Klossowski, pur non esplicitando, in un certo senso induce a pensare che l’intero percorso nietszcheano sia, da buon discepolo di Eraclito, la ricerca dell’equilibrio tra apollineo e dionisiaco, financo nella folle (siamo sicuri?) identificazione finale con Dioniso e il Crocifisso, se è vero che “i due nomi di Cristo e Dioniso con il loro antagonismo formano un equilibrio”.
Come scrive Antonio D’Alonzo (https://www.esonet.it/News-file-print-sid-780.html): “Per Klossowski la follia di Nietzsche è fondamentale nell’evoluzione storica del pensiero europeo, perché porta a compimento il principio di realtà e il suo referente esistenziale, il principio d’identità. Questa duplice dissoluzione operata da Nietzsche rende possibile l’inizio della parodia, la fine della tragedia e l’inizio della vita come gioco, dove la leggerezza ludica può completare l’oltrepassamento della metafisica.”.
Infatti, Klossowski dichiara apertamente, in un passo cruciale della sua conferenza: “<<Dio è morto>> non significa che la divinità perisce come spiegazione dell’esistenza, bensì che il garante assoluto dell’identità dell’io responsabile scompare dall’orizzonte della coscienza di Nietzsche, il quale a sua volta si confonde con questa scomparsa. Se il concetto di identità si volatilizza, alla coscienza non resta altro, sulle prime, che l’avvento del fortuito”.
Questo ci riconduce al primo, illuminante, appunto di Il mio cuore messo a nudo di Baudelaire (non diario intimo, ma frammenti di opere destinate idealmente alla pubblicazione), ovvero: “Della vaporizzazione e della centralizzazione dell’Io. Tutto è là.”.
Siamo davanti all’intuizione del concetto di “Volontà di Potenza”, in nuce, da parte di un genio prossimo all’agonia, che cerca nel dandysmo una forma radicale di ascesi gnostica (parliamo del 1864, anno dal quale ci perviene un ritratto di un ventenne Nietzsche, pingue e glabro, non ancora tramutato nella fisionomia celeberrima del grande “martellatore baffuto” come lo chiamava Costanzo Preve).
Le prime parole dell’introduzione klossowskiana sono proprio: “Il nome di Nietzsche sembra irrimediabilmente associato al concetto di volontà di potenza: e non tanto al concetto di volontà quanto alla pura e semplice potenza”, così inizia una intelligente e accorata difesa della “denazificazione” del pensatore, quale poi verrà portata a termine dal mirabile lavoro filologico di Colli e Montinari.
Verso il termine della conferenza, invece, Klossowski delinea sempre più nettamente la relazione tra politeismo e parodia, in brani di stupendo nitore: “L’esistenza in quanto eterno ritorno di tutte le cose si produce nelle fisionomie di tanti dèi quante sono le sue possibili esplicitazioni nell’anima degli uomini. Se la volontà aderisce a questo moto perpetuo dell’universo, è innanzitutto la ronda degli dèi che contempla” l’universo, il quale non è altro che, citando un celebre passo dello Zarathustra, “l’eterno sfuggirsi e ritrovarsi di molti dei, come beato contraddirsi, udirsi di nuovo, di nuovo appartenersi di molti dei”.
In questa irriferibile contemplazione del divenire divino, affiora la necessità di sfondare i limiti del linguaggio attraverso la parodia, a svelarne le risibili contraddizioni, a deridere i tentativi della ragione di definire il mistero, quasi a specchiare la risata immortale delle divinità: “Il riso è qui come la suprema immagine, la suprema manifestazione del divino che riassorbe gli dèi pronunciati e pronuncia gli dèi con un nuovo scoppio di risate; giacché se gli dèi muoiono di questo riso, è da questo riso che prorompe dal fondo dell’intera verità che gli dèi rinascono”.
A questo punto appare centrata la riflessione di Maurice Blanchot che nel saggio, significativamente intitolato Il riso degli dei (in italiano si trova nell’edizione SugarCo de Le leggi dell’Ospitalità, in appendice al romanzo klossowkiano), quando vede nell’opera letteraria di Klossowski agire una forza umoristica non meramente parodica o di derisione, ma che trova nello scoppio della risata “l’obiettivo o il senso ultimo di una teologia”.
Dall’Inno a Demetra al Briccone Divino di Jung e Kerény (segnalo l’articolo di Annamaria Iacuele https://www.atopon.it/il-riso-dono-degli-dei/), tra Ermes e Dioniso, il pensiero torna al poema sacro induista Devi Mahatmyam, in cui la risata della Dea Durga squassa i tre mondi, prima che la vendetta divina compia il massacro dei demoni sopraffattori.