Da «Un altro candore»
di Giacomo Verri
(Pubblichiamo un estratto dal romanzo Un altro candore, Nutrimenti, 2019. Verri ritorna nei luoghi – la Valsesia – e nei tempi – la Resistenza – che i suoi lettori conoscono, ma in quest’opera assistiamo a uno scarto verso decenni più tardivi del Novecento e verso temi più intimi, dove il protagonista non è, o non è solamente, l’aspetto civile e politico della storia che abbiamo alle spalle).
***
Disse di sì, che andava bene. Erano settimane che non faceva un bagno per via dell’incidente e continuava a lavarsi a pezzi.
Ti posso aiutare.
Lei sorrise, Sarebbe un dolcissimo regalo.
Sedette sullo sgabello accanto al lavandino mentre Claudio preparava la vasca, fece scorrere l’acqua finché non fu calda, dopodiché infilò il vecchio tappo di gomma screpolata nel buco dello scarico e versò il bagnoschiuma.
Ho freddo, disse lei.
D’accordo. Posso portare qui la stufa elettrica.
Con l’aria che soffiava loro addosso all’altezza delle gambe, iniziò a spogliarla, le sfilò le calze di nylon da signora anziana, e il vestito, il reggiseno e le grandi mutande dalla vita alta. Gettò la biancheria nel cestone e ripiegò con cura l’abito sul davanzale della finestra.
Mettilo da lavare.
Anche questo?
Vorrei cambiarmi completamente.
In pantaloni e camicia, le maniche arrotolate sopra ai gomiti, la aiutò a entrare nella vasca lasciando che si aggrappasse alle sue braccia. L’acqua le arrivava alle caviglie, con una mano toccava il muro di piastrelle azzurre e con l’altra continuava a sostenersi al corpo del marito. Poi lentamente scese e le vecchie e magre gambe s’infilarono nella schiuma senza peso. I seni erano pallidi e flosci e i capezzoli, divenuti marroni, sembravano essere stati risucchiati nella pelle, la pancia era dilatata e molle e il solco dell’inguine risaltava chiaro e glabro, anche se vagamente ingrigito, come la morbida e sciupata incavatura delle ascelle.
Non mi guardare.
Non sono qui per questo. Voglio solo prendermi cura di te.
Donata attese che l’acqua fosse abbastanza alta da coprirle il ventre, poi strizzò la spugna pesante e calda sulle spalle e lasciò che la schiena toccasse la superficie della grande vasca di ghisa smaltata.
È andata bene la nostra vita?, chiese lei.
La guardò con la fronte corrugata. Quasi sempre.
Donata aveva uno sguardo da persona triste e pareva che le manopole d’acciaio con le loro macchie di calcare fossero per lei qualcosa di mai visto. Hai ragione, disse. Ci pensi mai a quando eravamo giovani?
A volte.
Io sempre più spesso. Ricordo quando facevamo l’amore.
Claudio cercò di accovacciarsi, si mise seduto anche se le ginocchia gli facevano male. Le toccò i capelli.
Fino a un certo punto lo abbiamo fatto con una certa frequenza, poi di colpo abbiamo smesso, disse lei. Non c’è stata una ragione. Ricordi? È successo e basta. Il pensiero di quanto tempo è passato, l’idea che ci sia stata un’ultima volta e che non ce ne siamo neppure accorti mi lascia senza fiato.
Non parlare così.
Perché? Posso farlo ormai. Sono diventata brutta.
Lui osservò di sfuggita il biancore affusolato del suo corpo. No signora, non lo sei.
Lo sono e non è divertente. Gli afferrò la mano che lui teneva ancora con dolcezza tra i suoi capelli grigi e gliela calcò su uno dei seni. Cosa senti?
Claudio rimase immobile e la guardò. Lei aveva occhi piccoli e chiari dentro ai quali la vecchiaia aveva infilato delle parti bianche, come delle bordature.
Non ti viene voglia di farci niente, vero?
No, disse lui.
A Donata salirono piccole e fragili lacrime, si tolse di dosso la mano di Claudio e si lasciò andare nell’acqua. Mi piaceva fare l’amore con te.
Anche a me.
Non dire bugie. Non lo merito.
Non ho potuto vivere senza di te. E non saprei come farlo ora.
Lo so, ma ho sempre saputo che non ti piaceva venire a letto con me.
Lui non disse niente.
All’inizio ci pensavo molto, continuò Donata. Te ne accorgevi?
Non so.
Comunque io ci pensavo.
Era difficile per me.
E io pregavo che ti piacesse, per Dio, insistette lei.
Ho imparato a farmelo piacere, voglio dire, ho imparato che era una cosa bella.
Questo mi fa soffrire, lo sai?
Claudio prese il flacone e le propose di lavarle la testa. Lasciò cadere nel palmo una noce bianca di shampoo e iniziò a toccarle il cranio duro e rosa, coperto dai pochi vecchi capelli.
Cosa ti fa soffrire? Sapere che è stato difficile per me venire a letto con te i primi tempi?
Sì.
Ma è stato così. Il sesso non ha rappresentato l’aspetto migliore della nostra vita. Sono stato bene con te quando abbiamo parlato, quando abbiamo visto crescere nostra figlia, quando ci tenevamo per mano e guardavamo la televisione o ascoltavamo un buon disco.
Potrebbe non essermi bastato, protestò Donata. Potrei credere che non sia vero.
Ma lo è.
Sembrerà assurdo: ti credo ma non mi fido.
Lui la aiutò a sciacquarsi e a indossare l’accappatoio e dopo cena le si sedette accanto sul divano annusandole i corti capelli puliti. Guardarono un varietà e poi Claudio, a metà serata, fece il giro della casa per chiudere le persiane alle finestre.
Quando tornò le disse che se l’era cercata. Mi hai detto di richiamarlo. E adesso voglio qualcosa di più.
Cosa?
Vorrei rivederlo.