Il rumore del fuoco che brucia il mondo

di Dario Valentini

“Ti prego abbassa quella musica del diavolo!” Disse lei tirando le coperte dalla sua parte.
“Non riesco a dormire senza. Lo sai.” Rispose lui artigliando il lenzuolo.
“Lo so, lo so.” Disse lei sbadigliando “È dolce la promessa, incastonata tra la cassa e il rullante. Ma non potresti abbassarla almeno un po’?”
Boscolo abbassò di due tacche il volume dell’Iphone. Non era la stessa cosa, ma cosa non si fa, per le persone che si amano. Lei gli accarezzò il braccio, poi si accoccolò a vicino lui. Affondò il naso dentro la sua guancia. Fruscio di capelli scuri contro capelli chiari. Testata affettuosa di gatto.
“Cosa immagini quando la ascolti?”
“Ogni volta è diverso.” Tagliò corto lui.
“Adesso cosa stai sognando?”
Boscolo soffiò. Buttò fuori tutta l’aria che aveva nei polmoni. Poi scrociò le gambe e le braccia. Si tolse le cuffie e la guardò fissa. Occhi rapaci. Come li chiamava Giulia. E la cosa lo divertiva. Molto. Come altre sue espressioni stereotipate tipo bellezza dolorosa o cuore tormentato. Una volta li aveva chiamati caleidoscopici vetri gotici ed era stato il suo tentativo più audace di impressionarlo, dopo essersi fatta forza con più di uno spritz sotto le luci del concerto dei This Will Destroy You.
“Povera stella…Nice try.”

Boscolo le strinse le braccia fermandosi appena prima di farle male. Aprì la bocca. Nel buio si vedevano solo i suoi denti. Guglie bianche.
“Sogno di bruciare una grande città. Dalle mie mani getti di fiamme sciolgono il metallo degli edifici. Incendiano gli alberi, gli animali e le persone. Mentre le case crollano e le urla riempiono le mie orecchie sorrido. Rido. Sono in preda a un delirio di felicità. Mi immagino di bruciarli tutti, di bruciare tutto.”
Giulia ridacchiò nervosa come succedeva spesso quando le diceva certe cose. Cerco di avvicinargli la fronte al corpo ma lui la tenne inchiodata al materasso. Continuò:
“Nel sogno ho un sogno: Vorrei dare fuoco un giorno non solo alla grande città ma al pianeta stesso. Finché non sarò rimasto solo io. Poi mi rendo conto che sto piangendo. Lacrime di oro semisolido. Colano lungo il mio viso e lungo il mio corpo nudo a formare una strana armatura.” “Sembra proprio una delle vostre canzoni!” Fece lei tentando ancora di allentare la tensione mentre guardava i due grandi uccelli notturni tatuati sul petto di Boscolo. Le ali nere si aprivano verso l’esterno. Uno con le zampe e l’altro con il becco reggevano al centro una chiave antica. Lui la ignorò.
“È un pianto silenzioso, senza singhiozzi. In realtà non c’è nessun suono nel mio sogno. L’unico rumore è quello del fuoco che brucia il mondo” Poi le sorrise. Obliquo imperatore.
A questo punto anche lei lo guardava fisso, e lui lo conosceva quello sguardo: Gli occhi di Giulia erano diventati stiletti di giada. Boscolo sapeva quanto avrebbe desiderato la forza per affondarli nel buio. Colpire il corpo nudo sopra di lei con un fendente e poi un altro e poi un altro ancora. Il suo sangue sarebbe stato come una doccia calda, in inverno. Chissà quante volte aveva giurato che non si sarebbe fermata. Invece, come sempre, parlò.
“Ti amo così tanto, che mi fa male.”
“Che frase banale! non sei certo una poetessa, questo è sicuro.” La schernì lui finché le
sfilava velocemente i vestiti. Le si mise sopra tenendole entrambi i polsi stretti in una morsa. Ogni volta che pugnalava il corpo fragile di lei con il suo, la sentiva tremare. Giulia lo stringeva fino a graffiarlo. Boscolo sapeva che lei teneva gli occhi chiusi, sempre. Anche adesso che li aveva rivolti verso il soffitto. Lui invece, il viso premuto nel cuscino li teneva sbarrati, e sorrideva. Sapeva che le stava facendo male e nel buio, sorrideva. Il suo ghigno era tagliente come un coltello a serramanico completamente aperto. Finirò col tagliarmi la faccia. Voleva scoppiare a ridere. Da quanto era felice. Ma si mordeva l’interno delle guance fino a sanguinare pur di non farlo. Quando finiva, sentiva la presa che si allentava. Le braccia di lei crollavano sconfitte. Subito dopo lo cercavano ancora con le forze che le erano rimaste, le dita si aggrappavano e scivolavano sulle sue costole sudate. Allora le dava un bacio appassionato e poi un un altro sulla fronte. Adesso era lui che serrava gli occhi il più forte possibile. Sperando disperatamente che la notte divorasse il mondo e il giorno non arrivasse mai. Sognava di poter rimanere così per sempre, se non li avesse aperti forse il tempo non si sarebbe accorto di loro e non sarebbe mai andato avanti. Appoggiava il cranio a quello di Giulia. Potevano due teschi fondersi in osso unico?

Una volta Boscolo si era chiesto se fosse mai passato un mese in cui non avesse scopato qualcun’altra. Quando lo faceva a volte pensava a Giulia. A volte no. In ogni caso si vedeva sempre da fuori. Non che gli interessasse un granché farlo con altre. La cosa che gli piaceva davvero era tornare da lei e comportarsi come se niente fosse. Il cuore gli si riempiva, si gonfiava fino a straripare di quella violenza segreta.
“L’ho fottuta ancora.” Pensava “Quest’idiota non capirebbe che vado con altre nemmeno se lo facessi davanti a lei.”
A volte, al solo pensiero scoppiava a ridere. Da solo. Guardandosi allo specchio nel bagno di casa o per le strade di Venezia. Rideva a lungo, sguaiatamente. Tenendosi la pancia e poi la bocca. Solamente fingendo di volersi trattenere. Una volta una vecchia ebrea alle fondamenta aveva intercettato il suo sguardo e al vederlo così allegro era venuto da ridere anche a lei. Lui le aveva lanciato un bacio con la mano. Si era piegato in un inchino ridendo ancora più forte.
Giulia sospettava magari. Forse una donna lo sa quando qualcosa non va. Ma non aveva mai chiesto niente, si limitava a guardarlo con quei suoi occhi fottutamente enormi che gridavano: “Ti prego!”
E lui, con il silenzio assordante delle sue azioni, rispondeva sempre, ogni singola volta, la stessa cosa che risponde Dio, quando qualcuno lo prega.
Le opinioni della band in merito differivano: Frison inarcava le sopracciglia tutte le volte che la situazione saltava fuori, poi gli faceva quel sorriso un po’ triste. Lo stesso che gli rivolgeva tutte le volte che ascoltavano gli ultimi tre minuti di Sunbather.
Ballerini alzava le spalle. Si accendeva una Lucky Strike e gli faceva un lento, languido applauso guardando da un’altra parte.
Rampino stringeva gli occhi in una fessura come per mettere a fuoco meglio il fatto. Poi procedeva a scaccolarsi con particolare dedizione.

Era iniziato tutto quel giorno d’autunno: Boscolo si era sorpreso a pensare quanto Giulia Guerrini fosse bella. Stavano insieme già da un bel po’. Era dopo le prime occhiate alla biennale, gli spritz e i baci rapiti in campo Santa Margherita o al Giardino Degli Eremitani. Dopo il cinema all’aperto e le passeggiate notturne. Boscolo sproloquiava spesso con le donne dei suoi amati e oscuri film giapponesi. Ma una sera mentre le raccontava una scena di l’Uovo Dell’Angelo lei l’aveva guardato con un sorriso malinconico. E lui aveva capito che il sortilegio aveva funzionato. Erano iniziati i lunghi pomeriggi in cui lui ascoltava “quei suoi dischi strani” mentre lei leggeva Celine e lo spiava dal bordo del Voyage. Ma fu solo quel giorno d’autunno che per la prima volta, desiderò che fosse sua. La guardò ed ebbe paura. Sembrava una bambina: il viso rotondo, le sopracciglia folte, il sorriso pieno di stupore per ogni cazzata. Era piccola, le mani un po’ tozze e sempre tiepide. Le braccia magre ma quando lo stringevano, lo stringevano così forte che a volte si chiedeva se l’avrebbero mai lasciato andare. Boscolo capì di essere nato tra quelle braccia, e desiderò fracassarle.

Giulia era una ragazza curiosa, svelta di testa. Aveva una certa grazia persino quando bestemmiava. Veniva da una famiglia di grossi industriali di Padova e aveva un sacco di soldi a cui non era per niente attaccata. Tanto che o si muoveva in bici o con una vecchia Fiat. Aveva dei peletti chiari sugli avambracci che si rifiutava di farsi. Forse in un afflato di femminismo. Era così buffa! Il suo odore era per lui, dopo tanti anni. Odore di casa. La verità è che lo era sempre stato, dal primo momento in cui l’aveva sentito. Forse da prima ancora, si era sorpreso a pensare una volta. Che idea idiota, sembrava proprio una delle cazzate che avrebbe potuto dire lei.

“Come sta andando con il disco?”
“Non male.” Rispose lui infilandosi una cucchiaiata di latte e cereali in bocca “Abbiamo quasi finito di scriverlo, siamo a buon punto con le pre-produzioni.”
“Sei soddisfatto?”
“Abbastanza, magari mi sbaglio, ma penso stia venendo qualcosa di veramente speciale.”
“Cavolo! È la prima volta che ti sento così.”
“Non ti ci abituare.”
Lei rise finché spalmava ricotta e marmellata su una fetta di un pane.
Lui le scoccò un’occhiata “Be careful what you wish for!” Canticchiò.
La domenica erano sempre a casa da soli per fortuna. Odiava il modo in cui suo padre la guardava. Allora si svegliavano tardi e si muovevano a piedi nudi sul parquet chiaro di quella grande casa vuota.
“Non mi dire che riesci a sopportare anche gli altri.”
“A malapena.” Rise lui “Frison sì, lui si fida ciecamente di me. Ballerini e Rampino meno, ma è solo questione di essere tenace, poi sono bravi, fanno il loro lavoro. Non vedo l’ora di registrarlo e poi…”
“Andare in tour?”
“Finalmente! Stiamo sentendo qualche etichetta, tu incrocia le dita!” Le fece l’occhiolino.
“Lo sai che le incrocio sempre per te. E prego.”
“Non perdere il tuo tempo a pregare per me.”
“Male non farà no?”
Lui la guardò di sbieco. Aveva dei pantaloncini corti e una maglietta dei Lantern che gli aveva preso come regalo a un concerto a cui l’aveva trascinata. Peccato fosse troppo piccola. La usava lei per dormirci. Non sapeva se gli piaceva di più vestita così o nuda.
Lei rimase un secondo in silenzio. E fece un gran respiro. Boscolo si stravaccò ulteriormente sulla sedia, squadrandola divertito come un monarca che lasci in sospeso la sentenza. Ma in realtà dentro di sé sentiva il fischio delle catapulte nemiche che lanciavano palle di fuoco. Erano vicine.
Giulia si fece forza, sorrise e cercò di assumere un tono scherzoso.
“Scommetto che non ci sarà nemmeno una canzone per me nel disco!” Ridacchiò.
Boscolo capì che non aveva più voglia di fare colazione. E forse neanche lui.
“Infatti non c’è.” Mentì.

1 COMMENT

  1. Un canto d’amore, originale, pieno di passione, dal ritmo incalzante come il disco registrato da Boscolo. Va lentini ha la stoffa dello scrittore. Complimenti. Sono invidioso della sua fantasia che lascia liberi anche i pensieri più inconfessabili. Bravo. Bravo

Comments are closed.

articoli correlati

Il ginkgo di Tienanmen

di Romano A. Fiocchi Da sedici anni ((test nota)) me ne sto buono buono sul davanzale di una finestra in...

Il buon vicinato

di Simone Delos Traslocare è un po’ morire. L’ho fatto sei volte. Ovunque andassimo, mia madre rimaneva stanziale per un...

La polacca

di Mirfet Piccolo Le piaceva farlo così, senza guardarlo: con la gamba sottile abbracciava la coscia di lui e con...

La stanza senza fine

di Giovanni De Feo Nico non riuscì a distinguere il momento esatto in cui il racconto del Mastro si insinuò...

Il dottor Willi

di Michele Mari Sono il padre dell'uomo con il mare dentro e, sebbene abbia fatto di tutto per evitarlo, sto...

Quello che c’è sotto

di Andrea Dei Castaldi È strano dirlo, per me che sono nato a pochi chilometri da qui, ma non ho mai passato...
francesca matteoni
francesca matteonihttp://orso-polare.blogspot.com
Curo laboratori di poesia e fiabe per varie fasce d’età, insegno storia delle religioni e della magia presso alcune università americane di Firenze, conduco laboratori intuitivi sui tarocchi. Ho pubblicato questi libri di poesia: Artico (Crocetti 2005), Higgiugiuk la lappone nel X Quaderno Italiano di Poesia (Marcos y Marcos 2010), Tam Lin e altre poesie (Transeuropa 2010), Appunti dal parco (Vydia, 2012); Nel sonno. Una caduta, un processo, un viaggio per mare (Zona, 2014); Acquabuia (Aragno 2014). Dal sito Fiabe sono nati questi due progetti da me curati: Di là dal bosco (Le voci della luna, 2012) e ‘Sorgenti che sanno’. Acque, specchi, incantesimi (La Biblioteca dei Libri Perduti, 2016), libri ispirati al fiabesco con contributi di vari autori. Sono presente nell’antologia di poesia-terapia: Scacciapensieri (Millegru, 2015) e in Ninniamo ((Millegru 2017). Ho all’attivo pubblicazioni accademiche tra cui il libro Il famiglio della strega. Sangue e stregoneria nell’Inghilterra moderna (Aras 2014). Tutti gli altri (Tunué 2014) è il mio primo romanzo. Insieme ad Azzurra D’Agostino ho curato l’antologia Un ponte gettato sul mare. Un’esperienza di poesia nei centri psichiatrici, nata da un lavoro svolto nell’oristanese fra il dicembre 2015 e il settembre 2016. Abito in un borgo delle colline pistoiesi.