Vedi alla voce: Cochi e Renato

 

Avrei voluto essere un duo

 

di Gigi Spina

 

Questa recensione non è una recensione. Questo è il diario di lettura, il personalissimo cartellino di uno che potrebbe essere fratello (minore) di Cochi e Renato e padre di Ciaffaroni e Paté. E il libro è: Cochi e Renato. La biografia intelligente, e lo hanno scritto Andrea Ciaffaroni e Sandro Paté. Glielo ha pubblicato l’editore Sagoma, di Vimercate, mentre entrava dicembre 2019. Poi, per darvi l’idea, c’è una prefazione di Maurizio Milani e una nota critica di Marco Giusti. Però, attenti: non valevole ciccioli.

 

In due non è un esercito, devo smentire, soffrendo, Giorgio Gaber (La solitudine, da Libertà obbligatoria, 1976-77), e proprio chiamando a testimoni i suoi amici: in due è una coppia, in due è cabaret. Certo, bisogna essere Cochi e Renato. Nella seconda metà degli anni Sessanta, chi viveva al sud – a Salerno, per esempio – era potenzialmente pronto per essere milanese e fare cabaret. Esisteva un Gruppo Zero [Attenzione! C’è un Gruppo Zero anche nel libro, a p. 39: non siamo noi, peccato …], che mise coraggiosamente in scena le strisce de Il trapianto del trauma di Jules Feiffer, diffuse su Linus e raccolte in volumetto-culto; esistevano i monologhi alla Villaggio preparati per serate ante-talent al circolo universitario Il Ridotto; e poi, per quelli del Gruppo Zero, c’era il culto dei Gufi. Li andammo a vedere a Napoli, nel 1969. Lo spettacolo era Non spingete, scappiamo anche noi e devo la ricostruzione precisa del ricordo a Michele Moramarco, I mitici Gufi, Reggio Emilia 2001. Già dalla mattina eravamo su via Roma (o Toledo, per gli amici) e intervistavamo i passanti, facendo finta di essere giornalisti, con il microfono del Geloso in bella mostra. “Sapete che stasera a Napoli ci sono i Gufi?”, finché una signora ben messa, magari una giovane Elena Ferrante o una sua amica geniale, chi lo può dire?, ci fece: “sì, mò c’ stanno pure ‘e ciucciuvettole” … le civette, roba che solo a Napoli.

Questo per dire che quando su facebook spunta una pagina Cochi e Renato e si capisce che sta per uscire un libro su di loro, e poi si scopre che uno degli autori è Sandro Paté, viene da esclamare: Urca l’argomento! Perché di Paté si è letto, divorato, bagnato di lacrime Peccato l’argomento. Biografia a più voci di Enzo Jannacci, Milano 2014. E poi si legge il nome dell’altro autore, Andrea Ciaffaroni, e si dice: ecco il duo. E ci si commuove, perché quel salernitano ora trapiantato a Bologna avrebbe voluto essere un duo, addirittura nascere un duo. Non due gemelli, proprio un duo, da cabaret, il tipico duo che ha come terzo membro Enzo Jannacci.

“Era come avere Totò al Derby”, dice Alberto Tovaglia, una delle numerose (47 per la precisione) fonti intelligenti, e anche biografiche, a p. 129. Il Derby di Milano (inteso come luogo, non in senso pallonistico) , inutile dirlo, è il testo e il contesto, è l’alto e il basso, l’avanti e il dietro, il prima e il dopo, l’aspetto puntuale e quello durativo (questa è solo per chi ha fatto il classico); il Derby è, e lo curavano in molti. Ecco, Totò mi era già venuto in mente mentre cominciavo a leggere il libro e pensavo ai tormentoni di Cochi e Renato: bravo, 7+, bella gioia, e lo curo … e neanche qui quant’altro ci sta bene. E pensavo che ai tormentoni ci aveva preparato proprio Totò: a prescindere, checché, è la somma che fa il totale eccetera eccetera. Ma forse anche i classici, a scuola, ce ne avevano offerti, certo, di più lunghi e poetici, ma sempre buoni a fare casino: e il naufragar m’è dolce in questo mare, ed egli avea del cul fatto trombetta.

Ma non c’è tormentone più tormentato e tormentante di Silvano, la canzone piena di sdrucciole, che può cambiare sdrucciolando all’infinito. Ciaffaroni ne parla con Rino Petrosino, fotografo, non paparazzo, che scopriamo essere il “Rino, picchiami solo negli angoli” in una delle versioni di Jannacci – Cochi e Renato si possono vedere e sentire nella loro personale Silvano qui: https://www.youtube.com/watch?v=3OordlMqcj8.

Ciaffaroni fa una pausa (o ‘apre una parente’ …, per rimanere nel tormentone) e dedica un paio di pagine da monografia (282-284) per ricostruire la storia del pezzo, grazie anche alla pellicola del regista Ranuccio Sodi (si potrà vedere? e dove? sarà Lo stradone col bagliore, il documentario che Sodi ha dedicato all’amico Enzo, per elaborare il lutto? Rimane il dubbio) che ritrae il duo trimembre mentre comincia a sparare “fonemi in libertà”, definizione di Cochi. Leggetele, quelle pagine, attentamente, come ho fatto io, e la notte dormirete tranquille/i, perché finalmente capirete perché le parole trascinano le parole, al di là del loro referente reale, e quindi non c’è niente da capire (cit.); e poi, se volete fare i fighi (o gli sboroni, come si dice a Bologna), paragonatele alle pagine in cui Edgar Allan Poe spiega come ha composto The Raven e perché ha scelto il tormentone in clausola nevermore. Filosofia della composizione si intitola lo spiegone di Poe: non dico altro, cercatelo e provate a capire come può nascere la poesia … anche a partire da un cabaret di Milano. La ‘parente’ si chiude e Ciaffaroni, ormai contagiato, sdrucciola felice: “Rino, sfodera scuse plausibili”.

Il Derby è tutto, dunque, ma come sempre c’è un prima e un dopo, anche se con gli stessi, storici nomi: Dario Fo, Enzo Jannacci, Beppe Viola, Giorgio Gaber, Felice Andreasi, Bruno Lauzi, Lino Toffolo, Paolo Villaggio, Teo Teocoli, Cochi e Renato. Nomi maggiori, ma anche tanti nomi, per così dire, minori, ma che questo libro, per uno vissuto fino a un certo punto al sud, rende finalmente maggiori e tutti capaci di interagire e creare quell’atmosfera surreale e sempre inattesa che costituisce il vero cabaret. Il Derby chiude nel 1985 e mi viene in mente che a Bologna la famosa Osteria delle Dame di Francesco Guccini, dedicata al folk e al rock, chiuse nello stesso anno (ma per fortuna ha riaperto da poco grazie alla passione di un caro amico, Andrea Bolognini). Nel Derby lavorano e si incontrano famiglie, crescono figli, si consumano amori e anche qualcosa di più pesante, si incontrano esperienze artistiche e malavitose, si continua a sentire jazz. Sono vite normali, sia ben chiaro, le interviste e i racconti lo mettono bene in luce: nulla di epico, di trascendente, di eroico, solo la capacità di vivere la vita al livello della sperimentazione.

Il Derby è un po’ come il ’68 italiano, che dura più di un solo anno, ma è sempre e solo il ’68, nel bene e nel male. E quando si dice di uno: ha fatto il ’68, state sicuri che magari, proprio nel ’68, come il sottoscrivente, stava facendo il militare. E poi, Cochi e Renato sono come tutto questo, anzi sono tutto questo. Due vite, o una vita in duo capace di essere milanesi e internazionali nello stesso tempo, classici e moderni: pensate alla loro camminata sghemba e, per esempio, alle Silly Walks di John Cleese dei Monthy Python, pensate ad alcuni modelli conclamati: Esopo, Beckett, Ionesco. “Siamo alla terza generazione. Ci sono bambini che sanno a memoria tutte le loro canzoni perché i nonni o i genitori gli hanno fatto ascoltare E la vita, la vita o La gallina”; lo dice Stelio Lacchini, il musicista che li accompagna da quasi vent’anni (p. 209). Un po’ come capita per il ’68, che ne parla e pare saperne tutto anche chi è nato dopo. Però, per dire, a Cochi e Renato rimango affezionato ancora … si sono conservati molto meglio!

Pensate (ecco che apro una ‘parente’) che col mio Geloso registrai in TV (ora lo posso ascoltare riversato su iTunes del Mac) lo sketch in cui Cochi e Renato interagivano con Paolo Villaggio a Quelli della domenica. Se ne parla a p. 173: “i tre illustrano la tragicità dei canti popolari nazionali. Canti in cui tutti, prima o poi, muoiono o si ammalano gravemente”.

Ma il libro non posso raccontarlo tutto, dovete comprarlo e leggerlo, alcune impressioni le tengo gelosamente per me. La vita di Cochi e Renato, la loro separazione, le loro singole personalità, nel cinema e nel teatro, il loro ritorno insieme: tutto questo non può essere banalizzato o reso parziale dal diario di un solo lettore. Tutti questi elementi, questi frammenti di vita devono però essere indicati come parte essenziale e sviluppata al meglio in questa “biografia aneddotica” (p. 260), forse versione scritta di quella biografia che è già nel film Saxofone (p. 309).

Perché è sicuro che Cochi e Renato fanno parte della storia umana e geniale, controversa e carsica del nostro paese. Come disse Enzo Jannacci (p. 292): “Trovai una banda di disgraziati che facevano delle cose bellissime”.

Il libro potrebbe finire con l’elenco dei 47 che “hanno parlato di Cochi e Renato” (pp. 331-338) e con “Tacchi, date e datteri”, il lungo elenco (pp. 339-360) di presenze del duo: televisive – caroselli compresi -, radiofoniche, cinematografiche, teatrali, discografiche. E poi, come da cabaret, c’è l’indice dei nomi, la vertigine dell’elenco, avrebbe detto Umberto Eco, che è presenza non rara nel libro. Si comincia con Abbatantuono, Diego e si finisce con Zavattini,Cesare. Vaste programme davvero! E poi, proprio nell’ultima pagina, gli autori ringraziano, e quindi è giusto che il lettore ringrazi gli autori.

 

Ma non è finita qui. Perché, proprio qualche giorno fa, il primo dicembre del 2019 (meglio essere precisi), mentre ancora leggevo e cominciavo a pensare alla recensione/non recensione, il libro appena uscito aveva già prodotto la sorpresa più bella, Cochi e Renato a Che tempo che fa. Sono loro, pionieri e reduci, gli stessi e felicemente diversi, normali e umani nella loro spaesata espressione di frequentatori convinti del mondo. Non ci sono gli autori del libro, che vanno ulteriormente ringraziati perché hanno davvero scritto un libro generoso, soprattutto per i loro biografati, intelligentemente.

E infatti Renato precisa subito che a p. 29 c’è un errore. Lui non è nato a Gemonio, ma a Milano. Va’ a sapere chi ha ragione. E la vita, la vita …

 

2 COMMENTS

  1. Una scheggia acuminata e profonda che graffia il mio passato un tuffo in quella Milano di bambino prima e di ragazzo poi che sembra sepolta nella memoria.
    Saranno gli inizi della senescenza?
    Mi crogiolo nella lettura.
    Grazie di cuore per la segnalazione.
    Una piccola perla da Abbatantuono a Zavattini… Un duo trasversale non solo nazional popolare.

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francesco forlani
francesco forlani
Vive a Parigi. Fondatore delle riviste internazionali Paso Doble e Sud, collaboratore dell’Atelier du Roman e Il reportage, ha pubblicato diversi libri, in francese e in italiano. Traduttore dal francese, ma anche poeta, cabarettista e performer, è stato autore e interprete di spettacoli teatrali come Do you remember revolution, Patrioska, Cave canem, Zazà et tuti l’ati sturiellet. È redattore del blog letterario Nazione Indiana e gioca nella nazionale di calcio scrittori Osvaldo Soriano Football Club, con cui sono uscite le due antologie Era l’anno dei mondiali e Racconti in bottiglia (Rizzoli/Corriere della Sera). Corrispondente e reporter, ora è direttore artistico della rivista italo-francese Focus-in. Con Andrea Inglese, Giuseppe Schillaci e Giacomo Sartori, ha fondato Le Cartel, il cui manifesto è stato pubblicato su La Revue Littéraire (Léo Scheer, novembre 2016). Conduttore radiofonico insieme a Marco Fedele del programma Cocina Clandestina, su radio GRP, come autore si definisce prepostumo. Opere pubblicate Métromorphoses, Ed. Nicolas Philippe, Parigi 2002 (diritti disponibili per l’Italia) Autoreverse, L’Ancora del Mediterraneo, Napoli 2008 (due edizioni) Blu di Prussia, Edizioni La Camera Verde, Roma Chiunque cerca chiunque, pubblicato in proprio, 2011 Il peso del Ciao, L’Arcolaio, Forlì 2012 Parigi, senza passare dal via, Laterza, Roma-Bari 2013 (due edizioni) Note per un libretto delle assenze, Edizioni Quintadicopertina La classe, Edizioni Quintadicopertina Rosso maniero, Edizioni Quintadicopertina, 2014 Il manifesto del comunista dandy, Edizioni Miraggi, Torino 2015 (riedizione) Peli, nella collana diretta dal filosofo Lucio Saviani per Fefé Editore, Roma 2017