Al merceto di Cermenate

di Pino Tripodi

 il mercato è un merceto. a cermenate il merceto è un mercato scarsamente  italico. ci sono meno italioti che a marrakesh sia tra i mercenti ma anche tra i marcanti compratori di frutti e verdure spilli e mutande calze e giacconi a riparare il freddo da questo caldo incombente e novembrino. non fa ancora freddo né lo farà ma lo dovrebbe fare e allora i poveri si apprestano ad attenderlo anche se non arriverà più. i poveri non comprano quello che non hanno, comprano quello che possono. comprano con gli occhi tumefatti da quelle mercenzie che esondano in bel vedere dalle loro capienze. vorrebbero comprare 6 banane, ma ne comprano due, una per il marito che forse sta lavorando e l’altra per il figlio maschio che prima o poi speriamo molto prima andrà a lavorare. i poveri vedono tutto, hanno famelico sguardo, ma ritrosia nell’acquistare. gli occhi marciano avanti, le mani stazionano bloccate in retroguardia, frenano quegli occhi spavaldi e gonfi dal desiderio rappreso d’acquistare a volontà. è triste il volere senz’alcuna possibilità d’acquistare. il volere senza possibilità d’acquisto è l’unico potere che manca tanto ai diseredati.

i poveri aspettano il mercoledì per uscire dalle galere. i poveri che sciamano al merceto il mercoledì non si vedono il lunedì o il martedì o giovedì venerdì sabato e domenica. non si vedono mai negli altri giorni perché i poveri non sono maschi. i maschi hanno licenza di vedersi. i poveri del merceto cermenatesco sono donne. l’unico maschio che si vede con affanno gironzolare tra le bancarelle del merceto è povero anche lui, ma  non è della medesima povertà. è un vecchietto che fruga nella sua testa cercando di capire se in quel merceto sia ormai vietato agli italioti poveri e anziani come lui qualcosa comprare. non è vietato, no, ma è come se lo fosse perché non ci sono altri italioti vicino a lui. gli italioti mercantano altrove dove la puzza della fame si vede di meno. la puzza della fame si sa è più indigesta del lardo fritto nella sugna, ma se per miracolo non si vede diviene più digeribile del brodo di zucchine tenerine.

dice il vecchietto italiota qui ci sono solo donne di marrakesh che non sa bene dove si trova sa soltanto che sono donne arabe di qualche paese forse l’egitto il marocco la tunisia no l’eritrea che conosce meglio per vicende italiote d’altri tempi. sa soltanto che ci sono solo donne scappate su licenza maritale dalla prigione familiare che si accalcano presso le bancarelle. sono scappate su licenza per un’ora dice. un’ora d’aria alla settimana neanche al 41 bis trattano così i reclusi. loro sono recluse peggio che nel 41 bis. lo dice e lo dice forte con la raucedine che scoppia nella gola. sciamano per un’ora, tonde e grasse mostrando solo l’ovale del viso perché il resto è femmina e non si deve vedere. è peccato. è peccato mostrare i capelli. è peccato uscire per più di un’ora alla settimana per fare la spesa grossa. è peccato non sfasciarsi il corpo che pesa sulle gambe più di tutta quella mercenzia stipata sui furgoni dalle ruote sgonfie. il vecchio povero e italiota dice che quelle donne sono arabe, brutte e grasse. vestite con quei copertoni a deprimere ogni forma, capaci di ammosciare ogni anelito di desiderio nel maschio che non sia il marito. invece il marito è contento che la moglie sia così sfasciata e grassa e brutta e povera e carcerata. è l’unica assicurazione contro la malvagità del male che la porta a desiderare, che è capace di rendere meretrice anche la più fedele a muhammad. la gelosia atavica e ancestrale dice le rende così recluse e non c’è nessuna legge in grado di liberarle. ci vorrebbe qualcuno povero dice con una cesoia che si mette a tagliare quelle orrende vesti. e allora pensa che quel qualcuno potrebbe essere proprio lui. lo  pensa e diventa meno triste. non ce l’ha più con le arabe che rovinano la piazza dell’una volta suo merceto cermenatesco. adesso sa cosa fare. compra con i pochi spiccioli che trova nel taschino dei pantaloni di velluto liso un paio di lunghe forbici di metallo. compra e comincia a tagliare le vesti delle recluse che urlano, urlano, si dimenano ma non tentano di bloccarlo. ha trovato le energie per tagliare tutte le vesti che trova. gliele taglia e gliele strappa da dosso, poi si mette a tagliare quelle delle bancarelle che vendono quelle orribili vesti. gli arabi che vendono se la ridono. le arabe che comprano imprecano contro il tagliatore e inseguono la tagliatrice. la tagliatrice è una ragazza appena svelata apparsa all’affrontata all’improvviso accanto all’italiota. la tagliatrice agita con forza le forbici. io non vi taglio le vesti urla. vi sforbicio l’anima. sentitela la vostra anima tagliata dalle mie forbici. ssciack. ssciack. il vecchio maschio italiota vi  taglia le vesti. io vi taglio l’anima.

le arabe dall’anima sforbiciata del merceto cermenatesco sono adesso tutte svestite e smutandate. senza indumenti si sentono strappate da ogni verità,  nude in un mondo sconosciuto. rimangono vestite solo di velo a coprire i capelli. i capelli loro sì che si salvano dalla vergogna. il resto affonda nella melma liberatoria della civiltà italiota mentre la tagliatrice, araba anche lei, viene rinchiusa per mezzo di un tso in un ospedale da cui dopotutto potrà respirare più dell’ora d’aria consentita alle sue sorelle. il tagliatore dall’animo acquietato non si sente più solo, rinchiuso nell’ospedale psichiatrico accanto alla giovane sorella apparsa all’improvviso all’affrontata dopo tre giorni, tre secoli, tre mille anni in cui tutti la davano per morta per sempre.

 

 

 

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