Il giardino di Pedro

di Nicola Fanizza

Pochi conoscono Pietro Di Giorgio, una singolare figura di architetto e di pittore, vissuto dal 1923 al 2007; eppure le sue opere furono accolte favorevolmente dalla critica in diversi Paesi dell’America latina e tutt’oggi sono oggetto di studio anche in Francia, Germania e Olanda. Ha fatto bene, pertanto, Valeria Nardulli a dedicargli un attento e documentato saggio dal titolo Il Giardino di Don Pedro, Edizioni Ideapress, 2018, pag. 109, Euro 18.

Il volume ricostruisce la sua biografia artistica – era nato a Mola – a partire dagli anni della sua formazione presso l’Istituto Tecnico per Geometri di Bari. Così veniamo a sapere che subito dopo aver conseguito il diploma di geometra, Di Giorgio si era iscritto alla facoltà di Ingegneria, ma non aveva portato a termine i suoi studi, poiché nel 1947 si era trasferito in Venezuela. Il Venezuela era allora la meta prediletta degli emigranti italiani che non potevano recarsi negli Usa. Offriva, infatti, discrete possibilità di lavoro nell’ambito delle costruzioni, poiché era investito dalle dinamiche di un sensibile sviluppo economico.

Qui si era immerso nel contesto tanto caotico quanto stimolante della Caracas del secondo dopoguerra, quella delle costruzioni avveniristiche e, insieme, dei caffè letterari, delle mostre di pittura e delle riviste d’arte.

La sua enorme curiosità lo porta a frequentare i circoli di stampo teosofico e alchemico. Gli antichi teosofi greci e orientali gli avevano insegnato che la verità risiede soprattutto dentro di noi, nei principi intellettuali e nella vita spirituale dell’anima. Il contenuto di questa verità stava a fondamento di tutte le religioni. Ed era possibile coglierlo attraverso la sapienza profonda dei grandi profeti che quelle stesse religioni avevano creato, sostenuto, diffuso. Da qui il suo sincretismo che troveremo dispiegato in tutte le sue articolazioni e declinazioni nei progetti preparatori del suo Giardino.

L’alchimia gli apparve per molti versi come l’arte dei viaggiatori, l’arte degli individui che sono in transito, l’arte della trasmutazione. L’alchimista, con il suo lavoro, cerca di produrre nel materiale su cui sta operando, la Materia Prima, una serie successiva di mutamenti per condurlo da uno stato grezzo a uno stato perfetto e incorruttibile. La sua bottega diventò così un laboratorio alchemico, dove si esercitava nella rappresentazione delle forme e soprattutto nell’uso dei colori, rendendoli adatti alle sfumature.

La pittura per Di Giorgio assume ben presto un valore esistenziale. Lo aiuta a mettere a fuoco le sue visioni ad occhi chiusi, lo aiuta a far sì che nella sua anima affiorino colori e forme, lo aiuta, insomma, a pensare con le immagini. Nello stesso tempo controlla la sua effervescenza magmatica senza soffocarla e senza lasciarla cadere in un confuso e labile fantasticare, permettendo così alle immagini di cristallizzarsi in una forma ben definita.

Con il nome d’arte di Don Pedro, Di Giorgio intraprende così la sua carriera pittorica, presentando le sue opere in diverse mostre che si tennero in diversi paesi dell’America latina. I suoi quadri danno allo spettatore la sensazione di sentirsi incluso nello spazio della rappresentazione. Cosa che avviene tramite alcuni accorgimenti, quali i diversi punti di fuga o la linea dell’orizzonte alta. L’ambiente così sembra avvolgente. Tutto ciò avviene in ossequio all’immaginario alchemico, che postula per l’appunto l’intima interazione tra macrocosmo e microcosmo umano. Lo spazio è pertanto tutt’altro che chiuso e finito, anzi spesso nei suoi dipinti si aprono finestre che fanno intravedere un paesaggio lontano, come un’apertura verso l’infinito.

Nel frattempo Don Pedro conosce gli architetti Carlos Raul Villanueva e Felix Candela. Villanueva, con cui collabora alla realizzazione della Città Universitaria di Caracas, gli insegna la necessità di promuovere l’integrazione fra arte e architettura. A sua volta, Candela – il progettista degli umbrellas (paraboloidi) – lo invita a valorizzare gli elementi tradizionali dell’architettura dei diversi Paesi.

L’interesse per le diverse culture e in particolare per le civiltà precolombiane lo spinge a visitare il Messico. I materiali mitici qui raccolti gli serviranno in seguito nell’approntamento della sua opera più importante: Il Giardino di Pietra.

Passeranno, però, diversi anni, prima che Don Pedro possa utilizzarli. Solo nel 1981, quattro anni dopo il suo rientro in Italia, Don Pedro ottenne dall’Amministrazione comunale di Mola l’incarico di progettare e realizzare un giardino pubblico. Il suo obiettivo era palese: coniugare le tradizionali forme e tecniche costruttive presenti nel Mezzogiorno con gli stilemi dell’architettura dell’America centrale.

Il libro della Nardulli è incentrato proprio sulla sua ultima avventura architettonica. Il volume si articola in due parti: nella prima vengono individuate le motivazioni che hanno ispirato la sua opera; nella seconda, invece, vengono analizzate le tavole dei progetti rimasti incompiuti.

Benchè scelga di non relazionarsi con la sterminata letteratura sulla storia del giardino, la Nardulli avverte comunque l’esigenza di individuare la genealogia del giardino e le tappe fondamentali nella sua evoluzione.

Don Perdo – asserisce la Nardulli – «rifugge dall’idea di un giardino fortemente antropizzato». Il suo è un giardino di «pietra», un giardino che ricoprendosi di licheni diventa «oggetto vegetale vivente».

I quattro elementi empedoclei che stanno a fondamento dell’universo – aria, terra, acqua e fuoco – vengono rappresentati mediante figure geometriche (triangoli), che hanno una valenza simbolica. Trovano, infatti, il loro punto di ancoraggio nel Timeo di Platone.

Il Murale – l’opera più rilevante – è collocato nella parte sud del giardino ed è costellata dagli archetipi delle diverse religioni. Il suo sincretismo di stampo teosofico si dà giustapponendo alle immagini inerenti al Cristianesimo i simboli delle altre religioni. Il suo è un ecumenismo che mira a sensibilizzare i fruitori del giardino all’incontro con le altre religioni e con le altre culture. Il legame fra le diverse civiltà – egizia, mesopotamica, indù, maya, mixteca – viene esplicitato a livello simbolico, veicolando sulla parete un «filo blu di smalto».

L’immagine che più delle altre viene rappresentata sulle pareti del giardino è quella di Quetzalcoatl, il serpente alato. L’interesse di Don Pedro nei suoi confronti dipende probabilmente dal fatto che nella mitologia azteca Quetzalcoatl – il dio dei gemelli – appare, con la sua duplicità, come protagonista di alcune metamorfosi, che hanno una notevole inflessione alchemica. Sono proprio le sue metamorfosi, con il suo sacrificio, a consentirgli di mettere al mondo l’uomo.

Non è un caso che lo stesso Don Pedro nei suoi appunti affermi che «Sul piano simbolico Quetzalcoatl è l’uomo che non è più legato alla terra, dove ha strisciato come serpente … si alza verso il cielo, quale uccello, con la potenza del suo spirito con il coraggio del suo sacrificio».

La dimensione sacrificale presente nella parabola di Quetzalcoatl e, insieme, la sua apertura nei confronti dell’altro da sé viene colta acutamente dalla Nardulli quando afferma che Quetzalcoatl a livello simbolico non è solo un «portatore di civiltà (una sorta di Prometeo), ma anche il primo maestro spirituale», che aveva invitato gli uomini a «bruciare le radici dell’Ego».

Don Pedro legge il mito di Quetzalcoatl con le lenti del Cristianesimo. Il suo sacrificio e quello del Cristo hanno per lui la stessa valenza simbolica e diventano a loro volta comprensibili attraverso il grande vetro della teosofia. Il mito di Quetzalcoatl è un portatore di senso, rimanda all’esigenza di coniugare la trascendenza con l’immanenza

La scorsa estate, dopo aver letto il bel libro di Valeria Nardulli, ho visitato verso l’imbrunire il giardino di Don Pedro. La salsedine dardeggiata dal sole si era rappresa sulle piante e i fiori, curati dal custode Martino. Quest’ultimo ce la mette tutta per estirpare la gramigna che sta infestando il terreno e non può porre certo rimedio allo sgretolarsi delle pareti. Tutto ciò va a detrimento dei colori che stanno perdendo la loro originale brillantezza. Di fatto il lavoro della Nardulli doveva servire proprio per salvaguardare ciò che resta dell’opera di Don Pedro. Solo il tempo ci dirà se la sua fatica è stata vana. Chissà? Quando sono uscito, nel cielo stavano sbocciando le stelle d’Oriente!

Il Giardino di Don Pedro, sulla scorta dell’esegesi di Dante Alighieri, non è sbarrato; e soprattutto, non v’è alcuna traccia del Cherubino con la spada infuocata a sorvegliarlo; non è concepito come un passato perduto, né come un futuro a venire, bensì come simbolo di una comunità sempre attuale.

5 COMMENTS

  1. “BENI CULTURALI” E SOCIETA’: IL “PARADISO TERRESTRE”, UN PROGRAMMA “SEMPRE ATTUALE”!

    […] nel 1981, quattro anni dopo il suo rientro in Italia, Don Pedro ottenne dall’Amministrazione comunale di Mola l’incarico di progettare e realizzare un GIARDINO PUBBLICO. Il suo obiettivo era palese: coniugare le tradizionali forme e tecniche costruttive presenti nel Mezzogiorno con gli stilemi dell’architettura dell’America centrale.
    Il libro della Nardulli è incentrato proprio sulla sua ultima avventura architettonica. […] il lavoro della Nardulli doveva servire proprio per salvaguardare ciò che resta dell’opera di Don Pedro. Solo il tempo ci dirà se la sua fatica è stata vana. Chissà? […]

    IL PARADISO TERRESTRE, UN PROGRAMMA (http://lavocedifiore.org/SPIP/article.php3?id_article=5726):
    “Il Giardino di Don Pedro, sulla scorta dell’esegesi di Dante Alighieri, non è sbarrato; e soprattutto, non v’è alcuna traccia del Cherubino con la spada infuocata a sorvegliarlo; non è concepito come un passato perduto, né come un futuro a venire, bensì come simbolo di una comunità sempre attuale”!!!

    Federico La Sala

  2. DOC. 1 – MEDITERRANEO: BARI SEDE PRIVILEGIATA DI DIALOGO (*): PER LE ISTITUZIONI DI MOLA DI BARI, UN’OCCASIONE PER RIFLETTERE SUL SENSO DELLO SPIRITO DEL “GIARDINO DI PEDRO”…

    (*). Verso Bari 2020. «Bari, ponte di pace per il Mediterraneo. Sui passi di san Nicola»

    Parla l’arcivescovo di Bari-Bitonto, Cacucci, padrone di casa all’Incontro dei vescovi del Mediterraneo sulla pace. Tutto pronto per la visita del Papa il 23 febbraio. «La nostra è terra di dialogo»

    di Giacomo Gambassi *

    C’è una frase che l’arcivescovo di Bari-Bitonto, Francesco Cacucci, ama ripetere per descrivere la vocazione della sua terra. È quella che gli aveva affidato papa Wojtyla durante una visita ad limina dei vescovi della regione. «Giovanni Paolo II si rivolge a me dicendo: “Dovete guardare al Mediterraneo e all’Africa”. Ecco, in un’espressione dal sapore profetico il Pontefice santo ha condensato ciò a cui siamo chiamati. Bari è tenuta a essere ponte fra le sponde del grande mare: in particolare fra Oriente e Occidente, come lo è stato e lo è ancora il nostro patrono san Nicola». Una pausa. «In quest’ottica va letto l’incontro per la pace in Medio Oriente voluto il 7 luglio 2018 da papa Francesco con i capi delle Chiese e delle comunità cristiane della regione – afferma l’arcivescovo -. E adesso l’Incontro “Mediterraneo, frontiera di pace” promosso dalla Cei».

    L’Incontro “Mediterraneo, frontiera di pace” promosso dalla Cei è una sorta di Sinodo del Mediterraneo che porterà a Bari dal 19 al 23 febbraio cinquantotto vescovi delle Chiese affacciate sul grande mare in rappresentanza di tre continenti (Europa, Asia e Africa). Sarà concluso da papa Francesco. Sui passi del “profeta di pace” Giorgio La Pira, i vescovi si confronteranno per indicare percorsi concreti di riconciliazione e fraternità fra i popoli in un’area segnata da guerre, persecuzioni, emigrazioni, sperequazioni
    Mancano dieci giorni all’inizio di quello che il cardinale Gualtiero Bassetti ha definito “una sorta di Sinodo sul Mediterraneo” che dal 19 al 23 febbraio porterà nel capoluogo pugliese cinquantotto vescovi in rappresentanza di venti Paesi affacciati sul grande mare e di tre continenti (Europa, Asia e Africa). «Non ho proposto io Bari per questo evento – confida Cacucci -. È stato il cardinale Bassetti con il Consiglio permanente della Cei a indicare la nostra città. E come Chiesa locale abbiamo accolto con gioia la richiesta, ben sapendo che sono parte del nostro dna l’accoglienza, il dialogo, la cultura dell’incontro». L’arcidiocesi è in prima linea nell’organizzazione dell’iniziativa internazionale.
    – Il Castello svevo accoglierà le tre giornate “sinodali” di confronto (a porte chiuse) fra i vescovi. La Basilica di San Nicola e la Cattedrale faranno da cornice alle Messe quotidiane. Le parrocchie ospiteranno venerdì sera i singoli pastori. Il teatro Petruzzelli sarà lo sfondo dell’evento pubblico di sabato pomeriggio. Poi domenica arriverà papa Francesco che sarà a Bari per la seconda volta in due anni e che nella Basilica di San Nicola dialogherà con i vescovi, prima di presiedere la Messa in corso Vittorio Emanuele.

    Eccellenza, l’Incontro giunge mentre il Mediterraneo torna a infiammarsi.

    È vero, siamo di fronte a un disordine mondiale in cui gruppi etnici e formazioni militari scatenano conflitti sempre nuovi. Tutto ciò ha ripercussioni intorno al grande mare. Per questo l’iniziativa Cei si colloca in un momento dolorosamente provvidenziale per ciò che si sta verificando nel Mediterraneo. Se il bacino può essere considerato un «grande lago di Tiberiade», come lo definiva Giorgio La Pira, resta ancora oggi un luogo di morte. Pertanto dai vescovi che prenderanno parte alle giornate baresi non potrà che levarsi un’invocazione alla pace. Come del resto aveva fatto da qui, dal sagrato della Basilica di San Nicola, papa Francesco il 7 luglio 2018 quando aveva spiegato che la pace «va coltivata anche nei terreni aridi delle contrapposizioni perché oggi, malgrado tutto, non c’è alternativa possibile alla pace». Un’indicazione che troverà il suo sviluppo nell’imminente evento ecclesiale.

    Bari si conferma sede privilegiata di dialogo.

    Certo, a partire da san Nicola, uno dei santi più venerati nel mondo che collega Oriente e Occidente. Prima dell’incontro del 2018, il Papa aveva deciso che una reliquia del santo fosse traslata a Mosca e a San Pietroburgo. Un avvenimento straordinario, come ha sottolineato il patriarca Kirill, dal grande impatto ecumenico. Poi l’appuntamento per la pace nel Medio Oriente con il Pontefice. E adesso l’Incontro dei vescovi del Mediterraneo. In questo caso i protagonisti saranno i pastori cattolici che si ascolteranno a vicenda e poi consegneranno le loro osservazioni al Papa alla presenza dei vescovi italiani, invitati alle ultime due giornate.

    Quale contributo alla pace dalle Chiese del bacino?

    È proprio della nostra fede l’impegno per la pace. Di fronte agli odierni conflitti che costituiscono una «terza guerra mondiale a pezzi» secondo quanto detto dal Papa, come cristiani siamo chiamati ad annunciare al mondo che ogni uomo e ogni donna fa parte dell’unica famiglia umana. È questo il fondamento della fraternità. Il che significa prendere atto che esista un destino comune fra i popoli. Una visione rifluita nel Concilio come testimonia la Gaudium et spes la quale ci ricorda che la pace «non è mai qualcosa di stabilmente raggiunto ma un edificio da costruirsi continuamente».
    – Comunque già Giovanni XXIII, nell’enciclica Pacem in terris, evidenziava che l’urgenza di avere artigiani di pace. Ecco, nell’Incontro sul Mediterraneo entrerà tutto questo, consapevoli che i vescovi non giocano un ruolo politico ma intendono farsi apostoli di riconciliazione. Da Bari, quindi, non dobbiamo attendersi risultati politici. Va aggiunto che il cammino verso la pace richiede anche un cambio di mentalità. Ad esempio, la globalizzazione non va vista come pretesto per fomentare le paure ma come occasione per essere fratelli nella diversità.

    L’Occidente e le grandi potenze agiscono ancora nel Mediterraneo per interesse particolare?

    Negli ultimi due secoli è stato il Mediterraneo “coloniale” al centro delle preoccupazioni mondiali. Paradossalmente la creazione della Comunità europea ha spostato l’asse distante da questo mare. E ciò ha avuto l’effetto di allontanare le sponde, contribuendo ad alimentare il demone della paura. Di fatto l’Occidente non ha favorito il protagonismo del Medio Oriente o del Nord Africa. Così la riflessione dei vescovi intende aiutare anche l’Europa a ritrovare le sue radici che sono di per sé mediterranee.

    A Bari papa Francesco aveva lanciato l’allarme sul rischio della scomparsa della presenza cristiana in alcuni angoli dell’area.

    Tutti constatiamo che le persecuzioni verso i cristiani si sono intensificate. Non dimentichiamo che, anche solo guardando agli ultimi decenni, sono moltissimi i cristiani che hanno dato la vita per promuovere nel nome del Vangelo la convivenza pacifica fra i popoli in contesti segnati dalle guerre e dagli odi. Vorrei citare per tutti don Andrea Santoro ucciso in Turchia nel 2006. Ma siamo davvero consci che questa presenza abbia un ruolo profetico? O, come ammonisce il Papa, non c’è una congiura del silenzio?

    Anche il tema dei migranti entrerà nell’agenda dei vescovi?

    I processi di mobilità hanno accresciuto l’osmosi fra i popoli. Però da alcuni decenni il fenomeno migratorio ha subìto un’accelerazione a causa delle violenze e delle guerre ma anche della povertà generata da gravi ingiustizie e prevaricazioni. Tali processi hanno un inevitabile impatto sul dialogo fra le religioni e fra le confessioni cristiane ma anche sulla nostra identità di credenti. Se è vero che le migrazioni sono la conseguenza di un’assenza di pace, allora la questione non può non interrogare i vescovi. E anche tutti noi che siamo invitati a un’autentica testimonianza evangelica in grado di superare ogni sorta di egoismo.

    Cacucci, dal 1999 arcivescovo di Bari-Bitonto

    Ha 76 anni Francesco Cacucci, arcivescovo di Bari-Bitonto e delegato pontificio per la Basilica di San Nicola a Bari. Nato nel capoluogo pugliese, è sacerdote dal 1966. È laureato in teologia alla Pontificia Università Gregoriana e in scienze politiche all’Università di Bari. Nel 1987 viene nominato ausiliare di Bari-Bitonto e ordinato vescovo. Nel 1993 il Papa lo trasferisce alla sede arcivescovile di Otranto fino al 1999 quando torna come pastore nella sua Chiesa d’origine.

    * Fonte: Avvenire, sabato 8 febbraio 2020 ( https://www.avvenire.it/chiesa/pagine/incontro-vescovi-mediterraneo-cacucci-arcivescovo-bari-papa ) .

  3. Doc. 2 – BARI 2020: IL SINODO DEI VESCOVI A PORTE CHIUSE E LA MEMORIA DEL “PARADISO TERRESTRE” (DANTE 2021). Una sollecitazione ad aprire le porte e … recarsi a MOLA DI BARI, per visitare “Il giardino di Pedro”. Note … *

    __________________________________________________________

    Mediterraneo, frontiera di pace. Le cose da sapere sull’incontro di Bari

    Dal 19 al 23 febbraio l’evento per la pace. Cinque giornate di dialogo. Cinquantotto fra cardinali, patriarchi e vescovi che arriveranno in Puglia. Venti i Paesi rappresentati

    di Giacomo Gambassi, inviato a Bari (Avvenire, mercoledì 12 febbraio 2020: https://www.avvenire.it/chiesa/pagine/bari-mediterraneo)

    [Foto] Il cardinale Gualtiero Bassetti mentre presenta l’Incontro “Mediterraneo, frontiera di pace”

    Cinque giornate di dialogo. Cinquantotto fra cardinali, patriarchi e vescovi che arriveranno in Puglia. Venti i Paesi rappresentati. Tre i continenti che idealmente si abbracceranno: Europa, Asia e Africa. Ecco in numeri l’Incontro “Mediterraneo, frontiera di pace”, il grande forum ecclesiale voluto dalla Cei che per la prima volta riunisce i vescovi degli Stati affacciati sul grande mare e che sarà concluso da papa Francesco. -Le cifre non dicono tutto, ma raccontano la scommessa di un’iniziativa che si terrà dal 19 al 23 febbraio e che avrà come cornice Bari, la città “ponte” fra Oriente e Occidente come testimonia «la venerazione senza confini del suo patrono san Nicola» o la scelta del Pontefice di tenere nel luglio 2018 all’ombra del Castello svevo l’incontro per la pace in Medio Oriente con i capi delle comunità cristiane della regione, spiega l’arcivescovo di Bari-Bitonto, Francesco Carucci.

    Adesso lo sguardo si allarga all’intero Mediterraneo chiamando a un supplemento d’anima le Chiese. È l’urgenza della pace l’orizzonte di un evento che invita a una nuova responsabilità il mondo cattolico. Non un convegno o un seminario accademico ma un «incontro di fraternità dallo stile sinodale che vuole aiutare le comunità ecclesiali a camminare sempre più insieme», spiega il presidente della Cei, il cardinale Gualtiero Bassetti, durante la conferenza stampa di presentazione a Roma moderata dal direttore dell’Ufficio nazionale per le comunicazioni sociali, Vincenzo Corrado.
    – Nel 2018 era stato proprio Bassetti a lanciare l’idea dell’evento «rileggendo i Colloqui mediterranei promossi da Giorgio La Pira circa sessant’anni fa», racconta il cardinale le cui radici affondano nella Firenze del sindaco “santo”.
    – «Se La Pira aveva coinvolto l’ambito politico – dice Bassetti – io mi sono chiesto: perché anche i vescovi non possono mobilitarsi di fronte ai drammi delle proprie genti? Del resto la Chiesa non ha altro scopo che servire l’uomo. E ciò implica anche affrontare i problemi che le nostre comunità vivono». Tutto l’episcopato italiano ha sposato il percorso: ecco perché i pastori della Penisola saranno a Bari nelle ultime due giornate.

    Due i temi di cui discuteranno i vescovi del bacino: l’annuncio del Vangelo, a cominciare dai giovani; e il dialogo fra Chiese e società. «Di fatto come pastori ci siamo posti una domanda: che cosa Dio vuole oggi dal Mediterraneo? E l’incontro sarà un’occasione di discernimento», chiarisce il vescovo di Acireale, Antonino Raspanti, vice-presidente della Cei e coordinatore del comitato organizzatore.
    – A fare da sfondo al confronto le guerre che ancora insanguinano l’area (dal conflitto israelo-palestinese a quelli in Siria, Iraq o Libia); le nuove tensioni che scuotono la regione; le ferite ancora aperte delle guerre che dai Balcani al Libano hanno segnato gli ultimi decenni; la povertà; le disuguaglianze fra la sponda nord e quella sud; le politiche di sfruttamento da parte dei grandi del pianeta; la complessa convivenza fra le fedi; le persecuzioni delle minoranze religiose, soprattutto cristiane; il dramma delle migrazioni.
    – «La questione della pace – dice Raspanti – non è disgiunta dagli squilibri sociali che qui si registrano. E anche lo stesso tema delle migrazioni sarà visto secondo prospettive diverse. Penso al grido che alcuni vescovi delegati hanno già lanciato chiedendo di aiutare i loro Paesi a non lasciare fuggire i cristiani».

    Lo stile dell’incontro è mutuato dal Sinodo dei vescovi. Non solo nei due anni di preparazione sono stati coinvolti gli episcopati del Mediterraneo che hanno contribuito a elaborare una bozza di lavoro, ma soprattutto le giornate di Bari saranno nel segno dell’ascolto e del dialogo fra i vescovi.
    – «Ore e ore di discussione», annuncia Raspanti. Dal confronto scaturirà il documento che sarà approvato dai presuli e che domenica mattina verrà consegnato al Pontefice durante il suo incontro con i vescovi nella Basilica di San Nicola.
    – «Il Papa che condivide a pieno il nostro incontro – dice Bassetti – ci ha chiesto proposte concrete che vadano oltre le lamentele». Il dialogo fra il Pontefice e i pastori della regione rappresenterà l’appuntamento centrale di Bari, che verrà aperto dal saluto di Bassetti e dalle testimonianze del cardinale Vinko Puljic, arcivescovo di Sarajevo e presidente della Conferenza episcopale di Bosnia ed Erzegovina, e dell’arcivescovo Pierbattista Pizzaballa, amministratore apostolico del patriarcato latino di Gerusalemme, e che si chiuderà con l’intervento dell’arcivescovo di Algeri, il gesuita Paul Desfarges, presidente della Conferenza episcopale regionale del Nord Africa. Momento concluso dell’evento sarà la Messa presieduta da Francesco alle 10.45 nel cuore di Bari.

    L’incontro dei vescovi si porterà dietro anche un segno concreto di attenzione a tutto il Mediterraneo.
    – «Si tratterà di borse di studio per giovani delle diverse sponde con lo scopo di formare una nuova classe dirigente», annuncia Bassetti. Il progetto avrà come guida la Caritas italiana e vedrà il coinvolgimento di Rondine-Cittadella della pace, il laboratorio della riconciliazione alle porte di Arezzo che fa studiare i giovani provenienti dai Paesi in guerra fianco a fianco con il loro “nemico”.

    I lavori “sinodali” dei vescovi saranno a porte chiuse ma ogni giorno è previsto un briefing con la stampa. Guai comunque a pensare che le giornate siano blindate. Sono previste infatti Messe e momenti di preghiera aperti a tutti; venerdì sera ogni pastore delegato sarà ospite di una parrocchia; poi sabato pomeriggio, a partire dalle 15.30, al teatro Petruzzelli si terrà l’incontro di testimonianze con voci e volti da tutto il Mediterraneo e gli interventi dei vescovi e di esperti di geopolitica.
    – Intanto si immagina già il “dopo Bari”. «Non ritengo che tutto si possa concludere in Puglia – avverte il presidente della Cei -. È possibile che si creino tavoli di lavoro tematici che permetteranno ai vescovi di incontrarsi di nuovo. Del resto la sfida è far riscoprire la vocazione propria del nostro grande mare: una vocazione alla pace e all’incontro».

    ____________________________________________________________________
    * Note sul tema:

    UOMINI E DONNE. LA NUOVA ALLEANZA di “Maria” e di “Giuseppe”!!! AL DI LA’ DELL’ “EDIPO”, L’ “AMORE CONOSCITIVO”. SULL’USCITA DALLO STATO DI MINORITA’, OGGI (http://www.lavocedifiore.org/SPIP/article.php3?id_article=985)

    DAL “CHE COSA” AL “CHI”: NUOVA ERMENEUTICA E NUOVO PRINCIPIO DI “CARITÀ”! DELLA TERRA, IL BRILLANTE COLORE ( http://www.lavocedifiore.org/SPIP/article.php3?id_article=5728 )

    CREATIVITÀ: KANT E LA CRITICA DELLA SOCIETÀ DELL’UOMO A “UNA” DIMENSIONE. Una sollecitazione a svegliarsi dal sonno dogmatico (http://www.lavocedifiore.org/SPIP/article.php3?id_article=4977)

    GUARIRE LA NOSTRA TERRA: VERITÀ E RICONCILIAZIONE. Lettera aperta a Israele (già inviata a Karol Wojtyla) sulla necessità di “pensare un altro Abramo” ( http://www.lavocedifiore.org/SPIP/article.php3?id_article=5269 )

    Federico La Sala

  4. DOC. 3 – STORIA E MEMORIA: MOLA DI BARI E LA RINASCENZA MEDITERRANEA

    ITALIA. CULTURA E SOCIETA’ NELLA PUGLIA DELL’ETA’ GIOLITTIANA…
    PIERO DELFINO PESCE (1874-1939), LA RINASCENZA MEDITERRANEA, E LA BATTAGLIA CONTRO LA PRIVATIZZAZIONE DELL’ACQUA. Alcune pagine dal lavoro di Nicola Fanizza sull’intellettuale repubblicano di Mola di Bari e sulla cultura meridionale del primo Novecento (cfr. http://www.lavocedifiore.org/SPIP/article.php3?id_article=5205)

    Federico La Sala

Comments are closed.

articoli correlati

Lo spazio duale

di Nicola Fanizza ( il libro di Waldemaro Morgese verrà presentato alla Spazio Milano, viale Montenere 6, il 31 ottobre...

La malinconia del meriggio

di Nicola Fanizza Caterina si recava tutti i giorni a casa di mia madre Teresa. Aveva più di ottant’anni. Era...

Augusto Agabiti: un intellettuale del primo novecento

di Nicola Fanizza Non so quanti ricordino Augusto Agabiti, una singolare figura di intellettuale marchigiano; e quanti – meno ancora,...

L’enigma di Sasso di Castalda

di Nicola Fanizza L’ombra della Montagna Sacra cominciò ad abitare nei mei pensieri sin da quando frequentavo la scuola elementare....

Intelligenze nomadi

di Nicola Fanizza Verso la fine del mese di luglio, sono tornato nel paese che mi ha visto nascere. Avevo...

Infanzia salentina

di Nicola Fanizza ( pubblico un estratto del libro di Nicola Fanizza Maddalena Santoro e Arnaldo Mussolini, edizioni del Sud, 2016,...