Bione di Flossa di Smirne – Epitafio di Adone

trad. di Daniele Ventre

Ahi per Adone io grido: “È morto lo splendido Adone”.
“Morto lo splendido Adone”, riecheggiano il grido gli Amori.
Cipride sopra lenzuola di porpora non riposare:
svegliati, misera te, con la nera veste e sul petto
battiti e dillo fra tutti: “È morto lo splendido Adone”.
Ahi per Adone io grido, riecheggiano il grido gli Amori.
Giace lo splendido Adone sui monti ferito da zanna,
candida zanna nel fianco suo candido e affligge anche Cipri,
tanto sottile ha il respiro: il suo nero sangue gli scorre
sopra le carni di neve e sotto le ciglia i suoi occhi
cedono, dalle sue labbra la rosa svanisce e su quelle
viene morendo anche il bacio, che no, non avrà mai più Cipri.
Anche se non è più vivo, a Cipride piace quel bacio,
e però Adone non sa che lei lo baciò nella morte.
Ahi per Adone io grido, riecheggiano il grido gli Amori.
Una terribile piaga, terribile, Adone ha nel fianco,
ma nel suo cuore la dea di Citera ha piaga più grande.
Si lamentavano intorno al giovane i cani fedeli,
anche le ninfe montane lo piangono: intanto Afrodite,
lei che le trecce s’è sciolta, in mezzo ai cespugli s’aggira,
lugubre, chiome neglette e scalza e frattanto i roveti,
mentre cammina, la graffiano e spillano il sacro suo sangue;
con un acuto lamento per gole profonde si inoltra,
grida per lui, per lo sposo di Siria, e lo chiama il suo bimbo.
Livido sangue però gli scorreva sull’ombelico,
fin dalle cosce era rosso il petto, di porpora rosso
era anche il petto di Adone, già candido come la neve.
“Ahi per la dea di Citerea”, riecheggiano il grido gli Amori.
Morto lo splendido sposo, è morta la forma divina.
Chiara bellezza ebbe Cipri, fin tanto che Adone era vivo:
Ma con Adone morì la bellezza. “Ahi ahi, dea di Cipro!”
Dicono tutte le vette e le querce, “Ahimè per Adone!”
E di Afrodite i dolori li piangono i fiumi, anche loro,
lacrimano per Adone perfino le polle sui monti,
per il dolore anche i fiori si arrossano; lei, Citerea,
leva lamento per tutte le balze e per tutte le forre,
ahi per la dea di Citera, è morto lo splendido Adone.
Eco in risposta gridò: “È morto lo splendido Adone”.
Chi col suo “ahi ahi” non compianse il feroce amore di Cipri?
Come intuì, come vide la piaga insanata di Adone,
come guardò rosso il sangue colargli alla coscia ferita,
se lo cullò fra le braccia e gridò: “Ah, Adone, rimani!
Misero Adone, rimani, che l’ultima volta io ti prenda,
e nel mio abbraccio io ti tenga e unisca alle labbra le labbra!
Svegliati, Adone, un istante, e donami l’ultimo bacio,
baciami per un momento, per quanto può vivere un bacio,
fino a che fra le mie labbra tu spiri e fin dentro il mio cuore
il tuo respiro discenda, io succhi il tuo filtro soave,
beva l’amore da te, che lo serbi io questo tuo bacio,
come te stesso, te, Adone, poiché tu, infelice, vai via,
tu te ne vai via lontano e discendi nell’Acheronte,
presso un sovrano spietato, terribile, mentre io, l’afflitta,
resto qui a vivere e sono una dea e non posso seguirti!
Tu mi rapisci lo sposo, Persèfone: già, tu lo sei,
molto più forte di me, ogni cosa bella a te corre:
io sono misera in tutto e soffro infinito tormento,
piango così per Adone che è morto e di te io ho paura.
Muori, o tre volte bramato, la brama è su me come un sogno,
vedova è ormai Citerea, sono soli in casa gli Amori.
Muore il mio cinto con te. Perché vai a caccia, tu, audace?
Tu che sei tanto gentile, hai osato affrontare una belva?”
Cipri gemeva così: riecheggiano il grido gli Amori.
Ahi per la dea di Citera, è morto lo splendido Adone!
Tante ne versa la Pafia di lacrime, quanto il suo Adone
versa di sangue e le gocce in terra diventano fiori:
rosa da sangue e così da lacrime anemone nasce.
Ahi per Adone io grido, è morto lo splendido Adone.
No, fra i cespugli lo sposo non devi più piangerlo, Cipri.
No, non è degno di Adone un solingo letto di foglie:
Dea di Citera, anche adesso che è morto, abbia Adone il tuo letto!
Bello è perfino da morto, un bel morto, quasi che dorma.
Stendilo sulle lenzuola tue morbide, dove dormiva,
dove con te nella notte in un sacro sonno giaceva,
sopra quel talamo d’oro: desidera Adone anche spento.
Gettagli intorno corone di fiori: e sia tutto con lui,
ora che lui è finito, con lui tutti muoiano i fiori.
Versagli sopra gli unguenti siriaci, versa profumi:
muoiano tutti i profumi, è morto il profumo tuo Adone.
Giace disteso su teli di porpora il tenero Adone
e lo lamentano e in pianto si effondono intorno gli Amori
e per Adone la chioma recidono: chi le sue frecce
getta su lui, chi il suo arco, chi l’ala e chi poi la faretra;
e chi poi libera Adone dei sandali, chi nel lebete
d’oro gli viene portando dell’acqua e chi lava il suo fianco,
chi nel frattempo con l’ala alle spalle ventila Adone.
“Ahi per la dea di Citera”, riecheggiano il grido gli Amori.
Presso gli stipiti tutte le fiaccole ha spente Imeneo,
via ha gettato anche il serto nuziale e non più, non “Imene”,
no, non “Imene”, il suo canto più modula, no, ma ricanta
“Ahi, ahi, ahimè”, e “oh, Adone”, più ancora che non “Imeneo”.
E per il figlio di Cinira effondono pianto le Grazie,
“Morto lo splendido Adone”, si dicono l’una con l’altra.
“Ahi”, esse gridano acuto, più ancora che non “o Peana”!
E per Adone perfino le Moire cantavano: “Adone”,
e riecheggiavano il canto: ed egli però non le sente;
non che non voglia, non già, ma è Kore che non lo rilascia.
Dea di Citera, oggi smettili i gemiti, frena i lamenti:
legge è che ancora tu pianga, che lacrimi ancora un altr’anno.

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Daniele Ventre (Napoli, 19 maggio 1974) insegna lingue classiche nei licei ed è autore di una traduzione isometra dell'Iliade, pubblicata nel 2010 per i tipi della casa editrice Mesogea (Messina).