Passaggi
di Gabriella Fuschini
E fu così che ci ritrovammo a osservare il dolore emergere,
tangibile quasi solido, tale da poterlo toccare fino a sentire
male nelle ossa e nel cuore, per quella strana forma nota
a noi sofferenti che affondiamo mani nel pantano della vita
cercando una spiegazione sufficientemente soddisfacente
al senso del nostro stare, come prestigiatori inesperti sul filo.
E con quale meraviglia ci accorgemmo che era possibile
penetrare nella sostanza densa delle nostre paure, scostando
il velo per mettere a fuoco la visione celata per lungo tempo
e constatare che, superato il terrore iniziale, si poteva andare,
varcare la soglia immergendosi nelle acque melmose, antiche
e attraversatele, uscirne indenni seppur provati da tale sforzo.
E ancora, ci guardammo negli occhi per vedere la nera bestia
riflessa nell’altro riconoscendo parti proprie occultate ad arte,
insieme respirammo dell’unico respiro nel silenzio già denso
del nostro sentire e impugnammo le spade per reciderle la testa,
la cui caduta provocò lo strappo necessario a trovare il coraggio
per seppellire i fantasmi e provare a vivere, senza subire l’orrore.
Comments are closed.
Gabriella, piantala:-)
sei sempre qui povero, clonato in mille idioti, ma non ce la fai a girare al largo
ci fu un tempo , dopo le grandi lotte degli anni settanta, in cui il noi fu bandito, dicevano, per sempre. Il riflusso voleva la prima persona, ed anche gli psicoanalisti, al massimo la terza. Pino Tripodi, il compagno, mi disse camminando che solo la poesia poteva reinventare il linguaggio della politica. Il noi evocato dalla poesia di Gieffe mi sembra un augurio importante per il futuro
effeffe
rut
un po’ di bicarbonato?
Che bello poterle incontrare ancora queste parole e queste emozioni.
Davvero non servono sole ed erba e neppure una voce felice.
Francesca
Parole.. che come alito di vento, mi portano l’eco di ciò che avrei voluto dire…Grazie Gabriella.
Al padre dell’idiota. Talis filius, talis pater.
distinto trentenne single emancipato sessualmente attivo conoscerebbe logorroici ipodotati scopo amicizia
Mi sorprende che su Nazziune Indiana non si commenti la poesia “Franza o Spagna” di Vincenzo Maria Ostuni e Basile Pesaro Borgna, un omaggio a Tiziano Scarpa e al lavoro critico di Carla Benedetti che è perfino commovente! Anzi, mi stupisce che non l’abbiano postata qui sopra. Oppure l’hanno fatto ma l’inqualificabile censore “Raus” si è arrogato il diritto di vietarla nel territorio della Nazziune?
angelini, conosciamoci meglio. mi dica, per esempio : le piacciono gli skunk anansie?
raos, lo sa che lei ha gli stessi gusti di serena dandini?
la gabriella è presente anche sul sito di lello con altre composizioni
allez compagni il tempo della vita è breve e se viviamoè per calpestare i re e chi rutta da solo è socialista
effeffe
http://www.absolutepoetry.org/
non capisco questa poesia di gabriella fuschini, ma sostanzialmente non mi piace.
anzi, non mi piace perchè non la capisco, perchè non vuole farsi capire.
e perché usa formulazioni come “male nelle ossa e nel cuore” e “la nera bestia”.
non mi piace anche perché, benché vada sovente a capo, la fuschini non ha un vero motivo, strutturale, metrico, ritmico, di senso, oppure retorico, per farlo.
il risultato è lì, privo di senso.
aggiungo che il commento di francesca, non lo capisco.
nemmeno quello.
vi si dice di emozzioni.
Quando ho sentito per la prima volta questa poesia è stato a casa di Andrea Raos. Andrea lo conosco dai tempi e dalle strade di Parigi. Ci siamo così incontrati assieme al Cepo, Jan, la splendida Francesca, la sola a poter cucinare le parole e a fartele gustare come ostriche – no, Tashtego, non ho detto cozze- e la gentilezza di Andrea, che è un principe dell’ospitalità, aveva fatto da cornice a quella che in francese si chiamerebbe “retrouvaille” – Tashtego non ho detto racaille. Cepollaro e Raus hanno ad un certo punto della serata letto quei versi, e nella parola, a viva voce- tashtego non parlo di telefonini – era avvenuta un’emozione profonda, – con due zeta come dice Tashtego.
effeffe
ps
prova a leggerla ad alta voce e capirai il ritmo della frase, il suo andare a capo, cioè in fondo
Errata corrige nel messaggio di Effeffe: “Ci siamo incontrati insieme al CEPU”.
c’è chi si laurea a distanza
e chi fa il picio – a distanza
effeeffe
per tashtego :
io li conto (all’incirca) come doppi decasillabi. un ritmo comunque ben scandito, binario, che contrasta con il tono diaristico, da confessione a sé stessi/e. è cio’ che mi era piaciuto (e mi piace tuttora) in questi versi.
puo’ interessarti (toccarti) o no, ma perché “assenza di forma”?
*
francesco, sei davvero a procida? invidia… qui piove dovunque, tranne che alle buttes chaumont.
comunicazione raus
in partenza da torino per parigi
effeffe
strano che si debba sentire il bisogno di dare del rozzo a chi non è daccordo coi propri giudizi, effeffe.
a chi crede che formulare una frase come questa “la sola a poter cucinare le parole e a fartele gustare come ostriche” sia di cattivo gusto esattamente come la “nera bestia”.
chissà poi perché l’ostrica viene da effeffe vista come “più nobile” della cozza, alla quale io invece sarei dedito, per inferenza logica, perché non amo le poesie che piacciono a lui/lei.
ognuno si tenga per sé, please, la propria personale e scrausetta mitopoiesi.
“all’incirca decasillabi”, certo.
e però, all’incirca decasillabi che a leggerli suonano sdutti, inutili.
non volevo disprezzare.
volevo solo dire: non mi piace questa poesia.
adesso devo dire che non mi piace nemmeno il commentino di effeffe, dalle “strade di pariggi”.
esistenzialista.
(il liceo classico fa più danni del fumo)
Tashtego, suvvia qualche passo indietro. Se con Andrea ci frequentiamo a Parigi è perchè è lì che viviamo, paghiamo le tasse, residiamo, etc, e se la parola Parigi a te suona male,o ricorda solo e pour cause Sartre e Simon de Beauvoir mi dispiace, ma sono problemi tuoi. Trovare che la frase “cucinare le p…” eccetera sia di cattivo gusto, nel senso che preferisci l’impepata di cozze, al plateau ocean, anche qui, mi sembra che ci sia tendenza a “fissare ” le parole. Lo spazio si intitola commenti e nei limiti del possibile vorrei, ci si dovrebbe un po’ tutti sentire di tastiera libera. Altrimenti facciamo come quelli che mettono copyright pure sui propri rutti, convinti che lì e solo lì sia l’opera.
D’altra parte non ti ho insultato in nessun modo, mi sembra. Trovo però che scrivere un commento, farcendolo di sinceramente non capisco questo, non capisco quell’altra, e via dicendo, non mi pare che sia segno di dialogo su un testo. Dopo di che lo ammetto, parlare di poesia com’è stato detto è un pò come discutere d’arte contemporanea. Si può capire e non capire d’accordo, però che almeno non si pretenda che il proprio non capire sia più oggettivo dell’altrui capire. ma forse non mi sono spiegato…
effeffe
ah dimenticavo, ho fatto lo scientifico
effeffe
lo scientifico è un liceo classico imperfetto, FF.
produce guasti e malattie estetiche inguaribili.
dire che si cucinano le parole come le ostriche deriva da lì ed è kitsch.
lo è totalmente.
lo è al punto da legare i denti di chi ti legge, da farti vergognare per te.
che si viva o no a pariggi, esistenzialmente e febbrilmente nelle sue “strade”, dire una cosa così, cioè che si “cucinano parole come ostriche” (che di solito non si cucinano, ma vabbè) ti affossa del tutto una persona, ma tu non te ne rendi conto. perché vivi a pariggi.
il provincialismo, chi ce l’ha se lo tiene, ovunque sia e viva.
tu ce l’hai bello grosso, complimenti.
ad angelini :
no, ma non mi stupisce.
“sul non capito impianti una critica di principiante nemico,
vecchio male invecchiato, che non capisci ciò che dico.”
L’argomento del pezzo secondo me è molto difficile e a rischio di ovvietà.
Proprio per questo ritengo che il pezzo “tenga”, e bene.
Qualcuno potrebbe collocarlo più vicino alla prosa poetica che alla poesia, ma non mi pare poi così importante.
Piuttosto sono dubbiosa su alcuni particolari. Non mi piace granché “soddisfacente complessivamente” (per suono e per senso lo vedrei meglio in un contesto ironico o sarcastico).
Non mi sembrano particolarmente felici “da tale sforzo”, “constatare che, superato”, “la cui caduta”. Ma insomma, questione di gusti.
Sono d’accordo con tashtego. Non riesco a riconoscere un’intenzione formale significativa in questa poesia. Mi dispiace che il dissenso di un lettore non venga serenamente discusso. Stare a rievocare aneddoti parigini mi sembra quanto meno fuorviante e decisamente off topic. Non vedo cosa c’entri con la poesia la descrizione del circolo parigino.
Scusate l’intromissione
mi hai hatto pensare(non sono sicuro della formattazione):
noi di corda
61 Kg sulla
sul freccia
filo una
come
l’arco grave essere
si flette al nostro
da basso
le stelle ci guardano
prendono la mira
e ad occhi chiusi
ci
urlano via
1
Carissimo tashtego,
Recette pour 6 à 8 personnes – Préparation : 30 mn – Cuisson : 15 mn.
Ingrédients
2 douzaines d’huîtres
1 kg de gros sel.
300g de pousses d’épinards
50cl de crème fraîche
1 botte de persil frais
Huile d’olive
Sel, poivre
Pour la sauce
6 jaunes d’oeuf
200g de beurre
Le jus de 1 citron et demi
Sel, poivre
ohps, cuisson, in francese significa cottura.
A Caserta invece proporrei della mozzarella in carrozza
e a Torino gli agnolotti al plin
con una lettura di Gabriella alla fine
e del vino rosso, un bricco del bandit
da bere alla faccia di chi si crede
intelligente, e non è neanche stupido
Bene, sono tornata dalle vacanze e trovo questa sorpresa…ringrazio tutti per i commenti(alcuni non li ho proprio capiti), ma quello che mi rallegra l’animo è soprattutto il dibattito culinario. :-)
Gentile Tashtego, per prima cosa le ostriche si possono cucinare, per esempio la mia amica francese le fa sul fuoco della griglia, sotto aghi di pino, e ci fa pure le cpzze in questo modo, ma lei, la mia amica, non è di Parigi bensì di Nancy. Poi devo dirti che ho fatto il liceo classico ma non è servito a nulla perché non ho imparato cosa fosse un’intenzione formale… non ostante gli sforzi ripetuti e continui. Ultima cosa: ho utilizzato “la nera bestia” con l’intenzione di essere di “cattivo gusto”, come pure il “sufficientemente soddisfacente” è messo per grattare, per dare un senso di ruvidità … se poi il risultato non è dei migliori, pazienza. Le critiche servono per ampliare i propri orizzonti e avere strumenti in più per lavorare, così la penso. Come ha scritto Arminio in un commento: in fondo cerco altri nevrotici non per coltivare l’isteria ma per provare a dissodarla insieme.
@ Angelini:
caro Lucio, io la pianterò quando tu non girerai più per la rete, il che lo sappiamo tutti, è abbastanza improbabile… tu continuerai a trolleggiare e io continuerò a scrivere! :-)
PS
@effeffe: beh insomma, dopo una ricetta così meglio una lettura della Rosselli o del Mesa, anche un ascolto di Carmelo Bene che legge Majakoskij…
Carissimi di Nazione Indiana,
da oggi, ho preso la seguente decisione. non leggerò più i commenti. E per la gioia di alcuni non ne scriverò. La frequentazione del sito, animata da un entusiasmo che resta vivissimo verso quello che fate, sarà legata esclusivamente alla lettura dei testi postati, testi che girerò ogni qualvolta ne sia fulminato, e grazie a voi di NI è capitato spesso, a tutti i reseaux che io conosca , poi di tanto in tanto ci si vede – con quelli che ne hanno voglia e davanti a un bicchiere si progettino azioni letterarie, che poi significa azioni tout court. Troppa virtù nel virtuale e poco vizio
effeffe
concordo in parte con emma, in parte con gabriella.
cercare il “cozzo” è in sé ottima cosa, poi diventa questione di orecchio. e quello gabriella puo’ ancora migliorarlo – lei come tutti, è il lavoro di una vita.
E brava Scimmia!
A parte la costernazione per l’annuncio che FF non leggerà più i commenti di NI, dalla quale non mi riprenderò molto presto, è bello constatare che il dire che una cosa non ti piace, il dirlo semplicemente e seccamente, cioè senza argomentare, magari perché pensi che non ne valga la pena, oppure perché forse non sei capasce di tradurre in parole gentili et acconce, un fastidio, un disagio, un’irritazione, scatena l’arroganza dei sodali, degli amisci, magari emigrati et ammantati di Francia come ci si ammanta di un drappo per apparir diversi e migliori e “oltre”, cioè più fichetti, e solleciti interventi di autori e autrisci che dicono no guarda pollastro che ti sbagli che le ostriche QUI IN FRANCIA noi le cuciniamo, azzo se le cuciniamo, e talvolta ci abbassiamo a mangiare anche le cozze, ma tu, che di sicuro ignori langue et civilisation perché sei rozzo che non vivi a Pariggi, ignori anche il fatto che le ostriche si cucinano, e ti do pure la riscetta, cioè me la vado a cercare, faccio il copincolla e te la sbatto qui a riprova di ciò che affermo, piccolo mio.
E però la poesia resta lì sopra, intatta nella sua non-bellezza e non-necessità di esistere, ammantata adesso anche di un sentore di supponenza che all’inizio forse non aveva.
tashtego, peccato che sei comunista: sei un ragazzo intelligente.
Scusa Tashtego, non so se tu stia parlando a me, ma io vivo a Milano e cercavo di scherzare…ho pure detto che le critiche le accetto e se il mio povero pezzullo non ti piace, non posso farci niente come pure trovo lecito che tu dica che non ti piaccia… cosa devo fare? Non sono così cretina o narcisista da pensare che tutto il mondo mi dica: bene, brava o fai schifo… in ogni caso non scrivo per ricevere complimenti, alcune cose dette qui dentro mi hanno dato spunti di riflessione, altre non le ho capite. E’ sufficientemente soddisfacente come risposta?
E in più mi permetto di dirti che affermare che la poesia sta lì, nella sua non bellezza e non necessità di esistere è un giudizio molto arrogante, lecito ma molto arrogante. E l’arroganza non permette confronto… peccato!
Grande Gabri che risponde con stile ai commentoni di Tashtego e soprattutto complimenti all’amica francese di Nancy per le sue capacità di cottura…Quando la rivedi, invitami che le chiedo di mettermi fuori sotto gli aghi di pino e poi alla sua tavola.
[…] Un post del 25 maggio di Livio Borriello su NazioneIndiana ci informa che il romanzo sarebbe diventato “una specie di televisore molto portatile”, che “se Berlusconi scrivesse scriverebbe un romanzo”, che il romanzo è (orrore) il genere “più americano e più convenzionale” mentre nella Francia patria di ogni pensiero predominano le scritture non narrative, anzi anti-narrative “almeno nella produzione alta” (sic). Il romanzo poi sarebbe “un genere perfettamente codificato, perfettamente esteriore, la cui pasta semiotica è costituita dall’elemento più riscontrabile e convenzionale: il fatto, la vicenda, l’atto dei corpi visto dall’esterno.” Che dire? Tutto l’intervento di Borriello potrebbe essere stato scritto quaranta o cinquanta anni fa e odora della solita muffa elitaria che attecchisce da sempre sui letterati italiani, proprio come la sua diretta matrice: i troppo spesso reiterati anatemi dei fantasmi del Gruppo 63 contro la narrativa (Borriello scrive romanzo, ma intende narrativa, è ovvio), contro i Cassola e i Bassani del momento. Ma possibile che ancora ci sia chi pretende di far passare questa sbobba riscaldata come il piatto del giorno? Possibile che ci sia qualcuno che parla del romanzo come del genere “più codificato” quando da decine di anni è chiarissimo che la parola “romanzo” designa semplicemente ogni tipo di testo narrativo che superi un numero X di pagine (al di sotto è un racconto), senza più nessun vincolo di struttura e di forma del contenuto? E’ poi possibile che qualcuno si faccia trasportare dalla propria avversione per la narrativa (genere che supponiamo appartenente alla produzione non abbastanza alta) al punto da ritrovarsi in bocca banalità come quella del romanzo che rappresenta “l’atto dei corpi visto dall’esterno”? Certo, è ovvio che Proust descrive l’atto dei corpi visto dall’esterno. E Joyce. E Kundera, non pare proprio un reality show? Altre tiepide banalità: “A me sembra insomma che il romanzo attualmente si sorregga da una parte sull’esistenza di una tradizione, di un’ aspettativa culturale (l’inevitabile critico che a un certo punto dice sconsolato al giovane: beh, ma gli manca il romanzo…come se gli mancasse chissà che organo vitale) e di un bacino d’utenza già disponibile, dall’altra sul fatto che l’uomo è organismo vivente intimissimamente gregario, e si adegua senza saperlo a tutte le aspettative di pubblico, critici e editori vivi, morti e futuri. In conseguenza di ciò, una certa quantità di umani si decidono a un certo punto a cimentarsi nell’esecuzione dell’esercizio romanzo. ” Certo, come nel XVIII secolo un certo numero di umani si dedicava all’esercizio “epistola in endecasillabi sciolti” o nel XVI-XVII al dramma pastorale o nel XV secolo all’esercizio “canzoniere sul modello petrarchesco”. Sai che novità, il fatto che chi scrive non vive sulla Luna ma subisce i condizionamenti della tradizione e del (scusate la parola) mercato editoriale… […]