La mia ricerca

di Franco Arminio

Io parlo di me. Sono egocentrico e vanitoso. Scrivo per diventare famoso, per ricevere lettere e telefonate, per essere ammirato dalle donne.
Non mi importa molto di quel che fanno gli altri scrittori, in genere gli altri mi interessano solo quando si interessano di me.

Sono un animale di questo tipo. Penso solo alla mia morte, mi dispiace molto che un giorno dovrò morire, non capisco perché i miei occhi debbano marcire e perché nella mia testa ci sia questo rifiuto della morte. Tutte le volte che scrivo io provo a mettermi le mani in testa, opero a carne viva, la parola è un bisturi che va a cercare il buio del cervello, cerca di illuminarle le pieghe in cui si nasconde il mio destino. Morirò fra poco, o fra vent’anni? Questa domanda me la faccio da tempo e so che potrebbe arrivare un tempo in cui questa domanda non ha senso. Il tempo in cui hai novant’anni o nei cinquanta e un cancro al polmone. Forse questa domanda viene dal fatto che la mia pelle d’animale non è rivestita dalle pelle del mondo, il mondo è una guaina bucata, non riesce più a rivestirmi se non per qualche attimo. Sto ogni giorno in mezzo ai lampi.
Non c’è politica, non c’è amore che mi basti. Io mi sento così e vorrei sapere come vi sentite voi.

Da tempo vi chiedo di porre la mia faccia di fronte alla mia. Guardatemi, costringetemi a guardarvi. Ditemi se c’è altro da fare. Ditemi, vi prego, dove sbaglio. Non credo di potermi correggere, di potervi correggere, ma almeno ci sentiamo un po’ vicini ed è già tanto. Il guaio è che lo sfinimento e l’esasperazione sono la mia abitudine. La calma mi fa venire il panico. Cerco qualcuno a cui accade qualcosa del genere, ecco tutto. La mia letteratura è ricerca, nient’altro che questa ricerca.

36 COMMENTS

  1. La letteratura è una ricerca. Se qualcosa bastasse, non occorrerebbe più cercarla. Siamo qui a faccia a faccia e tu chiedi “ditemi”, in realtà sono gli altri ad aspettare che tu dica, e tu dici, dici quello che molti pensano e sentono.

  2. lo so che è rischioso dire certe cose. ma io nella mia vita quotidiana mi occupo fin troppo dei luoghi in cui vivo. qui voglio affondare nell’intimo perché oggi bisogna partire molto da sotto se si vuole edificare una casa civile.

  3. Mi piace l’idea di passare dal nec-otium all’otium, nel senso piu’ classico del termine. bio-grafia? il segno della mia vita…..una serena inquietudine declinata secondo contingenza a volte concava altre convessa che mi spinge a riepire o a svuotare l’esistenza in modo altalenante mantenendomi in un equilibrio eternamente provvisiorio.

    scrivo , studio, cerco perchè mi sento come un bicchiere sempre pieno pronto a riempire il resto del mondo.
    e poi perchè pensavo di quitarmi a 40 anni invece niente da fare

  4. Ma come credi di diventare famoso pubblicando delle simili lagne? E quanti anni hai, o delicato vanitoso scrittore Arminiuccio? Questa è roba da aloscenti in crisi che si scrutano l’ombelico! C’è tanto altro da guardare, mio caro.

  5. caro alberto
    credimi il tuo appunto non mi offende. e sarei disposto ad abbracciarti. forse stai male come me, come tutti. all’adolescenza, poi, non ci sono mai arrivato. mi sono fermato prima. ti dirò di più: in un certo senso la mia vita non è mai iniziata.

  6. stamattina ho mandato a un pò di amici di provincia questa mail. il mondo e l’ombelico per me vanno insieme….

    su repubblica di domenica scorsa c’erano due articoli sulla fine della provincia. il pezzo a difesa era affidato a giorgio bocca. un sacco di righe per dire che in provincia si mangia meglio. tutto qui. veramente certi giornali sono un tappo.
    dovremmo chiamare a raccolta tutti i “provinciali” e aprire una vera e propria vertenza col centro piuttosto che ambire a essere cooptati nel centro. dobbiamo armare la provincia di scambi intellettuali e di affetto. in questo modo saremmo già forti. dobbiamo stringerci al senso residuo di quel che facciamo, tenerci stretto quel nucleo vibrante, piuttosto che metterci in coda per ricevere la scodellina di fama. dobbiamo vederci, dobbiamo sentirci adesso, non c’è più tempo per altri indugi intorno ai morti della “politica” e della “cultura”.

  7. > dovremmo chiamare a raccolta tutti i “provinciali” e aprire una vera e propria vertenza col centro piuttosto che ambire a essere cooptati nel centro

    Su questo sono profondamente d’accordo.

  8. adolescenti a parte.
    il centro si nutre di periferia, di ciò che è nel suo campo gravitazionale e che da lontano lentamente o catastroficamente precipita verso il nucleo.
    il centro è tale solo se un’area maggioritaria lo considera tale ed è disposta a considerare se stessa non-centro.

    il punto è un altro: qual è oggi il CENTRO? dove si trova il NUCLEO? quanti sono i centri?
    quanto a cercare di raggiungere il successo con la scrittura, beh, forse ci sono mezzi più efficaci.

  9. beh tash, dal pezzo di Arminio arguisco che centrale è la morte, periferica la vita e il nucleo è la solitudine.

  10. io mi aspetto sempre di più, è una mia malattia. mi aspettavo che qualcuno notasse come su un argomento così stretto sono riuscito a tenere large le parole. e poi mi pare che nessuno abbia voglia di mettersi a nudo. ormai la letteratura è diventata un ballo in maschera. e sarà questo il titolo del mio prossimo intervento su ni

  11. ma giorgio bocca, caro franco, non è nuovo a questa specie di provocazioni. Ricordo che una decina d’anni fa scrisse un articolo in cui liquidava l’immenso patrimonio dell’oralità della periferia e della cultura patria (la musica in particolare e quella del meridione ancor di più) come una merce insulsa, brutta, noiosa e senza alcun valore documentaristico. Era un’invettiva tagliente che metteva nello stesso calderone persino chessò i canti della resistenza e il repertorio civile o di lavoro per dire delle mondine (tanto per non dire solo e sempre dell’abusato espressionismo tarantulistico, ché quando si parla di tradizioni sempre là si pensa), di cui egli stesso si era cibato in gioventù.
    A parte questo snobismo davvero gratuito – anche in quel caso tra le righe la provincia era buona solo per la panza, l’aria e certi valori che, ahi che brutti tempi!, in città non trovi più – accidenti se faceva ridere amaro questa dichiarata presa di posizione soprattutto ripensando a quei vecchissimi steccati che mettevano da una parte la cultura con la c maiuscola e gli uomini che contano e dall’altra una becera rappresentazione della stessa, che aveva mancato l’indottrinamento, l’aggancio con il centro, e che si ostinava a replicare repertori e saperi di un mondo che poteva valere sì e no proprio giusto il momento di un veloce, sgradevole, ignorante giudizio.
    Accidenti, mi dissi a quel tempo che su questa roba mi ci stavo spezzando la schiena e ci facevo le ricerche, ma davvero tanti anni di controcultura, di recupero, di antropologia e di riconoscimento di cattedre e di meccanismi di trasmissione e fruizione di un sapere altro – Leydi, Fo, la Marini, Carpitella, le campagne di ricerca in Lucania, Puglia, De Simone (anche come valore sociale, umano, politico di formazione di popoli e civiltà o come presa di coscienza di dinamiche di modi di essere e di pensarsi in determinati contesti, etc.), ma davvero tutta questa roba – agli occhi di Bocca e di moltissimi ancor oggi nel nostro paese – sono solo “canzonette”? E tutto quello che dalla provincia viene è qualcosa di piccolo o retaggio di incultura (o nelle ultime polemiche con La Capria di uno status di connivenza con le solite brutte cose del meridione)? Solo questo, dico io?

  12. @Arminio, per rispondere alla domanda del tuo post:
    se fai una passeggiata di almeno un’ora a passo di carica tutte le mattine vedrai che ti sentirai meglio.

  13. sicuramente. però io vi avevo chiesto di parlare di voi. non capisco perché vi nascondete, a cosa vi serve.

  14. Gianca, sembri un alcolizzato costretto a bere bicchieri d’acqua fresca.
    cos’hai che ti rode tanto?
    dillo alla zia magda

  15. Zia Mag,
    quella è una poesia scritta vent’anni fa: una specie di manifesto personale di sana autoironia. Un modo per dire a Franco che certe cose le penso anch’io ma cerco di esorcizzarle con quintali di humour. Anche Totò,nel privato, si sa, era triste e tragico.
    Sull’alcolizzato ci sei abbastanza. :-) Se non ho davanti una buona bottiglia di rosso, io di certo non mi metto a mangiare. Ciao.

  16. Sara’ che ho Mercurio contrario in questo periodo,
    sarà che la mia intelligenza a macchia di leopardo è sui punti chiari della pelliccia neuronale,
    ma di essere acuta e intelligente
    non ci penso nemmeno lontanamente.
    Quindi andate avanti con i para e i dossi.

  17. Non sei il solo a vivere in mezzo ai lampi. Certo questo non consola. Anzi.
    Ma almeno tu hai la scrittura. Pensa a quelli che possono solo leggere o pensare. Anche io sono a disagio quasi sempre. Dovunque. Con tutti. Ma soprattutto con me stesso. Purtroppo non si può dare le dimissioni da se stessi. Lasciare, andarsene. Magari. Non è l’elogio della fuga, ma la possibilità di prendersi una pausa. Guardarsi un momento dall’esterno. Non so. Forse l’importante è il contrario, e so che su questo sei d’accordo : per sfuggire alla morte bisogna stare insieme. Vedersi, parlare, ridere, confrontarsi. Solo questo conta.

  18. Io parlo di me. Sono egocentrico e vanitoso. Scrivo per diventare famoso, per ricevere lettere e telefonate, per essere ammirato dalle donne.
    Non mi importa molto di quel che fanno gli altri scrittori, in genere gli altri mi interessano solo quando si interessano di me.

    Per questo non rispondo.
    ti stimo maestro Arminio.

    b!

  19. Tardi, come sempre o quasi, per dividere e con-dividere, per per dire che il sugo è tutto lì, in quello straccio di parola che è la sola consapevole compagna e tensione verso il mondo e gli altri: si estingue la mia ricerca e il mio volto è divortao da una tigre e io stesso sono quella belva. Che cos’è, del resto, l’arte, se non danza con la morte? Senza cadaveri non c’è reale creazione, solo balbettio e inutile è la parola se non gronda sangue e carni macellate, solo la strage rivela ciò che siamo, solo la fine da dimensione e completezza al’essere.

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