Cronache Pavesiane / Che tempo fa?

di
Francesco Forlani

Io sono il numero sei, in famiglia. Se mi dicono “Sei” penso subito a Giacinto Facchetti. Ho sempre trovato l’eleganza di questo giocatore leggendaria insieme a quella del barone, Causio. Insomma il sesto figlio di una famiglia in cui padre e madre erano poco meno che ventenni durante la guerra. Anni settanta. Lavoravano entrambi e allora per tenerci a bada, sin dagli anni cinquanta, ha integrato la famiglia Assunta, detta Susunta, e per noi bambini Susù, come Pelè, Canè, Vavà.

Assunta ha per circa cinquant’anni visto ogni sorta di programma televisivo, con una certa indifferenza. Lo si capisce dal fatto che se per una ragione qualsiasi deve abbandonare la “visione” non c’è in lei nulla, che so, una smorfia, un gesto, che tradisca l’insofferenza di chi è sottratto alla luce bluastra dello schermo. E col passare degli anni quella disattenzione si è acuita al punto che sedersi accanto alla scatola magica significa dormire, mantenendo una postura da braccia conserte e schiena dritta che rimandano all’antica dignità della classe popolare. Classe popolare di cui siamo anche noi figli, ben inteso. Di tutti gli sceneggiati, festival, film, trasmissioni un solo appuntamento è per lei vitale: “che tempo fa.”

Assunta non esce la sera, anzi diciamo che non esce mai, se non rapidamente sul balcone, trascinando come una tartaruga il corpo testuggine, diventato pesante sulle fragili gambe, ed allora mi sono chiesto, da sempre, perché? Perchè Bernacca? Che cosa, in altri termini la tenga come ipnotizzata davanti a quelle descrizioni, bacchette, galloni da colonnello, divise da avieri, perturbazioni, residue deboli piogge al centro-nord e sulle regioni meridionali ioniche, migliora al centro dal pomeriggio, nuovo intenso, ed ancora cosa mai Assunta possa recepire dalla parola “residue deboli piogge”, o anche versante appenninico, non avendo alcuna, e dico nessuna ,cognizione geografica.

Tutti e tre fratelli viviamo lontano, Roma, Torino, Parigi, le sorelle sono rimaste a Caserta, ma il suo universo geopolitico si limita a “accà” e “allà”, quanne vieni, quanne te ne vaje, e nonostante tutto questo resta concentratissima davanti alle “previsioni” come Bernadette sulla soglia della grotta delle apparizioni.
Per le Olimpiadi di Torino se ne dicono e ne sono state dette di tutti i colori. Tutte evidentemente opinabili e verificabili soltanto su un arco di tempo che va da qualche anno fa fino ai prossimi vent’anni. E parlo dell’impatto delle Olimpiadi sull’economia della città e della regione (un disastro/una manna) il segno di una trasformazione dei suoi abitanti (i torinesi erano migliori prima o dopo le olimpiadi) ma soprattutto il cambiamento di una città (Torino più bella ora di prima). Insomma cose che non possiamo dire ora definitivamente vere o false.

Una cosa però in molti la dicevano, nei mesi scorsi e suonava più o meno così. “ Non solo si sono messi in testa di organizzare in un momento di crisi economica, a Torino,un evento così complesso come le Olimpiadi, ma come se non bastasse si tratta di quelle invernali facendo finta di non sapere che in Piemonte non nevica più da un ventennio.”

Perfino Giorgio Bocca ha scritto cose del genere, descrivendo, dalle colonne dell’Espresso e con cura certosina e dovizia di particolari, montagne e valli ammantate di sgomento e di rassegnazione stoica tipica di questa regione, osservatrici del blocco di nubi bianche sul versante francese. Eppure in questi giorni olimpici nevica. E non di neve che scompare nelle prime ore del pomeriggio imbrattando case e negozi. Qui a Torino ha nevicato davvero. Con la città che sembrava immersa in un bagno schiumoso e profumato. L’ho immaginata così, magari ridendo, senza acredine. Gli opinion makers avevano fatto cilecca. Il caso era risolto. Nevicava e nessuno poteva prevederlo. Forse solo Assunta, infatti quasi quasi le telefono.

9 COMMENTS

  1. Una miniquestione di estetica (o una questione di miniestetica).
    A tutti sarà capitato di comperare un LP o CD, e con quello che costano/costavano, perché piacevano. Ora, come mai capita che alcuni li ascoltiamo ancora, e altri finiscono chissà dove? Perché continuano a piacere. E perché continuano a piacere? I motivi possono essere molti (ad es. la madeleine della fidanzata con la quale si ascoltava…), ma quello più generalizzabile è che il loro contenuto, la loro qualita resiste nel tempo.
    Se valgono queste considerazioni, io dico che il racconto postato qui ha secondo me più qualità degli altri letti in questo mese di frequentazione alterna di NI. Perché mi è rimasto in testa, mi muove il pensiero, suggestioni ecc.*

    Ovviamente non mi sto riferendo alle Olimpiadi, ma ad Assunta.

    DB

    *applicato al genio, il mio criterio è: il genio è lo scrittore che si presta a interpretazioni infinite, e viceversa se uno scrittore si presta a interpretazioni infinite, è un genio.

  2. Ma sai DB che è proprio vero quel che dici? L’ho letto ieri sera questo racconto e mi ha evocato ricordi buffi, ogni tanto ridacchiavo tra me e me pensando a Bernacca, il senso del tempo, la famiglia, i rapporti con i fratelli… un sacco di cose. E’ un racconto delizioso.
    ps
    sono un po’ preoccupata a scrivere commenti dopo di te, ché le tue analisi testuali mi ingarbugliano il cervello. A volte.

  3. GF: *le tue analisi testuali mi ingarbugliano il cervello. A volte.*
    Nei commenti io penso che tutti dovrebbero fare le analisi testuali, i.e. esclusivamente testuali. Intanto si eliminerebbero le chattate/chazzate; poi i riferimenti personali; poi le impressioni; poi i giudizi sommari. Cosa resterebbe? Le idee, potresti rispondere. Appunto. E dove stanno le idee? Nel testa, potresti rispondere, ma: commento si dice riferito a un testo, che qui è un post. Questo post-testo contiene idee, che noi desumiamo da un’analisi testuale del post. Poi un blogger nella propria testa elabora idee in-topic (attinenti al topos = testo), che riversa in un commento-testo. Un secondo blogger fa un’analisi testuale del post + commento, elabora e riversa. Noi insomma possiamo leggere solo testi, non teste (spiritismo) né grafie (grafologia), né mani (magia/mania).
    Penso però che tu ritenga le mie analisi esclusivamente testuali in un altro senso, i.e. come solo testuali. Al che ti rispondo con Dal Pra, ma volto in inglese: First topics, then critics.
    Infine, ma è la cosa più importante, mi preoccupa che a volte ti “ingarbuglino il cervello”. Mi preoccupa per me (per te no, te lo saprai sgarbugliare da sola), perché significa che non risulto chiaro.

    DB

  4. @ gf
    scusa il refuso, alla riga 8 leggi:

    Appunto. E dove stanno le idee? NELLA testa, potresti

    DB

    PS Il copiaincolla è una manna per l’analisi testuale, dovrebbe aiutare tutti in questo senso, e invece spesso serve ad altri scopi.

  5. @ db
    è sbucato un commento che ieri sera era caché… pienamente d’accordo con il discorso, a volte non risulti chiaro usando salti logici per me incomprensibili. Era anche scherzoso il mio commento. Rimane il fatto che il racconto in questione è divertente e riesce a lambire zone di grande sensilità.

    i.e. ?

  6. @ simp. gabriella

    con simp. ho chiarito il tono comune del nostro scambio, ergo ho già dato e

    Devoto-Oli id est. Loc. lat. (anche abbreviata in i. e.) usata talvolta in luogo del corrispondente italiano cioè.
    La uso per effetto calmierante sui cioè:…ehm, ccioè…
    Ora sono più preoccupato ancora: prima scrivevi *le tue analisi testuali mi ingarbugliano il cervello*, ora scrivi di *salti logici per me incomprensibili*. E cccioè, confrontando emerge che *per me incomprensibili* equivale a *mi ingarbugliano il cervello*, ma *salti logici* non equivale a *analisi testuali*. Qui infatti resta indeterminato se le analisi sono giuste o sbagliate, mentre un salto logico è sbagliato sempre (sia che lo compia nella mia testa e nel mio testo= pazzo, sia che lo compia solo nel mio testo = oscuro).

    *riesce a lambire zone di grande sensilità*: al mio paese, sforzandosi di parlare in italiano, le definiscono “zone erronee”! Non offenderti, è troppo bella la lingua storpia! Ognuno ha le sue, a me che sono un po’ più maschio di te il racconto ha lambito il pensiero… ma lì è il punto: se hai ragione tu, nel mio cervello ci sono delle zone erronee oscure al portatore.

    Buona giornata!

  7. @ simp. e ironico dario

    Allora, mi interessa quello che hai scritto e ho trovato una chiave di lettura leggendo un tuo commento al pezzo di Biondillo. Mi sento costretta a stare attenta all’uso delle parole e questo è un gran bene, ho anche capito cosa non riuscivo a mettere a fuoco. Penso che se si usano delle abbreviazioni, almeno la prima volta bisognerebbe dare il codice di interpretazione. Se tu usi i.e. per id est come potevo io capire? L’utilizzo del dizionario mi è famigliare ma non vivo col vocabolario sotto il braccio. Le tue analisi testuali possono essere giuste o sbagliate, non era un giudizio di valore era una dichiarazione di messa in difficoltà della mia capacità di seguirti (a volte per l’uso di abbreviazioni che non riesco a decifrare).
    Salti logici incomprensibili: qui mi sono spigata male. Come potrei spiegarmi meglio? Credo che il problema stia nel mezzo usato. Cioè, a volte mi sembra si dia per scontato un ragionamento che uno dovrebbe fare leggendo ed invece è come se alcuni tratti rimanessero nel pensiero di chi scrive e per chi legge diventa un gioco di interpretazione. Oddio, non so se sono stata più chiara ora.
    “riesce a lambire zone di grande sensibilità”:
    il racconto evoca nel lettore sentimenti di dolcezza e malinconia con grande sensibilità.
    In effetti le “zone erronee” è un’interpretazione divertente e potremmo anche averne nel cervello, perché no?
    Buona notte

  8. @ ineccep. gabriella

    prima si stende, poi si strizza, id est il contrario delle lenzuola.

    ad es., prima: ti vedo bene sul personal computer, poi tvb s. pc.

    tvb sm? i.e. ti va bene, signorina maestra?

    ;-)

  9. Anche dopo mi potrebbe andar bene! :-)
    Ma il tuo esempio mi porta a dire che tvb in gergo sta per “ti voglio bene”, quindi se tu non avessi messo accanto la “traduzione”, io ti avrei frainteso…
    cis (con immutata stima)

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francesco forlani
francesco forlani
Vive a Parigi. Fondatore delle riviste internazionali Paso Doble e Sud, collaboratore dell’Atelier du Roman e Il reportage, ha pubblicato diversi libri, in francese e in italiano. Traduttore dal francese, ma anche poeta, cabarettista e performer, è stato autore e interprete di spettacoli teatrali come Do you remember revolution, Patrioska, Cave canem, Zazà et tuti l’ati sturiellet. È redattore del blog letterario Nazione Indiana e gioca nella nazionale di calcio scrittori Osvaldo Soriano Football Club, con cui sono uscite le due antologie Era l’anno dei mondiali e Racconti in bottiglia (Rizzoli/Corriere della Sera). Corrispondente e reporter, ora è direttore artistico della rivista italo-francese Focus-in. Con Andrea Inglese, Giuseppe Schillaci e Giacomo Sartori, ha fondato Le Cartel, il cui manifesto è stato pubblicato su La Revue Littéraire (Léo Scheer, novembre 2016). Conduttore radiofonico insieme a Marco Fedele del programma Cocina Clandestina, su radio GRP, come autore si definisce prepostumo. Opere pubblicate Métromorphoses, Ed. Nicolas Philippe, Parigi 2002 (diritti disponibili per l’Italia) Autoreverse, L’Ancora del Mediterraneo, Napoli 2008 (due edizioni) Blu di Prussia, Edizioni La Camera Verde, Roma Chiunque cerca chiunque, pubblicato in proprio, 2011 Il peso del Ciao, L’Arcolaio, Forlì 2012 Parigi, senza passare dal via, Laterza, Roma-Bari 2013 (due edizioni) Note per un libretto delle assenze, Edizioni Quintadicopertina La classe, Edizioni Quintadicopertina Rosso maniero, Edizioni Quintadicopertina, 2014 Il manifesto del comunista dandy, Edizioni Miraggi, Torino 2015 (riedizione) Peli, nella collana diretta dal filosofo Lucio Saviani per Fefé Editore, Roma 2017