Urla lanterna magica!
di Domenico Pinto
«Passano donne meravigliose. Io cammino su questa zattera oblunga, dentro una rete di manifesti, di affissi, di visi, di luci; mi addentro nei labirinti di ànditi, androni, passaggi, gallerie, scorciatoie, che la contornano. Dappertutto un inconfondibile aroma di cultura centroeuropea. Io conosco le angustie economiche, gli scompensi che affliggono questo paese, risalito a stento dalla morta palude dello stalinismo. Ma mi consolo, pensando che, se non domeranno il suo ardire con striduli giri di vite, esso tornerà a reggere insieme, come uno spillone da balia, i lembi stracciati dell’Oriente e dell’Occidente. È un còmpito sovrumano, insidioso, ma forse il più lusinghiero che possa oggi offrirsi ad un popolo».
È ‘Praga-presente’ del 1963, come affiora nel primo tableau che Angelo Maria Ripellino esegue per «L’Europa letteraria», e adesso confluito nel volume che aduna gli articoli scritti per l’«Espresso» sui fatti della Cecoslovacchia: L’ora di Praga, Scritti sul dissenso e sulla repressione in Cecoslovacchia e nell’Europa dell’Est (1963-1973), a cura di Antonio Pane, Le Lettere, «fuoriformato», pp. 326, € 22 ,00.
Quei saggi d”antepace’ sono i portolani delle grandi avventure formali nel fulcro del Mitteleuropa. Composti prima che i cingoli dei ‘fratelli soccorritori’ neutralizzassero la stagione di riforme avviata da Dubček – così fasciando la provincia boema nella pax sovietica – essi documentano i teatrini e i cabaret d’avanguardia, le pantomime di Fialka, Holan quale «rêveur de lampe» e i rapsodi popolari, la ‘fattografia’ di Mňačko, la satira che ride di «tutte le storture dell’età del Culto», il pubblico che si diverte «a riudire la piattezza presuntuosa delle elucubrazioni fiorite dei tirannelli di cellula, sempre in dissidio con la grammatica»; vi sono testimoniate la pittura e la scultura slovacche (in perfetta sincronia con quanto andava maturando in occidente), la Lanterna Magica, il teatro nero, in cui attori vestiti di nero muovono forme luminose su un fondo di velluto scuro; si registrano le concomitanze di multirealismo, di poesia evidenziale, di jazz: qui viene approntata una piccola enciclopedia tascabile che faceva di Praga un’avanguardia dei modelli sperimentali, dove la simbiosi di ricerca politica e artistica era alla base – con prestito dall’opus magnum di Peter Weiss – di un’autentica Estetica della resistenza. Nulla di più normale che i russi vi mandassero i carri armati.
Nella notte fra il 20 e il 21 agosto il mosaico va in frantumi. Ripellino, che aveva trascorso i precedenti due mesi nel Castello degli Scrittori, dove poté seguire la rinascita della democrazia (con l’abolizione della censura, il risveglio degli operai, le critiche al Patto di Varsavia), assiste all’entrata delle truppe sovietiche in città, e sarà amaramente costretto a riconoscere che «questo miscuglio asiatico di truculenze e di falsi e di minacce e di beffe e di abbracci e di parolone, si inquadra logicamente nella cornice secolare della storia russa, come se nulla fosse cambiato dalla sanguinaria e crudele epoca di Ivan il Terribile». Trasformatosi in corrispondente di guerra viene chiamato a leggere a vista gli eventi, a sciogliere le circonlocuzioni, poi la prassi del potere. Praga è sempre più lo scenario di un processo in cui balena l’«avvocatura trascendentale» di Kafka: è la fine del Nuovo Corso, il ‘socialismo dal volto umano’ alla cui realizzazione egli aveva pur creduto. La parabola di questa storia, in un suo momento già non più apicale, è tutta racchiusa nella fotografia che ferma il tuffo dal trampolino di Dubček, durante l’estate del 1968 a Santovka. Rimane commovente il modo con cui Ripellino, a più riprese, sembra invitare alla resistenza, quasi voglia suggerire alla gioventù praghese d’essere «sabbia negli ingranaggi del mondo», secondo la variante tolta da un radiodramma di G. Eich, imperativo categorico e grido di battaglia del ’68 tedesco. Il ‘semiboemo’, come amava definirsi, perde così la possibilità di ritornare nella città che fonda lo spazio poetico del suo libro più famoso. Gli amici lo consigliano di fuggire per il valico di Rozvadov, mettendosi sulla strada che porta a Norimberga. Dal ‘cuore della controversia’, in questi articoli per il settimanale romano, il ductus di Ripellino si fa più pianeggiante, il superconduttore della sua prosa, che abitualmente presenta scavallamenti nella poesia, ed è aspro e scheggiato, traboccante di fonemi animati, si raffredda per condividere una ferita aperta: il regime della scrittura attenua il sincopato jazzistico, la dizione atonale, rallenta il forsennato cabotaggio di prelievi, il sistema di dissonanze è meno discorde, l’uso pittorico degli accenti tonici verrà normalizzato. Assai diverso in ciò dal conterraneo Pizzuto, che di sé avrebbe potuto ben dire «mi spezzo ma non mi spiego», Ripellino sull’«Espresso» si spiega invece perfettamente, è di chiarezza lenticolare.
Sul versante creativo, nel breve spazio di due anni, è tornato nuovamente disponibile l’intero corpus poetico del ‘mugiko siciliano’, grazie alle reimpressioni di Einaudi e Aragno, a cui ora si aggiungono altri due volumi di cose ripelliniane, entrambi a cura di Antonio Pane: vengono dati alle stampe Solo per farsi sentire, (Mesogea, 2008, pp. 200, € 16,00) e Oltreslavia, scritti italiani e ispanici (1941-1976), Istituto Euro Arabo di studi superiori, 2007, pp. 136.
Il primo riunisce le interviste e le conversazioni di Ripellino – fra cui «Sul trapezio del linguaggio», «L’arte può salvarci con ferite di gioia» e «La magia della scrittura», cruciali per comprendere questo universo retorico – e le trascrizioni della sua ‘viva voce’, i materiali radiofonici e televisivi ricuperati nelle Teche RAI. Alberto Arbasino scriverà di «una personalità incantatoria e assorta, abitante nel Meraviglioso e abitata dal Fantastico […] trasognato, ispirato, esorbitante e lampeggiante, misteriale e cinetico». Dall’utensileria dei documenti messi a disposizione esce una facies modellata sugli amati Holan, Gogol’, Schwitters, Majakovskij, una costellazione di autori che spesso fu lui a presentare, nel proprio adattamento, al lettore italiano, operando una formidabile polisintesi tra le punte più avanzate delle estetiche occidentali.
Il secondo volume (fuori commercio, ma pronto a essere donato dall’Istituto Euro Arabo a chiunque ne faccia richiesta: iea@istitutoeuroarabo.it) comprende gli scritti estravaganti di italianistica e ispanistica: vi sono consegnati recensioni, ritratti, medaglioni che provano una curiosità prensile e senza limiti profonda, su Arturo Capdevila, Bécquer, Anceschi, sul petrarchismo spagnolo; è presente una «Lettera sulla cultura fonica», vengono consigliati libri da mettere in valigia (Lontano da dove di Claudio Magris, il sodale mitteleuropeo), fulminando escursioni oltre la slavistica, quel magistero a cui, suo malgrado, resterà legato per sempre: «Slavista! mi frusciano i fiumi di Piazza Navona. / Slavista! mi zufola un gazzelloni sul flauto. / Slavista! mi dice un tacchino di plastica, un gozzo di / polistirolo. / Slavista! mi beffano da un carro funebre, /gonfio come una torta con cióndoli d’oro. / Chiedo perdono. È deciso. La prossima volta / farò un altro mestiere».
In ultimo, sono trent’anni dalla morte di Ripellino. Anche a chi non l’ha mai sentita, quella voce manca, manca moltissimo.
[Questo articolo è apparso su «Alias», Anno 9 – N. 47, il 29. 11. 2008.]
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A Praga andai nel ’69, tra le molte cose che ricordo persino troppo bene di quel viaggio c’è il passaggio della frontiera a entrare. Ci smontarono la macchina e ci sequestrarono i libri che portavamo a degli amici che studiavano lì, avevano una lista di quelli proibiti. Anche a uscire ci smontarono la macchina, e anche lì sequestrarono tutti i libri che uno di noi aveva comprato, senza bisogno della lista.
Con la sua Praga magica Ripellino aveva un lungo conto aperto, e non di sole parole, per dire alla Sereni. Quel conto è è proseguito aperto, anche politicamente, negli anni, ed è giusto, oggi, rammentarlo con nuove edizioni dei suoi scritti. Però quel contesto non c’è più, e non saprei dire l’impatto del mondo ripelliniano sulle nuove generazioni.
Molto bello. Di Ripellino conosco sicuramente qualche traduzione (vai adesso a sapere quale; ma quanto alla normalizzazione grafica del par. [corsivo] “Dal ‘cuore della controversia… è di chiarezza lenticolare”, forse dipende proprio dalla necessità, della traduzione, di essere in lingua neutra?), Praga magica e qualche poesia.
Perciò ho solo da imparare.
((Quanto alla normalizzazione, un po’, devo dire, la temo. Suppongo sarà stata dura, per lui, anche se questo è un far suo un problema mio)).
[Avevo scritto un commento, prima, mi sono dimenticato di lanciarlo, o il web se l’è mangiato, non lo so. C’era qualcos’altro, che adesso non mi ricordo].
PRAGA 68″”.il confine a nord con la Polonia era aperto,la barra alzata,non c’erano doganieri, ne controlli.Arrivavo da Varsavia su una Citroen DS .Misi la freccia a sinistra per superare la lunga fila di carri armati che stavano entrando e non sapevo nulla di cosa stava succedendo…..Era il 25 Agosto 1968.” Vorrei raccontarla tutta, le strade con le indicazoni cancellate, l’arrivo a Praga sotto i mitra,l’Hotel Alcron occupato dal quartier generale sovietico….piazza Venceslav …….. Ecco,mai come allora mi resi conto che ESSERCI DENTRO fu tutto diverso da come, giorni dopo tornata in Italia ,giornali,tv e persone raccontavano ….sapevano….pensavano….TUTTO DIVERSO
Sono andato a Praga alla fine degli anni settanta, appena dopo Ferragosto. Dopo un paio di giorno di permanenza in città sono andato all’ufficio informazioni turistiche in Piazza dell’Orologio e l’anziana signora che ho interpellato ha riconosciuto al volo l’italiano sotto la mia domanda espressa in un francese neanche malvagio. Mi ha risposto in italiano, abbiamo chiacchierato un poco e ovviamente le ho chiesto come mai conoscesse così bene la mia lingua. Lei mi ha detto di aver studiato italiano all’università e di avere conosciuto diversi studiosi italiani. Non ricordo chi per prima abbia citato Ripellino, comunque lei non è sembrata preoccupata che il discorso fosse caduto su di un autore proibito. Mi ha detto di averlo conosciuto di persona e io le ho confessato di essere a Praga in seguito alla lettura di Praga Magica e candidamente ho ammesso di averlo con me nella pensione vicino a Piazza San Venceslao in cui dimoravo.
La signora ha spalancato gli occhi e mi ha chiesto se potesse vedere il libro di Ripellino. Le ho risposto che non c’erano problemi e che se avesse voluto le avrei prestato il libro di Ripellino, purtroppo non regalato perché in quel momento era fuori dal catalogo Einaudi. In effetti grazie a un colpo di fortuna avevo scovato il libro di Ripellino nascosto in uno scaffale di una libreria di Piazza Statuto, dopo averlo cercato per tutta Torino. La signora mi ha chiesto se veramente intendessi prestarle il libro, io ho confermato e le ho detto che in pochi minuti sarei andato in Piazza San Venceslao a prenderlo. Lei non ha resistito, ha borbottato poche parole in ceco alle due colleghe dell’ufficio, nelle quali mi è parso di riconoscere la parola Ripellino, un po’ storpiata come le regole di declinazione del ceco richiedono. La signora mi ha accompagnato in piazza San Venceslao, si è fermata sulla soglia della pensione, io sono entrato, ho fatto le scale di corsa perché la sua ansia e la sua impazienza erano evidenti, sono ridisceso con il libro Einaudi, prima e ultima di copertina bianca, costa rossa e qualche macchia di albicocca per un confezionamento non impeccabile dello zaino in una gita in montagna. Lei ha preso il libro in mano quasi tremando, mi ha detto che ero un pazzo a affidare un simile tesoro a una sconosciuta e poi ha fatto sparire con un respiro di sollievo il libro nella borsa. Ho riaccompagnato la signora al suo ufficio, lei mi ha dato un foglietto sul quale ho scritto il mio nome e il mio indirizzo, ci siamo salutati con calore e sono tornato al turismo praghese.
Appena uscito dall’ufficio mi sono reso conto di essere appena diventato uno che va in giro a prestare libri proibiti in un paese totalitario e mi sono dato mentalmente del coglione. Per i due giorni successivi una certa inquietudine mi ha accompagnato nei miei giri turistici e solo dopo il passaggio di frontiera con l’Austria vicino a Pilzen l’ultima tensione si è sciolta. Dopo un mese, tempo pattuito per il prestito, ho ricevuto una cartolina dalla signora praghese, nella quale mi chiedeva di trattenere ancora per qual$che settimana il libro, perché l’italiano di Ripellino era un po’ arduo e perché suoi amici volevano anche loro leggere il libro. Le ho risposto per cartolina che non c’erano problemi e il libro mi è arrivato a Torino ai primi di ottobre e da allora di trasloco in trasloco dimora su uno scaffale della mia libreria. Da allora Ripellino testimonia per me la forza della letteratura.
Concordo con Anna Maria Papi : gli eventi cruciali della storia, visti da vicino, sono profondamente diversi da quanto viene riferito dai corrispondenti, e soprattutto dalle televisioni : a Praga non c’ero (motivi anagrafici), ma ricordo bene la Rivoluzione Arancione di Kiev pochi anni or sono : le nostre televisioni narravano gli eventi secondo trite categorie occidentali, luoghi comuni, sguardi politicamente corretti, e un volontaristico ottimismo nei confronti di quella Rivoluzione, che così rivoluzionaria non si è rivelata. Sarebbe davvero curioso confrontare gli sguardi sul medesimo evento offerti dai media degli antichi blocchi contrapposti : ci accorgeremmo della reciproca involontaria malafede, e del continuo tentativo di piegare la realtà alle proprie categorie di comodo. Grazie infinite a Domenico che, con Pane e Fo, tiene vivo il ricordo del grande Ripellino.