Gli scrittori sintomatici, compreso me
di Christian Raimo
Ho sempre odiato qualsiasi forma di nostalgia paternalista… ah, la letteratura di trent’anni fa, la scuola di quando eravamo giovani, la passione politica degli anni ’70. Avendo vissuto la mia infanzia e giovinezza – e con estrema lucidità – in decenni di aridità sentimentale e ideale come gli anni ’80 e ’90, ho sempre comunque diffidato di chi cercava di liquidare con snobismo le derive post-ideologiche o quello che nonno Pasolini bollava come genocidio culturale. Sono cresciuto guardando tra sei e otto ore al giorno di televisione, e questo ho voluto/dovuto affermarlo come valore, non potendo a un certo punto della mia vita fare un’epurazione del mio immaginario, o una cura Ludovico per cambiare le mie abitudini di perfetto consumatore culturale. Dico questo come attestato di mediocrità appunto; autoammissione che per me è il presupposto però di qualsiasi discorso critico.
A premessa fatta mi interessava dire invece come l’articolo di Giulio Mozzi sia significativo perché tenta di smontare – in modo esemplare – la fallacia argomentativa, logica di uno dei modi tipici del giornalismo culturale italiano: parlo di te, non dico niente di troppo rilevante, ti faccio conoscere, la tua bella faccetta nella foto che ho fatto realizzare apposta dall’agenzia pagata da me giornale, il tuo ufficio stampa mi ringrazierà. Il tuo portato culturale, qualunque sia, viene così reso oggetto di merce per vendere il giornale (la sua pubblicità), ora che è depurato di qualsiasi sua capacità critica. Questa settimana si è parlato di te, la prossima settimana di un altro: non c’è gerarchia, non c’è dialettica, e soprattutto nulla è capace di cambiare lo schema ideologico del luogo dove tutto questo avviene: niente esonda dagli argini della terza pagina – spot, che è lo spazio che questo giornale dedica alla fenomenologia della cultura. La potenza di questa pratica si basa sulla compulsione alla curiosità che è la base del consumismo culturale. La letteratura viene risucchiata dai meccanismi editoriali (promozione/ufficio stampa/vendita) e l’editoria a sua volta plasmata secondo i modelli di questo che non so come chiamare meglio se non consumismo culturale (anticipazioni!/gossippetti e polemichine sulla mondanità di quarto grado che è il mondo della cultura/libri e dvd allegati…). È significativo come questo meccanismo possa diventare strutturale se non endemico.
Ragionavo proprio qualche giorno fa su un caso da manuale in questo senso: mi è capitato tra i libri che avevo in casa Chiedilo agli angeli – i libri e la vita di J. T. Leroy, edito da Arcana pop e scritto da Valentina Pigmei. È un libro con un intento promozionale esplicito: far conoscere il personaggio/scrittore che ha pubblicato per la stessa casa editrice i suoi tre romanzi (Fazi e Arcana erano dello stesso gruppo proprietario). Ma è al tempo stesso un prodotto molto onesto: un libro curato, ben scritto, documentato. Con un nucleo di interesse principale fortissimo proprio nell’ambito del mondo del consumismo culturale. Chi è JT? Come è possibile che un ragazzino dal volto angelico e dai modi liminali all’autismo riesca in maniera così scoperta e al tempo stesso fiabesca a raccontare esperienze di violenza pura di cui è stato vittima nella sua infanzia? JT è stato per qualche anno l’ipostasi dell’autenticità. Come Rimbaud, come Sarah Kane. Per i suoi amici scrittori mentori come Dennis Cooper o Dave Eggers, per registi come Gus Van Sant e Asia Argento, per i suoi referenti italiani, il suo editor Simone Caltabellota, la sua traduttrice Martina Testa, la sua biografa Valentina Pigmei, per tutti i suoi lettori, JT era uno strano monstrum di sincerità, la dimostrazione che in un mondo culturale dove molto è costruito e indotto dalle regole di mercato, un ragazzino di diciott’anni, ingenuo e genialoide, potesse trovare lo spazio e le attenzioni che meritasse: un puro.
(Tra parentesi: è indicativo come questa proiezione del proprio desiderio nella ricerca dell’autenticità, della purezza sia aumentata nella fruizione artistica oggi a tal punto da aver generato come reazioni: o una sorta di up-grading nella ricerca dell’autenticità, della non-artificiosità, oppure una meta-ricerca. Sospettiamo sempre che ci sia il bluff, ma speriamo sempre che in fondo all’Arno ci siano teste grezze di Modigliani, o vogliamo almeno vedere come si fanno col black&decker nel giardino di casa. Nell’ultimo romanzo di Walter Siti, Troppi paradisi, si parla del mondo occidentale come mondo informato dal senso di fiction televisivo, una sorta di scenario perennemente pornografico: ossia un universo dove qualsiasi espressione impulsiva è generata ad arte. Ma – è questa una delle intuizioni più felici di Siti – siccome abbiamo metabolizzato questo disincanto, siccome sappiamo ad esempio che “le storie vere” che la “tv verità” ci propina sono delle panzane confezionatissime, cerchiamo il buco che smascheri questa confezione, lo scoop di Striscia la notizia che smerdi le Wanna Marchi e le D’Eusanio, in un inseguimento spasmodico del “senso del reale”. C’è una immagine che mi è rimasta di Siti: il protagonista che guarda i film porno, cercando di vedere se le dita dei piedi di quelli che stanno scopando si arricciano o meno nel momento dell’orgasmo: forse avranno veramente goduto?).
La realtà è che purtroppo che Pantani e Armstrong si dopavano e che JT Leroy non esisteva: i libri li scriveva Laura Albert, una decisamente abile scrittrice di quarant’anni e per le foto si prestava Savannah Knoop, una ragazzetta ventenne vestita con abiti larghi da uomo e sempre abbigliata con un parrucca bionda e occhiali da sole, che nelle interviste dal vivo farfugliava bizzarrie. La truffa l’ha scoperta il New York Times l’anno scorso, e il libro di Valentina Pigmei fa un effetto strano. Perché appunto è un libro onesto. Conosco lei personalmente e mi ricordo la dedizione con cui l’ha scritto, ogni tanto sì turbata e irritata per le bizze di JT nelle interviste telefoniche. Ma la morale della vicenda è veramente lapalissiana, proprio per come mette a nudo i meccanismi perfetti della confezione editoriale: introiettati addirittura a livello inconscio. Il marito di Laura Albert, la (ghost)writer, anche lui complice della truffa, sosteneva che lei veramente si sentiva, era JT.
Ho parlato di questo caso perché mi sembra che JT sia l’esempio più alto, più cristallino di come l’industria culturale abbia trovato il suo funzionamento compiuto: nella Dialettica dell’illuminismo (mezzo secolo fa, anni ’50) Adorno e Horkheimer già analizzavano i meccanismi pubblicitari e facevano vedere come “il ribelle con il ciuffo” era del tutto funzionale al sistema conformistico che lo inglobava: una dialettica interna, ergo sterile. JT, con la sua meravigliosa mitologia post-romantica, vale in questo senso come il migliore di quella folla di scrittori che fanno gridare poi ai critici imbolsiti: “Ah, quando c’era Pasolini…” (formalmente la versione nazional-veltroniana di “Ah, quando i treni arrivavano in orario…”). Ossia, JT funziona come uno scrittore sintomatico. Uno scrittore che esprime quello che gli è capitato addosso, sulla sua pelle, che incarna la sua scrittura.
Di questa folla di scrittori sintomatici ne son piene le librerie, questa è la verità. Il mercato editoriale richiede uno scrittore ventiduenne alle prese con i traumi di un mondo del lavoro allo sbando? Eccone uno pronto all’uso. Un’adolescente sessualmente inquieta? Arriva. Una vittima del precariato sentimentale? Et voilà. Al secondo o terzo libro, questi scrittori segnano il passo. E dispiace sinceramente. Il terzo libro di Melissa P., In nome dell’amore, la sua lettera-pamphlet al cardinal Ruini, è passata quasi inosservata. Sembra che Melissa non serva più al meccanismo editoriale-culturale. La sua sintomatologia, “quello che esprime” non è più immediatamente smerciabile. Ma questo non è neanche colpa sua, in fondo. Se la consapevolezza, l’analisi, l’invenzione, la capacità critica, l’interpretazione del mondo, quello che insomma costituisce nel tempo l’identità di un autore, il suo stile, è un surplus non necessario, anzi molto spesso ingombrante. Pensate a come hanno dovuto emanciparsi dall’etichettatura cannibalesca scrittori veri quali Aldo Nove o Tiziano Scarpa (neanche tra l’altro incluso nell’antologia, se non per fanfaronaggine giornalistica). L’articolo di Belpoliti sulla Stampa non so se contiene una mezza verità, ma un decimo importante sì. Non è vero che gli scrittori italiani non sanno parlare del mondo, ma è vero che il mercato editoriale – nella sua struttura cellulare, beninteso – privilegia gli scrittori sintomatici perché sono perfettamente assimilabili a un’ideologia di Sistema. Degli scrittori giovani si presume che siano narcisi interessati a vedere la propria foto sul Venerdì in posa da pensatore o la loro firma in calce a un pezzo sull’I-pod. L’abilità allora sta molto spesso nel sabotare o nell’evitare. Rimanere fedeli a un se stessi che ancora non si è, e che non si ha la possibilità di diventare rimanendo bloccati nella mancanza di riconoscimento, professionale mi viene da dire.
Per scrivere queste 4 cartelle per nazioneindiana ho speso un paio d’ore a gratis. Se proponessi a un Marie Claire un pezzo su che ne so “uno scrittore a passeggio un pomeriggio per il festival di letteratura di Mantova” o un’estate noiosa passata a Roma “raccontata da scrittore” mi darebbero mille euro. Voi che fareste?
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una cena a trastevere
effeffe
accetterei christian…di corsa!
MILLE EURO???
Cazzo, mi propongo subito a Marie Claire!!!!
;-)
@Christian, piaciuto il tuo articolo e piaciuta la chiosa finale. Sulla scelta che farebbero, nella realtà e non nei commenti, il 99% degli scrittori/scriventi non ho alcun dubbio: ideali a tutto spiano e ottimo articolo gratis per Nazione Indiana :-)
A parte le battute, o battutacce fai tu, credo che sia possibile e doveroso, per i “professionisti dell’intelletto” (e ci infilo ovviamente ed è scontato anche scrittori, critici, etc…), trovare una via di mezzo: non si può morire di fame per gli ideali, ma nemmeno svenderli solo per fare soldi.
Da assoluto profano ho spesso l’impressisone che questo equilibrio non esista, nel mondo letterario, oppure che sopravviva, in larga parte, solo il tempo di una copertina e una recensione. La grande rivincita e poi puff: svanito.
E’ una questione, quella che poni con la chiosa finale, già dibattuta altre volte anche qui e qualche tempo fa posi una domanda che rimase senza risposta. Da “professionista dell’intelletto” (mi occupo per lavoro di crittografia) so benissimo che potrei spremere molto più denaro accettando proposte di lavoro non sempre limpide.
Però so benissimo che, al di là del denaro, esiste anche un’etica che ti IMPONE di evitare, come la peste, alcuni lavori molto ben pagati. Difficile a volte, lo ammetto, specialmente se a fine mese devi pure pagare gli stipendi ai collaboratori, ma si deve fare: agire diversamente aprirebbe una via senza ritorno.
Potrei citare i casi di molti altri “professionisti dell’intelletto” (fisici, matematici, ingegneri, chimici, etc…) che ragionano con la stessa logica. Funziona, pur con tutte le pecche del caso e le eccezioni, spesso rimaneggiate malamente e sbandierate da giornalisti moraleggianti.
Ora la domanda è: questo comportamento “etico” è e deve essere valido solo per i “professionisti dell’intelletto” che non sono letterati?
Interessa seriamente a qualcuno?
A volte ho l’impressione che sia solo un argomento forte per incolonnare parole e richiamare sicuro interesse.
Buona giornata. Trespolo.
E’ vero, Raimo, è così. ognuno deve fare i conti col mondo che si ritrova.
Per questo le piccole indignazioni, o anche grandi, che si leggono nei commenti a volte fanno venire il latte alle ginocchia.
E’ però anche vero che del mondo che uno si ritrova quel che conta è cosa se ne può e se ne sa fare, cioè scrivere.
Cosa è stato fatto qui da noi di questa materia forse ignobile?
Di una materia altrettanto ignobile, la decomposizione dell’impero asburgico e la decadenza del mondo alla svolta di secolo, alcuni hanno fatto grandissimi libri che hanno segnato moltissimi decenni a venire. Dietro a quei grandissimi libri c’era moltissimo e grandissimo pensiero.
E il pensiero è faticoso.
Ho appena finito di leggere Walter Siti.
L’ho preso e mollato per qualche giorno, personaggi irritanti, nessun Hans Kastorp, nessun K., i protagonisti si chiamano reciprocamente “muso” e “coniglio”, spuntano la Laura Betti, la D’Eusanio, piccole depressioni, digressioni che sembrano sfilacciate, discorsi sulla televisione e sul mondo che sembrano il fallimento di ogni progetto narrativo, culi a sfare.
Eh no, mi son detta, che palle. Ma qualcosa mi spingeva a non mollarlo e alla fine, con fatica anch’io, ho visto il disegno di Siti e mi sono accorta che è un grande libro sgradevole, che di nuovo si può parlare dell’Italia e del mondo fuori dai cliché piacevoli e omogeneizzati dell’industria editoriale, che forse Einaudi l’ha fatto uscire a ridosso dell’estate perché non ci credeva, o temeva che fosse un fallimento, o forse per caso, non so. Non mi interessa fare dietrologia editoriale.
Ma è certo che il modo in cui Siti racconta la sua materia è, per chi saprà vederlo, un modo nuovo, una nuova porta finalmente aperta. E’ di nuovo grande – e certamente sgradevole – letteratura.
Il fatto che sia sgradevole naturalmente è un guaio, non avrà trecentomila lettori, è ponderoso, faticoso, irritante, ci sono tanti bei libri piacevoli in giro, facili, “riusciti”.
Ma un libro che si pone con tanta serietà, disperazione, sisifiana fatica e sconforto di fronte al mondo e agli inferni privati e al tempo stesso comuni a tutti noi io da anni non lo leggevo.
Qui c’è una grande e dolorosa analisi del mondo in cui viviamo, e di che cosa vuol dire scriverne, senza modelli americani, senza vezzi ideologici che sono sempre pappa già masticata, facile.
Coraggio, giovani scrittori, sudate sangue, qualcosa ne uscirà.
commento soltanto una cosa per temperanza. ho avuto la stessa reazione con siti, duecentocinquanta pagine di gossip spacciato per analisi del mondo mi facevano solamente incazzare, difese della televisione o della pedofilia da popular-chic, narcisimo fallocentrico spacciato per lirismo. ma è come se effettivamente ce ne fosse bisogno, di questa discesa all’infernetto per arrivare alla seconda parte del libro che è toccante. un gran libro, veramente.
Secondo me Raimo una delle tue premesse è completamente falsa: “JT è stato per qualche anno l’ipostasi dell’autenticità”.
Leggendo il primo libro ho pensato esattamente il contrario, cioè che le sue parole in nessun modo (vissuto o immaginato) potessero correre parallele alla vita e dare qualche parola di verità al lettore. Non mi sono mai posto il problema dell’esistenza di JT perché il libro firmato da lui era sicuramente brutta fiction. E te lo dico da persona sicuramente meno colta di te e di tutti i critici e giornalisti immaginabili. Da persona ignorante e terra terra avevo l’impressione di aver buttato i miei soldi, nonostante una persona – né critico né giornalista – mi avesse avvertito che il libro non andava alla radice di nulla.
Poi possiamo interrogarci sul perché critici, giornalisti e successivamente il pubblico abbiano costruito “l’ipostasi dell’autenticità”. Ma penso che la risposta sia semplice, no?
…e successivamente PARTE del pubblico…
Castorp con la C ovviamente, non Kastorp come Kossiga:-)
Aggiungo anche che quando a me è capitato di parlare di letteratura dell’io non lo facevo certo per dire che bisogna scrivere “io” o scrivere di esperienza, ma che in qualche modo, qualsiasi modo, si deve tentare di scrivere parole di verità, che non potrà che essere verità sulla vita di ognuno di noi, sull'”io” appunto. Il metodo è apertissimo, anche l’astrattista Rothko “scriveva” parole di verità, basterebbe leggere i suoi scritti per capire quanta ricerca sull’uomo facesse e traducesse nei suoi rettangoli.
Il fatto che JT sia stato per me e per altri l’ipostasi dell’inautenticità significa proprio quello che ho appena scritto.
totalamente d’accordo. “lo scrittore sintomatico” come JT, colui “che esprime quello che gli è capitato addosso, sulla sua pelle, che incarna la sua scrittura”, è figlio del capzioso mito dell’autenticità. mi ricorda quel piccolo attore nero di sit-com americane, arnold, che era perfetto nel suo ruolo di bambino arguto perché rimase piccolo anche qualche anno dopo, e in realtà, poverino, soffriva di nanismo. l’ideologia di sistema esige una totale identità fra il corpo e la parola, il verosimile spacciato per vero. diceva bene il personaggio di agrado, il trans che nel finale di un film di almodovar raccontava al pubblico di un teatro (cioè nel luogo elettivo della finzione) le tante operazioni di chirurgia estetica cui si era sottoposto: “uno è tanto più autentico quanto più assomiglia all’idea che ha di se stesso”.
e’ proprio come dice il titolo: anche lei, Raimo, è uno scrittore sintomatico, nel senso che ha inteso dare a tale espressione.
Quando è comparso il biondino JT Leroy non ho pensato neanche per un attimo che fosse lui l’autore.
Mi sembrava più plausibile l’ipotesi che girava da tempo di Dennis Cooper.
i mille euro guadagnati cosi, probabilmente li spenderesti a puttane, dato che nel frattempo la tua capacità critica si orienterebbe alla parola consumo.
Ah, ecco come campano gli scrittori.
Lo dico senza polemica. Raimo è molto molto bravo, ma la narrativa non dà da mangiare. L’indotto, invece…
(O forse i mille euro sono una somma messa lì ad esempio? Tipo andiamo a fare due passi.)
Quindi, siccome la ricchezza vera non è il tempo inteso come denaro, ma come contenitore di desiderata, è ricco chi fa ciò che gli piace.
La casa editrice Fazi sta facendo soldi a palate con delle bufale colossali. Dai famigerati “100 colpi” al fraudolento “Ingannevole…”. A me hanno respinto tre ( dicasi tre ) manoscritti con argomentazioni assai opinabili. Due di questi tre manoscritti li ho pubblicati con piccoli editori, alla faccia loro e dei loro autori fasulli. Aggiungo, chiosando, che sono invidioso da morire.
Caspita, che commenti interessanti!
Temp, qui più che omerica sei edipica. Quel punto esclamativo (!) spalanca abissi, o li colma? Il dubbio mi strazia. ;)
Spero che tu mi abbia presa alla lettera, sto facendo uno studio sull’intelligenza collettiva del consumatore di prodotti editoriali nella sua modalità di commentatore. Ne verrà fuori un saggetto che pubblicherò, con il finanziamento del ministero alle politiche giovanili, per i tipi Lasciate ogni speranza.
Sarei felice se me lo presentassi, magari a Pavia, tu e anche gli altri amici qui;-))
@temperanza
“Caspita, che commenti interessanti! ”
già. è curioso notare come anche fra noi amish siano state introiettate le stesse modalità di pensiero dell’esterno. quel che colpisce di più sono i mille euro, o le dichiarazioni “io l’avevo sgamato subito che non era jt leroy l’autore!”. l’accento sul fatto che il mercato editoriale incoraggia e premia quel tipo di scrittori (jt, melissa) e scritti (“la passeggiata dello scrittore a mantova durante il festival della letteratura”) “sintomatici” passa invece in second’ordine, o lo si ignora bellamente, come se il pezzo di christian non s’inserisse nella polemica sullo scritto di mozzi e l’obiezione di belpoliti, secondo la quale i giovani scrittori italiani non sanno parlare del mondo; quella sì, vera e propria “nostalgia paternalista” (“ogni tanto una generazione salta”, sentenziava con consolatoria rassegnazione mitterand).
Bel pezzo! ;-)
Che ci vuoi fare, Garufi, noi figli degli anni ottanta, cresciuti ascoltando ‘Material Girl’, leggendo ‘Le mille luci di New York’, e’Less than zero’abbiamo introiettato tutti i germi del disimpegno, e i commenti ci vengono cosi’.
@ Sergio Garufi
Bravo! L’attenzione alla chiusa (volutamente) retorica del pezzo di Raimo, fa passare in secondo piano la sostanza di una riflessione seria, pacata e distesa, di ottimo livello, che il testo contiene: nel momento in cui svela non tanto le dinamiche di funzionamento del “sistema” in esame, ma la sostanziale trasformazione di quelle dinamiche (che una volta si sarebbero dette “storicamente determinate”) nella struttura “ontologica” del sistema stesso. Qualcuno dirà che si tratta di un discorso già fatto, risaputo. Ah, sì? E allora perché lo diciamo “solo” quando sono gli altri a sbattercelo, giustamente, sotto il naso?
@ Temperanza
Io ho preso alla lettera la tua esclamazione, quell’inter – esse così intrigante nella sua solo apparente univocità e solidità semantica. Ma ciò non toglie (sarà in forza del punto esclamativo, forse) che mi sia rimasto tra i pensieri un retrogusto di tipo, se non figuralmente auerbachiano, almeno vagamente e latamente allegorico. Potenza dell’inter-pun(i)zione, direi. ;-)
A Pavia ci sarò sicuramente e terrò una dotta prolusione, alla quale sto già lavorando, dal titolo: “I siti della melissa: per una ermeneutica del principio delle catarsi castranti”. Sono certo che anche Garufi e Raimo saranno della partita.
@ Garufi
Infatti, dopo il tuo commento ho deciso di cambiare editore.
Non più “Lasciate ogni speranza”, editore inutilmente catastrofista, a favore di “Non giratevi mai a guardare” editore più scafato, consapevole che ormai il collegamento neuronale e la memoria decadono dopo meno di ventiquattr’ore e invita a guardare solo avanti. Tra l’altro offre come gadget paraocchi artigianali per cavalli in cuoio nero ribattuti a mano degli anni ’50, rivendibili.
@ cato
Grazie, ci conto, lavorerò sentendomi meno sola:-)
Grazie Temp, che bella gratitudine!!!
Io lavoro come un matto per la prolusione dotta, tralasciando ben altre e più gratificanti attività, e tu, per “giusta” ricompensa, mi scambi anche con un altro (senza sapere, poi, se il sunnominato e sullodato accetterebbe mai il baratto(lo) con me). :(
Chri, trovo retoriche alcune tue affermazioni, e forzate alcune conclusioni, e proprio per la stima che nutro nei tuoi confronti mi permetto di.
A mio avviso, eviti di dire una cosa fondamentale su LeRoy, ciò che per me ne ha determinato il vero successo; forse non la dici perché non la pensi, ma secondo me andrebbe messa agli atti. COME SONO SCRITTI I SUOI LIBRI. Sono scritti da Dio, questo era quello che com-muoveva molti lettori, compresa me. La capacità di trasformare vile metallo (l’esperienza della violenza che tra l’altro fanno migliaia e migliaia e migliaia di figli di tossici, la gente potrebbe scoprirlo guardandosi intorno più che leggendo libri, e avallando questa errata prospettiva intellettualistica per cui il libro ti dovrebbe rivelare Verità, privata, sociale, politica, ma Verità, come se la realtà, l’elemento fondante della cosiddetta “Verità”, non ci circondasse e soffocasse continuamente, a me almeno sì), la capacità di trasformare, dicevo, il vile metallo di una vita di merda – riassumendo – in oro. Oro letterario. Tutto, in quei romanzi, era perfezione assoluta. Erano in ogni senso, e prima di tutto letterario, un miracolo. Questo faceva e farà la differenza con qualunque altro romanzo di adolescenza inquieta scritto con la reliquia del corpo dello scrittore o della scrittrice ancora sporco di liquidi spermatici o sudore umido di vita vera e che, sono d’accordo con te, è ciò che la gente oggi, inconsapevolmente o meno, vuole, brama dall’arte. E che la porta a rifiutarla, parimenti, per lo stesso motivo. La necessità di immedesimazione. Che è sempre la stessa, dai tempi di Aristotele. Sarebbe a dire che io lettore (e critico) amo o odio Melissa p. perché compatisco (in senso etimologico) oppure no ciò che mi racconta delle adolescenti contemporanee. Melissa p. (come LeRoy) può essere soltanto una santa o strega, e non m’importa come scrive ma cosa scrive. E’ l’analisi del contenuto che piace tanto agli intellettuali soprattutto di sinistra, ma al contrario, è l’esproprio popolare del contenuto, la “massa” sta rivoltando ora contro gli intellettuali il suo stesso valore principale, appropriandosene secondo le proprie esigenze. Alcuni dei libri che vendono sono libri che vendono un contenuto “vero”. (Per spiegarsi perché Dan Brown vende tanto le ragioni sono ovviamente diverse). Libri in cui la gente si rispecchia, si sente raccontata o sente raccontato con “verità” un mondo che non conosce ma sa che esiste.
“In nome dell’amore” era prevedibile che non vendesse come il primo o il secondo di Melissa, trattandosi di un pamphlet, scritto da una Melissa che fa quasi l’intellettuale e per questo inizia a dar fastidio, agli intellettuali prima di tutto. Ma il terzo libro di Melissa quanto venderà? La terza puntata della vita di Melissa Panarello quanto venderà? Non credo, per niente, molto poco. E personalmente spero che lei riesca a scriverla con la stessa capacità con cui ha scritto la prima e la seconda, capacità privata di intellettualismi, urgenza di scrivere e capacità di organizzare un contenuto fortemente comunicativo in cui “Mi chiamo Melissa P. come tutte” non è dichiarato come fa Siti, tra l’altro omettendo la fonte (l’aveva già scritto Erik Satie decenni fa, “Je m’appelle Érik Satie comme tout le monde”)… Tornando a LeRoy, se esiste o meno non è importante, e non è questo l’argomento di delegittimazione di tre libri perfetti. Non può esserlo per un intellettuale che dovrebbe sapere che la verità e la stessa realtà sono concetti molto complessi. O sbaglio? La certificazione di esistenza in vita era un sovrappiù. Ma LeRoy, paradossalmente, è ancora più vero e sintomatico non esistendo, perché sintomatico dei tempi, di questi tempi, che più che mai, come scriveva anche Sergio Garufi nel pezzo sul rapporto tra fan e scrittori, vogliono leggere pagine fatte con pezzi di te. Pezzi di carne. La Albert in questo senso è stata un genio inconsapevole, quindi soltanto una grande sognatrice (non truffatrice), perché ha venduto un clamoroso sogno, suo e nostro. Che la letteratura avesse di fatto salvato qualcuno, cambiato il destino di una vita predestinata alla distruzione. Che i libri fossero gli scacciaincubi di un ragazzetto con una vita che definire difficile voleva dire usare un eufemismo. La letteratura, la scrittura, che salva, che aiuta a sopravvivere, che cambia, nell’infinitamente piccolo che è una vita, il mondo. Tra Melissa LeRoy e Roberto Saviano ci sono molti punti in comune. La notizia aggiuntiva che lui rischi la vita raccontando la camorra l’ha reso appetibile prima a Mondadori e poi a molti lettori, soprattutto intellettuali, che chiedono Verità sociale e non personale nei libri che, il loro sogno, possono e devono cambiare il mondo. Se ci pensassero bene, gli intellettuali, capirebbero che è lo stesso meccanismo che tanto disprezzano, quello di chi per entrare in contatto con un padre che non vede da 30 anni invece che prendere su il telefono e chiamarlo chiama la redazione di “C’è posta per te”. E’ la messa in scena della (presunta) Verità, a cui assistere, possibilmente, in pubblico. E’ la necessità dell’eroe, come ogni rivoluzione richiede.
Quanto al discorso sull’inglobamento snaturante dell’intellettuale (ciò che anche per te, come per Mozzi, pare abbia fatto quell’articolo sul Venerdì nei confronti di Nazione Indiana), non sono d’accordo nemmeno qui. La virtualità non sostituirà mai la carta stampata, ciò che è vero per il libro è vero per i giornali. Lo specchio reale di un’esistenza è la carta stampata. Lo strumento di diffusione medio è la carta stampata. Che quindi la carta stampata abbia parlato di Nazione Indiana, forzando un po’ le cose nell’ottica della notizia e dell’analisi del “fenomeno” (anch’io per dire sono stata letta su Nazione Indiana dall’editor Fazi che mi ha contattata, e non nei commenti, si trattava di un poemetto postato da Tiziano Scarpa, ma io ho venduto 2000 copie e dunque lì, nel “fenomeno”, non ci sono), a me pare comunque positivo. Le persone che da quell’articolo sono arrivate qui scopriranno un mondo che non conoscevano e finora non avevano sospettato che esistesse. Questo, è così negativo?
Scusa la lunghezza, ma il tuo è un pezzo che stimola molte riflessioni.
@Conte
La mi scusi!! E come mai avrò fatto questo? Misteri della mente umanoide.
@ Alcuni
Ragazzi, non abbiatevene a male, vi prego, a volte restare col naso attaccato al dettaglio fa perdere di vista il quadro. Il pezzo di Raimo si serve di tutti gli esempi che fa, compreso Le Roy per fare un discorso un po’ più complesso che non una semplice mappatura dell’esistente. Non pensate che varrebbe la pena fare qualcosa di più della povera capra che bruca solo l’erba intorno al paletto al quale è legata?
(questo commento non è ironico e non è scritto bene)
Ora che abbiamo stabilito che:
1) qui si scrive per passione;
2) che esiste una redazione che quando deve parlare al plurale parla ma chissà se riuscirà a mettere in pratica i suoi propositi calendareschi;
3) che bisogna scrivere “bene” se no Nostra Senora dei Temperini non capisce, e sfodera la sua caratteristica linguina al dente, e ci viene a dire che se non leggi Siti sei un cretino (certo non una cretina) (Siti non scrive romanzi, fa autobiografia. Questo lo dico io. E dico pure che il suo pescar nel torbido dell’inconscio collettivo è un po’ mollo rispetto ai brividi che ti mette, tanto per pestare i calli, il razionalista Scruton, che sto rileggendo voglioso da stamattina presto. E aggiungo che per il sottoscritto Siti se lo vai a solleticare per bene nella sua casa romana ti dirà pure lui che Mammuccari è un guappo, che schifo le cosce di fuori, preferisco Alda D’Ausanio o come cripton si chiama);
ora che, finalmente, conclusa la fase propositiva, propostazionista, fabbricazionista, ‘prodiana’ in senso buono (vedi Piano Cris), possiamo tornare al nostro caro nonchè insano nichilismo autodistruttivo;
vorrei chiedere a Christian due cose:
1) se ha letto cosa gli abbiamo scritto negli ultimi giorni, e cioè che è vero, ci sono le Melisse, ci sono i sintomatici (preferisco gli schizzati), che sono tutti vendibili, ma è vero anche che non è tutto inedito quel che luccica, e che quindi andrebbe fatta più attenzione alle scritture italiane, mentre ormai ci troviamo a fare i conti quasi esclusivamente con le americane, e d’altra parte, aggiungo, se la cultura americana uno la ama davvero se la deve prendere in blocco (che non significa prendersela in quel posto, solo discuterla in tutti i suoi aspetti), non vale che prendi gli scrittori (qualche icona e tanti epigoni) e molli Cheney perché ti sta sul cazzo (io preferisco il CFR al PNAC, per esempio), cioè a dire che non si dovrebbe mai staccare la cultura dalla politica, la Frontiera dai suoi fronzoli intellettuali (qui, effettivamente, non si capisce proprio una renga! evviva!);
2) se ha letto, sempre nelle ultime settimane, che non si tratta di riesumare nessuno, ma che se parliamo di Pasolini parliamo del Tempo di Pasolini, dell’Epoca di Pasolini, e quindi, di riflesso, della nostra epoca, del nostro tempo; ed è per questo che l’anno scorso ho fatto un corso alla Sapienza che si intitolava proprio così, “Perché dobbiamo riscrivere Pasolini”, e da questo corso che ho fatto ho capito due cose, e cioè che:
1) Tondelli, che credevo un maestro, rileggendolo meglio con gli occhiali di Ragazzi di Vita non ha fatto altro che un ottimo esercizio di riscrittura bolognese (dico Altri Libertini), reinterpretando emotivamente l’originale in romanesco (fattoni al posto di guaglioni), e infatti poi si è visto che altre strade ha preso; e che se è vera la tesi per cui il tondellismo è degenerato nel generazionismo (la sua nemesi), allora dimmi tu se serve o meno rileggerselo, oggi, Pasolini (cioè fare una sintesi degli ultimi cinquant’anni);
2) se fai riscrivere l’incipit di un capitolo di ragazzi di vita a un campione di mettiamo di 250 studenti i risultati (qualcuno già freme, sentendo odore di voti) sono che l’80%, grosso modo, prende la cosa per quello che è, cioè un compitino su un tipo strano che pare fosse frocio ed è finito male, e quindi come voto oscilla tra il 18 e il 22; un 15% che se la sfanga perché ha più familiarità con la scrittura e magari ci mette dell’ironia (voto under 26); un 4% che prova davvero a reinterpretare quello che ha letto, ma non ci riesce fino in fondo (voto 28), e 4 ragazzi e ragazze che invece ce la fanno a dire quello che pensano, di cui uno con lode;
vuol dire che non stiamo messi così male, quaggiù, che una Nazionale la riusciamo a fare, si tratta solo di stare a sentirli un po’ di più, quei ‘ragazzi’. Invece di mandarli in miniera a sudare lacrime, pagine e sangue, come vorrebbero certi maniaci della lettura gratis a oltranza (e i diari degli idioti e dei folli? dei vecchi che hanno fatto la terza media? qui potrebbe venirmi in aiuto Gina, ma purtroppo me la sono giocata con il filo-papismo).
Christian, scusa, volevo chiederti delle cose ma non le ho scritte per bene. Corro a salmodiare Lezioni di Nudo, per allenarmi al calendario autunno/inverno.
Dev’esser bello avere un nemico. Io però li voglio solo di stazza, quindi passo.
il solito menefreghismo liberal.
Farei il pezzo per Marieclaire assicurandomi l’ossigeno necessario a scrivere 40 cartelle su NI, Carmilla, Vibrisse, AltaINfedeltà. Se fossi Raimo, s’intende. Ma siccome sono un nessuno, uno che non è nemmeno sintomatico e che non ha neppure il tempo (o l’energia creativa) per diventarlo, mi limito a farlo sul web. E facendolo, settimana dopo settimana, scopro questo universo parallelo, dove i gusti dei lettori spesso non si allineano ai “canoni” definiti da certe case editrici occupate a rincorrere modelli consolidati, convinte di dover perseguire un certo gusto, piuttosto che reinventarlo. Navigando mi capita di imbattermi in giudizi e commenti di elogio nei confronti di prove letterarie a cui difficilmente verrebbe dato spazio dall’editoria tradizionale (quella non a pagamento, s’intende). E allora mi chiedo se davvero la carta stampata debba essere il contenitore di tutto quanto c’è di buono in giro. Il web ha il vantaggio della più ampia accessibilità, ma il limite della rarefazione. Vien naturale pensare che in assenza di selezione editoriale aumenterà considerevolmente il volume della spazzatura in circolazione, ma qual è d’altra parte il livello medio di quanto viene pubblicato ogni anno dalle case editrici? E poi è attuale o superata la convinzione che esista una gerarchia tra la carta stampata e il virtuale della rete? Le pagine culturali del Corriere hanno davvero maggiore autorevolezza di Nazione Indiana? In giro per blog occorre cercare, infilarsi tra le montagne di mediocrità e dilettantismo, schivare le architetture pericolanti, ma alla fine qualcosa si trova, di scoperte interessanti se ne fanno. E quante volte abbiamo comprato delle emerite porcherie in libreria solo perché la quarta e l’incipit apparivano decorosi? C’è più verità nella miriade di blog autogestiti o negli uffici stampa delle case editrici?
Certo, il blog non ti dà da mangiare, non ti permettere di dedicare tutte le tue energie alla creatività, di mecenatismo in favore dei bloggers ancora se ne è sentito parlare. E allora prevale (e prevarrà) ancora la pubblicità, il prezzo di copertina, il numero di copie vendute, il circuito delle librerie con le vetrine straripanti di banalità standardizzate. Così, se fossi Christian Raimo, intascherei l’assegno di Marieclaire e mi occuperei di quello che più mi piace per il resto della settimana (non ho idea di quanta autonomia possano dare 1000 euro lordi all’autore di questo post :-)
Passando al personale mi limito a dire che ho inviato manoscritti, qualche volta, sempre con il dubbio che venissero effettivamente letti, chiedendomi se almeno alle prime dieci righe qualcuno avrebbe dedicato un po’ di attenzione, dopo aver dato un’occhiata al mio curriculum poco sintomatico, banale, non clamoroso. Ma le risposte sono arrivate solo da editori a pagamento. Forse è solo una questione di talento che non c’è, su questo non discuto. Fortuna che esiste il web, questo posso dirlo, fortuna che esiste un mezzo per esporsi, per ricevere un feedback, fuori dalla dittatura del mercato.
“Menefreghismo liberal” o da “patriziato liberal”? La differenza non è da poco, se permetti.
*
Come non è da poco la constatazione che la maggior parte degli “intellettuali” trentenni (le lodevoli eccezioni non fanno altro che confermare una regola che si dispiega in prassi quotidiana sotto gli occhi di tutti, in rete e fuori), scrittori o poeti che siano, sono afflitti da tremori di onnipotenza (i primi sintomi di un vero e proprio delirio, immediatamente manifesto laddove qualcuno di loro riesce a “saltare il fosso”). Mentre alcuni pongono le loro riflessioni sempre su un piano problematico e dubitativo, loro, invece, di dubbi e perplessità non ne hanno mai, nemmeno quando sparano castronate su decenni che non hanno mai vissuto e di cui hanno letto solo nei libri dei loro “maestri”: la letteratura, l’arte, il giornalismo sono esattamente quelle realtà che traspaiono attraverso le loro parole, e le loro scelte, anche di vita o di appartenenza culturale, diventano paradigma interpretativo della realtà tutta, soprattutto di quella che non hanno mai frequentato o che aspirano a frequentare. Mai, o solo raramente, uno che dica: “Sì, tu hai dato questo giudizio su questo autore, però considera anche che potrebbe valere quest’altra opzione”. No! “Tu hai detto la tale cosa su questo libro? Allora non capisci un cazzo, vieni qui che ti “imparo” io cos’è la critica, come si fa, cos’è un vero libro oggi, etc. etc.”. Tu hai detto che tutte le melissate italiote stanno alla letteratura come la verginità alla monaca di Monza? Apriti cielo.”Siete dei sorpassati, portate sulla pelle le stimmate degli intellettuali di sinistra mummificati e sorpassati, incapaci di intendere il nuovo che avanza a colpi di spazzola e di clisteri”. Via la falce, via il martello: la rivoluzione del XXI secolo si fa all’insegna del simbolo “pettine&pompetta”: a partire dalle redazioni dei giornali, dalle pagine culturali, dai seminari universitari, dai cataloghi patinati dei soliti noti, tra le sillabe e gli accenti di un verso, tra le righe virate a seppia della nuova prosa”. Basta saper bussare alle porte giuste. E se non si aprono? Impossibile, se bussate più forte e con la modulazione giuste delle nocche, si aprono, si aprono. Si sono aperte…
@ugolino
Ieri notavamo appunto un certo declino delle pompinare gallinacee. Mi chiedo però quale sia il piano problematico-dubitativo a cui allude il conte.
Frate Cristoforo
Se mi prometti che fai di tutto per contenere, almeno per qualche minuto, il tremore, te lo spiego con un esempio. E ti prometto pure che non vado oltre le cinque righe. Non vorrei rubarti segmenti di spazio vitale.
Perpetua(m)
ragazzi frequento da qualche giorno il blog e vedo sempre le stesse facce, anzi le stesse firme. Non amo nè chattare, nè scrivere email agli amici, ne navigare su Internet e cose del genere. Figurarsi un blog! Un’altra moda pensavo dalla quale non ci si può sottrarre, un po’ come gli sms. Poi mi sonolasciate tentare, capirete, ho letto Gomorra di Saviano, scrittore su Nazioneindiana, blogger, poi l’articolo di Venerdì di Repubblica…alla fine mi sono lasciata tentare. Ho anche scritto qualcosa. Ma devo dire che trovo stucchevoli, passatemi il termine, la gran parte delle vostre argomentazioni, di certi pseudo-dibattiti e contorsioni mentali. Come suggeriva Okkam, rasoio alla mano, la via più semplice è la più vera (sempre che ciò non snaturi il concetto, parte spesso dimenticata!). Allora, dico io, non si fa prima a scrivere, piuttosto che stare lì a dirsi e a dire agli altri come dovrebbe essere uno scrittore, come dovrebbe porsi, come dovrebbe pensare e altre fregnacce simili!!!Pensateci e fatemi sapere. Sono stata troppo rude eh? lo so, non faccio la simil-itellettuale a comando come tante di quelle che poi vendono porcheria confezionata prima sui blog poi in libreria…purtroppo!!!
scusate i refusi non ho voglia di rileggere quello che ho scritto di getto
Cio’ che dice Raimo ricorda la dissidenza pacifica di Victor Pelevin.
@teresa
Ecco fatto, ci sei dentro. Il nucleo vero dei commenti è “quello che dici tu è stucchevole e sbagliato, io invece, sono di un’altra pasta e non parlo a vanvera”.
Sei stata battezzata (qui vige l’autobattesimo). Adesso qualcuno lo dirà a te, e che tu gli risponda o meno, hai reagito con la classica reazione da essere umano che passa dal mondo “reale” (reale?) al mondo retico.
@teresa
perché dubito che tu non torni a vedere se qualcuno ti ha risposto:-)
@ugolino
hai capito?! non si spreca, il conte.
@gemma
ho evitato esplicitamente di parlare di come i libri di leroy sono scritti. non mi hanno entusiasmato, ma gli riconosco un valore. capisco che ci si possa commuovere, e ho seguito da vicino martina testa quando li traduceva. facevo parte di elliot narrazioni, 1998 credo, quando per la prima volta simone caltabellota mi fece leggere un qualcosa scritto di suo, e decidemmo di pubblicarlo. la cosa che mi interessava era un’altra. è il meccanismo per cui una scrittrice di 30/40 anni, di talento, possa aver compreso a tal punto le richieste del mercato editoriale da creare un personaggio, con una biografia inventata, e con la figliastra a impersonare la sua vita, al fine di pubblicare. e che questo personaggio sia il simbolo dell’autenticità. della “vita vera”. non faccio discorsi etici né critica letteraria, ma mi chiedo: cosa spinge una così vasta gamma di persone a proiettare a tal punto i propri desideri su un personaggio così, vittima di un disastro famigliare, pensandolo reale? è un patto tra scrittore e lettore così forte, che si rovescia d’improvviso.
c’è della sintomatologia in chiunque scrive, o canta, o scolpisce, o semplicemente parla e respira. siamo figli dei tempi, ma è l’anticiparlo, l’organizzarlo così perfettamente, l’avertrovato un modo che di questi tempi sia sintomo che mi lascia da pensare-
“piuttosto che stare lì a dirsi e a dire agli altri come dovrebbe essere uno scrittore, come dovrebbe porsi, come dovrebbe pensare e altre fregnacce simili!!!”. Dico, “fregnacce simili”.
Non so perchè voi frequentiati NI, io ci sono perchè da quando opero letture sintomali di qualsiasi segno si sposti all’altezza delle mie percezioni, ho bisogno di confrontarmi con persone intelligenti che muovano ingranaggi kuhnianamente anomali, quindi innovativi.
Credo che l’inestirpabile mito dell’autenticità, perseguito e stanato anche nelle sue strumentali mistificazioni, affondi le proprie radici nella superstizione biografica, nell’idea cioè che l’opera sia sempre il frutto di un’esperienza di vita più che di un’immaginazione; che è poi quello che cercava di confutare Genette rifacendosi all’utopia tloniana. Questa considerazione, unita a vaghe assonanze con la truffa dei falsi Modigliani cui accennava Christian, mi hanno rammentato un episodio curioso che si verificò poco dopo la morte di Borges. Anni fa uno sconosciuto, stanco di vedersi rifiutare i suoi scritti dalla illustre rivista “Nuovi Argomenti”, decise di vendicarsi inviandogli un falso racconto di Borges intitolato “Il mistero della croce”. Millantando la traduzione di Lucentini e la licenza editoriale di Franco Maria Ricci, il testo fu incautamente e sollecitamente pubblicato, e in seguito il vero autore partecipò a un programma televisivo svelando l’inganno e screditando la rivista. Oggi questo episodio assume i tratti di un formidabile apologo. Nella vicenda del protagonista, misconosciuto autore di decine di prove narrative costantemente rifiutate dagli editori, che si riduce infine ad abdicare a se stesso pur di vedere pubblicato il proprio lavoro, è in gioco la titolarità stessa dell’opera come problema metafisico. L’impossibilità di sposare il proprio nominativo al destino pubblico dell’opera è il segno della radicale inappartenenza di quest’ultima all’artefice; il quale, nell’istante del suo compiersi, ne ha già esaurito ogni diritto di paternità, anche puramente formale. Prelevata dal cassetto e consegnata al mondo, l’opera è anzitutto apocrifa. E in verità lo è costitutivamente e da sempre, perfino nel segreto di una sua mancata divulgazione. A questo episodio si riallaccia pure l’autentico racconto dell’argentino intitolato “Borges e io” (incluso nella raccolta “L’artefice”). Nell’incontro dell’autore famoso con lo sconosciuto che gli presta il nome, dai più interpretato come la rappresentazione della scissione fra l’io pubblico e quello privato, l’eterna e inconciliabile dicotomia della maschera e il volto, c’è tutta l’incapacità dell’artista di convivere con la sua prosaica incarnazione terrena; e non perché mediocre in assoluto, ma perché, pur nello sfoggio di ogni virtù, irrimediabilmente estranea. Eppure è ad essa che il mondo attribuirà (anche nel senso di “rendere tributo”) l’opera. Niente può mitigare il trauma dello spossessamento, come sembra dirci Francesco Burdin nel finale dello splendido racconto omonimo di “Manes” (edito da Vallecchi nell’88), in cui il protagonista, ghost writer di un capolavoro acclamato, finisce per uccidere il personaggio pubblico; quasi a farci capire che l’unica alternativa alla condizione apocrifa di ogni opera è quella postuma.
Beh, Chri, però diventa un’argomentazione parziale, sul successo di LeRoy, non parlarne. Perché così si alimenta quel falso mito del “lo schifo vende”, e non è così secondo me, in quel caso. Tra l’altro parliamo di notizie, appunto. La Albert ha mai ammesso pubblicamente che è così? Quando scoppiò il caso, mesi fa, ascoltai un’intervista a Simone Caltabellota su Radio3, in cui diceva di aver ospitato JT per una settimana in casa, a Roma. E che era indubbiamente un uomo. Ora, mentiva Simone? Aveva visto male ciò che gli pareva testimoniare la mascolinità oggettiva di JT (prova che Savannah non sarebbe di certo colei che impersona JT). Il blog di JT che continua ad essere aggiornato, con tanto di appuntamenti futuri per letture eccetera, chi lo aggiorna? Tu le prove che lui non esista ce le hai? Ma il punto non è nemmeno questo, non cambia nulla che lui esista o meno. Il punto è, come dici tu, perché la presunta verità esistenziale della storia raccontata da un romanzo dovrebbe diventare discrimine per il suo valore o, peggio che mai, del suo disvalore, nel momento in cui si scopre che non è tutto “vero”? Perché siamo arrivati a questo? Ed è così lontano da quanto si richiedeva alla tragedia greca? Oggi lo stesso autore impersona se stesso. Si chiama col suo nome e cognome come tutti, e rappresenta molti. La televisione, come dici tu, ci ha nutriti. Ci ha fornito l’idea di una realtà da guardare, dell’immagine della realtà, di cui la figura dell’autore-feticcio è figlio. Ora assistiamo al momento in cui le immagini ci rivelano che sono quanto di più falso possa esistere, spesso, molto spesso. Che sono la messa in scena della realtà, nel bene e nel male. Lo stesso avviene a voi di NI che non vi sentite esattamente rappresentati dall’articolo del Venerdì, che non sentite quell’immagine corrispondente alla vostra “verità”. Che sentite quella “presentazione” come una falsa rappresentazione.
@ garufi
Stiamo attenti però che “’inestirpabile mito dell’autenticità” è mito per i fruitori, non certo per gli autori e tanto meno per la critica. E per l’industria dello spettacolo (anche editoriale) è strumento di lavoro. E’ un bel po’, mi pare, che domina il mito dell’inautentico spacciato per autentico, che è un’altra cosa.
Qua diamo troppo poco peso alla TV, non se ne parla quasi mai.
@ Temperanza
Adesso mi appari troppo ottimista! :) Credo che Emilio Fede e Bruno Vespa sappiano bene cosa può fare l'”inestirpabile mito dell’autenticità”, e lo sollecitino proprio in quanto autori… Io non dimenticherò mai la Franzoni che fuori onda chiede se ha pianto troppo, se è andata bene, alla fine di una puntata di Porta a porta…
Non avevo letto gemma gaetani, sulla TV sono ovviamente d’accordo con leri.
E non perché ce la mostra, quella realtà lontana e che sappiamo che è lontana e non fa male, ma perché ha deciso di manipolarla “in chiaro” dicendo, guarda, è vero, ma è un vero di seconda categoria che manipoliamo insieme, credici, e però non crederci troppo.
Siamo nel bel mezzo di un mondo mutante, e a una velocità addirittura impensabile vent’anni fa.
Roberto, non è questione di sprecarsi o meno, sei troppo intelligente per non accorgerti che l’esempio che volevo farti ce l’hai lì, a portata di cursore, basta spostarlo verso l’alto di qualche post e avrai la risposta che cerchi.
La persona a cui alludo, che si sia o meno d’accordo con lei, porta nella discussione un carico esperienziale notevole, di letture, di studi, di memoria storica, di rigore, di rapporto etico con la parola, che mi stimola l’intelletto, soprattutto quando non condivido per niente quello che dice: e lo stimolo è pari alla percezione netta, che avverto sempre distintamente, del rispetto verso le posizioni altrui, quando sono criticamente fondate: non condividere non significa per forza non rispettare, quando le posizioni che si confrontano nascono da un pensiero in atto, non sono fragili come battute estemporanee e, soprattutto, sono improntate a quel rigore che non esclude, anzi presuppone, l’arricchimento attraverso il contributo dell’altro.
Su dieci suoi interventi, almeno otto sono iscrivibili in questa logica, che non vuole essere il richiamo, la voce di una presunta sapienza intoccabile, ma il monito a volare bassi, a tenere i piedi per terra, a studiare, a sudare, a essere capaci (e qui ci vogliono davvero le palle) di spendere la propria esistenza nell’ombra producendo segni che lasciano una traccia, piuttosto che rincorrere l’effimera gloria che si consuma nello spazio di un blog o di un thread.
E allora, mio caro, quale dialogo vuoi che ci sia, che possa mai esistere, quando chi mi sta di fronte è pieno di certezze, ha tutta la verità con sé, solo perché ha seguito i corsi o i consigli di questo e di quello; quale dialogo può mai darsi quando uno nato nel 1977 (è un esempio a caso) viene a dirmi quale musica dovevo ascoltare in quell’anno, perché le mie letture di allora non hanno più valore, perché la cultura accumulata in qualche decennio di vita in più, e spesa concretamente nella realtà di tutti i giorni, non serve più a niente, perché le mie scelte politiche sono diventate incapaci di leggere “il migliore dei mondi possibili”, mentre io preferisco chiamarlo col suo nome di sempre.
Quale dialogo e confronto, quando uno (è sempre un esempio a caso) che ha scritto quattro versi in un blog viene a dare lezioni a chi, magari, nella poesia ha consumato parte della sua vita e delle sue energie, e solo perché costui ha appena letto l’ultimo trattato di retorica e stilistica disponibile; quale scambio di esperienze, quale interazione nel rispetto reciproco, quando uno che ha appena memorizzato e introiettato il commento a pie’ di pagina a un canto di Leopardi, viene a dare lezioni a chi studia Leopardi da trent’anni…Quando il primo fenomeno letterario (sic!) da baraccone o da studio televisvo o da blog (fa lo stesso) viene proposto, dopo un paio di libercoli insulsi, a volte prima ancora di pubblicare, come pietra di paragone di tutta quanta la geografia letteraria.
Ma dài Renzo, smettiamola, lasciamoci scivolare sul piano della battuta e dell’ironia e coltiviamo i nostri veri interessi culturali, se ne abbiamo, nell’ombra alla quale siamo usi.
Frate Cristoforo
La persona di cui parlo non ha “tremori”, soprattutto non li ha quando qualcuno, proprio perché già sulla via del delirio, le rimprovera di averli.
@gemma
appunto, quello che usi non è mito, puoi al massimo dire “mitico!” :-)
Scusa @gemma, tra la fretta e i refusi non si capisce niente, son d’accordo con “te” non con “leri”
E lo sono quando dici che la televisione ci ha nutriti. Cioè, voi, me meno, per ragioni anagrafiche, ma io non mi lascio sfuggire nessun reality, non sono mica scema, me ne guardo almeno qualche puntata ciascuno, se qualcuno di voi non ha mai visto una puntata della talpa o dell ‘isola non riuscirà mai a “fare” qualcosa, sarà sempre “fatto”. :-)
Vado, non se so torno.
Avevo iniziato a scrivere prima che comparisse l’ultimo commento di Garufi. Non so se è In o OFF TOPIC (e non me ne può fregare di meno), ma credo che una delle (molte o poche, che importa) ragioni per cui continuo a percorrere le vie della riserva indiana è anche legata alla speranza di imbattermi, sempre più spesso, in testi come quello.
@Ugolino, dopo un’iniziale insofferenza nei tuoi confronti, nata da alcuni tuoi commenti che non mi erano piaciuti punto, ho iniziato, leggendoti e pensando, almeno per quel poco che mi riesce, ad apprezzarti. Non è una presa in giro, sia chiaro, sto solo preparando un’osservazione relativa alla seconda parte del tuo penultimo commento.
Eccola: premetto che trovo comprensibili le argomentazioni che porti quando, prendo un pezzetto a caso, scrivi: “quale dialogo può mai darsi quando uno nato nel 1977 (è un esempio a caso) viene a dirmi quale musica dovevo ascoltare in quell’anno,”.
Beh, infastidisce sicuramente trovarsi di fronte uno sbarbatello/a che spadella ciò che hai visto e vissuto come fosse cosa sua. Infastidisce anche trovarsi di fronte un Perelman che, lavorando da solo e senza l’aiuto di nessuno ti risolve, in barba a tutti i super cervelloni strapagati, la congettura di Poincare e per giunta rifiuta le pubbliche onoreficenze e manda tutti a quel tal paese (scusa l’esempio, ma utilizzo argomenti che conosco meglio).
Dove voglio andare a parare? Semplice direi e sono convinto che l’hai già compreso: l’età, gli anni di studio, l’esperienza e tutto il resto non sono elementi sufficienti. Purtroppo o per fortuna.
Lo sbarbatello/a potrebbe anche avere ragione e, numeri alla mano, sono veramente pochi (ma pochi pochi) gli ultra quarantenni che hanno veramente inventato qualcosa (senza averlo fregato magari al loro studente brillante).
Perché questo dato di fatto (ovvero che il nostro cervello esaurisce buona parte della sua capacità innovativa mano a mano che si avvicina ai 40) non deve essere vero anche per la scrittura?
So benissimo che, da profondo conoscitore della letteratura (quale io non sono), potresti smontare questa mia affermazione in un amen, ma sono altrettanto convinto che, volendo, potresti fare anche il lavoro inverso.
Insomma, tu ti “arrabbi”, ma potrebbe essere altrettanto arrabbiato lo sbarbatello/a. E l’importanza dell’arrabbiatura non è misurabile…
Buona serata. Trespolo.
PS: non sai quanto pesa pure a me questa menata del cervello che esaurisce una delle sue caratteristiche più divertenti prima dei 40; sarà perché ne ho 47…
C’è Gemma che ha detto:
“la gente oggi, inconsapevolmente o meno, vuole, brama dell’arte.”
E io ‘sta cosa qui me la tengo sul piloro, mi sembra ‘na frase di Berlusca & comp. il cui motivo conduttore della gente e gente e gente che vuol così e colà e lui l’accontenta ha rotto gli ammenicoli, io di ‘sta parola gente non ne posso più.
Ma chi è la strafamosa & ultra/innominata gente, quale campione si ha? Cosa cazzo?
Ma chi sono le persone che bramano dell’Arte?
Io vedo delle persone, cioè bambini portati in colonna, come orfanelli poverini, al Castello di Rivoli a vedere quattro cacatielle di Arte Contemporanea: li portano a vedere l’Arte, le lor maestrine o i mentori, e io sono sicuro che dopo la visita l’Arte non la brameranno più.
Per di più essendo in questi anni decaduti completamente i canoni di bellezza perché sormontati dai can(n)oni di mercato mi si dice chessia l’Arte che la gente brama?
Io vedo molti bramosi di continuare a leggere porcheriole su sepolcreti oscuri ove celansi manoscritti orribili ove consumansi complotti bestiali orditi da cardinali da pezzenti travestiti da gaudenti che si tromberanno una monaca trans che partorirà poi l’Anticristo o suo cognato. Il brutto è che molti miei amici mica tanto sciocchi leggono le suddette porcheriole. Si divertono: chettidevodì’?
Si potrebbe banfare allor che la gente brama delle porcheriole, per dire e generalizzare
Però ancora dirò per far paragone con il detto JT che sempre al Castello di Rivoli, alcuni anni fa, salta fuori gigantografia enorme con madama brunazza cappelluta assai con occhiale oscuro, tipo darkissimo che ti fa presumere profondità di mente di dolori di elucubrazioni pazzesche ad hoc: risulta essere nuovissima artista mai vista, subito supervalutata, dopo due mostre: espone due video del cazzo ove una palla va ed una viene in un salottino.
Credo che questa donna non esista, nessuno l’ha mai vista: le cose le fa qualcuno pagato tre lire o giudilì.
Siamo all’epoca dei ghost, quelli sì che il mercato li brama.
E poi
“l’analisi del contenuto che piace tanto agli intellettuali soprattutto di sinistra”
N’altra cosa che mi ottunde e disturba, porcamiseria!!!
L’intellettuale di sinistra!
E’ ‘na vita che sento ‘sto turpiloquio, ‘na cosa trita, consunta: l’intellettuale di sinistra.
Sono un vecchio bacucco e quest’espressione, questo connubio laido mi perseguita dal 1960 circa.
Non ho mai saputo chessia un intellettuale, mai.
Anzi mi farebbero venire la barba quando decidessero di esistere
Cos’è? E’ uno che vive coi prodotti del suo intelletto? E poi li/si colloca a sinistra?
Cioè è gente che scrive e vive di scrittura anche giornalistica o saggistica?
Questa roba qui?
Uno scultore un architetto un designer un regista un ceramista un decoratore di insegne non è un intellettuale, allora, no.
Gli intellettuali sono un extracorpus speciale.
Io credo che bisognerebbe scrivere: scrittore giornalista saggista prof.
Io credo che se uno dicesse a Monicelli Mario che è un intellettuale di sinistra lui gli tirerebbe una scarpa
Pure la sinistra non si sa più dov’è, povero me.
Scusate l’orribile incazzio.
MarioB.
@sergio garufi: il trans di almodovar citava cervantes: nel capitolo XXV della prima parte del suo capolavoro, chisciotte spiega a panza che compito dell’arte è dipingere le cose non come sono ma come devono essere.
ergo, tu sei il cavaliere dalla trista figura.
@ugolino
‘Ammazzate, ma perché non scrivi sempre così? Mi sono trovato spesso nelle condizioni di capire che il consiglio di un amico, amico maggiore, più grande, più ‘esperto’, amico fraterno, è un ‘regalo’ prezioso che ti fa saltare a passi da gigante nell’evoluzione interiore, intendo proprio in termini di umanità. Senza voler arrivare ai cowboys che s’inchiappettano, ringrazio ancora chi mi ha dato tanto. E non so se sarei capace di fare lo stesso. Il tuo discorso va bene, allora. Fino a un certo punto. Cioè fino quando non mi dicono quello che devo o non devo fare, leggere o pensare. Con l’aria sbrigativa di chi ha già mille dubbi in tasca. Sinceramente ne ho abbastanza dei dubbi e della relatività acquisita e disquisita, le decostruzioni mi hanno un po’ rotto i cojoni, ed è per questo che me la prendo tanto con il fondamentalismo da acqua panna (liberal). Servono riforme radicali, altro che correttezza, altro che spiegazioni. Voglio provare a costruire, a farmi qualche certezza (tu non ne avevi alla mia età? è sempre stato così? Non credo. Vedi Pasolini. Vedi Parco Lambro. Altro che “paternalismo”). A un certo punto, poi, l’età non conta più nemmeno tanto, e siamo pari, uno di fronte all’altro. E se vuoi insegnarmi qualcosa devi accettare anche quello che ti dico io, se no da grande amico fraterno diventi uno perfetto pezzo di merda sconosciuto. Per me un dialogo funziona così, con dei diritti (ascoltami perché ne so più di te), ma anche con dei doveri (ti ascolto anche se dici una stronzate su due). Magari potrebbe essere utile, a una veneranda età, quando pensi di averle viste tutte, incontrare qualcuno che ti manda in tilt. Almeno a me è successo così. Altri, invece, sanno già che la Franzoni ‘mente’ e che va sbattuta in galera immantinente. Ma ti ricordo, caro conte, quella cretineria che scrissi a proposito di chi è che ha mosso la mano franzonesca, in quella placida villetta d’ispirazione goebbelesca. Allora non trovai grandi amici disposti a darmi credito. Oggi sento di nuovo puzza travagliesca e manettesca e psichiatresca, ovvero compromessi di natura pilatesca (colpa della tv, colpa di Fede, colpa di Vespa?) e allora di nuovo mi taccio e mi riaffondo in Scruton prima di godermi la Giuliana in diretta (ore 20.30). Grazie per le belle parole, prima di un altro match.
@raimo
“in decenni di aridità sentimentale e ideale come gli anni ’80 e ’90”. Non so di dove sei tu, ma a Terronia le cose funzionavano diversamente.
Una precisazione su una cosa di Garufi, il tizio che millantò il testo di Borges sì, era in tv, ma il poveretto raccontava la sua vita in una vecchissima trasmissione guardona di rai tre, inventata dal critico a griglia A. Guglielmi, nel buio e con la voce alterata: nemmeno lì possedeva un’identità quella persona che se ricordo bene frequentava ambienti universitari in cui per divertimento spacciava di cocaina.
@Christianraimo
“Sono cresciuto guardando tra sei e otto ore al giorno di televisione,
[…]
Dico questo come attestato di mediocrità appunto; autoammissione che per me è il presupposto però di qualsiasi discorso critico.
[…]
Per scrivere queste 4 cartelle per nazioneindiana ho speso un paio d’ore a gratis. Se proponessi a un Marie Claire un pezzo su che ne so “uno scrittore a passeggio un pomeriggio per il festival di letteratura di Mantova” o un’estate noiosa passata a Roma “raccontata da scrittore” mi darebbero mille euro. Voi che fareste?”
Niente, Christian, vai bene così…
@Gemmagaetani
Sono uno dei 2000. Ho comprato un sacco di tempo fa il tuo libro, ma non ho avuto ancora il tempo di leggerlo. Mi perdoni?
Ma che fai? Batti i pezzi a Christian? :-)
@William of Ockham
Th.W. Adorno da giovane si è arruolato volontario nelle SS, insieme a Horkheimer e Marcuse.
@Trespolo
“Perché questo dato di fatto (ovvero che il nostro cervello esaurisce buona parte della sua capacità innovativa mano a mano che si avvicina ai 40) non deve essere vero anche per la scrittura?”
Ogni giorno perdiamo circa 300.000 neuroni. E i neuroni non si riformano. Nel mio caso credo che i migliori se ne siano andati per primi.
@cf05103025
“La ggente e i ggiovani vonno ride, solo questo se vende”. Me lo ha detto poco tempo fa “er canaro della Magliana”, quando siamo andati a cena cor Califfo e tre belle gnocche…
“Ma chi sono le persone che bramano dell’Arte?” Semplice: quelle che apprezzano le opere del Bramarte.
cp
p.s.:
JT per una settimana in casa di Simone Caltabellota, a Roma? Mmmmh… Certo, se JT è un gran pezzo di fica mica è scemo ad andarlo a dire in giro! ;-)
io davvero non capisco come si possa leggere e magari prestarsi a commentare un pezzo firmato, come quello di raimo (ad esempio), senza chiedersi allo stesso tempo, e magari preventivamente, CHi mi sta parlando, da quale esperienza proviene, quale la sua collocazione (o anche la sua funzione) nel mercato editoriale e all’interno delle dinamiche del ‘consumismo culturale’ che egli DESCRIVE. è così inessenziale? Descrive: come in una schizofrenica presa di distanza da sè medesimo, come in una gigantesca paraculata (così potrebbe sembrare). senza metterci ‘sangue’, ‘tremori’, grovigli anche solo sul piano formale, che almeno denuncerebbero un fatto. il fatto che qui, da mozzi a garufi a raimo (e magari questo vale pure per gli pseudonimi ‘sintomatici’, come me), a firmarsi, o meno, a ragionare e a constatare sono figure, se non mi sbaglio, che gratuitamente scrivono 4 cartelle per un blog, ma che sono, in qualche modo, figure ‘dentro’ il sistema editoriale (culturale) di cui si (s)parla: scrivono pubblicano sono critici o autori più o meno ‘riconosciuti’ fanno corsi fanno ‘lavoro editoriale’ eccetera. è un ‘conflitto’, mi pare. da squadernare, se si vuole andar lontano. il conflitto tra fatti e parole, libertà e poteri, pagnotta e coerenza, ‘entrismo’ e ombra, interesse personale e disinteresse, compromessi e autocoscienza, eccetera. forse, in qualche modo, è un conflitto che aduggia anche nell’esperienza esistenziale e intelettuale tanto longeva del buon ugolino (cato?), esemplare, quando vuole, di una patologia riconducibile al virus ‘vincenzo mollica’ (che bello, che brava, che maestra/o!!). e proprio per scartare da tali patologie sterili, la domanda è: l’autore e la firma di questo post (ad esempio) come ha vissuto e come vive la SUA esperienza di lavoratore culturale? è, la sua, vita agra o integrazione culturale?
Ai senatori Temperanza e Ugolino:
Si avverte coerenza, impegno, eleganza, sobrietà che parlano del vostro criterio nel vivere e probabilmente produrre cultura.
Quali scenari prospettate per il futuro della stessa? quali auspichereste per voi, quali si potrebbero ragionevolmente realizzare per pochi, quali invece probabilmente si realizzaranno per tutti.
@andrea
dici bene, la tramissione era “io confesso”, e della beffa ne parlò pure nico orengo su tuttolibri (’89)
@temperanza
farei attenzione a separare troppo nettamente le due categorie: lettori gonzi vs. critici e autori scafati, e non solo perché questi ultimi sono a loro volta lettori, oltre che spesso e volentieri gonzi. corollari del mito dell’autenticità io li scorgo pure nelle gare delle stigmate (vedi la querelle su gomorra), in quella totale identificazione col “mestiere”, per cui chi scrive viene pagato (retribuito) per questo ma deve anche pagare di persona (subire querele, minacce ecc.), al fine di poter rivendicare la sua coerenza, ossia la sua “autenticità”. e poi la superstizione biografica è qualcosa di innegabilmente attraente. quanta parte del fascino maledetto di céline o caravaggio è dovuta alla loro vita spericolata?
@ugolino
i complimenti, detti da una persona che stimo molto, sono doppiamente lusinghieri e imbarazzanti. ma ciò che scrivo non mi appartiene, ergo non posso accettarli :-)
@kristian
il debito di almodovar con cervantes mi pare un po’ forzato, almeno a giudicare da come viene esplicitato. in ogni caso la definizione di “triste figura” mi si addice (cavaliere no però), per cui me la tengo.
Il filosofo Daniel Dennett chiama “basi razionali liberamente fluttuanti” quelle ragioni, principi strategici, che non sono rappresentati, codificati esplicitamente da nessuna parte, ma sono impliciti “nell’organizzazione più vasta degli aspetti programmati”: “è sconvolgente osservare”, dice portando l’esempio del cuculo, “la feroce perseveranza e la quantità di risorse con cui il giovane uccello supera qualunque ostacolo si frapponga fra lui e l’obiettivo di disfarsi delle altre uova. Perché lo fa? [..] Naturalmente agisce in modo inconsapevole; non ha la minima idea della base razionale del suo atto spietato, ciò nondimeno la base razionale è lì, ed è indubbiamente lei ad aver plasmato, nel corso di eoni, questo comportamento innato”.
Il tema della scalata alle gerarchie, dell’accesso alle posizioni dalle quali si raggiungono “milioni di persone”, smuove sempre, in questi ambienti, una libido enorme. Mozzi ha dato una nuova rimestata alla vecchia questione, questa volta in senso apparentemente inverso rispetto alla volta della “restaurazione”, quando appariva quasi come il capo dei moderati, dei semi-integrati. Anche in questo frangente, sono state esposte molte ragioni – basi razionali – pertinenti ed importanti. Però, esattamente come quella volta, mi rimane l’impressione di una mancanza, di una stonatura, come se non si tenesse abbastanza presente la differenza fondamentale tra il rapporto “uno-molti”, che struttura quei mezzi (cioè l’industria culturale) ed il rapporto “uno a uno” che caratterizza Internet. Mi immagino di chiedere, ai miei apprezzati autori, ma come? Avete qui decine di interlocutori e con la coda dell’occhio guardate (sbavate) sempre verso di là, verso le centinaia di migliaia – numero inconcepibile – di “semplici lettori”? D’accordo, sono ottime ragioni, ma non dovrebbero venire DOPO, magari ALTROVE queste basse (sulla piramide di Maslow :) questioni? Lo rinfacciavo anche (aihmè, senza il tatto e l’abilità necessaria) a Scarpa e Benedetti: ma come? Ci svelate così bene le “macchine di ottundimento delle menti” e poi ce le replicate qui nel piccolo, facendo leva sui carismi, tirando fuori la lagna dell’ “io sono uno e voi siete tanti”, rispondendo solo ai “riconosciuti”, rinnegando la pariteticità di Internet? Non riuscivo proprio a conciliare la loro esibizione di una critica lucida, spietata, radicale – ma purtroppo sempre orientata, come un laser, verso precise direzioni del campo – con la contemporanea riproposizione (forse inconscia, forse dettata “dall’organizzazione più vasta degli aspetti programmati”, cioè semplicemente dall’adesione al campo letterario) di pose e mitologie assurde, da trickster – da “bricconi” che non possiamo più riconoscere come “divini”, anche perché, adesso che in certo modo “viviamo” con loro, vediamo direttamente il respiro dei loro pensieri, e li sappiamo totalmente umani. Li accusavo di saper oggettivare tutto all’infuori di loro stessi, ma se ne sono andati prima di potermi rispondere, lasciandomi nel mio “double bind”. Adesso leggo le parole di Gemma: la frase “sono scritti da dio” mi ha colpito moltissimo. Mostra un’adesione al gioco, una fede nella Scrittura e nei suoi poteri, che mi fa quasi vergognare dell’aridità connaturata al mio scetticismo. Allora comprendo di essere ancora molto lontano dall’avere una rappresentazione adeguata di tutte queste cose, intuisco l’esistenza di “ragioni liberamente fluttuanti” che mi sono ancora completamente invisibili.
@ Mario B.
Ho scritto testualmente che “la necessità di immedesimazione” è “ciò che la gente oggi, inconsapevolmente o meno, vuole, brama dall’arte. E che la porta a rifiutarla, parimenti, per lo stesso motivo”. Se metti una E cambia tutto il senso.
L’intellettuale di sinistra. Mi riferivo a molti che sono stati miei professori dell’università, ma più in generale intendevo coloro che spiegano e interpretano il mondo in chiave sistemico-marxista, anche se sono studenti invece che professori, lettori invece che scrittori, eccetera.
@ Roberto
Io non so che la Franzoni mente, mi preme precisare per evitare altri equivoci. Io so che la Franzoni è consapevole del fatto che la tv è un mezzo di costituzione dell’opinione pubblica. Tanto che si chiede, innocente o colpevole io non lo so, com’è andata. Se ha pianto troppo. Questo per me rappresenta il passaggio dalla realtà-oggetto (Alfredino Rampi) alla “realtà”-soggetto (la Franzoni, i reality show).
@realtà-soggetto
quella che si vuol ammanettare, of course.
Ma niente di personale.
@ Cristoforo
No, non batto i pezzi a Christian, almeno non credo, forse dovrei prendere appuntamento con lo psich di NI, Carotenuto, per capire. :) E’ certo che però lo stimo molto.
@ Wovoka
“Scritti da Dio” forse, già, in senso più letterale di quanto avevo scritto consapevolmente, se sono stati scritti da un essere che non c’è. A me infastidiva molto il pregiudizio sulla sua figura, che ha evitato a molti di leggere quei libri. Che denotano una consapevolezza, anche dell’intelaiatura dell'”io” reale nella scrittura autobiografica che è da maestri. LeRoy, o chi per lui, è colui che ha detto che una volta aveva letto un libro di uno che aveva avuto una vita orribile, ma era scritto così male che non gliene fregava niente, di quella vita raccontata così. LeRoy, insomma, non era (non è, se esiste) un fantoccio che ha scritto intingendo il pennino nelle lacrime. Ma è un grande scrittore. Di certo quei libri sono grandi libri. Il mondo del sottobosco disgraziato che esiste sotto e accanto al “nostro”, massacrato dall’eroina e da tutte le sue conseguenze, interiori, familiari, sociali, è scolpito, mostrato, non “raccontato”, lì.
Realtà-oggetto vs. realtà-soggetto.
Anche nel caso del famoso “derby del bambino morto” (Lazio-Roma, 21 marzo 2004) la televisione ha cercato di “costituire un’opinione pubblica”. Il bambino morto non c’era ma, come ha scritto il (compianto) Valerio Marchi: «[…] la presa di posizione del pubblico – “non si gioca di fronte alla morte” – mi è sembrata e continua a sembrarmi l’ennesima conferma di come nelle curve e nelle altre gradinate risieda l’ormai unica componente del sistema-calcio ancora dotata di senso etico e morale». (Rif.: Valerio Marchi, Il derby del bambino morto, Derive e approdi)
cp
Semplicemente grazie.
“squadernare, se si vuole andar lontano. il conflitto tra fatti e parole, libertà e poteri, pagnotta e coerenza, ‘entrismo’ e ombra, interesse personale e disinteresse, compromessi e autocoscienza”.
“nelle curve e nelle altre gradinate risiede l’ormai unica componente del sistema-calcio ancora dotata di senso etico e morale”.
“Hannah Arendt parla di banalizzazione del male. Ma sarebbe meglio ‘depersonalizzazione’. Il sistema totalitario, di cui il campo di sterminio è l’espressione sublime animata da un antispirito, incarna la convinzione che niente è sacro. Lenin, Stalin e Hitler giustificarono le loro azioni in termini utilitaristici. Una società sinceramente utilitaristica non commette mai qualcosa di ‘ingiusto’, ma solo ‘errori’. E l’uomo presume di essere in vendita. E’ facile allora distruggere gli essere umani, perché la vita umana entra nel mondo pubblico già distrutta. Rudolf Hess, delfino di Hitler, diceva che “il nazionalsocialismo non è altro che biologia applicata” (…) “Lo scopo della filosofia contemporanea è la resurrezione del concetto di persona. E’ sostituire il sarcarsmo per cui siamo solo animali con l’ironia che non siamo solo questo. (…) La pietà è il riconoscimento della nostra fragilità, la disposizione a ringraziare per la nostra vita e il senso di mistero che circonda la nostra venuta e partenza. La pietà è razionale, è la fonte delle nostre emozioni sociali. E’ la pietà, non la ragione, che ci conduce al rispetto del passato e del futuro”. (Scruton)
@garufi
Mi sa un po’ troppo di politicamente corretto questo equiparare i lettori gonzi a teorici e critici anch’essi potenzialmente gonzi:-)
Il critico (se è ben scafato) ha qualche strumento in più. Certo, a volte tutti i suoi strumenti gli fanno ombra, ma insomma, se la cava, almeno nella resa verbale.
La querelle su Gomorra (se intendi reportage vs fiction) non l’ho seguita bene, un po’ mi stuccava. E mi stucca sempre quella specie di autocensura per cui gli si era creata intorno una specie di zona di rispetto che impediva ogni critica. E invece, querelle a parte, il libro, che ho letto con simpatia e inizialmente con ammirazione, di difetti ne ha, e non piccoli, a mio avviso. Se ne potrà mai parlare con calma? Boh.
Del resto non è detto che a lui interessi un parere critico, comincio a pensare, e non scherzo, che facciano davvero bene solo le lodi.
Quanto a Céline a Caravaggio e a innumeri altri hai ragione, il personaggio gioca sempre un ruolo, guarda Kafka, ne hanno fatto un santo.
@Magda
Senatrice! spero sempre che questo sogno si avveri, che qualche potente mi incontri e mi dica, ma lei, mia cara, è un leader naturale, e mi permetta di incassare una ventina di mila euri al mese. Saprei cosa farne. Forse scriverei un romanzo anch’io.
Nel futuro vedo solo le valigie che devo preparare, spero di rifare una capatina qui, l’argomento mi interessava, sennò, a presto.
Beh! è convincente quanto dice, caro Raimo. Anche i commenti attizzano (quasi tutti). Così di sfuggita, mi va di segnalare che quanto è definito “consumismo culturale”, e che stigmatizza i meccanismi editoriali di promozione/ufficio stampa/vendita che trovano una solida base in una una compulsione alla curiosità, ebbene questi “meccanismi editoriali” e questa “compulsione” sono a tutta posta promossi e fatti propri anche dall’autonoma proposta letteraria che troviamo in rete, dove anche singoli soggetti ci ammanniscono pura “reclame”. Un esempio? Fate un giro sul blog/sito/bancarella di Giuseppe Genna. Mi sbaglio?
”Allora comprendo di essere ancora molto lontano dall’avere una rappresentazione adeguata di tutte queste cose, intuisco l’esistenza di ‘ragioni liberamente fluttuanti’ che mi sono ancora completamente invisibili”.
a parer mio non si dovrebbero scambiare quest’ultima ‘tirata’ di turco e quella più filosoficamente attrezzata di wowoka per
1. invidie personalistiche (corsa frustrata al successo, disturbo compulsivo di repressi in ombra, ipocrisia malcelata, mascherata da critica radicale);
2. attacchi ad personam, più semplicemente;
3. indice di manicheismo stucchevole e sterile;
4. cupio dissolvi o spirito apocalittico di chi vuole far saltare il tavolo, e basta.
c’è, ci sarebbe da fare un discorso sui ‘poteri’ (ci sarebbe da fare un discorso serio soprattutto sui rapporti che per primi si intrattiene con i ‘poteri’). così per il post di mozzi, per la ripresa di raimo. i poteri:
1. delle ‘generazioni’: nel dibattito emergono mille e più riferimenti astiosi o sarcastici sui matusalemme, i nonni, i critici-cariatide che sempre voltano le spalle al presente, al presente di cui ciclicamente sembrano accorgersi ogni tanto, e solo per scolorarlo indebitamente ricorrendo all’illo tempore di ciascuno. ma poi, tra un commento e l’altro, si celebra e pavoneggia un’idea (apocrifa) e postuma di letteratura: le fondamenta, mi pare, di quella ‘critica’ che si ‘critica’. è, allora, solo un discorso di ‘gruppi’, ‘generazioni’, ‘schieramenti’ che lottano ciascuno per conquistare una fetta di ‘campo’? che lo si dica, infine, non c’è niente di male (le cose, direbbero i saggi o i senatori, vanno così)…
2. i ‘poteri’ della stampa, o dell’editoria. come se a parlarne (male) fosse davvero, radicalmente, estraneo ai suoi meccanismi. come se chi ne parla (male) abbia fatto davvero i conti con la SUA condizione di conflitto, o con il suo rapporto (dialettico?) con quei meccanismi.
non è il discorso su celine fascista. o su grass giovane ss. ci mancherebbe. sarebbe un discorso da fare per superare, anche solo in teoria, nella retorica o nella logica del ragionamento, questa stucchevole e sterile sensazione di double-bind. insomma, di stallo (nella teoria come nella prassi, nelle parole e nei fatti).
Guido Turco, oltre ad avere prodotto una definizione sinceramente divertente, “blog/sito/bancarella”, mi sembra cogliere nel segno.
Qual è la differenza tra il consumo culturale di cui sono oggetto e soggetti in realtà e giustamente desideranti quelli che non sbancano al botteghino e i loro lettori e il consumismo di cui questi accusano tutti gli altri di essere gli sporchi rappresentanti?
In cosa la pubblicità di “Gomorra” su Repubblica è diversa da quella dell’ultimo romanzo di Baricco?
E’ più eroico un intellettuale che scriva senza essere retribuito per NI o quello che riesce a entrare a Marie Claire e scrivere gli stessi pezzi che scriverebbe per NI?
Quanto, presso alcuni, fa curriculum questa certificazione d.o.c. di disprezzo del mercato per entrare (prima o) poi negli stessi gangli del mercato fino a poco prima condannati?
Perché c’è come un olezzo di moralismo colpevolizzante simil-cattolico che è la prima caratteristica di quegli intelletti o quelle opinioni che io trovo insopportabili. Appartiene alla categoria di pensiero che ha scritto che Fazi ha rifiutato tre manoscritti con opinabili motivi ma non sarebbero stati opinabili i motivi dell’accettazione di almeno uno dei manoscritti. Appartiene alla categoria di pensiero di coloro che si chiedono dove sono i nuovi Pasolini e rimprovera(va)no a Pasolini di scrivere sul Corriere. Storia vecchia, vecchissima, più del cucco, empasse da cui non si uscirà mai se non ammettendo che il mercato è un mezzo. La coerenza, l’onestà, l’impegno, stanno nel modo in cui si esiste nel mercato se ci si arriva, non altrove. Perché altrove, purtroppo, non si esiste. Stanno nei pezzi che si scrivono, non dove si scrivono. Schiffrin, il suo ultimo libro contro – riassumendo – il mercato editoriale “capitalistico”, l’ha stampato, diffuso, presentato. Non l’ha messo su Internet perché tutti potessero scaricarlo gratis, perché non ne sarebbero venute a conoscenza altrettante persone. Molti scrittori per le loro presentazioni vengono pagati. S’intenda, non condanno Schiffrin o “Gomorra” o Pasolini che scriveva sul Corriere o gli scrittori che vengono pagati per presentare i loro libri. E nemmeno condanno quelli che condannano questi. Mi chiedo solo, forzando la mano, dove sarebbe, secondo chi è convinto che esista, questa purezza assoluta e oggettivamente verificabile? Quali sono gli eventuali indicatori reali. Reali.
@ Trespolo
Quando una persona, chiunque sia, si espone con la franchezza e l’onestà intellettuale che hai messo nel tuo intervento delle 19.50, il mio atteggiamento è, e per me non potrebbe essere altrimenti, di stima: che rimane sempre, per la persona in sé, indipendentemente dal fatto che dopo pochi minuti ci si possa scontrare, anche duramente (sempre dialetticamente, però, perché da non violento mi fa schifo ogni altro tipo di disputa), come è successo e come succederà, non su una ma su mille e mille questioni. La mia eventuale critica, anche aspra e feroce (che presuppone e accetta una risposta altrettale) è sempre rivolta all’oggetto (leggasi pensiero, argomentazioni, posizioni) non al soggetto che se ne fa portatore. Almeno qui e in luoghi simili, dove, con tutte le difficoltà e le incomprensioni e gli scazzi del caso, si cerca di imbastire un dialogo di civiltà, di cultura e di confronto, che io riesco a concepire solo se apporta elementi nuovi, dubbi, aperture, considerazioni altre, scoperte, al mio bagaglio personale. Altrimenti avrei già chiuso il computer. Per sempre.
Mi dispiace solo di non aver esplicitato meglio il mio pensiero (la scusante può essere il fatto che ero impegnato a preparare la cena ai miei figli), commettendo un errore nel quale non si dovrebbe mai incorrere, a mio parere: quello di ritenere che gli altri commentatori abituali, avendo magari letto qualche mio intervento, avessero quasi l’obbligo di conoscere il retroterra delle mie argomentazioni (o presunte tali) e il “resto” della mia posizione. Voglio dire che sono perfettamente d’accordo con te, con i rilievi che muovi nella seconda parte del tuo scritto: tu non sai che gioia mi dà imparare qualcosa da uno “sbarbatello” (è quello che mi succede sempre, per il mio lavoro, e ne sono felice), aggiungere al mio mondo tasselli “rubati” anche un bambino (coi miei figli succede ogni giorno, e ogni giorno metto nella mia vita, attraverso di loro, sogni e paure, gioie e dolori di un’età che, per tanti motivi, non ho mai vissuto) – conoscere e confrontarmi con tutto ciò che una cultura “altra”, in senso generazionale e non solo, può darmi, arricchendomi. Io contestavo non il diritto dell’altro (il giovane) ad esprimere i suoi giudizi, anzi, li richiedo espressamente, mi servono, mi sono indispensabili più del vedere confermato, su un tema qualsiasi, quello che già so, da parte di chi mi è vicino per affinità politica o per aver vissuto direttamente, in prima persona, le tematiche o le vicende di cui si parla; contestavo unicamente la spocchia intellettuale di tanti, scrittori o meno che siano, la loro boria, talvolta, nel ritenere il loro universo già formato, già dato a trent’anni una volta per tutte, escludendo dalla loro vita il principio stesso del divenire, la metamorfosi, la skèpsis, l’eresia: gli unici motori capaci di smuovere le acque stagnanti della quiete, dell’assuefazione, della custodia del ruolo e delle posizioni.. Ecco perché facevo l’esempio di una commentatrice che, purtroppo, non conosco, ma che sento di stimare profondamente proprio perché portatrice di quelle istanze, di quel richiamo al rigore che, per me, è richiamo all’humilitas, l’unica “virtù” che posso accettare, dal momento che non credo in altro e, soprattutto, l’unica qualità che vedo veramente vicina all’umano, tanto che mi è difficile, e nemmeno ci penso o provo, scindere i due termini.
@ Roberto
Se tu mi conoscessi, anche solo lontanamente, sapresti che la “correttezza” da fondamentalismo liberal all’acqua panna è quanto di più inesistente vi sia (passami il gioco di parole in forma di ossimoro) nel mio mondo. Sull’età e su tutto il resto, spero tu possa trovare un minimo di risposte in ciò che ho scritto sopra. Poi, se non ricordo male (espressione oltremodo retorica, perché ricordo benissimo), ti ho detto una volta, da qualche parte, che io mi rapporto dialetticamente solo con le persone che possono darmi (e insegnarmi, perché no) qualcosa. Se sono qui a risponderti, anche duramente in certi casi, vedi un po’ tu cosa significa.
@ Tremori
1)Non sono Cato (spero che intervenga a smentire): vedete di non farmi mandare a quel paese da una persona che, purtroppo, non conosco e con la quale non ho, a mia memoria, mai interagito in questo luogo. Magari prima o poi succede: ma mi sembra uno abbastanza calmo, che procede per citazioni anche quando pare incazzato. Un saluto a lui, sperando di non averlo urtato troppo. Mi scuserà.
2) Ho letto con attenzione il tuo intervento, non solo la parte che mi riguarda. Interessante. Tengo a precisarti, comunque, che tu ci creda o no, che per costituzione psicofisica, umorale, etica, politica, sessuale, gli anticorpi al virus del mollichismo buonista o del buonismo mollichista sono stato costretto a svilupparli fin dalla più tenera età. Ti do atto, in ogni caso, che, fino ad oggi, non ho ancora capito se la cosa mi piace o no. Un mio amico, che all’età di ventiquattro anni strappò il contratto di edizione di un suo libro, già pronto, con una grande casa editrice, mi direbbe di sì. Ma lui mi vuole troppo bene, e non fa testo, non mi fido del suo giudizio in questo campo.
3) L’esternazione, attraverso un giudizio (!) a pelle di “bello” o “bellissimo” nei confronti di un testo letto, è solo un modo di manifestare il mio ringraziamento nei confronti di chi, scrivendo qualcosa che mi appaga e mi piace, ha dato un senso al tempo speso girovagando, molto spesso a vuoto, in rete. Non è buonismo finalizzato a…, tanto non devo pubblicare libri, né aspiro a vedere un mio testo nella parte alta della home page di NI. E poi, quale testo? Mi dai l’occasione, comunque, per ribadire un concetto che ho pubblicamente già ampiamente espresso: sarò sempre grato a NI, versione 1 e soprattutto 2, perché mi ha fatto conoscere scrittori e poeti che, forse, altrimenti non avrei mai conosciuto. Non faccio nomi, anche perché non direbbero niente agli editor di rango e alla grande editoria, ma sono sicuro che alcune delle loro opere saranno tra le poche cose che di questa nostra stagione, fra vent’anni, ancora resteranno: altro che melasse e vecchi coglioni rimbacucchiti che aspirano a scoparsi la ragazzina o si fanno le seghe con versicoli da pruriti e acne giovanile. Sui maestri non so che dirti, non ne ho mai avuti, a meno di non voler designare come tali quelli che, fin da piccolo, hanno contribuito ad aprirmi gli occhi pur non avendo nessuna dottrina da propinarmi.
Cordialità.
@ Sergio Garufi
Era un atto dovuto e, come dicevo sopra, sono solito esprimere esattamente quello che penso. Ci sono dei commenti, di tanto in tanto, che hanno il pregio notevolissimo di racchiudere in un esempio, letterario o meno, il senso migliore di quaranta post messi in fila. Il tuo, per me, era uno di quelli.
p.s.
Non ho riletto niente perché troppo stanco: non vorrei che la mia “coscienza” si mettesse improvvisamente a “lacrimare”. Quindi, contenetevi con eventuali “i fun cool”. Grazie.
p.s.s.
Non scriverò mai più (mai più!) un post del genere.
Io ai gruppi o anche alle generazioni che lottano credo poco. Se uno è capace di scrivere un buon libro (non parliamo di geni incompresi, che ce ne sarebbero troppi), lo scriva e non se ne parli più, vedrà che lo vende. VENDE, sì, avete capito bene, lo vende.
Su cosa sia un buon libro giudica l’editore, se mandate un libro a Mondadori e non fa per lui non venite a piagnucolare che non lo ha preso, avete sbagliato editore. O libro.
Questa discussione che era cominciata con un buon post, interessante, che riguardava tutti, si è infognata nelle solite recriminazioni da tinello. in cui qualcuno si illude che le opere vengano prodotte dalla forza del collettivo.
E sentire parlare di poteri mi dà un certo senso di allarme, come di una tentazione paranoica.
Niffoi, che ho cominciato a leggere e ancora non so se mi piace, è stato capace, e Adelphi lo ha preso. Ha dovuto lottare contro qualche potere? O ha semplicemente scritto buoni libri, libri che Calasso ha considerato buoni?
Mi vengono in mente quegli artisti di provincia che se la prendono con i grandi mercanti, una lagna paranoica. Non è lagnandosi che si fanno le cose. Non è che tutti abbiamo lo stesso talento, bisogna saperlo, accettare di fallire, e se ci piace fare quello che facciamo anche senza avere il successo di DFW farlo e basta, non contarsela su, che ha sempre fatto male a tutti e poi arriva il giorno del risveglio e son dolori.
Non c’è niente da fare, mi tocca sempre il ruolo del grillo parlante. Sappiate che è una parte che recito solo qui.
Ultimo.
Quando ho iniziato a scrivere, l’ultimo commento presente era quello di Tonino Pintacuda. Provo, se ci riesco, a leggermi tutti gli altri.
Saluti
L’indicatore reale è uno solo: scrivere quello che si sente proprio e non quello che vogliono gli editori. Non mi dite che questo è l’ultimo dei problemi, so benissimo che invece è il primo, il più condizionante, quello che fa perdere la voglia di tentare, di cercare per paura di produrre libri rischiosi per il mercato. Oppure ancora peggio fa perdere la voglia di scrivere a chi non può far altro per un dono divino che tentare cose nuove.
Tu Gemma per esempio hai un blog che ogni tanto – e ultimamente più spesso – vengo a scrutare. Ci torno solo perché nel blog fai degli esperimenti, fai la tua piccola ricerca in modo tutto tuo, dicendo cose vere o barando con l’immaginazione, e indipendentemente dal metodo a volte riesci a dire verità, spesso quella più affascinate: che esiste un mistero e che non sai perché.
@Gemma. Hai scritto un concetto formidabile. Sì, quando parli del meccanismo di “C’è posta per te”, della verità a cui assistere possibilmente in pubblico, della necessità dell’eroe, ecc. E’ un concetto molto molto ma molto interessante, Gemma.
@Conte
Non ti avevo letto, Conte, stavamo scrivendo insieme, io penso che dovremmo scambiarci i nick, il vero temperante sei tu mentre a me ogni tanto viene un certo malsano appetito:-)
“Io ai gruppi o anche alle generazioni che lottano credo poco.”
Temperanza sostiene che gli impressionisti e i surrealisti non sono mai esistiti.
Originalum.
@ Temp
Si può fare, perché no. Ma io sono/sembro “temperante” solo perché, negli ultimi tempi, ho deciso di provare a fare “qualcosa” per ingraziarmeLo in qualche modo, anche se so che da qua sotto difficilmente mi tirerà fuori.
Sul tuo “malsano appetito”, invece, avrei un’ipotesi: non è che ne senti i morsi, in particolare, quando ti sembra di veder presa a calci la signora “humilitas”, e “famigli”, di cui sopra?
Ti sconsiglio vivamente, comunque, i prelati di ogni risma e veste (acconciatura della chioma compresa): sono tossici! Ho un senso di acidità che mi opprime da più di sette secoli, fin dal primo morso. Sàppiti regolare. ;)
oh Gemma, oh,
ma tu ne dici una per colore, senti questa come suona:
“La coerenza, l’onestà, l’impegno, stanno nel modo in cui si esiste nel mercato se ci si arriva, non altrove.”
Il fatto è che in certi posti ci son mercati dove puoi trovare tanti tipi di mele, tipo Fuij, Golden delicious, Dark.del, Melinda, quelle del contadino, le annurche, i pum Carlo e via dicendo…
invece sto benedetto mercato qui sta ricercando sempre più prodotti standardizzati tipo mele formato grosso 200gr., senza puntino nero o tempesta secca, roba tutta uguale.
Hai un bel dire: se produci la tua mela pure bella ma mai vista al mercato e il mercante ti dice: è un genere che non va,
è il contadino che sbaglia o il mercato?
Poi magari tre anni dopo c’è tutta una fuga verso l’annurca e i prus martin…
Un volta, ventanni fa, volevo vedere se ti provavi a scrivere un noir a dire la parola noir, volevo vedere dove te lo ficcavi il noir….
Allora, parliamo invece della coerenza, l’onestà, l’impegno nel/del mercato: quello non si discute più?
Adesso facciamo una bel sottoscrizione in NI per la onorevole costruzione di un gran bella cappella dedicata a San Mercato vescovo e martire, povròmm.
Mah…
MarioB.
@gemma gaetani
Veniamo al romanzo della signorina Gemma Gaetani. Credo che me lo permetterà, lavorando da qualche tempo nel campo della calzoleria recensiva.
Non ho letto “Colazione al Fiorucci Store”, ma rivendico un’altra volta questa ‘prima visione intuitiva’ di un libro (la velocità di lettura, l’immaginazione dei Price). Se non ci fosse questa possibilità di comprensione, mi chiedo, perché tutti quanti continuerebbero a sfogliare volumi in libreria e a sbirciare qualche more di Amazon?
Da questo primo, scellerato, approccio, si può iscrivere il “romanzo in versi” di Gaetani nella scuola narrativa generazionista. Lo conferma la copertina (un paio di anfibi), il colore della copertina (punkreatico), il preciso riferimento storico contenuto nel titolo (il brand ‘giovanile’ Fiorucci che sostituisce quello ‘classico’ di Tiffany).
E’ possibile affermare, dunque, che l’autrice rientra nel range generazionista che abbiamo detto essere ‘vincente’ negli ultimi anni (sia per autori di sesso maschile che femminile), insidiato, per quanto riguarda il campo femminile, solo dalla concorrenza delle autrici di reportage e di genere (in prevalenza fantasy), e dal ricorso al diario e alla autobiografia.
L’aderenza dell’autrice al modello della ‘formazione’, e del suo sovvertimento (‘l’inferno’ del viaggio controculturale), appare confermata dal componimento poetico che troviamo nel blog di Gaetani: “Il pompino di Gemma ad ***” (un estratto del romanzo).
Generazione ‘gallinacea’, dunque, con un’intelligente strizzatina d’occhio alle fellatio sempre più in voga da una parte all’altra dell’atlantico (in Italia sono colpi di spazzola, cattiverie santacrociane o sfigate caselliane).
Il testo pompinaceo è un componimento poetico a tutti effetti (quartine, terzine, rime non baciate, eccetera), dove però mancano (nonostante ‘il gesto di rottura’ dell’autrice) la depersonalizzazione, l’anaffettività, cioè l’arruolamento normalizzante del provocatorio, che troviamo mascherati così bene nella retorica languido-lagrimevole di Helen Fielding e Sophie Kinsella (tra una crema anti-cellulite e la carta di credito che si svuota, lui è sempre un immaturo Peter Pan).
Come dire, Gaetani conserva un suo fondo lirico-emotivo, un suo principio di umanità e ‘moralità’, che in altri casi è del tutto assente o ‘travestito’ (si può fingere di averla, l’emotività). Citiamo un solo verso come esempio: “Le nostre pelli interne esterne, stelle”. Un buon modo di descrivere la fellatio, attraverso le assonanze e l’immagine finale da falò sulla spiaggia, tipo notte di San Lorenzo, mano nelle mano (‘le stelle’). Gaetani dimostra di essere abbastanza accorta da sapere come andrà a finire la serata, ma non perde un certo appeal neoromantico.
Il blog dell’autrice è un incastro multimediale ben congegnato (parole, musica, immagini) che, probabilmente, rappresenta anche la forma espressiva più congeniale a chi scrive, il pastiche: “sono convinta, e senza rimedio, che la sola parola per scrivere sia insufficiente. (…) per questo motivo il mio primo libro è il primo romanzo in versi, immagini, suoni, realtà e quant’altro della storia della poesia e della letteratura italiane”. Proposito nobile, sperando che la primazia sia ironica. I modelli di riferimento non mancano (uno per tutti Andrea Pazienza; Gaetani ha pubblicato anche una tavola di fumetti su NI).
L’impressione è che il pastiche possa essere un primo passo verso la ricerca di forme narrative più ‘stabili’ e organiche (l’autrice stessa se lo chiedeva oggi pomeriggio, interrogandosi sulle prossime ‘mosse editoriali’ della Melissa nazionale).
Qualche considerazione di marketing editoriale. Il fatto che Lain, casa editrice rock-oriented con altre giovani autrici in catalogo, abbia scelto di pubblicare il testo di Gaetani dimostra che il ‘porno-rosa’ non è agli sgoccioli, pompato com’è (è il caso di dirlo) dall’industria editoriale, che gli garantisce una nicchia di lettori ancora consistente. Sarebbe interessante vedere se il porno riuscirà anche a rendersi autonomo dall’ambito intimistico e generazionale (Cfr. G. De Rosa, “L’Eros delle ragazze cattive” e “Alte Tirature. Chick Lit, Lad Lit, Click Lit”, Tirature 2005, pp. 18-21 e pp. 70-72).
Una considerazione sociologica, infine. Proviamo a verificare se le pubblicazioni ad ‘alta tiratura’ (è un augurio per Gemma) coincidono con le dimensioni dell’inedito, o perlomeno con la nostra ‘percezione dell’inedito’. Ecco una tabella del campionamento di ieri, che prende in considerazione esclusivamente i testi scritti da donne under 30/under 40.
Abbiamo 10 manoscritti:
– racconto generazionale, f, under 30, reggio emilia
– romanzo generazionale, f, under 30, provincia di pesaro
– romanzo generazionale, f, under 35, provincia di chieti
– reportage, f, under 30, roma
– reportage, f, under 35, milano
– romanzo fantasy, f, under 30, pavia
– racconti esistenziali, f, under 40, provincia di como
– diario, f, under 40, roma
– giallo psicologico, f, under 40, milano
– autobiografia, f, under 40, provincia di chieti
Si può osservare che c’è uno stacco netto, per quanto riguarda l’uso dei generi narrativi, tra le under30 e le under40. Gaetani rientra nella prima fascia, anche se dobbiamo tener presente che nessuno dei tre manoscritti generazionisti del campione ha risvolti erotico-pornografici (tranne uno, più legato al modello neopuritano e ancor più pruriginoso di ascendenza sempre newyorkese). C’è dunque uno scarto tra testi editi e inediti.
Più generale, se restiamo al ‘macro-genere’ della ‘formazione’, il romanzo di Gaetani dimostra che c’è spazio per alcuni generi di inediti più richiesti di altri. Il fenomeno generazionista è solo in declino, insidiato dai reportage e dal fantasy, ma appare un passaggio obbligato, prima che le ‘ragazze’ scelgano altre strade, crescendo(reportage, diari e autobiografie, racconti ‘esistenziali’ e gialli psicologici).
In attesa di leggere il libro per intero, Gemma Gaetani non dimostra di svincolarsi completamente dai suoi modelli di riferimento. Come al solito, la seconda prova letteraria ci darà maggiori informazioni sul percorso di ricerca narrativa che l’autrice sta seguendo.
@andrea barbieri
“Io ai gruppi o anche alle generazioni che lottano credo poco.”
Il problema è se mrs. Temp crede davvero che i gruppi e le generazioni di oggi siano ancora quelle (surrealisti, avanguardisti, sperimentazionisti). Ma credo che la sua sia più una disillusione politica (tipo che non può abbracciare Fassino). Ad ogni modo non mi è chiaro se, dopo il primo rifiuto, il povero cristo bastonato può insistere, o sulla porta di Mondadori c’è scritto perdete ogni speranza o voi che spedite. Dalle mie parti ci siamo abituati a incoraggiare, più che a stroncare, o semplicemente a dissuadere, gli autori. Anche quelli che non scrivono “bene”.
I torrenti si asciugano i fiumi si svuotano e nonostante tutto i grandi pensatori pensano. Banalità restituite al vuoto. Mi spiace signor scrittore ma Pasolini non era snob. Quello che ha scritto è banale e ignorante. Senza offesa ma detta da un “primo nessuno” targato anni sessanta mai stato culturalmente della sinistra o meglio certa sinistra culturalmente fascista, (oggi si dice dotta ed evoluta, liberale) ai miei tempi i “comitati culturali, erano vere e propri lobi, dove si scriveva e si era autori solo se si scriveva secondo canone. Forse è questo che intende snob? O nonno Pasolini era già un trombone? La verità è un’altra, in italia c’era una dittatura culturale e oggi è uguale. Questa signore esisteva eccome, ed era costruita dal p.c.i. I veri snob siete voi scrittori “gianburrasca”, gli avventurieri del nulla. Scusate il tono veramente maleducato, facilmente denunciabile e anche in effetti distante dal mio essere. Il dramma e che non vi rendete conto di nulla perchè siete anestetizzati. E siete (questa è forte) più berlusconi di berlusconi. Il talento poi è altra cosa, passa per altro fiume.
Raimo hai scritto:
“i libri li scriveva Laura Albert, una decisamente abile scrittrice di quarant’anni ”
poi una parte di quel che segue è il certame o polemica sul fatto sei il libro JT sia bello o brutto o cosìcosì.
Io sto solo a ribadire.
Io ti dico che non mi piacque affatto JT, lo sfogliai e morta lì:
sarà questione di età, neanche Tondelli mi piaceva, era più giovane di me, tra l’altro, non mi piaceva nè stile nè tranche de vie, ma com’è allora che le scritture di certi giovani attuali mi gustano? La risposta ce l’ho.
Allora, ti dico:
sicuramente la Albert ha un bel mestiere, ma il mestiere non costruisce l’opera d’arte completa, col mestiere ovvero con l’abilità tecnica, si congegnano mille cose in vari campi creativi e non.
Francis Bacon ci diceva che l’abilità tecnica in pittura non conta niente ed esagerava, ma al 60 % aveva ragione.
Solo con l’abilità non si fanno opere incisive, siginificative di un ‘epoca e degne di memoria.
Ci vuole talento e profondità e tecnica e precisione e sincerità e mestiere, anche, molto.
Però il mestiere non basta:
ci sono dei mobilieri che sono degli ottimi imitatori di stili barocchi o chippendale, sono molto abili ma il lato creativo, di inventiva, di percezione, introspezione nel proprio tempo dov’è?
Vabbene, ci vogliono anche i mobili barocchi imitasiùn o baricchi , il mercato vuole anche quelli ma nessuno li sacralizza,
un intenditore vero, un “amatore” va alla ricerca di un Bonzanigo o di un Piffetti.
MarioB.
@Mario B. Fai un discorso lungo, parli di frutta ecc. ma perdi il contatto con la realtà. L’offerta editoriale in Italia è variegata e complessa. Tu puoi fare tutti i discorsi di questo mondo, ma parli di un tuo mondo di invenzione, parli di cose che non esistono.
@Roberto. Ma come, non hai letto il libro di Gemma e dici tutte queste cose “intelligenti”. Ma quante belle caselle che hai! Io, per rispetto del tuo paradigma, non ho letto tutto il tuo intervento, però faccio la mia bella analisi: la tua scrittura è un tipico esempio di posa (e prosa) intellettualoide e presuntosa che i blog stanno stimolando sempre più.
Adesso, un invito a entrambi: il mare è bello, andate in spiaggia.
Questa dei “mobili baricchi” me la segno da qualche parte, credo si tratti di una “scoperta” fondamentale. Secondo me, sostituendo il sostantivo mobili con “libri”, ne viene fuori un nuovo genere letterario, di stampo marcatamente cul-inario, nel senso che il libro viene stampato all’unico scopo di servire da supporto al pentolame in cucina. Prospettive fino a ieri inimmaginabili si aprono alla critica. E, soprattutto, al complesso delle operazioni, spesso monotone e ripetitive, che si svolgono in cucina. Prepararsi due uova osservando la copertina dell’ultimo librobaricco acquistato, dà alla frittata quell’aura particolare che, strappandola alla naturale destinazione per la quale era stata cucinata, la trasforma automaticamente nell’interlocutore privilegiatto per ogni tipo di domanda, di dubbio, di quesito esistenziale. Io e la mia frittata, in perenne dialogo, con la presenza muta della bariccata. Petrarca, in modo del tutto inconsapevole, aveva creato un modello, un archetipo, che solo oggi svela tutte le potenzialità e l’intrinseca esportabilità e fruibilità anche in altri ambienti domestici. Unica avvertenza: è sconsigliato l’uso in camera da letto, soprattutto per il lettore di sesso maschile.
p.s.
MarioB., all’insaputa di se stesso, è un genio. Con e senza lampada.
@MarioB
L’abilità tecnica non è tutto – ci sono gli invisibili “paesaggi di potenziale” determinati tanto dall’attività del campo artistico (cioè dalla sua storia) quando dalle dinamiche psichiche generali alle quali essa in qualche modo si appoggia (si separino i due aspetti, se ci si riesce!) – ma senza tecnica non c’è arte. Ma bisogna intendersi sui termini: per tecnica io intendo il lato conscio, esplicitato o esplicitabile (in termini di ricette, lezioni, raccomandazioni) di quello stesso “sapere” che dall’altro lato si inabissa, attraverso l’esercizio e la formazione delle abitudini, nel corpo, divenendo così prevalentemente inconscio. Lo stile risulta da questa mescolanza di saperi, più o meno integrata, più o meno profonda, più o meno efficace, nei suoi risultati, sul prossimo. Nel detto banale “de gustibus…” c’è la verità ineliminabile dell’irriducibilità dei percorsi di differenziazione. Chi ha ragione sull’opera in oggetto? Gemma o Mario? Non dovremmo accettare la “differenza” senza mettere per forza in ordine i due termini? Non è ora di fare giustizia dell’intolleranza estetica? Io suppongo che gli strumenti ormai ci sarebbero, solo che troppi lo sentirebbero come una “scomposizione empia”.
Ecco i luoghi comuni presenti in certi (troppi) commenti:
– I romanzi ormai sono tutti standardizzati.
– Il giovane scrittore è ambasciatore del nulla.
– Gli editor non leggono niente ma fanno di tutto per impedirti di pubblicare.
– X ha pubblicato perché è amico di y.
– X ha pubblicato ma è un ignorante, scrive po’ con l’accento.
– X ha pubblicato ma con un romanzo scadente che se lo paragoni al mio, rifiutato con motivazioni opinabili, è appena spazzatura.
– X ha pubblicato ma non si lava mai i denti.
– X ha pubblicato ma conosce soltanto la posizione del missionario.
– X, ma chi cazzo è X che lo trovi qua e là a sparare cazzate come se fosse un intellettuale? Io invece sì che sono autorizzato a sparare cazzate. Le mie sono cazzate libere. Vuoi mettere?
– X, Guardami! Guardami! Guarda che prosa arzigolata ti confeziono. Bravo, eh? Avrei potuto scrivere le stesse cose in due parole. Ma vuoi mettere ‘sta profondità? Vuoi mettere ‘sto zingarellismo?
L’elenco sarebbe lunghissimo, ma mi fermo qua.
‘Non è ora di fare giustizia dell’intolleranza estetica?’
l’ideologia mercantile deve necessariamente comportare la competizione tra gli attori in gioco (l’unica differenziazione autenticamente necessaria al mercato), per cui un’estetica tollerante non è possibile altrimenti che entro il canone occidentale dell’antagonismo tra competitors.
caxxo, ke bel paese, ragaxxi, basta aver pubblicato un libro ke subito puoi impartire lexioni e loxioni a dextra e a manca. ke essere sul mercato ha questa logica conseguenxa, ke ti si ipertrofixxano le competenxe e ti si axxera fino a scomparire qualsiasi senso della misura e della mixtura. non vedo l’ora di pubblicare la mia prima caxxata e farete tutti i conti con me
@niccolò larocca
Presto leggerò anche il suo romanzo (ho già avuto occasione di leggerla in passato). La prego di non confondere chi si fa il culo (qui per passione) sulla base di un progetto (mappare l’inedito), con un D’Orrico qualsiasi (per conto mio, non sono abituato a prendere a pugni nessuno).
Le chiedo con cortesia di non confondere la sociologia della letteratura con l’essere artisti, che giustamente è una condizione dello spirito a cui stanno strette le “caselle”.
Se avesse letto la recensione al pompinesco componimento di Gaetani, ma nessuno la costringe a farlo, si sarebbe accorto che da un testo sono partito per interpretare l’opera dell’autrice.
La prego inoltre di motivare meglio i suoi strali anti-luogocomunisti, che così come sono appaiono un elenco un po’ tirato via, tanto per fare male a qualcuno che invece crede nelle cose che fa.
Le rinnovo la mia stima, a Lei come autore e al suo lungimirante editore.
Con stima
Frate Mitra
@larocca
ma l’invito ad andare in spiaggia era un esempio di promozione occulta?
@Ugolino
Nella tua risposta emerge uno dei “vizi capitali” che ingorga e rende complesso, in rete, il dialogo, anche quello aspro e diretto e a volte cattivo: se voglio esprimere un’idea mi servono un’introduzione, uno svolgimento e una chiusura; passaggi normali.
Purtroppo, in rete, l’introduzione non c’è quasi mai e si dialoga partendo dallo svolgimento oppure, spesso, si arriva in tempi rapidissimi alla conclusione.
Normale che nascano malintesi e fraintendimenti essendo completamente carente la parte conoscitiva legata all’introduzione. Poi, per me che sono un cultore della buona cucina, è normale che si dia precedenza alla cena per i figli piuttosto che a dettagli “commentuali”. Un commento puoi sempre riprenderlo e precisarlo: la cena si brucia! :-)))
Chiara comunque la tua posizione e la condivido. Certo che, con l’ultima sui libri baricchi come sostegni per le pentole in cucina, mi hai generato una crisi profonda: io ero fermo ai reggipentola in legno, o in stoffa all’uncinetto fatti dalla nonna oppure al vecchio Artusi che, a volte e me ne pento amaramente, finisce anche sotto qualche pentola.
Dovrò adeguarmi, ma un dubbio mi rimane: non è che poi mi ritrovo, in mezzo a quell’oceano di parole, le pentole che galleggiano?
Non sarebbe bello vedere lo spezzatino ai funghi allontanarsi dalla cucina, gesticolare e urlare disperato ché qualcuno lo aiuti; ché “questa storia”, potrebbe non avere un lieto fine. Per lo spezzatino, sia chiaro…
Buona giornata. Trespolo.
@kristian.
Certo, e la competizione c’è sempre, anche quando le poste in gioco si fanno più eteree. Il mio non era un appello ad un “volemose bene” indifferenziante, ma a cercare di distinguere fra ragioni in linea di principio “condivisibili” su base razionale, e quelle che fanno appello a rispondenze più profonde, affinità elettive, ecc. (comunque ce ne vogliamo spiegare l’origine). Confondere i due piani è fare propaganda, ottundere le menti. Poi anche la propaganda può avere nobili fini, diciamo così “pedagogici”, ma se viene dichiarata come tale uno può magari scegliere se assogettarvisi.
sulla domanda finale di Christian Raimo:
varie possibilità: due ore gratis per scrivere quello che si VUOLE scrivere sono il minimo vitale per essere uno scrittore e non solo un giornalista culturale
quindi, si puo’ fare l’uno e l’altro (dormendo un po’ di meno)
ma forse la domanda è: ti vengono a chiedere certi articoli da mille euro, se sanno che scrivi QUELLE COSE a gratis?
Molti si organizzano per guadagnare NON dal giornalismo culturale: risultato, e non lo dico per sentito dire, scrivono spesso, volentieri, fatalmente, quasi sempre, maledettamente, a gratis.
Trespolo, bisogna adeguarsi assolutamente ai nuovi tempi. Sappi, comunque, che le tue pentole e lo spezzatino ai funghi non corrono nessun pericolo: a galleggiare, e poi svanire, nel mare “magno” (tanto per stare in tema) del suo stesso immenso nulla è proprio il librobaricco.
Sapere che utilizzi l’Artusi come sottopentola, mi ha turbato non di poco. Ti prego, ravvediti, toglilo di lì: quella è arte, poesia pura. Per i “sostegni” più adeguati, non hai che da fare un giro in rete o sulle terze pagine dei giornali (ti consiglio in particolare Corriere e Repubblica, insostituibili, coi loro cataloghi quotidiani di utensili per il nulla; se poi ti piace l’hard discount vai pure su libero e foglio): l’offerta di libribaricchi non è mai stata così fiorente, non hai che l’imbarazzo della scelta.
Buona giornata.
p.s.
Se non rimetti il prima possibile l’Artusi al suo posto, spero ti vada in fumo il prossimo arrosto. Soprattutto se l’hai preparato in previsione della visita di una tua cara amica. Règolati.
@ Wovoka: la propaganda di cui parli, non è altrimenti che la promozione pubblicitaria (nell’ambito del discorso qui imbastito), la quale costituzionalmente ‘confonde i piani’ per ‘ottundere le menti’. la confusione è sistemica.
Caro Roberto, non voglio nemmeno fregiarmi del titolo di ‘artista’, quale ovviamente mi sento e devo credere fortissimo di essere per scrivere da più di dieci anni a questa parte, soprattutto mentre conduco il lavoro non culturale che serve a mantenermi in vita, cioè mangiare, bere, comprare libri e sigarette. Se poi lo sono, lo diranno le recensioni dei decenni che passano, nessun altro.
Se ti guardo dalla mia ottica di produttrice artistica, userò questa definizione, senza spirito polemico, devo confidarti che le tue sistemazioni sociologico-analitiche di ciò che chiameremo ‘letteratura’ (20 uomini, 3 donne, X trans, il noir, il pulpismo, gli inediti meridionali, eccetera) mi inquietano (spaventano). Paradossalmente, per chi sta da questa parte della “produzione” la decodificazione migliore di ciò che produce pare arrivare sempre più spesso dai semplici lettori. Che si relazionano a te che scrivi privi di alcuna sovrastruttura. Non ti riducono a un numero che sia cifra di un fenomeno, piccolo o grande che sia, e in modo preventivo e pregiudizievole, ma intrattengono una relazione 1:1. Con te (me), come con qualunque altro libro. Un rapporto libro-lettore.
Tu parli del mio libro inserendolo in una categoria. Mi permetto di risponderti, e ci tengo a precisare che la mia “testimonianza” è da autrice pubblicata, non da appartenente alla scuderia Fazi che dovrebbe difendere la “causa” (ci mancherebbe!). Continuo. Se tu leggessi il mio libro ci troveresti elementi oggettivi che demoliscono di fatto ogni tentativo anche forzato di inserirlo in quella categoria gallinaceo-pompinara-chick lit per cui hai speso molte parole, e tempo, e probabilmente studio, attenzione. Vedresti che si tratta non di una parodia di quel “genere”, né di un ammiccamento, ma di una distruzione e rifondazione condotta piano piano. Mattone dopo mattone, e ogni verso è un mattone. Ogni verso che ricalca la norma e ognuno che la esonda, fino a diventare, via via, prosa. Quel libro è scritto dal livello di chi di “pop” e di parvenza si è nutrito dalla nascita, senza poter scegliere. Come dice Christian, cresciuti guardando sei-otto ore di tv al giorno. Magari da un ambiente domestico un po’ più infernale di ciò che vedeva in tv, nelle puntate di Beautiful. Poi, questo soggetto, decide di andare a vedere cosa c’è dietro. Cosa c’è dietro la vetrina luccicante del Fiorucci Store. E come in una poesia di Sanguineti, dietro non c’è niente. Assolutamente niente. C’è il sogno che ci fosse qualcosa, che tieni in mano, e che si scontra col nulla che c’è lì, quello dei sogni venduti sotto forma di merce. Potrei parlare ore del mio libro, e di tutto il progetto che c’è dietro, e che è mio, e che Governi prima e Caltabellota dopo hanno sentito valido, tutto qui, e supportato; se mi passi il termine una sorta di “affinità elettiva”, oltre a numerose pure coincidenze, mi hanno portato lì, alla Fazi. Ma questo non è importante, anzi perdonami se mi sono concessa di far trapassare la mia rinnovata e amareggiata delusione ogni volta che mi si inserisce nella categoria delle gallinare-pompinacee alla “Diario di una ninfomane”, e mi viene da alludere, almeno, a ciò che ho messo dentro quel libro. Tu non devi leggere il mio libro. Volevo solo dire (e sono mesi) che bisognerebbe leggere i libri prima di incanarli anche soltanto nelle proprie categorie mentali. I pezzi critici che si scrivono prima di giudicarli negativamente perché nelle proprie categorie mentali la testata su cui vengono pubblicati è superficiale (Marie Claire) o di destra (Il Giornale). Bisognerebbe evitare di alimentare il mito di categorie come il finto capolavoro. Il finto poeta. Il finto giovane. Il finto recensore. Il finto critico. Questi nascono oggi e fanno i maestri. Se questa l’hanno pubblicata e me no c’è qualcosa sotto.
Io almeno cerco di evitare di farlo.
E per questo motivo penso che voi (chi come te la pensa) sbagliate qui. Nella convinzione spudorata che c’è chi scrive con verità e chi no. Che c’è chi studia il mercato e poi presenta un prodotto “vendibile” su quel mercato. Che non scrivendo prescrivete che si dovrebbe scrivere così invece che cosà. Nicolò La Rocca l’altro giorno su Lipperatura si chiedeva perché Sergio Pent del suo libro ha scritto che avrebbe dovuto usare un altro tipo di forma.
Ecco, spesso, io mi chiedo per chi scrivo? Certi giorni mi chiedo proprio ma perché scrivo? Per essere fraintesa proprio da coloro che dovrebbero capirmi di più? Da coloro che hanno gli strumenti per capire meglio, forse, ciò che ho scritto?
Se lo faceste, se vi inoltraste a vedere cosa c’è dietro i vostri sospetti capireste che dietro spesso non c’è niente. Niente di ciò che pensavate. Ci sono persone che scrivono un libro. Raccontano una storia. Quella storia nelle loro intenzioni rispecchia il mondo, o una piccola parte. Non sanno cosa scrivono e perché lo scrivono così ma lo scrivono. Qualcuno passa anni a pensare alla forma, qualcun altro no. Ma sentono forte il bisogno di raccontare quella storia. Pubblicarla vuol dire dargli vita. Dopo, molto molto dopo arriva la storia della letteratura. Prima c’è la critica letteraria. A volte (ti) capisce, a volte no. Ci sono i lettori. A volte (ti) capiscono, a volte no. Diventi un televisore su cui molti proiettano le loro idee sbagliate. Tu risolvi i tuoi dubbi, risali dai cedimenti di ottimismo, prosegui nel mezzo del cammino della crisi, continui a scrivere. A volte scendi (o sali) a parlarne. Ma le recensioni vere le faranno i decenni.
E della cronaca o della dietrologia o del pettegolezzo sulla letteratura sai benissimo che si dovrebbe fare a meno. Si potrebbe, di certo. E’ un “rumore del mondo” che a volte, anche, distrae molto, moltissimo.
vorrei dire, che anche qui, sono sbarcati da tempo dei fenomeni trasferali che virano dalla competenza informatica commissionabile, alle gestione di dati d’archivio, all’improvvisazione di competenze inesistenti, e al continuo monitorare siti degni di nota per oscure motivazioni.
Noto anche che sono già stati sgamati dai commentatori senior di NI.
Ci sono più bluff nella rete che al Casinò di Campione.
In quanto all’esercito del nulla letterario che trova collocamento anche sugli scaffali delle librerie, e che i critici debbono in qualche modo recensire, perchè continuare a parlarne?
@kristian
Solo che quella separazione è l’atto costitutivo implicito del nostro ritrovarci qui, così come i protomoderni dell’ “arte per l’arte” si separavano dalle logiche del mercato borghese, o da quelle sociali della bohéme, puntando ad un mercato più etereo e, mi si passi la contraddizione, “più eterno”. Tutti noi mettiamo da parte le giustificatissime lagne per la lobotomia soft che il lavoro (la vita) ci impone, e ci arrabattiamo come possiamo. I tentativi di reintrodurre differenze ontologiche, basate sulla mistica dell’Autore, dalle quali conseguirebbe che Raimo qui non sta facendo, come tutti noi, del semplice “esercizio”, attraverso “prodotti” che sa benissimo non essere convertibili in moneta sonante (altrimenti l’avrebbe già fatto) ma si starebbe invece “sacrificando” per noi … beh, gli direi solo questo: a me questo spargimento di sangue a me non serve.
Posso dire l’ultima cosa (ho letto ora i commenti messi mentre scrivevo il mio)?
Noi, che scriviamo, lo sappiamo benissimo che le recensioni le faranno i decenni, e ci tengo a ripetere questo concetto. Voi, che scagliate in tempo iperreale e surreale un astio che stento sempre di più a capire (Leopardi lo sappiamo a memoria anche noi stupidi “giovani”), sembrate non saperlo. Come sembrate non sapere che l’affermazione “da un testo sono partito per interpretare l’opera dell’autrice”, nel caso in cui l’opera dell’autrice sia a quell’interprete ignota, è uno spot di recensione. Mima tanto le cattive modalità di funzionamento di quel mercato che voi disprezzate in toto. Quell’assenza di profondità che ad esso e a noi rimproverate. Quello snobismo culturale irritante. Le nostre parole, organizzate in un libro, sono fuffa, feccia, presunzione; le vostre, un chilometro di interpretazione di un’opera complessa e complessiva condotto su un campione o nemmeno su quello, no.
“Ci sono persone che scrivono un libro. Raccontano una storia. Quella storia nelle loro intenzioni rispecchia il mondo, o una piccola parte. Non sanno cosa scrivono e perché lo scrivono così ma lo scrivono”.
E se invece la faccenda fosse un po’ più complicata (per fortuna)? Mettiamola così, come un ‘gioco linguistico’, per pattinare sul ghiaccio (con aridità, diceva lui): non c’è FORMA senza FORMAZIONE.
Mettiamo che la FORMAZIONE, il processo che dà forma all’espressione artistica appartiene alla storia dello scrittore che ‘crea’, all’antropologia della sua identità e della sua appartenenza a classi, nazioni, religioni, modelli introiettati o rivisti, tradizioni e idologie culturali e politiche (sic); appartiene alla Storia, al conflitto (sic) tra visioni del mondo, tra idee e pratiche, perchè no, sempre politiche (la merce e il potere, sic): mi sento già sulla testa condanne stile santa inquisizione. perchè qui le idee sull’autonomia – apocrifa o postuma, egocentrica e narcisistica della letteratura – vengono date, appunto, come FORME da accettare, senza rompimenti di uova nel paniere. esistono le FORME, e l’io che scrive (che crea), e i lettori – e gli editori come cinghia di trasmissione neutra, scientifica. se non va, hai sbagliato libro o editore (sic). oltre non s’ha da andare. la coscienza, l’autocoscienza, persino le ‘ricerche d’archivio’ sono parassiti, possibilmente, da occultare (o da debitamente sterminare):
“Ci sono persone che scrivono un libro. Raccontano una storia. Quella storia nelle loro intenzioni rispecchia il mondo, o una piccola parte. Non sanno cosa scrivono e perché lo scrivono così ma lo scrivono”.
in passato (sic), lui, homme de lettres (e maitre a douter) diceva, arido, tra le righe: “La letteratura non è mai innocente. Nemmeno la più innocente”. boom (le silente s’est fait, come allora).
@Wovoka: difatti questa è una riserva di esclusi (o come qualcuno ha scritto, ‘inattuali’).
le differenze ontologiche che mi interessano veramente sono quelle che permettono a qualcuno di essere fruitore piuttosto che mero consumatore.
quanto agli spargimenti di sangue degli autori, come insegna La guerra dei mondi, ‘ci spremono per concimare la terra…’
A Gemma, Roberto, ad altri.
Non credete piuttosto che i pompini siano la parte più sana della letteratura?
@gemma
Grazie per la risposta, piena di spunti su cui tornare. Come ti dicevo, leggerò presto il libro per intero. Quando dici che volevi ‘smontare’ certi cliche, bene, mi sembra di aver colto nel segno analizzando il componimento che appare sul blog (la tua ‘umanità’ rispetto al nullismo interiore kinselliano).
Un appunto: non di ‘categorie’ si tratta ma di storia dei generi letterari, cioè dei modi in cui la narrativa si costituisce storicamente (in passato si pensava ‘biologicamente’, oggi abbiamo qualche strumento in più).
Mi spiace di averti inquietato, ma le analisi sociologiche, purtroppo, hanno questa freddezza (pseudo?)scientifica, che a modo mio cerco (un’altra volta) di umanizzare con un po’ di ironia e ‘tremori’, come diceva il Conte.
Mi spiace anche se l’impressione che suscitano questi campionamenti è l’intellettomismo, che aborro in ogni sua forma. Ma se vogliamo competere ad armi pari con ingegneri, geologi, anatomisti, dobbiamo pur preoccuparci di trovare griglie e macchine interpretative (senza arrivare alle esagerazioni di un Greimas). Se no restiamo al palo della divisione tra ‘umanisti’ e ‘disumani’.
Un’ultima cosa, per adesso. Non sei certo tu che decide cosa ‘piace’ o cosa ‘vende’ (mi ero limitato a scrivere “strizzatina d’occhio”). Chi lo decide sono le proiezioni di marketing sul venduto. E questa affermazione ti viene da uno che ha risolto da tempo il problema ‘pagnotta o coerenza’, accettando senza troppi malpancismi le regole del mercato medesimo.
@tremori
in proposito, vorrei segnalare al dottor tremori che ci sono autori che hanno svoltato la pagnotta (‘entrismo’) pur restando nell’ombra.
Ricordo il caso de “Il tesoro della Sierra Madre”. L’autore scomparve col malloppo dopo il successo, in una girandola di pseudonimi, tanto che neppure il suo agente sapeva più da dove arrivassero i suoi nuovi manoscritti. Come dire, la metà oscura della pagnotta.
In altri casi, per esempio in Italia, abbiamo avuto autori tradotti e celebrati all’estero (pagnotta angloamericana e francese, di solito) che non appaiono nel sempreverde manuale novecentesco dell’esimio Giulio Ferroni. In questo caso, scrittori italiani nell’ombra, senza pagnotta, pluripremiati, ma ‘dimenticati’. Mi riferisco al solito Innominabile, mentre vi invito, ancora una volta, a rileggere “Fabrizio Lupo” di Coccioli, che sarà ripubblicato a settembre.
L’obiettivo ‘umano’ dei miei campionamenti è appunto cercare questi autori e queste scritture non protagoniste.
Ma non mi sembra né il caso di Gaetani né quello di LaRocca. Per loro, torniamo a discutere pure di stile, contenuti, mercato, visibilità, richieste dei lettori, venduto. Credo che, almeno Gemma, non si faccia troppe parangosce da questo punto di vista.
A presto e buon lavoro.
@gemma
“astio”?
“mercato che voi disprezzate in toto”?
@ Gemma Gaetani
Off topic (ma non troppo). Da lettore ad autrice, in una relazione (non pregiudizievole) 1:1
Io ho, a suo tempo, comprato, letto e riletto varie volte il tuo libro. L’ho riposto con cura e so che lo rileggerò ancora, magari in concomitanza con l’uscita di qualcos’altro. E’ un libro di valore medio-alto, per quelli che sono i miei parametri di riferimento (assolutamente soggettivi e fuori dalle logiche del mercato), con almeno una decina di testi superlativi.
Detto questo, io non so niente di quali sono le intenzioni paraletterarie della poeta (volontà di creare “qualcosa” di nuovo; rispondenza di questa novità a un bisogno radicale/radicato o a logiche di mercato; pura volontà di apparire): ne leggo in giro e, pur convinto della perfetta buonafede dell’autrice, la “cosa”, nel momento in cui mi si presenta come “fenomeno”, destinato unicamente alla spendibilità in termini di prodotto, la trovo incongrua, finisco per detestarla, anche, e soprattutto, pensando a chi, te in questo caso, nell’assoluta gratuità del dono, l’atto in cui la poesia si risolve, ha saputo trasformare la sua carne e la sua anima in versi, in una scrittura assolutamente non banale e comune, anzi. Quanto di questa capacità, di questa nuda creatività (di questo poiein) resta, quanta ne viene recepita, se chi si avvicina a quell’opera lo fa per pura e semplice curiosità, o magari spinto da artefatta pruderie, sulla scia di un battage più o meno pilotato, magari contro le stesse intenzioni di chi scrive? E’ la poesia una “merce” come un’altra, o, piuttosto, nelle sue manifestazioni più alte, quanto di più irriducibile possa esistere alle logiche del mercato? Il valore di un poeta, la dimensione della sua cifra e della sua voce, la fanno la quantità di copie vendute, la visibilità a vario titolo acquisita? Sono domande.
Domande che non si acquietano, soprattutto quando leggo (spero solo di non aver capito male: nel caso me ne scuso preventivamente) una tua affermazione che suona più o meno come un “se non sei visibile, non esisti”. Ma tu credi che il tuo valore, qualunque esso sia, uscirebbe sminuito, ridimensionato, se i tuoi testi uscissero in e-book? A coloro che amano la poesia, che la vivono e la sentono, come te, semplici lettori o autori che siano, i nomi di Mesa o Sannelli (ne faccio due tra dieci-quindici possibili) diranno sempre qualcosa, perché sanno che la loro opera è destinata a rimanere, e rimarrà: loro, invisibili al mercato (che non saprebbe che farsene) incarnano la poesia che lascia traccia, l’unica che fa sì che altri, dopo o accanto a loro, possano continuare a scrivere.
Non voglio dilungarmi, perché so che, comunque, hai capito il senso di quello che volevo dire.
Con stima.
@ugolino
caro cante, in questa neofase distensivista, spero potremo approfondire questa discussione sugli ‘invisibili’ (che non sono solo poeti).
Frate Gorbaciov
@ Roberto
Ma sono cambiato così tanto? Comincio a preoccuparmi di brutto. Aspettati un insulto da un momento all’altro. :-)
La discussione sugli “invisibili” mi interessa molto. Pensa anche al lavoro di “recupero” che sta facendo Andrea Raos. Posso e voglio darti una mano concretamente, ma, per motivi di tempo e di ordine familiare, a partire dal prossimo mese. Vedrai che occasioni non mancheranno.
Frate Galdino
@roberto
la strada dell’accettare senza mal di pancia le regole del mercato: benissimo!! l’hai detto!! e personalmente sono contento per te: mi sembra da ciò che leggo che ti diverti, ti ‘diletti’, senza compromessi, lo studio è ‘vacanza’ (senza ‘parangosce’). poi sarebbe da vedere se per i discorsi che fai, lper e forme e i metodi che usi, per le cose che dici, ci campi, o meno.
altri, secondo te, intendo gli scrittori o i ‘lavoratori culturali’ che parlano, qui o altrove, scansando le griglie (l’avvicinamento all’oggettività, i numeri) e senza partire da sè (la soggettività che si oggettivizzi, ogni tanto, si faccia oggetto di interrogazione: la coerenza), come risolvono, nel loro (eventuale) autointerrogarsi, il loro rapporto col mercato tanto vituperato? è tanto pleonastico affermare: ‘ci sono dentro, ho accettato le regole, mi diverto pure (ognuno a suo modo, la passione, lo studio e bla bla bla), eppure condanno critico constato m’indigno’. è tanto ingenuo volerlo ascoltare, leggere, almeno intuire?
sui solitari e gli invisibili e gli innominabili: forse uno tra quelli che hai in testa tu incarna proprio il punto dolente della questione. perchè sono invisibili? perchè sono sempre (o almeno così vogliono farci credere) fuori traiettoria, fuori orario? forse perchè, accettando o meno le ‘regole’, fanno un discorso irriducibile alle logiche del mercato e alle traiettorie dei poteri che ci governano: il senso comune, le ideologie? o è solo esclusivamente una questione di poiein, di forme (senza formazione, diceva crux), o di marketing (scegliere l’editore giusto per il prodotto e la merce-libro)….?
resta il fatto che divertirsi con la scrittura, o scomparire e godersela dopo un best-seller che ha funzionato, è davvero esperienza mirabile (‘senza parangosce’, eventualmente). lo si dica, almeno. così come cercare di ridare luce, non LA luce, ma UNA luce, agli invisibili, sarebbe esperienza seria, utile (e divertente).
@Roberto. Io ho rispetto per il tuo lavoro. Per esempio, apprezzo il lavoro che hai fatto con Leconte e Storie (sei tu il Santoro della redazione, giusto?), e sto proprio scrivendo una recensione dell’ultimo libro di Attilio Del Giudice, un romanzo straordinario. Ma, permettimi: anche l’analisi sociologica che fai richiede una più puntuale scansione del testo di Gemma, e quella la puoi fare soltanto leggendolo. Del resto Gemma è stata chiarissima.
@ Crux
Parole sacrosante (e le mie non le escludevano, volevo solo far intendere che di tanti complottismi, sofismi, intellettualismi, furbismi e pure sociologismi che vedo, e a volte mi vedo, lanciare contro, da “questa” parte, non c’è traccia spesso). Non c’è forma senza formazione, è una regola. Perché non c’è contenuto senza forma, anche se molti vogliono convincerci che è così, anche se molti ci vogliono vendere solo la forma di un contenuto inesistente.
Io questo combatto. La consuetudine ormai piuttosto di diffusa di non accedere nemmeno alla forma, pensa un po’ alla formazione, del libro-caso e dell’autore in questione, da parte di chi dovrebbe farlo oltre ad avere gli strumenti per poterlo fare. Come se il fast-foodismo del mercato librario, che comunque ti sottopone a ritmi disumani (o fai “il botto” in tre, sei mesi, oppure fra tre anni del tuo libro non potrai avere una copia nemmeno dalla casa editrice, il non successo va al macero) affliggesse talvolta anche chi si occupa in maniera professionale o paraprofessionale di letteratura.
@ Roberto
Usavo il voi generalizzando l’astio e il disprezzo che sento, forte presso alcuni. Tu dici “non di ‘categorie’ si tratta ma di storia dei generi letterari, cioè dei modi in cui la narrativa si costituisce storicamente”. Ecco, io credo che si ricostituisca storicamente la narrativa in una storicità e in una rappresentatività fenomenica che, presso i singoli, non possiede che in modo accessorio e talvolta inconsapevole. Credo sia giusto ricordar(se)lo ogni tanto. :)
@larocca
bene. Ora che il signor LaRocca ha evidentemene nonché volutamente violato la privacy altrui (ecco perché chiedevo il criptaggio), gli tolgo il saluto e mi ritiro per i fatti miei.
Buone vendite e buon bagno.
@ Ugolino
Premetto le mie scuse per quella volta che, sempre in calce a un pezzo di Christian, ai suoi versi per la precisione, ce ne siamo dette quattro. Da tempo volevo farlo.
Tu tiri fuori un altro punto importante (io credo che questo dibattito sia interessantissimo, anche nelle strade laterali che ha preso). La poesia. Parliamo di poesia. Dici (ti chiedi, come si chiede ogni poeta contemporaneo che io conosco, compresa me, che tale mi sento, se lo sono, per il mercato e la storia letteraria lo diranno altri e altro): “E’ la poesia una “merce” come un’altra, o, piuttosto, nelle sue manifestazioni più alte, quanto di più irriducibile possa esistere alle logiche del mercato? Il valore di un poeta, la dimensione della sua cifra e della sua voce, la fanno la quantità di copie vendute, la visibilità a vario titolo acquisita?”. Non sono domande, sono domande sensatissime. La poesia è il “porto sepolto”. E’ tale per chi ci si immerge, e ne produce (non in senso economico, ma creativo). Ma è tale soprattutto per il cosiddetto pubblico contemporaneo medio. Che non è nemmeno portato dal mercato o dai librai a scoprire che la poesia contemporanea c’è, ce n’è a iosa, e dice tanto, e non la conoscono che in pochi, il pubblico della poesia come diceva Balestrini sono gli stessi poeti e sarà sempre così, perché pile di libri di poesia non si troveranno mai accanto alle casse di qualunque Feltrinelli. Casi costruiti a tavolino di poesia, non ce ne sono. Migliaia di copie vendute, idem.
Io mi sono posta questo problema. E per me, il fatto di raccontare una storia, ma in versi, di imporre un contenuto e una forma ormai desueti, per il “mercato”, di imporli esercitandoli, era ancora più importante che raccontare quella stessa storia. Consegnare quella storia (non tanto la mia, ma quella di mio fratello) al “mercato” sì, ma attraverso la poesia. Costringendo il “mercato” a scoprire che i “giovani” impazziranno anche per un’IPod e sanno cos’è un pompino, e forse più grazie alla Lewinski che ai film porno, ma l’essenza delle cose, alcuni, la ricercano altrove. Quella era la figura della protagonista che volevo dare. Una persona che ha due mondi di fronte. Quello commerciale, quello televisivo, quello cinematografico, quello dei suoi desideri. E quello reale. Doloroso. Che snocciola nei versi.
Mi hanno invitato due volte al Costanzo Show. Mi sono fatta le stesse domande. Cosa vado a dire, io, al Costanzo Show? E andarci mi ipoteca? Alla fine sono andata a vedere, non l’avrei scoperto senza andarci. Bene, ho trovato persone sinceramente stupite del fatto che qualcuno scrivesse ancora in versi, e io sono una delle tantissimissime persone che lo fa. Il più meravigliato (non c’è parola più adatta) era lo stesso Maurizio Costanzo. Ma se io non fossi andata a leggere i miei versi, se io non li avessi pubblicati per paura di non rimanere più irriducibile ad alcune logiche malfunzionanti del mercato, quello stesso mercato (nel mio caso piccolo, 2000 copie sono poche per un libro di un’esordiente, ma non tanto poche per un libro di poesia di un’esordiente) non lo avrebbe scoperto che c’è anche altro. Avrebbe pensato che poesia sono i versi di Flavio Oreglio! Non ne avrebbe avuto notizia. Il valore, e lo ripeto, lo darà il tempo. Ma questo intendo quando dico che bisogna o si può arrivare al mercato e con questo non vendersi o svendersi nell’accezione negativa dei termini. C’è il modo di mantenersi puri nelle istanze che lì, in un modo o nell’altro, ti portano. Il fatto che non tutti i poeti ci arrivano io me lo spiego, e me ne dispiaccio (l’ultimo libro che ho comprato è di Paola Malavasi, per molti è più facile leggere Dan Brown sotto l’ombrellone che la struggente introduzione di “A cosa servono le lacrime” di Ennio Cavalli, e poi continuare con le poesie). “Fare il poeta è la mia maniera di stare solo” diceva Pessoa. E per me è così. Non amo leggere in pubblico, presenziare, partecipare ai dibattiti. Per questo foto, video. La parte sociale frivola o semplicemente sociale non mi interessa, anzi, mi mette a disagio. Ma nell’intimo c’è una parte di te che scrive perché qualcuno ti legga. E non può che farlo se tu esisti. Anche scaricandoti gratis sotto forma di e-book sta “comprando” la tua voce che esiste. Anche seguendo i blog che conoscerai anche tu se ami la poesia scopre che esisti. Capisci cosa intendo?
caro signor roberto, continuavi a chiedergli tu cosa hai fatto per me, temendo che non ti rispondesse mai. bene, adesso hai la risposta. capixi ora ke è veramente necexario pubblicare un libro, la netiquette la puoi anke mandare a caxxare senza problemi
Correggo “un’IPod” in “un IPod” e chiedo perdono, anche per i miei troppi interventi.
@ Gemma Gaetani
Grazie per la risposta, soprattutto per l’estrema sincerità che la caratterizza. Sollevi, oltretutto, una serie di problemi che andrebbero affrontati e riguardati anche alla luce di altre esperienze, umane o editoriali che siano. Se NI continuerà a dare spazio alla poesia (i poeti qui non mancano) ci sarà tempo e modo per affrontarli.
Un paio di considerazioni, forse marginali rispetto al nucleo della tua riflessione.
Duemila copie per un libro di poesia, in Italia, non sono assolutamente poche. Danno immediatamente l’idea che un pubblico specifico esista. Ed esiste, di nicchia sicuramente, ma c’è. Due esempi: diecimila copie vendute del meridiano mondadoriano di Paul Celan (!); trentamila visite (con possibilità gratuita di scaricare i testi) agli e-book delle Edizioni di Biagio Cepollaro. Io credo che il pubblico, non solo della poesia, vada anche “creato” ed “educato” al libro di qualità, e dico questo proprio perché, qui da noi, l’unica memoria che rimane del discorso poetico è quella legata ai percorsi specifici, non sempre esaltanti e propedeutici, che la scuola mette in piedi. Affinché io mi ricreda sulle logiche editoriali (all’interno delle quali la cultura come valore è praticamente assente, nella stragrande maggioranza dei casi), ho bisogno di vedere pubblicato dalle medie-grandi editrici uno dei nomi a cui accennavo sopra, e vederle battersi per imporlo, non solo per venderlo, ma anche per abituare chi crede che gli oregli siano la poesia, a guardare un po’ più in là del loro ristretto e asfittico orizzonte.
Chiudo con una riflessione che vuol essere un augurio. Avessi scritto il tuo libro e venduto quella quantità di copie, mi piacerebbe pensare che almeno la metà di coloro che l’hanno comprato l’abbiano fatto per il puro piacere della scoperta di una voce nuova, con tutti i pregi e le immancabili ingenuità che un debutto comporta; e guarderei a loro come miei interlocutori, perché avrei la certezza che di quel libro hanno colto il senso, hanno capito che il suo centro vitale risiede proprio in quelle liriche dove il dolore, insostenibile, si stempera nel canto, in quel tipo di canto e non in un altro. Non saprei proprio che farmene di chi l’ha comprato aspettandosi un manuale di pornografia in versi: anzi, spererei l’avesse buttato via da qualche parte, deluso (con mio sommo piacere) di non aver trovato la “merce” che cercava.
Ti saluto.
p.s.
L’episodio a cui fai riferimento all’inizio della tua risposta, per me era chiuso nel momento esatto in cui si era aperto.
ricchi e famosi ora ma poi dimenticati, oppure immortali dopo essere stati sotterrati?
quanto regge l’ego di uno scrittore che non trova riscontro da un qualsiasi editore?
quanto si distrugge dietro la riuscita di uno che non dovrebbe pubblicare?
quanto lenitivo può essere scrivere in rete, per gli scrittori in apnea?
crux ha scritto alle ore 12,14 e io sottoscrivo.
alla domanda di ugolino – Ma tu credi che il tuo valore, qualunque esso sia, uscirebbe sminuito, ridimensionato, se i tuoi testi uscissero in e-book? – risponderei: il mio valore assoluto no, ma il mio ego ne risentirebbe eccome.
tutti quelli che scrivono, in rete oppure su quadernetti a righe, hanno la triste speranza di essere un giorno pubblicati, recensiti, osannati.
e quando dico tutti intendo proprio tutti.
saluti a tutti.
Dai, Gemma… una volta tanto non fare la modesta. 2000 copie per un libro di poesie di un esordiente sono un bel vendere. Conosco romanzieri famosi che hanno venduto meno di te. ;-)
ops… l’ha già detto il Conte…
Ma:
la domanda finale del pezzo ha rimesso in moto una catena di riflessioni che erano temporaneamente in stato di semi-sonno: che ruolo ha oggi, lo scrittore professionista, e quale invece lo scrittore che lavora? Quale posto nel mondo occupano, quali potenzialità di scrittura hanno, quale libertà, ecc? Avevo progettato di scriverci su un pezzo, ma non riesco più a trovare un passo di bisnonno Gramsci, che rifletteva su queste figure, e costituiva un ottimo spunto di partenza. Non è detta l’ultima parola.
>Io credo che il pubblico .. vada “educato” .. ho bisogno di .. vederle battersi per imporlo .. per abituare chi crede che .. a guardare un po’ più in là del loro ristretto e asfittico orizzonte.
Toh’, è uscito il diavolo! In tal caso preferisco il mercato.
@ wovoka
Il “diavolo” è sempre in giro, wovo, ma tu sai benissimo “come” esorcizzarlo. Quale problema, dunque? ;)
Se ti andasse di rileggere la mia nota, ti accorgeresti che quei “creato” ed “educato”, virgolette comprese (le ho usate come deterrente, ma vedo che non sono riuscito nello scopo), inseriti all’interno del discorso che si faceva, possono (perché no?) essere letti anche in una chiave diversa da quella, rispettabilissima, da te utilizzata.
Poi, se pensi al mio nome, sai anche che di diavoli ho una certa esperienza.
Saluti, caro.
@Roberto. Ma perché, la tua identità era segreta? Boh.
Ti ricordi, nelle allucinazioni del Sant’Antonio di Flaubert, gli eremiti che scendono giù in città a massacrare la gente con i loro bastoni? Questo mi ricordano spesso i poeti che trovo sulla rete. So naturalmente di proiettare, ma tant’è.
A Ugolino Conte non ci piace più la capa dell’arcivescovo Ruggieri,
ti dico io, la nuca sua gli è venuta a noia o nausea chessia,
e pensare che, na vota, li diavolazzi Babariccia e Scavatana, Ciriatto sannuto e Cazzoneso, con cui avea la massima dimestichezza, gli avevano imparato a cocinare il pollo alla diavola, appunto, per dire, e anche la Gemma Caietani in civet,
adesso se imbalsama le minestrine in brodo o al massimo la lasagna stracotta nel micro/onde, orca,
e poi dice a me de la lampada o lucerna che modestamente invece tengo de watt 15,
scopo parsimonia vuoi risparmio energetico.
MarioB.
Caro MarioB.,
forse che sì, forse che no. No. Mi spiace tanto contraddirti (una tantum, che sarà mai?, conta poco o niente), ma il post in cui, grazie alla tua geniale intuizione, ho coniato il neologismo (“librobaricco”) che smaschera tre quarti della letteratura italiana di oggi, anche se passato inosservato, è la più grande “CAROGNATA” che abbia mai scritto su NI: anche l’arcivescovo s’è risentito, al colpo. Sappi che a quel parto hanno posto corna e code, soprattutto code, anche Barbariccia e Cazzoneso.
Dopo breve consulto, abbiamo deciso, inoltre, di devolvere sul tuo conto corrente l’equivalente per l’acquisto di una lampada da 60 watt: quale compenso per il prezioso contributo che hai dato. ;)
crazie
MarioB.
signori,
chiedo anticipatamente perdono se sarò ripetitiva ma confesso che non sono riuscita a leggere tutti i commenti… per cui roteo gli occhi, faccio la vaga, e dico la mia.
perchè, secondo voi, il pubblico è così affamato di fatti altrui? e più sono marci, scandalosi ed eclatanti e meglio è?
non è un problema da poco, perchè noi si scrive per il pubblico, ma se il pubblico non se ne frega niente che si scrive a fare? per la gloria? non certo per i soldi….
(fermo restando che i mille euro da marie claire io me li prenderei al volo, figuriamoci, mi sono presa mille euro per due poesie senza mai aver avuto ambizioni di poetessa! anzi christian se a te marie claire non interessa passami il numero che lo scrivo io un bell’articolo sull’estate nel sud dal punto di vista di una sconosciuta :)) )
Conte, non capisco se sei gianobifronte o solo affetto da sindrome da subdolatacitapresaperilculo. :-)
Sono solo me stesso, Mag, cercando di esserlo il più spesso possibile, con tutti i mei limiti (parecchi, anzi, troppi) e qualche piccolissimo pregio (pochi, anzi, pochissimi). Uno di questi ultimi (non ci ho mai rinunciato, e spero di non farlo mai), è che non considererei mai una persona, qualsiasi persona, come un “mezzo”.
Rispondevo soltanto a una osservazione del dott. MarioB., il quale mi “rimproverava” di aver tolto dal menu la capa dell’arcivescovo Ruggieri. Niente di tutto ciò: le cape coronate e porporate sono sempre uno dei miei piatti preferiti: le consumo a pranzo e a cena, non nei piatti, ma direttamente sui libribaricchi di supporto. Solo che qui, di teste coronate e di libribaricchi ne girano sempre meno, e la riserva ultimamente abbonda di teste pensanti e di libridegnidelnome. Beh, datevi da fare: invitate (a pranzo) un po’ di ciofeche e ne riparliamo…
p.s.
Magda, sarai mica una collaboratrice del dott. Tremori? Tu mi costringi a scrivere quello che ho appena scritto, e lui, zac!, spiattella a tout le monde il mio buonismo mollichesco? Penso proprio di essere caduto in una bella trappola…
Avvertendo Ugolino che non ce l’ho con lui (al contrario, ha tutta la mia stima etc etc – sono sincero ma non amo i salamelecchi) ma semplicemente “proietto” sulle sue parole in base alla mia “agenda” (se Leonardo vedeva battaglie nella muffa dei muri, se i surrealisti trovano ancora ispirazione nella scrittura automatica, pensiamo a quanto più ricco e fertile sia già questo spazio – se abbandoniamo esplicitamente la pretesa di poter risalire ad alcuna “verità” sulle persone che sappiamo essere all’origine del meraviglioso sbocciare di questi frammenti testuali). Dunque aggiungo qualcosa alla faccenda del diavolo: forse non si tratta di una chiave alternativa ma dell’altro lato – o addirittura dello scheletro – della sua stessa chiave, che naturalmente sono in grado di intendere nel suo significato primo. Mi stupiva (ma non mi indignava affatto) che in un discorso così ben intenzionato potesse inserirsi un così chiaro esempio di meccanismo persecutorio. La poesia è certamente una gran cosa, Cepollaro un grande poeta, ma perché questa “grazia”, questo gusto superiore e fortunato, ha bisogno di una “vittima” sulla quale costituirsi? Perché questi cenacoli hanno sempre bisogno di chiudere il loro dannato cerchio sacro, fondare la loro differenza maledicendo, e al tempo stesso chiamando a gran voce, chi ne sta fuori? Se guardiamo attentamente poi, quella vittima neppure esiste: nessuno pensa che gli “oregli” siano la poesia (che bella pretesa questa, di leggere nell’anima di una moltitudine) e chi è escluso oggettivamente dalla poesia lo è di solito per motivi abbastanza comprensibili, simili a quelli che escludono (forse) te e me dalla fisica quantistica, tanto per fare un esempio. Ma mettiamo pure che ci sia una carenza organica, che essi manchino di un “organo della comprensione”, come vuole, con costernante serietà, Ortega Y Gassett. Che vantaggio potrebbero allora trarre dall’essere chiamati a gran voce a constatare la propria inferiorità? Oh certo, gli si offre anche una qualche sorta di elevazione, un percorso iniziatico – se solo avranno l’umiltà di mettersi in ginocchio come catecumeni – ma la chiave della differenza deve rimanere ben custodita: da qui la lagna insopportabile dei “troppi che scrivono e dei pochi che leggono”. Io invece mi rallegro che tanti preferiscano scrivere le proprie cazzate piuttosto che leggere le cazzate altrui. Lo trovo un aspetto sano, un portato ineliminabile dell’istruzione di massa. E penso che l’equilibrio si formerà da solo, non si modellerà certo sui desideri degli opportunismi di parte (non sto parlando di te, a scanso di equivoci) per quanto inconsci questi possano essere.
o wowoka, ti ci dici che è lagna insopportabile ciò:
“troppi che scrivono e dei pochi che leggono”
forse hai ragione, ché il troppo stroppia, però:
io vado sempre per metafore o apologi o paragoni.
‘Na volta in Italia c’erano tanti sarti, artigiani, botteghe e via,
poi è arrivata l’industria delle confezioni, cioè abiti fatti,
e ha sotratto loro lavoro e clienti.
Qui e là c’è l’industria ciclopica del prodotto per passatempo o intrattenimento, televisione più che mai, tra poco avremo schermi al plasma grandi come pareti e finiremo semre lì davanti sia a leggere che a guardare, ascoltare
Allora, per dire, i sarti si lamentavano, poverini, e fu triste vederli andare in fabbrica anche metalmeccanica, ti dico per esperienza: in famiglia avevamo una sartoria.
Anche chi scrive dunque si lamenta.
Magari sgonfia.
Anche qui allora bisogna cambiare mestiere o scriviamo senza compenso alcuno e ce la meniamo tra di noi sul web sperando in una crescita interiore, in una forma di comunicazione più intensa e piena.
E non mi piace mica:
“Io invece mi rallegro che tanti preferiscano scrivere le proprie cazzate piuttosto che leggere le cazzate altrui”
Io per esempio leggo le tue righe e ne traggo spunto di riflessione, vuoi discussione o conoscenza, visto che fatti non fummo a viver come coglioni, ad libitum, però.
MarioB.
Wovo, e se ti dicessi che sono d’accordo con quello che hai scritto, quasi parola per parola? E se ti dicessi che la tua riflessione, il suo corpus centrale, è l’oggetto intorno al quale si arrovellano tanti poeti, in sostanza, tutti quelli che hanno veramente qualcosa da dire?
Sono contento che tu abbia ignorato le virgolette che avevo usato nel mio scritto, un artificio (sbagliato) col quale cercavo di isolare, dandolo per scontato, l’insieme dei rilievi che muovi, soprattutto quello in favore dell’assoluta libertà del lettore: la eventuale mancanza di un “organo della comprensione” è una emerita cazzata orteghiana, una sorta di assunzione acritica di un ruolo e di una aristocratica superiorità che si commenta da sola (e, in ogni caso, io mi trovo a mio agio, da sempre, proprio fra coloro che “mancano” di qualcosa: è il mio mondo).
Ho solo qualche osservazione da fare.
I percorsi iniziatici, l’innalzamento degli steccati, la chiusura in circoli e circolini autoreferenziali, l’ostinata difesa di una purezza e di un “potere” quasi sempre solo presunti, sono le pratiche più comuni e usuali dei mediocri, e per mediocri intendo tutta quella schiera, fittissima, di poeti e scrittori che non aspettano altro, nella loro esistenza, che di essere chiamati, cooptati da un “padrone” qualsiasi, pur di uscire dall’opprimente frustrazione con la quale e nella quale vivono il loro rapporto con la scrittura. Illudendosi, e trasformando, per chi sa quale meccanismo, l’illusione in valore.
I poeti che citavo, a esemplificazione di tanti (ancora troppo pochi, per me) percorsi dove la ricerca di senso si fa rapporto etico con la parola e pratica di libertà, sono proprio il rovescio speculare delle logiche dominanti; e molti di loro finiscono per “insegnare” realmente qualcosa, proprio perché niente è così lontano dal loro mondo dell’intenzione di istruire o di creare istruendo. Ti faccio un esempio, proprio prendendo in considerazione il nome che tu fai. Biagio Cepollaro, oltre ad essere un poeta di grandissimo valore, cioè un “poeta”, è un “essere in ascolto”, nel senso che la sua esistenza di scrittore trova una ragione e si giustifica proprio in questa scelta (una opzione che difficilmente si costruisce a tavolino, anche con le migliori intenzioni: o fa parte della tua natura – e della tua opera – o ne rimani comunque distante, viste le innumerevoli e faticose implicazioni che “indossarla” comporta): talmente “in ascolto” da considerare l’ altro – il lettore in questo caso – parte irrinunciabile del suo progetto d’opera, creando, a livello teorico e pratico, gli statuti della sua assoluta indispensabilità, tanto da affidargli la chiave di volta che completa e pone in essere, in poesia, qualsiasi senso il poeta abbia cercato di investigare e di portare alla luce. Il poeta (e lo scrittore, in genere) per me dovrebbe essere questo. Ora tutta questa enorme ricchezza, questa “poesia da fare” è azzerata dalle logiche di mercato, costretta all’ombra e alla clandestinità: ma non per questo rinuncia a coltivarsi quale “utopia concreta”.
Anch’io, come te, preferisco un mondo nel quale a scrivere sia sempre il maggior numero possibile di persone: nel mio lavoro, mi batto tutti i giorni affinché ciò si realizzi: anche e soprattutto per rispetto, per un debito incancellabile di memoria, nei confronti di coloro che, più di sessanta anni fa, sacrificarono la loro esistenza per permettere a me, oggi, di essere qui a parlare in tutta libertà, e ai miei figli di poterlo fare, ancora, domani.
p.s.
Ringraziarti per gli stimoli che mi hai offerto e mi offri, non è un “salamelecco”: è un piccolo, necessario, esercizio di etica; una scelta di campo, “politica” anche questa.
che palle ‘sto raimo! Più gli dici che è mediocre, più insiste a scrivere… Ma perché non va a fare lavori socialmente utili?
C’è una cosa che volevo dire a margine del post di Raimo. A proposito di Baricco e del suo racconto a puntate “I barbari”. Leggo da Repubblica.it (assumo che il testo sia lo stesso dell’edizione offline) il capitolo 18, intitolato “Beethoven si sarebbe potuto fermare lì”.
In pratica la storia della musica fatta “a fumetti”, sintetizzata in poche righe e con delle prese di posizione (come quelle sul valore della musica antica) che francamente sono solo pettegolezzo da barbiere di periferia, e che denotano anche una profonda ignoranza di Baricco in questo campo. Baricco la storia della musica non l’ha studiata, l’ha letta sui rotocalchi. Lo confessa lui stesso in uno dei primi capitoli quando parla della leggenda metropolitana per la quale il CD audio avrebbe quella dimensione, e quella capacità di tenere musica, perché la nona sinfonia di Beethoven ci entra tutta. Facendo poi su questo un volo pindarico sul valore simbolico di quest’opera di Beethoven per noi moderni. La verità ovviamente è un’altra, più prosaica, e si apprende leggendo qualcosa di storia della discografia. C’erano dietro degli aspetti commerciali legati alla trasportabilità del supporto, e la presunta questione della nona sinfonia deriva dal fatto che il direttore d’orchestra Herbert von Karaian fece notevoli pressioni sul capo della Sony (siamo all’inizio degli anni ottanta del secolo scorso) affinché si giungesse rapidamente alla definizione dello standard del CD audio in maniera tale che lui potesse riversare su CD tutte le sue incisioni, inclusa la nona sinfonia di Beethoven (Karajan aveva fatto di Beethoven il suo cavallo di battaglia). Invece Baricco prende questa notizia da un rotocalco, ne mette correttamente in dubbio l’autenticità, ma poi imposta il suo ragionamento sul valore della nona per noi moderni proprio basandosi su quell’episodio leggendario. Questa non è divulgazione, questa è ideologia, falsa coscienza, per condurre tutto ciò che si narra (vero o verosimile) alla dimostrazione della propria tesi. Un effetto scenografico.
Nel capitolo 18 si ha l’apoteosi di questo ragionamento. Sostiene Baricco: “Beethoven si sarebbe potuto fermare lì: è invece c’era ancora un gesto da fare, acrobatico, per consegnare ai romantici quello che davvero cercavano: riconoscere a quel cammino spirituale la meta più alta, Dio. Addirittura dedurre l’orizzonte religioso dai materiali della spiritualità laica dell’uomo: porlo come ultimo scalino di un’ascesa tutta umana. Lo fece con quell’Inno da cui, ancor’oggi, siamo soggiogati”. Eccola la tesi di Baricco. Il recupero della spiritualità religiosa, Dio. Anche qui, piegando al suo fuoco sacro persino Beethoven, che forse è stato il più “laico” dei musicisti del suo tempo.
C’è poi un ragionamento bizzarro sul concetto del vero e del falso. Lui sostiene che noi vediamo le opere del passato con l’occhio del nostro tempo. O meglio, le ascoltiamo con l’orecchio del nostro tempo. Connotando in questo modo negativamente il filtro del tempo. Secondo lui noi inseriamo nel giudizio sulle opere del passato il nostro modo di vedere le cose, mentre in passato la realtà era ben diversa e, pare di capire da quello che dice Baricco, più vicina al “vero”. Questo è un ragionamento facilmente confutabile. Basti pensare alla storia emblematica dei falsi quadri di Vermeer. Allora fior di critici d’arte non si erano accorti dei falsi, mentre oggi qualsiasi persona, anche non esperta, riesce a vederne la differenza. Il filtro della storia in questo caso ha funzionato al contrario? Un discorso complesso comunque. Ma Baricco non ha dubbi, afferra una notiziuccia e ci costruisce sopra un sistema filosofico.
Ripensavo, quando leggevo quelle corbellerie baricchiane, alla vita di Beethoven, al dramma della sua sordità vissuto con sofferenza, alla sua “amata immortale”, a quell’immensa opera che è la Leonore/Fidelio. Ripensavo alla fede di Beethoven nella razionalità che viene fuori nei suoi ultimi lavori. Il critico musicale Giovanni Carli Ballola, a proposito dell’immensa sonata per pianoforte op. 110, in alcune sue note di un programma di sala, parla di “umanesimo kantiano di Beethoven” e conclude: “Per Beethoven e per Kant la vita e la divina salute dello spirito s’identificavano nella ragione, trionfante, non senza sforzo e affanno, sull’oscuro, profondo lago delle passioni e del destino”. Siamo distanti anni luce dall’analisi (if any) di Baricco. Forse anche Baricco si sarebbe potuto fermare lì, e invece…
Dico questo per riprendere il discorso di Raimo, quando diceva che a uno come Baricco non viene chiesto di parlare di politica, ma di essere “inattuale”. E io replicavo che forse era Baricco che non voleva o che non era interessato. Ecco, ora faccio macchina indietro. No, no, è meglio che Baricco non si occupi di politica e di cose attuali. Meglio per tutti.
Ma ho un’altra cosa da dire. C’è la presunzione di pensare che gli “scrittori”, in quanto tali, baricchi o non-baricchi, siano legittimati a parlare di tutto, anche di cose che non conoscono o conoscono poco e male.
cp
Quando uno scrittore è veramente di valore, il successo arriva.
Certo, ci vuole fortuna, come per tutte le cose, d’altronde.
Ma se i libri di Ammaniti, De Carlo (fermo restando che dal terzo in poi non sono un granchè)e l’ultimo di Veronesi hanno venduto quel che hanno venduto, e altri no, un motivo ci sarà.E non credo sia perchè il pubblico dei lettori sia un popolo bue.
Il successo editoriale come unica unità di misura del valore di un’opera mi suona quasi come una bestemmia…perché rischia di elevare a paradigma e a categoria estetica di riferimento il primo librobaricco che il mercato impone.
I libri di Emilio Villa praticamente non sono mai “esistiti” in quanto prodotti destinati al mercato; i pochi che hanno visto la pubblicazione hanno venduto tre copie…Eppure, senza la sua opera, almeno metà della produzione poetica contemporanea non sarebbe mai esistita, almeno non in queste forme e con questi risultati.
Di Baricco non ho parlato(è peggio di Berlusconi una vera ossessione).
Non dico che Ammaniti sono di valore perchè hanno venduto, ma che magari hanno venduto perchè sono di valore.
Poi, come ho scritto, c’è la Fortuna, il caso, eccetera, ma questa mi pare variabile non valevole solo in campo letterario.
Cordialmente, Zelda
Ad Ammaniti volevo aggiungere Veronesi, scrittore di grande e adesso giustamente riconosciuto valore.
« L’irrésistible prolifération de la graphomanie parmi les hommes politiques, les chauffeurs de taxi, les parturientes, les amantes, les assassins, les voleurs, les prostituées, les préfets, les médecins et les malades me démontre que tout homme sans exception porte en lui la virtualité d’écrivain en sorte que toute l’espèce humaine pourrait à bon droit descendre dans la rue et crier : Nous sommes tous des écrivains !
Car chacun souffre à l’idée de disparaître […] et de ce fait, il veut, pendant qu’il est encore temps, se changer lui-même en son propre univers de mots. Quand un jour (et cela sera bientôt) tout homme s’éveillera écrivain, le temps sera venu de la surdité et de l’incompréhension universelles. » (Milan Kundera :Le livre du Rire et de l’oubli, 4ème partie, 9 & 18)
Grazie Ugolino, ricambio l’apprezzamento.
Riguardo ai “Barbari”, rispetto le considerazioni di Prodan, però aldilà di quanto possa essere considerata “vera” (la distanza che si apre tra una narrazione a quel “livello di granularità” e l’infinitamente differenziabile realtà mi dà le vertigini) una simile chiave esplicativa, devo dire che apprezzo molto il modo, né dogmatico né reticente, con cui viene posta. Insomma “in me” l’esplicazione funziona, mi fornisce quel particolare senso di sollievo alle tensioni interpretative che forse rappresenta l’unico “adattamento“ che può fornire questo genere di “teoria”. A questo livello, apprezzo la forma sistemica (ci sento Bateson!) che respira nella tesi generale, e posso perdonare che gli esempi forniti possano risultare stiracchiati ad un occhio più esperto. Alcuni punti però, mi sembrano addirittura “veri”, perché li sento tali nel vissuto, sentendomi io stesso un mezzo barbaro (più per costrizione che per scelta). Eccone uno: “Ma oggi? Avete in mente le ore di studio e di ascolto necessarie per creare quello che Adorno chiamava un “ascoltatore avveduto”, cioè l’unico in grado di apprezzare veramente il capolavoro? E avete in mente con quanta costanza si sia demonizzato qualsiasi altro modo di accostarsi al sommo capolavoro, magari cercandovi con semplicità il crepitio di una vita immediatamente percepibile, e dimenticando il resto? Come insegna la musica classica, senza fatica non c’è premio, e senza profondità non c’è anima. Andrebbe anche bene così, ma il fatto è che la sproporzione ormai fra il livello di profondità da attingere e la quantità di senso raggiungibile è diventata clamorosamente assurda. Se vogliamo, la mutazione barbara scocca nell’istante di lucidità in cui qualcuno si è accorto di questo: se effettivamente scelgo di dedicare tutto il tempo necessario a scendere fino al cuore della Nona, è difficile che mi resti del tempo per qualsiasi altra cosa: e, per quanto la Nona sia un giacimento immenso di senso, da sola non ne produce la quantità sufficiente alla sopravvivenza dell’individuo. “
@zelda.
Fortuna con la F maiuscola? cosa essere?
non quella (ad esempio) che quando capiti al pronto soccorso alle quattro di notte con un ginocchio che scrocchia come una frisella sotto le scarpe e fa un male boia, ti fa incontrare il dottorino di turno che ti dice che l’ortopedico viene solo per casi urgenti e che quindi prima dovresti mettere il ginocchio sotto una pressa e tornare semi amputata e in semi coma, per avere soccorso? ma invece quella che nel caso B ti fa arrivare in un pronto soccorso efficente e ti fa trovare un ortopedico subito disponibile e figo nelle quali mettere la tua frisella stridente e magari , se scappa, qualcosa d’altro?
tu dici:
“Quando uno scrittore è veramente di valore, il successo arriva.
Certo, ci vuole fortuna, come per tutte le cose, d’altronde.
interessante intorcinamento.
ha bisogno di uno studio approfondito che mi accingerò a fare al più presto
un saluto
paola
Trovo che nel momento in cui “educare” significhi “imporre” allora non va bene. L’idea di una cultura “giusta” e per di più imposta in quanto tale a tutti ricorda troppo, nelle modalità, le dittature. E la resistenza al genocidio culturale non si può condurre con un’altra dittatura culturale, anche se è una dittatura che si oppone a una che riconosciamo, maggioranza nella minoranza di fatto che siamo, sbagliata. Ma l’atteggiamento intellettuale è e dev’essere in qualche modo pedagogico. Deve insegnare. La mia insegnante di francese diceva sempre che il suo compito (e insegnava francese, nemmeno filosofia) era a metà tra l’informare e il formare. E’ così. Nelle accezioni positive di quei termini questo è non solo giusto, ma auspicabile. Perché, per dire, per fare un esempio vicino, troviamo tutti meravigliosi i pezzi e i commenti di Sergio Garufi? Perché ci svela notizie d’arte che quasi mai conosciamo (almeno io). Ce le porge, le scopriamo. Non c’è altra connotazione in quei pezzi, che di fatto però “educano”. L’etimologia aiuta sempre. Da un punto di vista etimologico “educare” ed “esistere” sono complementari. Educare vuol dire infatti tirare fuori. Dunque proporre, esporre. Ed esistere vuol dire essere tirati fuori. Ora, nel caso della letteratura e della poesia e dell’arte in generale, assistiamo a un fenomeno che ha degli agenti, dei, cioè, mettenti in atto. Che a mio avviso hanno una responsabilità non tanto legata a una precisa ideologia culturale, ma a un asservimento a ciò che essi pensano il mercato voglia e venda. La pubblicazione e la pubblicizzazione di X invece che di Y è solo in secondo luogo una scelta di ideologia culturale, in primo luogo è una scelta quasi esclusivamente economica. In libreria io non trovo nemmeno una copia dell’unico ormai introvabile libro di poesie di Pasquale Panella ma ne trovo cinquanta della “Ballata delle prugne secche” e alla cassa, così che io le veda mentre pago un altro libro, che può essere “Il mulino di Amleto” di Giorgio De Santillana ed Herta Von Dechend pubblicato da Adelphi o le barzellette di Totti, e prima o poi mi chieda chi cavolo è questa Pulsatilla. Io, frequentatore di libreria, sono indotto a scoprire che qualcosa esiste e spesso a non sapere che a quel qualcosa è conferita, programmaticamente, per ragioni innanzitutto economiche, una visibilità molto maggiore di quella che è conferita al resto. Una visibilità che diventa invisibilità per altri. Altri che dunque non vendono (e dunque non ne troveremo copie nelle biblioteche pubbliche, non ne leggeremo recensioni, non vedremo gli autori invitati a Markette o alle Invasioni Barbariche, non vedremo pubblicità in prima pagina) anche perché non sono visibili. Altri che non vengono nemmeno pubblicati perché, nelle previsioni della casa editrice a cui si sono proposti, non venderebbero. E se invece fossero pubblicati e pubblicizzati?
Con una passività (il ritrarsi da una scelta di ideologia culturale) che diventa attività, gli editori dichiarano di fatto che la poesia non vende e allora non ci si investe nemmeno su. Il caso di Castelvecchi è eclatante. In questi giorni troviamo pile e pile di “Kalisutra” e della “Ballata delle prugne” in evidenza, ipervisibili. Non “Il libro degli haiku” o “I riti della terra” del poeta indiano Satchidanandan, dello stesso editore.
Forse il discorso è di un intellettualismo “di sinistra” deciso. Ma è questo. E’ che bisognerebbe “educare” a tutto, così che chi sceglie possa davvero scegliere con la sua testa. La privazione delle stesse possibilità per tutti non può che richiedere una (R)esistenza (po)etica.
Premesso tutto questo però, personalmente però non riesco a credere al Grande Demiurgo Capitalista, in questo dissento almeno parzialmente con l’apocalitticità del concetto di genocidio culturale contemporaneo di Carla Benedetti. Se ci fosse almeno, il Grande Demiurgo Capitalista che ci vuole tutti ignoranti e nutriti di televisione indottrinante al nulla e all’apatia e all’afasia critica e reattiva (scenario alla “Farhenheit 451”) potremmo combatterlo, ma purtroppo non c’è più. Non c’è. Non c’è un disegno dietro. E’ solo uno stato delle cose, considerate innanzitutto in chiave economica, che ormai si declina e fa declinare tutto così. Allora resistere, fare resistenza culturale vuol dire “cedere” all’esistenza, vuol dire diventare visibili e parlare dell’invisibile. Come autori e come “mediatori” culturali, cioè intellettuali. E parlare dell’ipervisibile che non vale niente decostruendolo (e qui dico ciò che penso io ad Andrea Barbieri, quando chiedeva a Giulio Mozzi perché parlare, e “male” di Pulsatilla? Non era meglio, non era un gesto critico ancora più deciso non parlarne proprio? Considerato che, comunque, la libertà, che è ciò che noi chiamiamo sempre in causa, ci impone per etica di far esistere anche Pulsatilla. E credo che ci sia di peggio, nei cataloghi editoriali, di Pulsatilla… Di meno sincero di certo).
@ U. C.
Dinamica accanita
A mente formuliamo una dinamica
accanita: il carro con le cinque ruote
oblique nel senso periodico
dei punti cardinali sulle dita della mano usuale.
E se tu vedi adagio salire per la china storta
questa grande ruota morta, bene, séguila
pari pari, e giunto in alto sui ripiani panoramici
e tu ruba dalle matte arene del silenzio geloso
nell’ora che la porta litargica, gl’illimiti
itinerari e spazi vulnerabili recuperando, sbatte
sullo stipite e nel cardine di sale
cigola accanitamente, quel che alla terra torna
misurato compenso e quota infera
ideale: ruba
corna gentili di sangue congolese, e la luna
inviperita sulle cateratte.
(Emilio Villa)
@ Gemma
Grazie di cuore per il gentile omaggio, veramente gradito. Sono rimasto senza parole, pensando al perché della tua scelta, visto che non potresti mai sapere cosa ha significato, e ancora significa, “quel” testo per me. Incredibile!
Rileggerò più tardi con estrema calma il tuo commento (magari vi trovo anche qualche “indizio” relativo a Villa): credo si tratti di una riflessione lucida, profonda e bella: uno dei commenti migliori che hai regalato a NI.
@ Zelda
Cordialità.
@ DearDust
My strongest healing kiss sul tuo ginocchio.
Conte, il tuo pezzo è uno dei migliori che ho letto qui, perchè estemporaneo, sentito, e sopratutto perchè mi ha dato lezione di stile.
Le mie perplessità si riferivano alla stima da te concessa ad autori letterari…che secondo me …insommaa…autori….mi capisci?
Tranquillo, non preoccuparti, non curarti di loro ma guarda e passa, anzi scrivi e passa.
con affetto
Magda
Magda, alla fine di quel commento oltremodo scherzoso, che chiamava in ballo anche il dott. Tremori, era venuto a cadere, eppure ricordavo di averlo messo, un emoticon, questo: (:-)))
Gracias.
@conte Ugolino e Cara Polvere
Sulla base delle cose che scrivete su Nazione Indiana, vi stimo molto.
Riconosco la mia completa ignoranza in materia di poesia; e nel comprendere la passione che vi anima nei confronti della poesia, riconosco che facciamo parte di mondi diversi.
Credo che esista un pubblico di gusto medio, magari mediocre, ma che va rispettato; e credo che ci siano romanzi che arrivano al cuore delle persone.Probabilmente le tali persone sono ottenebrate senza saperlo dal mercato, ma intanto leggendo quei libri si sono emozionate, hanno consigliato il libro ad amici, e non amano la letteratura meno di voi.
@cara polvere
nel caso del pronto soccorso, sempre comunque caso B
Zelda, non ho niente, assolutamente niente contro il pubblico di cui parli, tantomeno sono/mi sento portatore di una visione elitaria del “fatto” letterario in generale. Niente di più lontano dal mio sentire. Contestavo soltanto il dato che il mercato potesse rappresentare un indicatore plausibile del valore di un’opera. Dire: Baricco, Veronesi, Ammaniti o chicchessia è un grande scrittore, mi sta benissimo, basta che mi si spiega il “perché”; se quel perché si risolve tutto nella rilevazione della quantità di copie vendute, non può assolutamente starmi bene, dal momento che non incide in nessun modo in qualsivoglia elemento che distingue un testo letterario dall’elenco telefonico.
Ad ogni cambio di stagione, l’industria cinematografica mette sul mercato la solita vanzinata italiota, richiamando migliaia e migliaia di spettaori al botteghino: chiameresti “arte” quella roba? diresti che sono film di qualità solo perché hanno incassato tot più tot?
Era quello il senso del mio rilievo, e non aveva nessun intento polemico nei tuoi confronti. Assolutamente.
@ effeffe
Puisse-tu garder au vent de ta branche tes amis essentiels: toi qui ameutes et qui passe entre l’épanouie et le voltigeur, sois celui pour qui le papillon touche les fleurs du chemin.
@conte ugolino
cerco di spiegarmi meglio.
Gli esempi di Ammaniti e Veronesi mi sembrano significativi anche in relazione al discorso che faceva lui a proposito degli scrittori sintomatici, in particolare quando diceva che assistiamo continuamente al fenomeno di scrittori che dopo il boom iniziale, al secondo o terzo romanzo cedono il passo.
Il valore di ammaniti è venuto fuori alla distanza. Ha preso il largo rispetto alla gabbia dell’etichetta di ‘cannibale’, ed è arrivato il grande successo.
Che è successo anche e soprattutto popolare, come è stato quello di Easton Ellis o di Houellebecq(con le debite proporzioni, naturalmente), che piacciano o meno.(Diverso il caso di De Carlo, che , dopo due ottimi romanzi d’esordio, sta campando di rendita da molti anni).
Successo popolare che non è indicatore di qualità sulla base del venduto, ma che è grande successo anche perchè ‘popolare’, capace di arrivare al cuore delle persone (che è poi,s e vogliamo quel che diceva Gemma Gaetani aproposito dei romanzi di JtLeroy).
Con sincera stima
Zelda
‘IL discorso che faceva lui’ sarebbe il discorso di Christian Raimo
Naturalmente Easton Ellis e HOuellebecq sono arrivati al cuore delle persone non propriamente commuovendolo(o magari anche, perchè no)
OT: ci trovammo io ed una mia amica alle seconde nozze di una signora, non giovane, non bella, non simpatica, non intelligente. ” Come fanno alcune donne a sposarsi addirittura due volte e noi, che non siamo gobbe, nemmeno una?”
Mi chiedo la stessa cosa riguardo l’editoria spazzatura. Come possono certe teste vuote scrivere e pure vendere e altre persone con tanto da dire, muti ed emarginati?
@Conte: autrice, una. .-) dimmi che scerzi.
A proposito, si puo’ sapere dove scrivi?
Mag, scrivo unicamente su NI, che ha comprato (a carissimo prezzo, secondo loro; sempre al di sotto delle mie reali possibilità e “quotazioni”, secondo me) l’esclusiva delle mie farneticazzzioni quasi quotidiane (ancora per poco, comunque…). Coi proventi, ho già comprato Villa con Fontana; non mi rimane molto, ma conto di riuscire a mettere almeno uno o due Titoli in borsa.
Mi dispiace per gli Indiani, ma sono le ferree leggi del mercato e io devo assolutamente battere il ferro, soprattutto adesso che è incandescente. Ragazzi, qui ci abbiamo famiglia, non so se mi spiego. Pensa (ma non rivelarlo in giro) che Vibrisse, Lipperatura e Il Primo Amore da mesi si stanno disputando la mia penna (!?!) a suon di offerte milionarie. Ho saputo che Giulio Mozzi sarebbe propenso ad aggiungere al contratto, nell’ordine: una copia di ogni libro pubblicato dalla Sironi, dall’inizio della sua attività editoriale fino a tutto il dicembre 2030; una copia, rilegata in pelle, di tutte le recensioni scritte dal buon Bartolomeo Di Monaco su Vibrisse (siamo sulle quattromila pagine, una in più una in meno); una copia, rilegata in pelle (umana), contenente tutti gli interventi di Andrea Barbieri che hanno acceso polemiche e dispute sul sito (praticamente l’intero hard disk di Vibrisse Bollettino).
Caxxo, hai visto che figa-ta? Come si fa a resistere a codeste sirene? E poi dicono che andare in giro a pirlare in rete è solo una perdita di tempo…
I discorsi del Conte, che riconosco e saluto, insistono non tanto sulla dicotomia alto-basso o volgare-colto o marketting-elite, quanto sul fatto che le sfumature concesse a chi possiede un vocabolario ampio e una cultura considerevole sono maggiori rispetto a chi non li ha. Questi maggior cultura e apprezzamento delle sfumature sono utili non solo in ambiti squisitamente letterari, ma anche nella vita quotidiana, sociale e relazionale: aiutano a discernere tranelli e riconoscere opportunità. Sono, a dirla come Lui direbbe, germi di resistenza, e per questo vanno impartiti, educati, secondo un rapporto necessariamente verticale: io che sono più sfaccettato di te riesco a centrare meglio quello che tu, meno sfaccettato (ma egualmente senziente: ci emozioniamo allo stesso modo, come esseri umani), assimili ed esprimi come pari ad altro, per tua carenza espressiva.
Per emozionarci ed esprimere ciò che proviamo e pensiamo, disponiamo di tante gradazioni quante sono le parole conosciute e, dalle nostre parti di scrittori e lettori, le situazioni letterarie assimilate (che vivono dunque di vita propria, in chi ha cultura: Amleto, Emma Bovary, Don Chisciotte, Don Giovanni, Ciano, migliaia di altri). Il marketting odierno appare a chi è provvisto di tale sostrato citazione di riporto, uniformante come il “mitico!” di un semi-analfabeta. In quanto tale, merita tutto il disprezzo possibile e una guerra preventiva. Tale guerra non tocca, secondo il mio punto di vista (e immagino quello del Conte), gli “innocenti lettori” à la zelda, ai quali possiamo facilmente e gratuitamente fornire strumenti di messa a fuoco migliore, ma i furboni che sulle “innocenti zelde” campano, spacciando la loro paccottiglia per il massimo che sia possibile produrre e distribuire.
La poesia, in questo senso, è il massimo eversore, essendo per natura concentrata nella parola che da un lato significa e contemporaneamente si fa icona; la quale parola non è dunque flusso sciroccato, ma pensiero, ragione, razione, dunque suscettibile di miglioramenti quantitativi e stime comparative che fanno ben dire che molti scrittori, sebbene venduti, sono paccottiglia; e che uno che dice e pensa un solo “mitico!” per esprimere sentimenti e pensieri che gradano dal sublime all’orrido all’ammirativo al discorso figurativo è un povero menteccato da rieducare per il bene suo e della società civile, invece che spremere dei pochi eurini che porta a casa.
Gemma, decostruire l’ipervisibile (bella definizione) è una BATTAGLIA, che va organizzata decostruendo e soprattutto costruendo (rendendo visibile l’invisibile, come fai tu con quella poesia di Villa molto bella che non conoscevo, anzi non ne conosco proprio perché è irreperibile). Con un piccolo click costruttivo su Villa dai la possibilità di immaginare che la letteratura è potenza. Mozzi ha invece scritto una recensione isolata senza alcun aggancio a ciò che ci può essere di grande (tra il nuovo o nella tradizione), che non può non incrementare il bum bum sul libro orrendo di Castelvecchi rendendolo ancora più ipervisibile. Per questo gli ho chiesto di parlare di altro, di cose che meritano. Anche la stroncatura va fatta in un certo modo se si pensa che possa servire a qualcosa. Altrimenti meglio tacere.
Bisogna diventare combattivi, altrimenti tutto è inutile. La tendenza è alla salottificazione piena di ego che si ritengono lucidi mentre sprofondano (non parlo di te Gemma, come ti dicevo sopra seguo il tuo blog, e su questo aveva ragione Georgia). Ciao
E comunque hai fatto male a parlarmi di questo “Kalisutra” di cui non conoscevo l’esistenza e che sicuramente mi farà incazzare più di achille incrementando le pagine del libro da donare a Ugolino Conte…! :-)
@ ugolino gaetani
La dote migliore in una donna è una buona dote.
Caro GiusCo, potresti spiegarmi bene (e gratuitamente) quel “si fa icona” della parola poetica? Può essere un “insight” molto intrigante. Sii pure didattico e verticale, a Judo si diceva “onegaiscimass!”.
Ma sai com’è, o Andrea, una volta c’erano i porci con le ali e volavano a tutto spiano e via dicendo che ne parlavano tutti i belli e i brutti, e pur ora/o/colando:
Ah, certo, è un libro testimonianza dell’attuale situazione giovanile, ah beh, sì beh, i giovani, poverini, il disorientamento, mancanza di riferimenti etici… etcetera.
Poi sai com’è lo scriveva anche una donna, la Ravera, e tal cosa fa/ceva trasgressivo alquanto, specie allora, ed ecco che eccitava i bassi geni dilettando scurrile (Parini) e allora tutti a buttarsi, cazzo.
Se ne parlò un sacco, a me stava sul duodeno il coso/libro dei porci alati, parevami scocciante.
Adesso in questi anni eccoci le Melisse e le Pulsantille che premono il pulsante giusto e fan faville:
chettedevodì, il libro intrattenimento c’è e deve esserci.
Poi si dimentica, roba di poco momento.
Che poi l’intrattenimento è mica un male, per dire.
In Italia una volta i moralisti letterati voltavano il cul al giallo, manco fosse degno di nota, serie B o C; non parliamo di fantascienza che la stampava solo la Nord, eccetto due o tre cose sulla Medusa, e Fruttero e Lucentini che dirigevano Urania, guardati con sospetto.
Persino la scarsissima letteratura umoristica sdegnatissima, pensiamo ad Achille Campanile…
Io non dico, non urlo contro Pulsatilla o chenneso, di altro di romanzo storico di ambiente templare egizio romano vichingo o sumero, dico gli editori dovrebbero strombazzare anche altro, visto che, come dice LaRocca, esistono pubblicazioni variegate, ed è vero; per dire, un colpo al cerchio ed uno alla botte, che se non vendi nulla chiudi, non solo alla botte, però.
MarioB.
Nei vangeli ipocriti Eva nasceva dal pomo di Adamo, e lo seduceva con una succulenta braciola. E cosi’ il mondo sarebbe andato all’incontrario, ossia pel verso giusto.
Branzini, sorores!
Teste di Modigliani in fondo all’Arno? Magari nei fossi (Livorno-mare…)
Gli anni ’90 un decennio di “aridità sentimentale e ideale”? Molto opinabile: basta dare un’occhiata al fermento della scena musicale internazionale (Italia compresa per una volta… e tralasciando la questione del gusto).
“è vero che il mercato editoriale – nella sua struttura cellulare, beninteso – privilegia gli scrittori sintomatici”? M’è subito venuto in mente un tuo compagno di scuderia, che già dal titolo sembra piazzarsi in questo ambito: Paolo Cognetti.
Per il resto interessante, davvero, ma rompere le palle è un vizio dei louisevargo.
Conte, dato che l’ironia è la più alta forma di elaborazione del disagio, ora so che sei un pazzo.
Bnevenuto nel gruppo deglio otiosi creativi. Come vivi tu il colto cazzeggio?
(non lo dico in cinese).
Hai delle forme di sarcasmo che interessano la mia curiosità epistemologica riguardo gli ex ospiti del Paolo Pini(se esagero dimmelo, che aumento la dose:-) di provocazioni)
Faccio sempre così, non preoccuparti, è una dimostrazione d’affetto.
Io non ho capito se per scrivere un libro devo raccontare di pompini fatti, subiti, osservati, o se lo devo fare all’editore; ma poi, dovrei descrivere la prestazione diacronicamente o dato che, le mani, sarebbero libere, sincronicamente?
In ogni caso credo che una 40enne che racconta delle sue abilità oratorie, valga come due 20enni con le stesse capacità scritte di orali.
Quindi già questo dovrebbe essere garanzia di doppio incasso. La premessa necessaria è inoltre che, tornando alla richiesta effettuata nell’altro post di una descrizione al femminile della pre-origine del mondo, devo rivelare che, dall’inizio del tentativo di aproccio fino ad una finale certa soddisfazione, sono intercorsi 7 lunghi anni di “trials and errors” di ogni tipo. Quindi indubbiamente materiale narrativo ce ne sarebbe, partendo da un iniziale stile incerto verso una decisa svolta tragicomica.
La zia Mag
Volevo fare la cretina, ma ora ho letto GiuSco, la sua intelligenza mi ha profondamente distratto…anche perchè amo molto quel genere di eversione.
Cara Magda,
prima dimmi, però, come fai a sapere che sono un ex ospite del Paolo Pini. Secondo me hai avuto qualche soffiata all’ultimo IdroParty: quei disgraziati popolar radiofonici me l’avevavo giurata, quando li ho lasciati per rifugiarmi nella grande riserva indiana.
Mi hai un po’ rovinato la sorpresa, ma va bene lo stesso: erano le mie credenziali, (ora non più) segrete, da far valere nel momento in cui avessi preso servizio in uno degli ensemble che richiedono le mie prestazioni: la Giulio Mozzi Blues Band, il Modern Lippa Quartet e la BenedettiMorescoScarpa Liberation Arkestra. Mi vorranno ancora? Lo scoprirò solo nei prossimi giorni. Ma la prospettiva di un rifiuto da parte loro, dopo la tua rivelazione pubblica, non mi sgomenta più di tanto, perché ho un vero asso nella mona(ca): la richiesta, fattami pervenire dai Wu Ming, di aggregarmi al loro nuovo progetto sperimentale da lanciare sul mercato tedesco, la Einsturzende Wu Mingen Neubauten Kultur. Avrei mano libera e ampia facoltà di scegliermi anche il numero di serie: qualora il tutto andasse a buon fine, io avrei già optato per il “27” o per il “29” (dopo aver consultato la mia pr di fiducia, la magaclara, e dato una rapida occhiata alle smorfie tascabili che porto sempre con me).
Non capisco, poi, a cosa vuoi alludere quando parli di elaborazione del “dosaggio” e di come vivo “il (mio) coito” col “candeggio”. La prima domanda mi riporta agli sconquassi provocati dalle endovene paraepistemologiche di pusher (pardon: scuole) postbachelardiane; il secondo, direttamente alle segrete ultratiberine. In ambedue i casi, per il momento (cioè fino al ritorno dalle ferie del dott. Carotenuto), mi avvalgo della facoltà di non rispondere.
Per il resto, mai nutrito nessun dubbio sulle ultime dieci parole (più due virgole e un punto) del tuo questionario: l’unica affermazione retorica di tutto il testo. ,)
p.s.
Nel caso al dott. Raimo girassero i maroni per la brutta piega che sta prendendo la “sua” faccenda, dopo un sì brillante avvio, declino ogni responsabilità, diretta o indiretta: qui provocano in continuazione: sta a lui armarsi di un buon ferro da stiro e mettere le cose a posto: io non c’entro niente.
p.s.s.
Saluto il carissimo GiusCo e lo ringrazio per il suo gran bell’intervento. Mi piacerebbe, alla prima occasione, bere un bicchiere con lui, magari in compagnia della “persona” con la quale mi confonde. ;)
p.s.s.s.
@ Andrea Barbieri
:-)
@ S. A. Cerdote (S. Cerdote è il suo nick)
Reverendissimo, potrà mai perdonarmi della dimenticanza? Un po’ anche voluta, per certi versi, se no, a furia di p.s.s.s.s…, finivo per ricostruire da solo quel vecchio puttanaio di nani, guitti e ballerine a forma di partito.
La mi perdoni, lei è sempre nel mio cuore (e sui miei altari).
Sono il fake di nessuno.
Ma in quanto fake di nessuno non esisto.
Se non esisto, devo sparire.
Ok, scompaio.
Fake, il fake di nessuno finxit for Nazione Indiana 2.0, saturday 26/08/2006 at 0:49
Chi la spiegherà / questa discronia / del fake di nessuno / un minuto di / discronia realeee / per un essere / che non è reale / chi la spiegherà…
@GiusCo
Se Veronesi, Bret Easton Ellis, Houellebecq sono pacottiglia(a loro aggiungerei Philip Roth, Salman Rushdie, Paul Auster,perchè a questi autori pensavo, non a Fabio Volo ePulsatilla), allora noi ‘lettori innocenti’attendiamo con ansia il giorno in cui il drago-mercato verrà sconfitto, e usciranno allos coperto i tesori nascosti nei cassetti .
Con apprezzamento per la volontà pedagogica nei confronti dei ‘lettori innocenti sulle spalle dei quali campano i furboni
Zelda
Rimedio erigendo il pensiero al poetare, mutuando il dire che ha percorso il pensatore in una possibile iconicità della poesia:
******
“Se pertanto dobbiamo cercare di parlare del linguaggio in una parola detta, sarà bene, anzichè prendere a caso unaparola qualsiasi, scegliere una parola pura. Parola pura è quella in cui la pienezza del dire, che è carattere costitutivo della parola detta, si configura come una pienezza iniziante. Parola pura è la poesia.”
******
“Ma dove il linguaggio, come il linguaggio si fa parola?Pare strano ma la dove noi non troviamo la giusta parola per qualche cosa che ci tocca, ci trascina, ci tormenta, ci entusiasma. Quello che intendiamo lo lasciamo allora nell’inespresso, e senza che ce ne rendiamo pienamente conto, viviamo attimi in cui il linguaggio,proprio il linguaggio, ci sfiora da lontano e sfuggevolmente con la sua essenza. Ma quando si tratta di portare alla parola qualcosa di cui mai ancora si è parlato, tutto sta nel vedere se il linguaggio farà dono della parola appropiata o se invece la negherà. Uno di questi casi è quallo del poeta. Un poeta puo’ cosi’ giungere proprio a questo: a dover portare a parola, in modo autentico, che è quanto dire poetico, l’esperienza che fa del linguaggio”
******
“..Il linguaggio è la dimora dell’Essere, in questa abitazione abita l’uomo. I pensatori e i poeti sono i custodi di questa abitazione. Vegliando essi portano a compimento il rivelarsi dell’Essere, in quanto mediante il loro dire portano al linguaggio e nel linguaggio custodiscono questa rivelazione.Anche la poesia è figlia di Mnemosyne:la memoria, il raccolto ricordare ciò che deve essere pensato,è il fondamento e la fonte del poetare………….Il pensatore dice l’Essere il poeta nomina il Sacro. Si conosce più di una cosa sul rapporto fra poesia e filosofia niente sappiamo del dialogo che intercorre tra poeti e pensatori che abitano vicino su monti quantomai separati…………Ogni pensare meditante è un poetare, ogni poesia è pensiero. L’uno non è senza l’altro e l’uno e l’altro scaturiscono da quel dire che si è votato al Non-detto, perchè è pensiero come rendimento di grazie.Un Denken originario…..la pagina acquista nel movimento lento ripetitivamente memorativo poetico, qualcosa di liturgico.”
Io, per dire, se fossi un editore a Magda Platinata questo inizio di romanzo glie lo ordinerei cioè le direi:
scrivimi un romanzo di questo tono/musica che inizia così, come hai fatto di sopra, ecco:
“Io non ho capito se per scrivere un libro devo raccontare di pompini fatti, subiti, osservati, o se lo devo fare all’editore; ma poi, dovrei descrivere la prestazione diacronicamente o dato che, le mani, sarebbero libere, sincronicamente?
In ogni caso credo che una 40enne che racconta delle sue abilità oratorie, valga come due 20enni con le stesse capacità scritte di orali.
Quindi già questo dovrebbe essere garanzia di doppio incasso. La premessa necessaria è inoltre che, tornando alla richiesta effettuata nell’altro post di una descrizione al femminile della pre-origine del mondo, devo rivelare che, dall’inizio del tentativo di aproccio fino ad una finale certa soddisfazione, sono intercorsi 7 lunghi anni di “trials and errors” di ogni tipo. Quindi indubbiamente materiale narrativo ce ne sarebbe, partendo da un iniziale stile incerto verso una decisa svolta tragicomica.
La zia Mag”
E’ perché io mi sono divertito un mondo e mezzo a leggerlo.
Poi in retro copertina ci metterei la foto di Jean Harlow.
MarioB.
dal pensatore-poeta, concludo a modo mio:
E’ quindi nella liturgia, nella sacralità della parola poetica che il senso sotteraneo della totalità dicibile espressa a simbolo, diviene icona, viatico alla lettura sintomale.
Spero tu ti sia divertito per la inadeguatezza dell’inserire questo genere di considerazioni realmente cazzute, all’interno di considerazioni perlopiù fintamente impegnate…..mi fa irretire il ragionare su minchiate, tantovale spararle grosse davvero e attinenti ad una demenzialità più sincera e autentica:-)
Cmq visto che Marie Claire offre mille euro per una prestazione scritta, io chiedo 2000 euro per una prestazione orale a chi indovina la paternità delle citazioni sovrascritte filosofiche, il testo dal quale sono state estrapolate e una relativa piccola recensione dello stesso, tanto per appurare che sia stato letto.
Non è difficile……
mi è venuto un sintomo
GiusCo non risponde. Fa niente, mi rispondo da solo e tiro avanti. Qui non c’è una questione di democrazia o di pietismi. Conviene trattare bene tutti, così c’è meno casino inutile, ma nessun “più sfaccettato” è obbligato a zavorrarsi interagendo con i “meno sfaccettati”. Il problema è che nell’estetica ci si sfaccetta in maniere irriducibilmente differenti, ovvero per via “carismatica”, per innamoramenti, per plagi precoci ecc. con tutto il settarismo cieco che questo comporta. Da questo l’incredibile, ma in fondo innocente, ferocia dei poeti appartenenti a “giri” diversi, quando poi si tratta davvero di dover buttare giù qualcuno (in realtà quasi tutti) dalla torre. Nell’arte “high money” inaugurata da Warhol, questo è perfettamente evidente: contano gli “amori” del personaggio carismatico: grafici divertenti come Haring o graffittari come Basquiat ce n’erano a iosa in america, esattamente come ci sono poeti a iosa in Italia (oppure qualcuno pensa davvero di riuscire a mostrare, esplicitare, una qualità intrinseca che prescinda dai carismi che il denaro o la celebrità sono ormai in grado di proiettare su un corpo d’opera qualunque? beh, non proprio qualunque, ma basta un minimo di scaltrezza per evitare gli “stilemi” già condannati). E dunque il confronto andrebbe istituito con scienza e tecnologia, per nulla democratiche o pietiste, e con i loro meccanismi di esclusione od inclusione. Servirà un salto cognitivo, altrimenti, vedere i poeti aggregarsi in rete sarà come vedere uno che tenta di mischiare un mazzo di carte fatte con la carta di vetro: mission impossible! Ecco quel che succede: due o tre poeti si stimano, magari si amano tout-court, e su tale base organizzano un nucleo di reciproca legittimazione. Attratti dall’armonia, altri singoli si aggregano. Se il gruppo è gentile, continua ad ingolfarsi di nuovi ospiti ed affastellamenti inerti di materiale fino all’esplosione combinatoria ed al caos cognitivo. Se il gruppo invece fa selezione, cioè prova ad argomentare un filtro, si crea dei nemici davvero implacabili, che c’è da pregare Iddio si limitino al trolling e non vengano a cercarti a casa! Gruppi rivali che vengono a contesa rappresentano poi uno spettacolo unico, esotico, da fauna di Burgess! A questo punto sul caos interviene il potere (del denaro, degli apparati, delle consorterie) che dice: visto che non siete in grado di mettervi d’accordo su chi è il più bravo fra di voi, allora scelgo io! La scelta arbitraria risolve il problema cognitivo e lascia il popolo stupido e soddisfatto.
Ah , ma Wowo, vuoi proprio la sua risposta……quella del pensatore non va bene:-) ?
Oh, scusa Magda, mi pareva cazzeggiassi e così non ho letto. Ora rimedio :-)
Ciao
Beh, Magda, quando chiedo una spiegazione mi aspetto che essa mi venga data in un linguaggio non poetico, o solo blandamente metaforico. Dire “parola pura è la poesia” ecc. è a sua volta poesia, può essere intesa a vari livelli, ma non “constringe” a nulla, se non per via di plagio o fascinazione. Ci sono, ci saranno per un bel po’, gli adoratori di Heidegger, a me basta che ci siano anche gli antidoti, volendoli (p.es: http://mondodomani.org/dialegesthai/gm01.htm ).
Il problema è che GiusCo forse pretende che l’estetica abbia un potere cognitivo (e quindi un dividendo sociale) analogo a quello della scienza. Ma questo è assurdo, dato che l’effetto dell’estetica dipende da un tirocinio dei corpi alquanto incontrollabile (ed anche da predisposizoni, nevero, direbbe Carotenuto :). Non c’è proprio base razionale per un’imposizione autoritaria, meglio sarebbe che si dichiarasse subito la propria appartenenza all’aristocrazia (perché me l’ha detto il mio amico, che è fighissimo ecc.) e morta lì. L’unico sbocco teoricamente possibile era forse quello costituito dall’archetipo junghiano: l’artista minatore scava solitario nel tunnel nella propria particolarità ed improvvisamente risbuca alla superficie, riportando dal suo viaggio agli inferi qualcosa che i meno coraggiosi rimasti in superficie riconoscono commossi come una loro “possibilità” prima sconosciuta, decretandone l’universalità. Ma si tratta di una favoletta un poco screditata, per quanto comoda per l’artista, talmente comoda che si può continuare a preferirla a dispetto delle più aspre mode che sono sopraggiunte.
Wovo, eccomi, non ho avuto possibilità di tornare prima, excuse moi. :) Scriverò a braccio, spero di non divagare. Iconicità della parola poetica, dunque. Che significa? In primissima istanza, sintesi estrema di un periodo, quel termine cioè che economizza al massimo l’espressione e ne racchiude il senso. Esempio:
Sempre caro mi fu quest’ermo colle,
e questa siepe, che da tanta parte
dell’ultimo orizzonte il guardo esclude.
“esclude” è l’iconica di primo acchito dell’attacco leopardiano; dà un ritmo al discorso (o l’andamento, come in una composizione musicale: lento, allegro, andante… qui siamo nei dintorni di un andante), introduce a quello che sarà poi elencazione idillica, climax (verso un moderato musicale) e spinta desiderante, fino al conclusivo e liberatorio “e naufragar m’è dolce in questo mare”. Iconicità di discorso dunque, iniziata e finita in esso per tesserne un’economia. A questo livello occorrono un minimo di preparazione letteraria classica (metrica, vocabolario, retorica) e un minimo di orecchio e cultura musicale, anche qui meglio se classici. L’orecchio peraltro non si insegna, ce l’hai o no, è una dote naturale. Se Raimo permette, lui non ce l’ha o non ne fa uso e le sue poesie (o almeno quelle postate su NI) lo dimostrano chiaramente.
Il secondo livello di iconicità è la serie di rimandi (autobiografici o finzionali, letterari, dialogici con persone o altre opere letterarie, iniziatici, ecc.) o segni da decifrare, che fanno apparire il discorso diverso dalla linearità piatta e patta delle semplici parole in fila. Affinità con la pittura, più che con la musica. Allora, nell’attacco leopardiano, avremo “caro” ed “ermo” per connotare il “colle”, che è un elemento naturale di barriera ma anche in fondo un’appartenenza al mondo dell’io poetante; da qui seguirebbero considerazioni sul soggetto non proprio a suo agio nella cittadina recanatese e nella dimora paterna, a sua volta emblemi di corazza di protezione ed esclusione da una presunta vita attiva che l’autore stesso vagheggiava. Altra iconicità è “guardo”, che introduce e dichiara il senso del vedere quale privilegiato, dunque un io poetante speculativo, razionale; da qui considerazioni sul sistema filosofico sotteso al resto della composizione e, per estensione popolare, tutti i bla bla sul pessimismo cosmico dell’autore con la gobba. Qui su NI abbiamo le speculazioni tanto care ad Inglese e Raos, oltre che i loro poeti freddi, che tirano al limite l’iconicità del segno pretendendo di fare iconicità di tutta la struttura (che diventa quindi installazione).
Ecco allora che in tre righe di ottima poesia classica (cioè nota, studiata e digerita), *noto tutto il resto* (o tutti i contesti), troviamo sintetizzata la grana del discorso idillico, la matrice musicale di andante, un limitato sistema di rimandi intertestuali, la dichiarazione del sistema filosofico portante. La difficoltà nel trattare allo stesso modo le migliaia di poeti odierni che, per orecchiamento, sono capaci di scrivere almeno una-due poesie dignitose nella loro vita, sta da un lato nella difficoltà di aver subito *noto tutto il resto*, dall’altro nella evidente immediata povertà e incoerenza dei loro rimandi, derivante da un’assenza di sistema organicamente complessivo e da un’approssimazione metrica o figurativa che rivela una scarsa conoscenza delle regole del gioco e del suo patrimonio culturale-immaginativo cumulato nei secoli (esempio: molti non conoscono affatto le opere letterarie e musicali che fodano il nostro immaginario occidentale, dunque poi credono che “ridi pagliaccio” sia una canzone di Mina o l’ultimo karaoke di Fiorello). Si chiede allora a chi si dice poeta di conoscere e ripercorrere la tradizione, alla luce del tempo corrente, e di fornire una o più prove sistematiche (poetiche, di pensiero, artistiche in generale), non solo composizioni sciolte là e gettate nel mucchio, “ché tanto troveremo sempre qualcuno che ci costruisce sopra un mondo”. Ma il mondo occidentale, come lo conosciamo, lo costruiamo sulla Bibbia, sui testi epici dell’Iliade e l’Odissea, sulla Commedia dantesca, su Shakespeare, sul Don Chisciotte, su Guerra e Pace, su decine di altri testi classici sedimentati nella nostra cultura e, da ultimi nel novecento appena trascorso, sulle poesie di Celan e su Arcipelago Gulag di Solzenycin.
Accanto a questi esistono nel contemporaneo degni personaggi in un qualche modo “mancanti” o riconducibili per affinità a personaggi primari, in genere situati nei “generi” (dall’Ulysses di Joyce a Sherlock Holmes, fino ad Harry Potter)… da qui la polemica sui generi e la constatazione che, finora, nessun Falstaff e nessuna Comare di Bath sono ancora emersi a vita propria da quei serbatoi. La polemica, dunque, su quanto è davvero rappresentativo e degno di essere diffuso: vorrei chiudere ricordando che l’Italia, sesta o settima potenza mondiale, è uno dei pochissimi paesi evoluti nei quali la poesia è del tutto inesistente nei discorsi *reali* (non quelli del marketting), al contrario ad esempio dei paesi anglofoni, scandinavi e dell’est Europa. Segno che l’immaginario collettivo e l’identità nazionale sono davvero poveri e malmessi, come tanta evidenza appare giorno dopo giorno.
del “narcisismo” nella cultura contemporanea. il poeta come rock-star (helas, meno noto della rock-star). il poeta come pioniere (l’abiura delle “tradizioni”). dopo mazzoni guido, giusco. avanti così.
Caro apocrifo, GiusCo ha espresso un pensiero (condivisibile o meno) e ha portato una serie di argomentazioni e di esempi a sostegno della sua tesi, dando rigore, senso e leggibilità al suo dire. Perché non provi a fare altrettanto, piuttosto che lanciare slogan dietro ai quali non si intravvede nessun “prodotto”? Sarebbe bello leggere anche il tuo parere, che potrebbe portare nuovi elementi alla discussione. Non ti sembra?
Grazie Giusco – e scusa l’impazienza, sono in un momento di fame epistemica e devo anche sbrigarmi perché il tempo stringe: ho annusato la tua risposta ed intravedo con piacere della “trippa per gatti”. Adesso mi prendo un po’ il tempo per rimettere in ordine le idee, ciao :-)
ssssssssahhhhhh
@Wowo
dipende da che significato ha per te il cognitivo.
Nel caso tu ne dia un’accezione ontologica, non pensi sia affiancabile in modo parallelo all’estetico letterario? Inoltre, Wittenstein nelle ricerche filosofiche e quindi nel suo aspetto più logico-analitico, opera diversi accostamenti e contaminazioni tra l’aspetto ontologico della scienza e quello dell’arte….ma forse tu intendi il superamento degli autori classici verso altro.
@GiuSco
30 e lode
era per esclamare un deciso “MITICO”! (sulla lettura didatticamente acuta dell’infinito, sui pareri critici inerenti alla scrittura “postletteraria” di Raimo, sulle annotazioni circa la presumibile “freddezza” delle “post-avanguardie” come gamm e dintorni, sul riferimento al potenziale conoscitivo e antagonista della tradizione rispetto alla dimensione quotidiana del nostro vivere, ecc.). così, di primo acchito.
chiaramente il discorso (non solo sulla poesia) è assai più complesso e sfaccettato. anche tra le righe del pezzo di giusco ci sarebbe da chiosare. ma mi viene da ridere e da pensare divertito che raimo forse si sente un grande Autore, a non rispondere ad ammiccamenti critici, microstroncature in piazza, richiami all’ordine (alla coerenza) che invece potrebbero essere aperture ad un dialogo potenzialmente interessante (1=1: l’Autore e i suoi lettori).
come contributo alla discussione, ma sempre apocrifamente (“tutto è stato già detto, non resta che il ripetere”), richiamerei qui i discorsi sul “classico” che faceva all’università e poi fuori il professor Lattes-Fortini (il convitato di pietra). Il classicismo o il manierismo (nella sua scrittura e nella sua ideologia letterararia e politica), come ‘progetto’, non come ‘valore adempiuto’. Il progetto, certo non accolto di buon grado nel bordello dell’antistoricismo odierno, di un richiamo ai valori dell’humanitas, dell’umanesimo e delle tradizioni. Proprio in quanto ‘stridenti’ con l’oggi. Non li diamo per persi e per oltrepassati un po’ troppo facilmente? (e il mercato gongola).
Qualcuno ha citato, con sarcasmo, il Porci con le ali di Lidia Ravera e (del povero) Marco Lombardo Radice. Non credo che quel libro sia da mettere sullo setsso piano dei libri generazionisti di oggi. Su questo si potrebbe discutere a lungo, ma non è il punto. Quel libro era una sorta di liberatorio piccolo manifesto giovanile in un contesto sociale che bene usciva dal romanzo. Il guaio è che proprio per “colpa” della Ravera, della sua successiva involuzione borghese, le pulsatille (moderne liale) sono venute fuori. La “compagna” Ravera che diventa snob e “pariolina”, lei – intendo lei come emblema visibile della sua generazione – è stata la causa dgli anni di merda per eccellenza che sono stati gli anni 80 e 90.
Eccola la Ravera chi è oggi (Micromega, febbraio 2006, I soldi e lo stile ):
«Pecunia non olet, d’accordo, ma è bene contrarre l’igienica abitudine di annusarlo spesso, il danaro, e appena si sente un refolo di cattivo odore, lasciar cadere l’intera mazzetta».
ma aggiungendo subito dopo:
«Se una persona si compera, con soldi di specchiata provenienza, un appartamento da 800 mila euro, non c’è niente da eccepire, ma se, invece, si compera un appartamento da 700 mila euro e 100 mila euro li spende per comprare un collier di brillanti, allora no, questo non va bene. La cifra complessiva è uguale, è la destinazione di una parte che insospettisce».
No comment.
Non ci lamentiamo se i “giovani” scrittori o poeti di oggi le sole esperienze forti, formative, che riescono a rivendicare, e quindi a utilizzare come vissuto da cui trarre “ispirazione”, sono le scopate, il sesso orale, o il fatto che hanno passato dalle sei alle otto ore al giorno guardando la televisione. Questo, mi dispiace dirlo, è colpa dei loro genitori borghesi di merda, che gli hanno fatto fare prevalentemente queste esperienze. Altro che “derive” post-ideologiche. Negli anni 80 e 90, dell’ormai secolo scorso, i temi per le battaglie politiche serie, violente, non mancavano. Ma quei genitori, anche quelli che si credeveano “di sinistra”, hanno preferito dare il via a quella “pulizia etnica” (peggiore del “genocidio” pasoliniano) politica, sociale e culturale, che ha fatto occupare letteralmente la società a personaggi stolti, immorali e immondi. Questo è avvenuto per vent’anni. E ora siamo praticamente alla repubblica di Salò.
Come ha scritto recentemente su Carmilla il mio amico Roberto De Caro:
«Crollasse oggi pomeriggio, questa società ipocrita non ha affatto avuto vita breve, al contrario dei miliardi di esseri umani che si è divorata. Della fiducia diffido, e a maggior ragione di quella retroattiva. Anzi, c’è da interrogarsi a fondo sulla categoria, faccia della medesima moneta che sul retro ha inciso futuro. Moneta falsa, naturalmente, come ogni religione, senza nemmeno quella faccenda della vita eterna».
Sottoscrivo.
cp
Come amava fare l’inquisizione, apocrifo ci ha esposto ai suoi strumenti di tortura. Devo dire che sono abbastanza impressionanti, mi sento davvero indotto ad una confessione (ebbene sì, bleffavo, non capisco un kaiser di quello che sto sparando!) però penso che essi vadano selezionati e spietatamente calati nel punto appropriato del discorso. Elencati soltanto in generale, essi suggeriscono che apocrifo è certamente da temere (punirà prontamente le nostre ingenuità, evviva!) ma che forse non accetterà di scendere tra i meno sfaccettati (sob!).
@Magda
non saprei proprio, la domanda mi suona troppo astratta. Su Wittgenstein poi sono tentato di fidarmi di quel testone di Odifreddi ( http://www.vialattea.net/odifreddi/bio/witt.htm ) e quindi lasciar perdere la storia della filosofia, perché la filosofia corrente già da sola è abbastanza ingombrante (vedi quel frammento, che devo sottoscriverere, di Baricco).
@wowoka
(l’elenco):
in reazione ai postmodernismi vari habermas diceva che la modernità era da intendere come ‘progetto incompiuto’. non è da ingenui usare habermas calandolo nel pessimismo della ragione che l’oggi ci consegna. la modernità incompiuta è (ancora) quella del conflitto, delle guerre, del dominio del mercato. la sua incompiutezza sta nell’utopia del suo stesso superamento. la possibilità di fruire di questa utopia passa (anche) dal rapporto con le tradizioni. intendo:
(la citazione):
“L’alba della cultura internazionale socialista è simbolicamente annunciata dalle salve delle artiglierie dell’Aurora, salve che ci ricordano che la cultura non si eredita, bensì si conquista”.
A te e a ugolino conte: buon appetito.
Non e possibile che si tiri fuori sempre Fortini, con tutto il rispetto. Discorsi sul classico li hanno fatti anche altri, e chiunque non sia un pischello e lavori, col classico prima o poi si incontra. Ma se non si capisce la propria contemporaneita e non la si proietta in avanti, si resta inchiodati, dunque il classico va bene, ma non solo quello, e poi, definiamolo, che anche qui ognuno pensa al proprio e qualche professore pensa di avere l unico e autentico: -)))
Habermas, Fortini, ohh, e uscito qualche altro libro, neh.
mi spiace per gli accenti, non li trovo
Giusco, tu affermi che Raimo non ha orecchio e se ce l’ha non lo usa e le sue poesie lo dimostrano chiaramente. Poi chiedi “a chi si dice poeta di conoscere e ripercorrere la tradizione, alla luce del tempo corrente, e di fornire una o più prove sistematiche (poetiche, di pensiero, artistiche in generale), non solo composizioni sciolte là e gettate nel mucchio”. Tu hai già (pre)giudicato che l’istanza artistica di un poeta come Raimo sia: “ché tanto troveremo sempre qualcuno che ci costruisce sopra un mondo” (peraltro mentre si era tutti d’accordo soltanto sul punto che la poesia contemporanea non ha non solo mercato, ma pubblico). Tu non vuoi ammettere l’eco del migliore Pasolini nella poesia su Carlo Giuliani e Mario Placanica che Christian pubblicò prima su Nazione Indiana e poi su Liberazione poco tempo fa, e l’eco di Moretti (Marino, non Nanni) in quest’altra sua poesia che trascrivo sotto, per citare solo due echi di tradizione. E quando dici che Raimo, ciò che Raimo ha scritto e scrive di prosa, poesia e critica, anche soltanto qui su Nazione Indiana, non sia prova sistematica di una (po)etica non ti accorgi che la tua affermazione così decisa è, per usare un eufemismo, opinabile? Hai forse letto o riletto tutti i post di Raimo in NI, 1 come 2.0, scritti da quando ne fa parte, cioè dopo aver partecipato all’incontro che diede vita prima a un saggio collettivo (“Scrivere sul fronte occidentale”) e poi alla fondazione di NI? (Scritti che tra l’altro spesso confluiscono su carta stampata).
Se tu lo facessi potresti affermare che non condividi quella weltanschauung, quella (po)etica, ma non che non esistano. Che non esista di fatto in Raimo tutto ciò che tu chiedi a un poeta.
GiusCo, a Roma si dice “Ma de che stamo a parla’?”. E dai, su.
Quei ragazzi che lavorano alla Tecnocasa
e che chiudono alle nove, anche nove e dieci,
che serrano la porta di un colore bianco
definito, uguale a tutte le altre porte
degli uffici in tutto il Centritalia,
quei ragazzi che si alzano alle sette
e si infilano uno dei tre completi blu
comprati appena dopo l’assunzione,
che fanno turni di dodici ore al giorno,
dieci e mezzo contando l’intervallo,
quei ragazzi che masticando sempiterni
chewing-gum alla fragola e alla menta,
mantenendo l’alito pulito, il capello pettinato,
devono scovare ogni giorno nuove case,
bussando e richiedendo
al vicino confidente del vicino diffidente,
quei ragazzi che illustrano le case,
i battiscopa, le caldaie, i bagni dopo la cucina,
la luce nelle stanze, i materiali dei solai,
che insistono dicendo di non farlo,
che guardano guardare venti o trenta volte
gli stessi sgabuzzini da ristrutturare,
quei ragazzi che ogni mese se va bene
si portano a casa quasi due milioni tondi,
che hanno il fine settimana per la vita personale,
per farsi una famiglia, un’idea sul terrorismo,
un corso di violino, una gita al nuovo Auchan,
quei ragazzi che con i soldi risparmiati
si stressano di meno, si migliorano la vita,
una macchina più grande, più scelta di cravatte,
un’autoradio più tascabile, la possibilità di entrare
in locali dove in tre passetti o quattro
accedere al piacere, rapidi e assassini,
cuccioli e puntuali, con quegli occhi abituati al sonno corto,
quei ragazzi con le madri che gli lavano i calzini,
con le donne che gli lasciano messaggi al cellulare,
con i padri che gli comprano la casa,
quei ragazzi hanno un numero comune:
7046002, Ufficio Tecnocasa per il Lazio.
(Christian Raimo, Quei ragazzi che lavorano…)
@sibelius
ier sera vedendo come ogni sera cultura moderna su canale 5 commentavamo arguti io e miei sodali che quando un concorrente non sa che pesci prendere tira fuori sempre e solo un nome, maurizio costanzo. come pasolini, per parlare di christian raimo poeta. mi ritiro in biblioteca (del conte monaldo).
Sai che c’è, apocrifo? Che se nei non pochi sragionamenti che si leggono qui qualcuno ci vede l’eco di “persone intelligenti che muovano ingranaggi kuhnianamente anomali, quindi innovativi”, non capisco perché non possiamo vedere Pasolini e tradizione e un progetto po-etico coerentissimo dove ci sono.
C’è un ipervisibile interno che lotta contro l’invisibile che tu vorresti visibile, Andrea, altro che il mercato.
Sempre più io mi chiedo perché scriviamo, perché ci proviamo. Perché, davvero, non riaccendiamo la tv e pensiamo a campare, a procurarci un mutuo. Tanto è tutto inutile.
Comunicato 001
Sua Santità il Compagno Segretario Generale Sceicco Sayyed Hassan Nasrallah saluta i valorosi fratelli delle truppe cingolate pacificiste italiane che stanno sbarcando a Beirut, bel suol d’amore.
Che il Pugno dell’Islam sia con Voi, compagni Marò e Lagunari delle Forze Disarmate! Libanesi, srotolate le bandiere arcobaleno e lodate il Profeta, per l’eroico impegno della brigata Cavalleria Pozzuolo del Friuli!
Compagni Pacifisti Italiani, grazie per gli elicotteri d’assalto A129 Mangusta e i gioiosi Centauro! Per l’eventuale e luminosa scorta della fregata Aliseo!
Sua Santità lo Sceicco Sayyed Hassan Nasrallah ringrazia personalmente il compagno presidente della camera Fausto Bertinotti, che oggi ha dichiarato che l’Italia pacifista torna protagonista sulla scena mondiale.
La Vostra missione, amici italiani, non vuole farci male ma solo farci ripiegare. Conserveremo al sicuro i Santi Missili di Hezbollah. Ma non fateci arrabbiare se non ve li faremo trovare. O vi faremo pisciare nelle mutande, vi ricordate vent’anni fa?
Allah Akbar!
Gloria ai focolarini riuniti ad Assisi!
Che la Spada del Profeta ricada sulle teste dei veri micredenti!
Allah Akbar!
Allah è grande e il barese Franco Giordano il suo profeta!
Caro GiusCo, una spiegazione piena di buon senso la tua. L’iconicità che descrivi mi appare come quella ricercata “concentrazione” del senso intorno ad un significante “ben formato” che coincide abbastanza con ciò che normalmente ci aspettiamo dall’oggetto artistico, e che sappiamo bene non si trovi per caso, ma richieda l’acquisizione della sapienza tramandata da una tradizione e la successiva “modulazione” all’interno di questi vincoli (la cui “forzatura” richiede una padronanza ancora più grande). Dove stava allora il nostro contendere? Forse ho capito: io mi ero già in qualche modo arreso all’esplosione combinatoria, e “bariccavo” su nuovi scenari, mentre tu e Conte sembrate suggerirmi che un occhio esperto ne può scartare senza sforzo mille al giorno, di falsi candidati. Ovvero, che non serve affatto, per rendere giustizia a questi tapini (ed indurli ad accettare serenamente l’esclusione dall’arca) scendere ai quei livelli quasi morbosi di conoscenza autobiografica e ambientale che si riserva ai “consacrati”. Insomma che la strutturazione delle competenze letterarie, la chiesa della letteratura, può ancora funzionare, è ancora in grado di produrre “canoni” convincenti, “oggettivi”, basterebbe qualche sostituzione illuminata nei gangli del sistema. Può anche darsi, devo sospendere il giudizio, tanto più che la poesia non è il mio campo. Mantengo soltanto qualche dubbio legato alle mie frequentazioni assolutamente neutrali: ogni “giro” sembra convinto di possedere quell’occhio esperto – da qui la necessità, un po’ disperata, del ricorso all’orecchio innato e al dono di natura – è un vero guaio quando sono i competenti, non i semi-letterati, a non riuscire a mettersi assolutamente d’accordo. Un’altro forte elemento di dubbio è costituito dagli esiti dell’arte contemporanea, che osservo con attenzione ancora maggiore (eh beh, qui c’è anche qualche interesse un po’ meno disinteressato). Ma andrei a ripertermi, e già lo faccio troppo spesso. Per questo thread son pago! Un saluto a tutti e grazie.
Giusco, WoVoka, Magda…state scherzando, vero?
@gemma
Bella la poesia di Raimo, anche se secondo me Christian, anche nel suo scrivere, ha sempre quella tendenza alle conclusioni moralistico-retoriche ad effetto, che un po’ rovinano tutto quello che è stato scritto prima. Per dirla alla Baricco, Raimo si sarebbe potuto fermare lì, al terzultimo verso. Senza quel “coupe de theatre” del numero di telefono dell’Ufficio Tecnocasa per il Lazio. Ma questo è forse il suo modo di essere. Tant’è.
Ho poi associato il verso “le donne che gli lasciano messaggi al cellulare” alla notizia del ragazzo suicida a Reggio Emilia, che annuncia il gesto con un sms sul cellulare della madre. Mi è venuta una profonda tristezza e ho pensato che in quest’epoca di illimitate possibilità di comunicazione siamo tutti profondamente soli. Mandiamo email e sms, abbiamo telefoni cellulari che ci seguono ovunque, ma spesso non c’è risposta o non c’è dialogo. Perché scriviamo, ti domandavi. Non credo ci sia una risposta razionale a questa domanda. In quel piccolo capolavoro che è “Scontro di civiltà per un ascensore a piazza Vittorio” (premio Flaiano 2006) il giovane scrittore algerino (che vive e lavora in Italia) Amara Lakhous si chiede, attraverso un “ululato” del suo protagonista Amedeo/Ahmed, se narrare è utile. La risposta che si dà il personaggio è che “dobbiamo raccontare per sopravvivere”, proprio come la bella Shahrazad davanti al sultano Shahrayar.
cp
@alien
ovvio.
Prima o poi alla fine qualcuno trarrà una sintesi più o meno esaustiva.
La filosofia è ingombrante se si occupa di accademismo e rivisitazione del già noto. In realtà è la cosa più semplice e radicale di cui possiamo occuparci, ecco perchè sembra ingombrante.
@Alien io sono una persona molto seria che non si prende affatto sul serio. argomenta se ti và o demolisci, siamo qui apposta per giocare al piccolo sapientino .-)
@ Wowo, cosa intendi per cognitivo? Barricco è l’edulcorazione e la neutralizzazione di ogni forma innovativa del sapere, artistico, in questo caso. Bene diceva Bergonzoni, “poeti! sorprendeteci con parole nuove”, su un po’ di coraggio, mica basta una buona dialettica e una buona preparazione per dire qualcosa di nuovo.
@Gemma,
la struttura delle rivoluzioni è insita nelle anomalie, ma per essere anomali realmente, bisogna porsi alla fonte dei processi di cambiamento, non alla fine. Le finte trasgressioni, sono esattamente ciò che serve al mantenimento del sistema “normale”. Gli anomali, sono quasi sempre isolati, derisi, emarginati, non hanno successo, non hanno consenso, ma producono futuro invertendo il corso del tempo e riconducendosi all’origine e alla ridiscussione di cose date per scontate.
Caro Conte,
sono da tre giorni al Magda Palace di Lampugnano, una casa di riposo per sacerdoti pedofili in alta Val Camonica. Finora ci hanno fatto leggere pagine scelte del Circolo Pigwick, che dobbiamo ripetere dal vivo: così beviamo dalla mattina alla sera, soprattutto brandy allungato con acqua calda (ma non solo: io che fui don Santo fino alla sospensione a divinis, qui mi chiamano vin Santo) e ci strafoghiamo di pasticcio di piccione (ma non solo: va forte la testina di vitello, e perciò La invito a lasciare il Pini e raggiungerci tra i pini). Stasera metteranno la cassetta di Twin Pigs, e faremo le statuine – tutto per distrarci dal vizietto. Qui in effetti, più che scambiarci siti e indirizzi non facciamo. Quando arriva a Lampugnano chieda al Bar Baro di don Ricchio Baricchio o di don Rocco Barocco, i cappellani: La porteranno loro al Magda. A presto!
Palace:
da quando conservo contenuti nella piccola botticella cocciuta mi sono barricata, pero’ non credevo di essere diventata tanto capiente e capace da contenervi tutti!!!
Artusi:
lo conservo come una reliquia ad oppio uso: opera teorica e pragmatica. adoro il linguaggio, gli ambienti descritti, i metodi lenti e misurati, anzi calibrati su tempi persi. Avete provato a fare una delle ricette? a tratti mi ricorda David Lynch nel film -il cuoco, l’amante e l’assassino- o qualcosa del genere……..il cuoco ammazza l’amante colto di sua moglie e poi lo cucina, dopo averlo strozzato con i suoi stessi libri.
La cultura soffoca….
David Lynch o Peter Greenaway: questo è il problema. Deter Greench o Pavid Lynaway: e anche questo è un problema.
A Magda
A parte il quanto detto (prati di parole), gradirei farle una domanda:
Quindi (estrapolazioni varie concesse) dislessici mai poeti? Se invece si, il cromosoma mancante DCDC2 (nella mancanza s’intende) è l’artefice del vizio?
filosofica sintesi:siamo alla frutta
Peter Greenaway!.Tra l’altro ho anche riletto il tuo intervento per 10 volte prima di vederne l’ammonimento…..in realtà è un malapropismo piu’ che un lapsus….li adoro entrambi….ma più Greenaway. Come ho potuto confondere Il regista del ventre dell’architetto, the baby of Macon(grandioso), con Lynch?
il secondo è maestro del noir americanizzato, ma Greenway sembrerebbe erede della tragedia shakspeariana, un pittore della psicologia di confine.
Il vizio in realtà secondo Giovanni Liotti si dovrebbe ridurre alla ricerca della metafora incompiuta nella mia mente. In questo caso è l’assemblaggio, quindi un malapropistmo per condensazione, dato da percezioni sensoriali(film) producenti la stessa emotione. Entrambi i registi, simili, ma decisamente lontani, mi producono sospensione e rivisitazione del vissuto personale e dell’io sociale, finendo per coincidere.
Un altro grande è Haneke…perchè rimuove la violenza sopita endemica e sconvolge sistemi istituzionali con sistemi tribali, tornando a leggi etologiche. Non c’è mai vizio o errore secondo la prospettiva della psicologia cognitivista .-)
Non amo la poesia….preferisco la filosofia, tanto i percorsi sono simili.
Ma lei è il dott. Carotenuto….venuto apposta per visitarmi….guardi che gli psichiatri mi fanno un effetto orizzontabile.
Frutta? ricorre proprio in questi giorni un triste anniversario: il 24 agosto di circa 2000 anni fa, Il Vesuvio, eruttò. Tra i resti, si sono trovati su una tavola imbandita, come fosse quella nostra proprio in questi giorni di fine estate, fichi, fichi secchi oltre che lavizzati. Non è bello pensare che, contrariamente ai luoghi comuni, le stagioni sono ancora quelle di una volta?
A Mgd
Credo che non si debba confondere “fuga” con riduzione. Ne rivelazione con è.
A Mgd
Ne si deve confondere, “l’evidenza del risultato”, con il significato di “apprendimento” primo vere. E’ improbabile che si possa comprendere.
La comprensione è un mondo incomunicabile, con i semplici e comuni segni. Nella ripetizione (della comprensione), vi è solo tentativo di figura, di immagine; ma questa è irripetibile. Nel rito, come nel sogno. Ciò che si crede poesia o percorso poetico, si crede finchè il rito è forte nella ripetizione, (alcuni la chiamano tradizione) ma il ripetere le sole immagini “comuni” e riviverle allontanandole (oggi) è solo costruzione del tempo. Questo oggi si vorrebbe fermo.
@Gemma: di Raimo ho scritto che secondo me non ha orecchio, il resto lo hai inferito tu. Secondo me non hai neppure capito cos’è l’orecchio al quale mi riferivo.
@apocrifo: dei poeti presentati su NI ho scritto che secondo me molti pretendono un certo tipo di iconicità, come esempio pro domo Wovok*. Il discorso è complesso ma non irriducibile.
@Wovoka: giacché ognuno, anche tra gli officianti il culto, parte dalla sua identità biologico-sociale-cultural-politica, non troverai mai analisi oggettiva né unanimità perfetta. Meglio così, no?
@zelda: mi scuso per averti fatta paradigma dell’ “innocente lettore”; i nomi che proponi non hanno bisogno di pass e, nel tempo contemporaneo, godono di ampia considerazione a tutti i livelli, specie Roth.
@ Magda
A me pare che c’è molto di anomalo, e pure di deriso, anche in ciò che a te pare “finto-trasgressivo”. Il problema, anzi l’errore, a mio modesto avviso, è sempre quello di pregiudicare, dunque giudicare un libro senza averlo letto, un autore senza conoscerlo, presumendo vere e finte trasgressioni (come se la trasgressione alla regola poi fosse un valore di per sé…). Non vorrei risultare ridicola, ma c’è modo e modo e senso e senso attribuibile a qualunque tema (dalla fellatio al suicidio all’arruolamento volontario nelle SS). Non significano solo in quanto tali. Ma anche nel modo in cui vengono declinati, nella rappresentatività che gli si conferisce, che gli conferisce l’autore. Non è il contenuto in sé che fa un romanzo, un tema, la forma, e pure la formazione.
@ Giusco
Non so, pareva proprio un giudizio di disvalore complessivo riferito anche a Christian…
@ Cristoforo
A me quel verso finale, col numero, e l’endecasillabo “Ufficio Tecnocasa per il Lazio”, dà il senso dell’assoluta autoreferenzialità di una ruota “storta”, appunto, che gira da sola e porta avanti il carrozzone, è uno smottamento irrimediabile di qualunque teatralità possibile più che un colpo di teatro, l’evidenza del dato oggettivo e commerciale che chiude – impedisce – qualunque altra riflessione, la poesia, la parola, il dire, l’indagare, che si autocensura con la realtà. E’ il coperchio della bara in cui si è guardato cercando segni di vita.
‘Notte.
Chi parte, avendo ambizioni letterarie, con l’idea di lucrare con la propria attività, arrivando al cosiddetto successo, parte con il piede sbagliato. Il narratore e, peggio, il poeta; se è ancora valida la divisione in generi letterari. Letteratura son le ferite che ti lascia la vita sulla pelle, e null’altro. Non ho mai guadagnato un soldo con la mia attività di scrittore. Un pittore può aspirare a vendere una delle sue opere. Un poeta… cosa potrebbe offrire al mercato? All’odiato e odioso mercato? Non è lo snobismo di chi “se lo può permettere”, il mio. Tutt’altro. In un mondo oramai privo, e volutamente, di regole morali e di regole tout-court, un po’ di sana intransigenza non guasta.
Dedicato ai “pentiti di lusso”, a coloro che riempivano rumorosamente le piazze e che, figli della borghesia, crollate le giuste speranze del ’68, sono transitati direttamente nelle stanze del potere, anche mass-mediatico, a suon di incarichi miliardari. Mio nonno Antonio, che non era un estremista, vecchio liberale (dunque, distante dalla mia odierna collocazione politica), gentiluomo del secolo passato, mi disse: “Meglio mangiare pane e cipolle che tradire i propri ideali”. Karl Marx aveva già tutto previsto: “Se non vivi come pensi, finirai col pensare come vivi”. La tragicommedia, autentico psicodramma, della generazione che avrebbe voluto cambiare la vita (Arthur Rimbaud) e trasformare il mondo (Karl Marx & Mikhail Bakunin)…
… “Nipoti di Pasolini”? Al massimo, scribacchini,… artigiani della parola. Un po’ di rispetto per la scrittura, quella vera!
Elsa Morante, una delle più grandi narratrici mai esistite, autrice del più grande romanzo del ‘900: “La Storia. Uno scandalo che dura da diecimila anni”, è morta povera. E voi volete arricchirvi?
sergio falcone
Dopo giorni mi sono riletto tutto questo testo di Raimo che mi piace più di prima, anzi l’ho capito forse solo ora.
In particolare mi è ribalzato all’occhio la co/itazione del “ribelle col ciuffo” e mi sono rivisitato mentalmente un galleria di ribelli col ciuffo bestiale o capigliature scapigliate o riccioloni sparsi e gonfi.
Mi sono rivista, lì, dietro la fronte, una foto di Pavese con Leone Ginzburg il quale portava una foresta di ricci che saliva dal cuoio cappelluto di circa venti centimetri, pure il povero nostro gran compagno Gramsci esibiva un strabiliante foresta sul capo, simile a quella di mio zio Romano, buonanima, che poi divenne pelato, però.
Un ciuffo pazzesco sinistroso si vede in una foto di Wilhelm Reich, per non parlar delle singolari cespugli di Magnus Hirscfield, anche Majakovsky stava bene, anche Ungaretti teneva il capello unticcio e lunghetto.
Cioè in una parola è meglio non fidarsi dei maschi che tengono in disordine la capigliatura o van poco dal barbiere vuoi parrucchiere.
Le fimmine, loro, son libere molto e si possono tenere i cavegli infino alla piante dei piedi, ecco.
MarioB.
Questo qui è un commento non del tutto OT,
sul tema poesia e denari:
ZIRA E REZIRA
Zira u corpu, sciorte u porcu,
zira a riana, sciorte a raina,
zira dunca, sciorte candu,
zira a tega, sciorte e gate,
zira in diu, ne sciorte dui,
zira e stache d’in pueta
che nu sciorte in belu ren !
GIRA E RIGIRA: gira il corpo, esce il porco/gira il ruscello, esce la rana/gira se no, esce quando/ gira il bacello, escono le gatte/ gira un dito, ne escono due/ gira le tasche di un poeta/ che non esce un bel niente
di Andrea Capano, poeta ventimigliese
presso Managò editore 1998, Ventimiglia
A Michele
C’è qualcosa nel tuo dire che occhieggia ai processi di costruzione di sacralità, ritualità, sottese dalla mimesi delle violenza originaria, che risultano tanto più efficaci, quanto più ci si mantiene lontani dall’apprendimento originario, che secondo Girard, conterrebbe appunto l’esperienza della violenza autentica. L’esperienza originaria è esperienza di violenza. Chissà quanto il rituale sacrificale catartico ha in comune con il rituale poetico della parola, e quanto la poesia possa esorcizzare pulsioni così autenticamente umane da sembrarci oggi disumane, in questo senso la poesia si inserirebbe nel processo di costruzione del sacro, sostituendo il religioso, anzi, anticipandolo e prevenendolo.
( il padre di mia figlia è un cuoco, e io sono attratta dagli intellettuali :-)
i lapsus sono forme del sogno, è vero…..sono piccoli deliri ad occhi aperti.
grazie
Mag
Magda,prenditela una settimana di vacaza.
Se corri in agenzia un last minute lo trovi
Anche Massimo d’Alema, con con la scusa del ministro degli esteri, l’hanno mandato a quel paese :-) vedo se c’è qualcosa per il Libano.
RINGHIO FERRONI
Roma, 24 agosto. Cronaca a caldo dell’altro ieri – Il professor Giulio Ferroni, classe 1943, è cresciuto nella Roma militante degli anni sessanta e settanta. Nel 1982 si è insediato alla “Sapienza”, dove insegna storia della letteratura italiana. Collabora con l’Unità. La maggioranza degli studenti di Lettere ha studiato sui quattro poderosi volumi ferroniani che illustrano con tanto di approfondimenti e tabelle le gesta degli eroi letterari dell’Italia che fu, con altrettanti sunti e aggiornamenti.
Partito da Adorno, il professore da almeno dieci anni s’interroga sulla “condizione postuma” dello scrittore italiano. Sulla fine degli ideali e delle battaglie culturali che hanno spogliato di senso la nostra cultura. Il patentino ovviamente Ferroni l’ha ricevuto in tenera età e oggi lo dà a chiunque rientri nei suoi canoni estetico-politici.
Come è noto, Ferroni se l’è presa soprattutto con il trash e con le tiritere ciniche e nichiliste del postmodernismo letterario e industriale. In un’intervista ha dichiarato che la comunicazione, oggi, è in via di saturazione e tutto questo provoca “un sorta di vertigine” che ci impedisce di capire da dove arrivano le notizie vere e quelle false, chi è chi o cosa, quando uno può dirsi di sinistra e quando no.
In un mondo para-ideologico, gli scrittori italiani soffrono di “depressione” e finiscono per omologarsi ed essere guidati da “UN CIECO SPIRITO AUTOPROMOZIONALE”.
A tutto questo degradarsi ideale, egli oppone la visione di “ecologico, civile e ironico” self-control. La visione del professore e dei suoi seguaci, i veri, unici e giusti conservatori della bellezza e della resistenza intellettuale, contro l’intelligencija tecnocratica prodotta dalla “generazione postletteraria” (cioè chi dice che si può continuare a scrivere anche rinunciando ai canoni, alle tradizioni, ai classici, eccetera eccetera).
Poi però l’altro ieri mattina apriamo un quotidiano e vediamo una pubblicità a 18 colonne. Rino Gattuso, l’eroe dei due mondi, ritratto in una posa assorta, meditativa, intellettualmente racchiusa, una di quelle foto di sapientoni barbuti e pasciuti che riflettono ventiquattrore al giorno sulla condizione da dottor Stranamore in cui versa l’italico letterario furore.
E che cosa ti promuove il Ringhio? Proprio la Storia della Letteratura italiana del professore. “Una collana di 18 magnifici volumi con gli autorevoli commenti critici di Giulio Ferroni, uno dei massimi studiosi di letteratura”. Il primo volume costa solo un euro. E chi te la ristampa la Bibbia della critica italiana? Una rivista di nome Panorama. Gruppo Mondadori, 300.000 copie vendute alla settimana. Tra i collaboratori Bruno Vespa, Antonio Socci e Giuliano Ferrara (e Sofri che spariglia sempre).
Ora, in questi giorni su NI si è parlato molto di pagnotta e coerenza, di mercato e di riserve indiane, di ricevere un vitalizio mensile da Marie Claire oppure sopravvivere autoproducendosi volantini e libricini che certamente non entreranno nell’Olimpo Ferroniano Nazionale (NOF – National Olimpic Ferronian).
Certi hanno risolto le loro costipazioni con il circuito editoriale, altri le devono ancora evacuare. Ma in un certo senso chi aveva osato sollevare le ragioni della coerenza, in un mondo di pagnotte nemmeno tutte uguali, oggi può dire di avere ragione, di aver fatto la differenza, di averci fatto balenare l’idea – anche a me che ormai incasso bonifici per rubriche di fashion estivo – che forse la militanza andrebbe ripensata non dico da capo, ma almeno quel tanto che basta da strapparla ai signori di Panorama e all’esimio professore di origine molisana.
Nonostante, e grazie al trash, Giulio Ferroni ha conosciuto l’ebbrezza del primo volume allegato al giornale. La potenza postuma del quotidiano-marsupio.
@ Roberto
Bentornato.
@ mgd
Credo sia più conveniente, anche dal punto di vista economico (per non parlare dei benefici riflessi sul piano spirituale) passare qualche giorno al Magda Palace di Lampugnano in Val Camonica: la compagnia di Don Santo Cerdote e della sua accolita è quanto di meglio offre il mercato (o il peccato) attualmente. Ti consiglio, a pranzo e a cena, la “testina di vitello”, che prepara direttamente con le sue reverendissime mani. La sua sospensione a divinis grida ancora vendetta: ha privato le pratiche devozionali di un cul-tore di primordine, portatore di una ubiqua capacità di dar-si e di far-si (mai da solo, però). Salutalo tanto da parte mia, appena lo vedi. E buona vacanza, cara. ;)
Puzza di cattiveria. Aiut. Scherzavo. No, mai più penserò degli scrittori pensieri buoni buonini… dirò a mio figlio di tentare col mondo del calcio e di uscire in strada a toccare culi alle femmine… di non fare la fine di Robertino… mi pare di stare coi migliori della classe, quelli coccolati dalla prof di italiano che fumava sulla porta e scaccolava alla grande tra un tiro e l’altro quando nessuno la vedeva.
No, non mi piace questa nitroglicerina di intelligenza, queste scortesie pletoriche, questi cuori tesi fibrillanti.
Mi dispiace. Ci credevo. Magari c’andate pure, a Mantova dico. A metterinmostra ‘l cerebro. Né più né meno che la tv defilippizzata. Solo che qui si è molto molto più brutti.
io a questo scrivano gli pianto la penna dinto all’uocchio
MarioBù
Chissà come mai, quando ha l’occasione di conoscere qualcuno dei personaggi’arrivati’, magari si scopre che sono persone semplici e simpatiche; chiaramente senza quel livore che fa mangiare bile a pranzo e cena agli invidiosi.
“La prof d’italiano che fumava sulla porta e scaccolava alla grande tra un tiro e l’altro quando nessuno la vedeva”: fantastico, un vero “cul-t”!!!
“Questa nitroglicerina di intelligenza”!!!
Mumble, mumble, io questa “prosa” credo di riconoscerla…
Non dimentichiamo che gli scrittori scrivono la vita d’altri e non vivono la propria: o si scrive o si vive.
scribano dici per le cattiverie ad personam o proprio per l’acidità generalizzata a modi misantropia?
Magda, posso farti una domanda? Tutte queste certezze, ma chi te le dà? La filosofia? Leggere quattro libri a caso, scritti dal 1950 in poi, quattro libri qualunque, (ti) dimostrerebbe che il concetto che tu esprimi è una grande, approssimativa, sciocchezza. Per di più contrasta con quanto sostenevi più su, che per scrivere un romanzo e vederlo pubblicato oggi basterebbe esibire il libretto universitario delle fellatio (in senso letterale e metaforico).
Roberto, anche tu. Ti scagli contro Ferroni. Ora anche Ferroni è pagnotta e non coerenza. La prova sarebbe il placet di Panorama, gruppo Mondadori. A solo titolo esemplificativo mi viene da citare Roberto Saviano. Non è pubblicato dal Gruppo Mondadori? Che tu mi sembri citare come “Male”. Non l’hai vista su Repubblica in prima pagina la pubblicità di “Gomorra”? Allora i dati reali di coerenza quali sarebbero? Di coerenza dell’uno e pagnottismo dell’altro? Il gusto personale? Perché solo quello, deduco, ti può far gioire se Panorama intervista Roberto Saviano, ma provare conati di vomito se Panorama allega la “Storia della Letteratura Italiana” di Giulio Ferroni, costo del primo volume un euro. Il costo di 7 sms, di 3 Camel Superlights, di un brano scaricato dallo store di iTunes. Duecento volte, circa, quanto spende un ragazzo che probabilmente non contempla tra i suoi hobby la lett(erat)ura per comprare un paio di jeans con la scritta “RICH” sul posteriore.
Quale sarebbe il giusto mondo, anche letterario, per te (per voi)? Come lo cambieresti/e, potendo? Dato che quasi tutto quello che esiste sarebbe pagnottismo?
@gemma
Guardi che è Ferroni che ce l’ha con “il cieco spirito autopromozionale” che guiderebbe gli scrittori italiani, mica io. Proprio lui, testuale. Mi limitavo a farlo notare. Se il professore si rimangiasse questa solenne dichiarazione per me potrebbe pubblicare pure la Storia d’Italia a Fumetti, su Panorama.
Cordialità
Roberto, mi pare motivo decisamente molliccio per contestare il lavor(i)o intorno alla letteratura italiana di un docente universitario come Giulio Ferroni, che dopo decenni di insegnamento accetta di ripubblicare per una rivista settimanale, dunque di diffondere presso “masse” diverse da quelle che seguono i suoi corsi all’università, gli scritti di quel lavor(i)o. Che non nasce commissionato da Panorama, ma evidentemente dalla sua (di Ferroni) idea di coerenza.
E’ possibile che se Giulio Ferroni ricevesse una copia del mio libro lo utilizzerebbe per ammazzare una zanzara, e poi lo butterebbe dispiaciuto che una zanzara sia morta sporcata dal mio libro. Presumo. Ma ciò non toglie che personalmente non mi sogno di contestare come “commerciale” Giulio Ferroni perché accetta di divulgare il lavor(i)o silenzioso e fattivo di decenni.
Sarebbe infine bello che nella cordialità che mi indirizzi tu inserissi una risposta anche all’altra domanda che ti avevo fatto. Qual è la differenza, premesso lo stesso luogo editoriale, tra Ferroni e Saviano? L’indicatore reale (e insisto, perché sento incoerenza speculativa) quale sarebbe?
@gemma
mi chiedo se tu, tosta come sei, sei anche informata sul noto processo della “settimanalizzazione” (in questo caso critico-letteraria). E su quello che significa in termini di proliferazione cartacea. Il troppo stroppia, considerando la “visione ecologica” propagandata non da me ma dal medesimo Ferroni (io preferisco Boyle, quindi me la rido dall’altro ieri).
Quel “silenzioso lavorio”, tanto silenzioso da farsi Rigore in Cattedra, tiene fuori dai quattro volumoni che ogni italiano dovrebbe piazzarsi in libreria (“miii, chistu è Ferroooni, minghia!”), tiene fuori, dicevo, almeno un terzetto di autori che il novecento italiano si è scordato al momento giusto, cioè negli anni sessanta e settanta.
E cioè proprio quando il Nostro si apprestava a impartire le sue lezioni di critica a targhe alterne. Attenzione però, dopo di lui la teoria letteraria potrà essere soltanto “postuma”, quindi anche le nostre parole sono prive di valore. Capito Gemma? Anche le tue! (Su Saviano sospendo il giudizio finché non avrò letto Gomorra, visto che da queste parti si deve fare così).
Roberto, a Sanguineti fu rimproverato per decenni di aver aperto la sua “Poesia italiana del Novecento” con Gian Pietro Lucini. Come sappiamo bene è in quella scelta che spesso si esprime l’ideologia culturale dell’antologizzatore, nell’inclusione o esclusione. Puoi non condividerla, ma c’è una coerenza ideologica in Ferroni, anche nel gesto “finale” di farsi settimanalizzare. Io la ravviso. In ogni caso volevo solo dire che non mi pare un gesto di coltura dell’incultura, da parte di Panorama e Mondadori, settimanalizzare Ferroni. A prescindere da questioni ideologico-letterarie. Che, ancor meno che la letteratura, interessano e muovono la “massa”.
Perdona la mia insistenza, in realtà conduco una battaglia tutta personale contro quelli che mi appaiono “luoghi comuni”. Come demonizzare Mondadori per X ma non per Y. Come demonizzare tutto, o quasi. Al di là dell'”affinità elettiva” ideologica che nutro per X o per Y.
Cari saluti.
Trasumanar e settimanalizzar
@georgia
I luoghi comuni che ho sentito da Sanguineti intervistato da Fabio Fazio? Per me Mondadori ha fatto benissimo a sbarcare in Francia. Magari ce ne fossero altri editori grossi così.
E lo dico senza ironia alcuna.
Pace e bene.
Non mi piace ripetere le stesse cose, ne confrontarmi con talenti di questa levatura, questo discorso si è già fatto più di un anno fa sempre qui e con gli stessi risultati: polemiche e vacuità.
Certamente chi promuove, diffonde e distribuisce letteratura, come definisce Roberto di un certo genere, incrementa la bassezza del livello letteraio, togliendo spazio alla formazione attraverso la lettura, come invece ha detto molto bene Crux.
Accontentatevi di incassare i diritti d’autore senza pontificare sul nulla e polemizzare a suon di sofismi sbiaditi e inefficaci.
Ma non sono certo casi isolati, tanto che il nulla-rosashocking è divenuto appunto un genere letterario. Ma si puo’ sempre pensare di eliminarlo totalemente :-)
https://www.nazioneindiana.com/2005/10/29/colazione-al-fiorucci-store-milano-2/
@magda
La tua pedanteria fa accapponare la pelle.
La tua puzza sotto il naso ti porta a fare batture di dubbio gusto su scrittrici e pompini, e non ti prendi la briga di leggere un libro come quello di Gemma che -vivaddio- brilla per originalità .E talento.Si’, Magda, talento.Vita.
Stattene pure li’ coi tuoi libri di filosofia.
Vivaddio.
Cara Magda, mi toglierei una gran bella soddisfazione se ti spiegassi alcuni dettagli, a partire dal nulla-rosa shocking fino ad arrivare ai diritti d’autore e all’incasso degli stessi e attraversando questioni accessorie come decostruire l’ipervisibile e costruire il visibile, dettagliucci di cui so perché ne ho fatto esperienza, dettagliucci che demistificherebbero le inesattezze presuntuose che hai in testa e altresì diffondi in uno spazio democratico aperto a tutti, al quale per questo motivo ho deciso di partecipare dialogando. Dialogando in quanto appassionata di poesia e letteratura; autrice che ha pubblicato un piccolo romanzo d’esordio con una casa editrice media; persona convinta che la letteratura è ciò che di più importante ed etico esista al mondo, e che perciò scrive. Ma non voglio farlo. Ho altro da fare. Ho cercato di “dire” già molto nei commenti precedenti, troppi.
Fiera di non averti tra chi mi ha letta e capita, più che comprata, ora che finalmente il bersaglio che millanti da settecentottanta commenti l’hai tirato fuori.
Saluti.
“Siamo donne…oltre le gambe c’è di più!!”
Se Gaetani è originale, e lo sarà senz’altro nel suo genere, una come Agotha Cristoff cosa sarebbe? la pelle si accappona, lo dice la parola stessa, a chi è già etologicamente predisposto/a a tale fenomeno gallinaceo, e la puzza arriva inevitabilmente durante processi di fertilizzazione, possibilmente con metodi naturali. Ma se insistete, io vi rispondo all’infinito…..razzi vostri.
Ho dato un’occhiata al catalogo della casa editrice Fazi Lain: mi sebrano tutti titoli di una certa importanza, avrei l’imbarazzo della scelta dovendo leggerne uno. Sarà forse solo una fase iniziale, cosidetta di lancio, per poi approdare magari ad una linea editoriale più….meno…..insomma diversa. Molto Forse…..la speranza è l’ultima a morire. Certamente attira una serie di interessi e di critici letterari.
@Magda, ti rendi conto che i diritti d’autore di duemila copie sono niente e se tu soltanto compri qualche libro per scrivere il tuo ecco che vai sotto?
Ci vorrà anche un po’ concretezza quando si scrivono i commenti no?…
Lain tempo fa aveva pubblicato un bellissimo graphic novel: “Pop gun war” di Farel Dalrymple.
@Gemma, quando vai in libreria butta l’occhio tra i cataloghi e se non l’hai già fatto tira fuori la monografia recentissima su David Hockney (rizzoli). Ci sono immagini molto interessanti (ritratti, interni, piscine, paesaggi…). Non c’è bisogno di comprarlo, sfoglialo e scegli qualche immagine che ti attira. Smontale mentalmente, dovrebbero venire fuori delle belle suggestioni (ripeto, se non l’hai già fatto). Del resto Hokney è un pittore che scrive parecchio, già questo dovrebbe assicurare un ponte tra i suoi lavori e la poesia.
@Magda
La musica sia con te (e anche zio martin ringrazia per le citazioni).
E curioso che tutti vogliano darti delle lezioncine, senza riuscire ad ammirare la velocita dei tuoi collegamenti neuronali, i poeti qui presenti un poco di filosofia dovrebbero leggerla, non sempre e solo letteratura secondaria, che è meno impegnativa e anche più morta…
Abbracci musicali
Questo è il più bel complimento che mi si possa fare, anche perchè è dovuto ad una inclinazione, la curiosità, che non potendo eliminare, ho dovuto assecondare. Sono una contaminata da tutto, per questo forse ci si immunizza.
@ Andrea Barbieri
Grazie, sul serio, per il consiglio di lettura che mi dai e che seguirò.
A Mgd, sono interessato, partecipo ma non comprendo. Comprendo, umanamente e non voglio difendermi. Poeta, tu parli di poesia, non del poeta. O forse stai parlando del poeta e non più della poesia che non ti interessa? Teatralità, cognizioni varie, trabucchi pronti, cosa rimane? Attraverso una costante (tua) interrogazione -curiosa, vagamente monacale-. Eccellente religiosa pronta a seppellire prima della funzione. Trasgrediamo? No, comunichiamo la già mistificazione. Anticiperò una risposta silenziosa. Cioè, (un bel tranello) l’infanzia e qui? Mi permetto tanto enigma, solo per custodire, in frigo s’intende. Il rito è altro, il vizio è altro. Pare che le parole siano solo rivoluzioni, gesti all’incontrario al ripetersi nel ripetersi, hai notato? (Plutone non è più un pianeta, la sua farsa è finita. Questa notizia non è di poco conto per gli oroscopi.)
Ai sigg. sibelius e michele I.
Così, a titolo di pura curiosità. Ho riletto tutti i commenti presenti in questo thread e mi piacerebbe sapere, solum si licet, in quale post voi abbiate letto le “note” in relazione alle quali, con tanta sottile ironia, condita da qualche sorrisetto di paterna commiserazione, continuate a fendere l’aria coi vostri innocui strali. Grazie.
A Mgd, Non una parola è curativa, non una sola lettera è “terapia della parola.” Ma questo, all’incontrario di quello (morte al maschile!) è indicazione verso un luogo. Va tanto di moda! E’ sono qui per celebrare questa idea, questa visione moderna della mnesica. Ma nel comprendere il fatto, la nascita, sò che è strumento come un altro, se solo studiato. Mi annoio. (inquietudini comprese)
Torno e riparto. Quindi velocemente:
ROBERTO: Ferroni, per me, può fare quel cazzo che gli pare, non sarò certo io a fargli le pulci. Non ho visto la pubblicità sul cartaceo ma quella il tv sì, ed è SPLENDIDA! Se quella collana venderà non potrà che fare del bene (anche solo come zeppe per tavoli).
Quindi, GEMMA (come al solito ti chiedo) evita quel “voi”. Voi chi?
Al conte Nello specchio pedante del mio bagno, naturalmente. Nonostante mi eviti.
@biondillo
R.I. (replay)
Guardi che è Ferroni che ce l’ha con “il cieco spirito autopromozionale” che guiderebbe gli scrittori italiani, mica io. Proprio lui, testuale. Mi limitavo a farlo notare. Se il professore si rimangiasse questa solenne dichiarazione per me potrebbe pubblicare pure la Storia d’Italia a Fumetti, su Panorama.
Cordialità
ROBERTO,
Reply:
“Ferroni, per me, può fare [e aggiungo per completezza: “e dire”] quel cazzo che gli pare, non sarò certo io a fargli le pulci.”
Comprendi la mia posizione?
@ Gianni
Mi spiace molto che usi questo che mi sembra indubbiamente un tono allarmato e di rimprovero. Credo tu abbia frainteso il tono. Ho usato il ‘voi’ in una domanda pura e semplice, priva connotazioni provocatorie. Indirizzata in primo luogo a Roberto, poi a chi condivideva quell’affermazione: senza mettermi a “mappare” i commentatori, alcuni esprimevano un pensiero simile al suo – che chiaramente non era il mio. Poi era rivolta a chiunque avesse voluto rispondere, trovandosi qui a leggere. La domanda è questa che riscrivo, correggendo anche un refuso visto che ci sono. Continua a non sembrarmi niente di più di una domanda, e nemmeno tanto scema, eventualmente.
Quale sarebbe il giusto mondo, anche letterario, per te (per voi)? Come lo cambieresti/e, potendo? Dato che quasi tutto quello che esiste sarebbe pagnottismo.
@ Roberto
Senza polemica, ma… Non ha tanto senso ribadire sempre la stessa identica affermazione in un dialogo-dibattito-discussione o quello che è… Non ti pare di poter dedurre che forse per Ferroni la pubblicazione a puntate e allegata a Panorama del manuale su cui migliaia di studenti universitari e non si sono formati acquistandolo in libreria negli anni, e di cui è l’autore, non rientra in ciò che lui definisce “cieco spirito autopromozionale”, e condanna in quanto tale, rivolto evidentemente ad altri da sé?
“priva DI connotazioni provocatorie” (uff…)!!!
@ ugolino conte
licet, naturalmente, ma non capisco a quali note che io avrei letto lei faccia riferimento, né quali strali io possa aver lanciato.
Quanto alla commiserazione, non è sentimento musicale e dunque mi è estraneo.
Ma come ho detto, licet, peró con qualche dato in piú, se possibile, in modo da poter rispondere in rima (o per le rime:-)).
‘Non ti pare di poter dedurre che forse per Ferroni la pubblicazione a puntate (…) non rientra in ciò che lui definisce “cieco spirito autopromozionale”, e condanna in quanto tale, rivolto evidentemente ad altri da sé’?
Appunto. Come si dice?: predicar e razzolar… Ma lui (ferroni) può fare ‘che cazzo gli pare’. ‘Che cazzo’ ne parliamo a fare?
è proprio così: indifferenza, caro “dell’indifferenza”. Abbiamo altro da fare, altro da pensare, altro da scrivere.
Ok, Gemma, sai come la penso: l’indifferenziato “voi” è la morte di una discussione, per me, e l’inizio del pregiudizio, del luogo comune, e, più in là, del razzismo culturale.
menomale che abbiamo un po’ tutti un bel po’ da fare, gentile dott. biondillo. mi rallegro.
ma quel pezzo su ferroni mi era sembrato una chiosa (forse involontaria) al fatto oggettivo e palesato qui con mozzi, prima, e raimo dopo, per cui chi di editoria (s)parla, spesso, proprio nell’editoria, come si vuole, lavora, campa, fa onestamente il suo mestiere, cerca di leggere e di far leggere (per definire in due parole la ‘mission’ dello scrittore-editore…). come la mettiamo, gentile dottore?
forse non sarebbe così capzioso, per l’ecologia della discussione (tutta astratta, ma tant’è), che ogni tanto si partisse anche, se non proprio da lì per cavare qualche ragno dal buco. cordialità
Siamo ai codici, praticamente abbiamo ricoperto tutti le cifre stilistiche.
@ Conte, si è fatto di tutto, di più, meglio della rai. cmq al palace mettetevi delle penne in testa, cosi’ capisco che siete della riserva.
@ Michele
esci dal personaggio e scrivi parole comprensibili, cosi’ come stai facendo dovrei anche vederti per avere un quadro olistico tra cio’ che senti, esprimi e pensi. Considera l’essere “fuori” e il concetto di” erranza” che mi induce a parlare di poesia pur non essendo poeta e di letterarura pur non essendo scrittore…..sono solo circa 3000 pagine di roba, riconducibili a poche parole, ma sarebbe una violenza farlo se tu non le avessi lette. Quindi apri….e se vuoi continuare in maniera più diffusa scrivi qui. platinoro@libero.it
non ho capito la domanda.
a) è tutto normale se chi Le parla, a volte, di editoria e dinamiche degradate del sistema culturale odierno, ne fa parte e NON ne denuncia dall’interno la propria appartenenza (che nessuno qui, ben inteso, stigmatizza), e così perde l’occasione di ‘oggettivare’ per prima cosa, condividendola criticamente con il pubblico di lettori, la relazione (alternativa, dialettica, praticabile, ecologica, virtuosa, passiva o attiva) che egli intrattiene con quello stesso sistema?
b) più semplicemente: non le interessa proprio ‘un cazzo’ CHI le parla?
a quest’ora propongo lasagne al pesto a portofino con una buona dose di alprazolam per tutti (a biondillo no, solo le lasagne).
in nome e per cont del
prof. gerardo carotenuto
Sì, per quanto mi riguarda, credo sia ora di spegnere le luci della sala. Io mi ritiro.
@ sibelius e michele I.
Alla prossima, con un saluto non di circostanza. Come a tutti.
Tanto avvertisco a tuo maggior comodo, e a tua maggior soddisfazione, o cortese Leggitore. Tu compatisci, e vivi felice.
(dalla conclusione dell’introduzione alle “Sonate per flauto e basso op. III” di Paolo Benedetto Bellinzani – Venezia 1720)
@dell’indifferenza
meno male che aggiungesti il punto b.
Avremo capito tutti, ma tutti tutti?
@dell’indifferenza
a me m’interessa non solo chi mi parla
ma anche chi fa parlare chi mi parla.
e questo?
http://www.ildomenicale.it/articolo.asp?id_articolo=621
A mgd,
grazie, e ben lieto di partecipare al simposio. La comprensione, (logica) è combinazione di codici ed è inversamente proporzionale (in verità (naturalmente) non è vero) “alla comprensione”. Sempre si si vuole parlare di ragione e non di ragione lavorata. Comunque alcune visioni o percorsi visivi anticipano “l’argomento”, il quasi ragionato ed eludono la questione di fondo. Insomma l’intuizione stanca? O come si direbbe la libido è altrove? Il poeticamente va n vacanza? Bene, comunque (anche se giocosi) erano concetti impersonali, non ci misuriamo allo stipite delle porte. Violenza e valori sono termini che inducono alla procreazione non. Mic (un argomento e il contrasto di questo, portano inevitabilmente all’infinito, quindi un punto è ancicipare ad una futura retta. Nel limite dello spazio e per quello che è possibile ci incontreremo all’infinito in parallele discussioni incomprensibili, pur manifestando nella comprensione umana, qui cieca (invisibile e inodorosa, per questo macchinosa) quello essere scritturato, viziato e infantile che è forse l’inumana appartenenza.
@ Conte Ugolino
Mi sarebbe piaciuto che tu mi rispondessi per poterti rispondere a mia volta.
Ma visto che in effetti tutto questo ha smesso di essere interessante da un bel pezzo e anche eventuali nanoscazzetti tra noi sarebbero irrilevanti e noiosi per gli altri, penso che tu abbia ragione e me ne vado anch`io. In spirito amicale.
A Mgd
Uno dei sistemi di “fusione” (nel senso riconducibile all’unicità) del ragionamento (è errato comunque) è considerare il tutto, come punti o atomi (già elaborati, conosciuti) e indurli a muoversi nel contesto costruito mentalmente. La così regia è il privilegio di una mente unica. Credo, posizione psicologicamente narcisistica e alla lunga manifesta indubbie carenze emozionali, queste non possono poi essere considerate come ragione del “sentimento” e in essa visione poetica ( si proietta più l’immagine del “sentimento” che la natura vera del sentimento, così si arriva al “bisogno scrittorio”, per considerare vero quello che è solo proiezione, “quasi nevrosi”. ) La non riduzione o meglio l’assemblaggio di tale riduzione in satelliti che orbitano attorno ad un “unico” (il riconoscimento al primato razionale, alla ragione razionale) conduce all’inganno della visione. La mente è forzata nel condurre proprie visioni, immagini riconducibili al percorso solo razionale. Quindi ancora una volta è costruzione e programmazione, difetta di quella unicità evocata. In pratica si tende ad oggettivizzare solo marcando le linee di confine. Si amano i contrasti, e nel contrasto (parlo di visione, di immagine) la successione ad esempio di colori è anteposta, impressionata dalla perfezione di questa. Tanto più è rosso, tanto questo è vero, in contrasto con la verità della vita, (i rossi la tonalità dei rossi sono infiniti all’interno del rosso)porta ad oggettivizzare l’esperienza visiva come “razionale”, e l’esperienza personale come tendente alla costruzione di un unico ideale. E via dicendo, la sequenza della perfezione “costruita” è il riconoscimento come elaborazione di tale procedimento, invita a dichiarare questa come verità umana, verità artistica, dimenticando che è solo l’elemento di esclusione il principale defunto, l’escluso a “monte” che è l’incomprensibile umano e a volte in altre formazioni mentali, il Dio mancante ed evocato. Mic (chiacchiero nelle chiacchiere)
michele I. :
“[…] quindi un punto è ancicipare ad una futura retta. Nel limite dello spazio e per quello che è possibile ci incontreremo all’infinito in parallele discussioni incomprensibili […]”
“Due rette parallele si incontrano all’infinito, quando ormai non gliene frega piu’ niente”. (Ennio Flaiano)
subelius : “Ma visto che in effetti tutto questo ha smesso di essere interessante da un bel pezzo e anche eventuali nanoscazzetti tra noi sarebbero irrilevanti e noiosi per gli altri, penso che tu abbia ragione e me ne vado anch`io. In spirito amicale.”
“[…] che perder tempo a chi più sa più spiace […]” (Dante)
Michele
Sono reduce da notte insonne per esame radiografico di stamane percio’ cerco di cogliere una sintesi di quello che dici semplificando.
Mi sembra tu viva l’antitesi logica- estetica come qualcosa di insanabile.
Cominiciamo dall’inzio: parola occidentale esprimibile con struttura logica predicazionale: soggetto copula e predicato. Già questo atomo linguistico ha insito un’enorme scarto tra il dicibile e il sentito-pensato. Ma ne aumenta la concettualità, permettendo l’attribuzione infinita di piu’ predicazioni ad un unico soggetto. La nostra è una struttura del dire concettuale, purtroppo. Dovresti parlare in cinese, che ha insito l’atomo segnico, visivo, ideografico, che comrpende una maggiore ampiezza sensibile del pensato-sentito.
Coprire il gap tra questi due ambiti è compito della logica, che non potrà mai godere della copleta aderenza dei due proprio per la nostra struttura linguistica eminentemente concettuale.
Detto questo, è anche dei logici e filosofi spingersi verso quella zona d’ombra del non detto del non dicibile forzando sull’estetica e sul poetico, che non ha minore dignità ontologica della logica.
Ma anche quest’ultima gode di grande fascino proprio la dove sembra perdere le sue prerogative, come per esempio nella logica “fuzzy” della fisica quantistica che sembra rispondere a criteri olistici: il tutto è piu’ della somma delle parti.
Esiste un testo se ricordo bene” vedere come” che è molto interessante sull’aspetto della visione come intuizione.
Sempre tornando a paradigmi olistici, di confine tra logica ed estetica, mi piace ricordare la sottolineatura del parlare come gioco di scacchi, quindi come struttura logica aperta e flessibile purchè del gioco aperto cosi definito, si rispettino le regole, condizione necessaria per la compresione.
Definiamola come gioco di scacchi, in cui è compresa regola, apertura, flessibilità e arte dell’improvvisazione.
Perchè oggi non dipingi? suoni, balli o provi a camminare nelle mie scarpe?
adesso vado a comprarmi qualcosa di gratificante, dato che farsi spappolare le mammelle dentro una pressa radiografica non è molto divertente.
Sempre sulla relazione parola psiche: mi piace associare le due a figure matematiche, a funzioni quindi iperbole, parabola, ellisse, che hanno attinenza con metafora e metonimie ……
Quando parliamo di riduzione, fusione e cose del genere, celiamo e sottintendiamo una interpretazione eminentemente freudiana, ma ancora di più, medico fisiologica, alla Helmotz, per intenderci, che usa la metafora meccanicistica della psiche come qualcosa che ne si crea ne si distrugge ma si trasforma, appunto energetica. Oggi sappiamo che questa visione è stata ampiamente superata dalla psicologia sociale , per esempio, che considera varianti intervenienti, eccezzioni, discrezionalità-
Invece calando ai nostri miseri e poveri fatti, esistono gli equivoci dovuti alle intenzioni e finalità con le quali si commenta o posta articoli.
C’è chi ha finalità promozionali, commerciali, chi comunicative-divugative, chi come me, per il puro piacere di intrecciare visioni.
Se ci si inserisce in questa logica, è fuori luogo chiedersi a cosa serve o cosa rimane delle parole, perchè significa non cogliere l’aspetto tanto importante del gusto in se’, del confronto che si paga da se’. Come un Mandala orientale.
A mgd, letto capito, sentito. (per quel poco di logica che rimane) Nella premessa “dislessico” era la chiave. Avremo modo di parlare ancora della mia dislessia, e tu di propormi giochi, altri meno chiari e complessi (forse troppo) come rifiuto, chi sa? Proverò certamente a ballare e a disegnare, cercherò pure di camminnare nelle tue scarpe, che tu ci creda o meno. Per il meccano o meccanica o modi di pensare o riduzioni di queste e superamenti di questi o altro, (si ritorna alla paura del solo, dell’essere soli e quindi invenzioni tribali) vedremo, mi illustrerai e mi condurrai nella tua sicura verità. Un ultima cosa, non trovi che alcuni leggono di filosofia come se leggessero l’iliade o l’odissea? Chissà cosa significherà mai quello che stupidamente dico.(incomprensibilmente dico, naturalmente)
dislessico:
è una ricchezza, l’errore involontario è sempre una ricchezza.
ieri sera Ghezzi ha proiettato a Blob uno stralcio di Mullolevardboulevard( non si scrive cosi) di Lynch, è mi ha ricordato che avere paura è un sentimento che produce una forma di piacere…perchè? forse perchè i centri neuronali del piacere e del dolore sono molto vicini.è un film inquitante, come i film di Kubrick….sono dei geni….
rifiuto:
uso la logica e la razionalità come difesa, più sento e più ragiono. il giorno del suicidio di mio padre ho steso un trattato di filosofia oralalmente ripercorrendo tutte le vite interessate in questo fatto alla luce delle conoscenze filosofiche attuali. Ovviamente le persone arrivate per consolarmi dal dolore, se ne sono andate sconvolte.
sicura: io sono certa solo della morte e che adesso sto scrivendo. verità: non esiste. sicura verità: non è terreno degli inquieti, oltre a non esistere.
filosofia: non è qualcosa da studiare, è una categoria dello spirito, uno stile di vita, uno sguardo su cio’ che è a nostra portata e oltre. è forma di amore. non è nei libri. è nel modo di vivere accadimenti accidenti accidenetali, incidenti o indifferenti. la filosofia ACCADE. poi puoi prendere il quadro della tua vita e quella altrui, guardarlo, compiacerti, oppure romperlo in mille pezzi e cercare per tutta la vita di ricomporlo o nel modo originale, o tentando con gli stessi pezzi, di costruire un quadro diverso….è una cosa da pazzi, ma a me piace molto :-)
A mgd, Una cosa mi spiace, comunque la mia onestà intellettuale è garante. Nicola Cusano, nasce prima o dopo il Sig. Freud, i primi vescovi cristiani (Attanasio)erano prima o dopo Freud. Il monoteismo c’era prima o dopo il maestro sputtanato? L’uomo e la sua mente c’è prima o dopo?
(perdona il tono infantile ed accusatorio)
ma queste sono persone che il puzzle della vita altrui, anche nostra, l’hanno ricostruito estromettendone dei pezzi…..perchè li citi? non ci interessano. ci interesano semmai i Cusani e i Galilei, i Luteri, gli Spinoza, perchè di pezzi ne hanno aggiunti in modo da rendere più chiari anche gli altri.
cosa mi vuoi dire?
Se mi sono avvicinato a te, è perchè eri o sei un poeta, sentivi e cercavi di lavorare attorno alla dannazione dell’intuizione. Poi sentivo la capacità d’amare, (e di dare amore) è questa era la prova di un viaggio che stavi facendo, avremo modo di conoscerci, se vorrai. Se sei curiosa sulla dislessia, io sono il dislessico capo, so tutto su essere dislessici, ci sono molti luoghi comuni e bugiardi sui dislessici, in verita è complicato. La genialità in questo caso è solo un trucco (delusa) e se si è onesti la capacità di vedere oltre (per necessità) come dicono, è solo che la ragione si fa immagine ed in essa logica. Un esempio: Destra e sinistra (senso di orientamento), per sapere dove è la destra e la sinistra, (non sbaglio sono preciso so, dove è la destra e dove è la sinistra) ho scoperto che inconsciamente devo vedermi da bambino e farmi (guardarmi) (io bambino) questa domanda: dov è Michele la destra e la sinistra? Così costruisco (costruisco?) un senso di oriantamento, l’orientamento è dato dal vissuto, dalle immagini che ho vissuto e mentalmente le colloco nello spazio. Che lavoraccio. In realtà è ancora più complicato. Indovina un pò che lavoro facevo?
Infatti è Galilei che ho citato. (dislessico)
non sono ancora abbastanza vecchia per prendere l’amore con saggezza, nè abbastanza giovane per lasciarmi travolgere dalle sue necessità.
Sia pure con ritardo esagerato dico ancora sulla cattiveria e la misantropia: forse non è né l’una né l’altra, mgd. Forse solo la spudorata dissennatezza dei tanti Orlandi infuriati, o solo la spocchia d’un pennacchio che fa capolino da oltre orbita cranica.
Misantropia è “Ah l’uomo che se ne va sicuro…”.
Mi pare che mentre qui dentro ci s’azzuffa per qualche leccornia d’autore, laggiù, fuori, in strada, c’è chi ci fa un mazzo così. Si prepara a randellarci il coccige se solo manifestiamo idiosincrasia per il loro potere.
Non si può essere scrittori solo per l’audaci imprese, non siamo al tempo che passaro i Mori, che diamine. L’audacia in rete è pleonasmo. Ci mancherebbe che con un vetro spesso così dovessi pure aver paura del nome roboante… flusso di rincoglioniscenza… sorry… si continui pure. Io per me amo le strade che riescono…
Sdraiati al sole nella indiana- portoghese, Goa (si scrive così?). Confidenze per confidenza, (sempre e separati da cinture di castità anagrafiche) levantomi gli occhiali (rigorosamente da vista) ho intravisto sul bagno-asciuga, uno che scriveva la parola amore, cosa devo pensare? Deduco che non ha capito un cazzo. E’ il solito filosofo, che comprende onda dopo onda, il magico scrivere? O è il solito cretino che prende per i fondelli,
scrivano, questa è vanità, tanta vanità.
notavo con qualche amarezza, che alcuni dei docenti che hanno dato anni di vita all’insegnamento, alla ricerca, alla dissidenza, si sono lasciati sedurre dalla visibilità e notorità massmediatica, e forse il pensare, produrre e scrivere per una vita in silenzio, isolati dal mondo reale, rende gli umani vulnerabili, vittime del riconoscimento altrui, della fama, in una parola della vanità. Pensa che persino un sinistroso sindaco della serenissima ha accettato la cattedra di un monsignore meneghino potentissimo e destrissimo solo per vanità….
si cade…dai propri progetti, da se stessi. in quanto al lavorare e farsi il mazzo, prova ad interrogare gli investigatori sui casi di omicidi violenti….ti diranno che la cittadinanza dell’omicida porta sempre come prima testimonianza:” ma era una cosi’ brava persona, una gran lavoratore….”
lavoratore, bravo, ma criminale.nei casi da te sottolineati invece penso esista un misto di ambizione intellettuale, di vanità e di voglia di vedere realizzato tutto questo in un progetto economico e in un riconoscimento sociale. desideri generanti il massimo della frustrazione, non ti sembra?
michele, ho sbagliato io, ho parlato di amore in senso universale(filosofico) e poi ti ho risposto intendendo l’amore personale, per un uomo. scusa…la donna è donna :-), Seneca la accomunava ai servi e agli animali, esseri con i quali è inutile arrabbiarsi, perchè è nella loro indole essere inferiori.
( “de ira”, Seneca)
Non so se hai notato ma la parola “amore”, qui non esiste. Ho l’impressione (tutta mia) che questa “magica” (pare anche pericolosa!) parola sia contrabbandata con fumi, ironie e lezioni. Sia in qualche modo esiliata (forse per buon gusto?) mandata a fermentare altrove, si sia così in qualche modo, congiunta alla irrazionalità. Non è argomento maschile, non è prudenza femminile. Pare che sia roba da contrasto, da religione, da desiderio, da arma sadica. Eppure, riflettendo e studiando questa parola si combina con la mistificazione della morte. Quello che è nascita è paura. Si rischia qui di essere fraitesi, e si rischia (non potendo ricordare la nostra nascita(letteralmente venire al mondo) razionalmente) confusi e insidiati da immagini che possono mistificare e condurre altrove, di dimenticare e perdere la concentrazione. Ma su cosa dovremmo concentrarci? E se la parola amore è ragione? Non in senso religioso o promessa di felicità, ma proprio come razionalità, solo che sia sparita ed abbia un altro significato. Inquietante questo percorso, a dire il vero anche un pò folle e senza pare le dovute e solide conoscenze logiche e razionali. Insomma la parola amore, è stata insidiata e cannibalizzata da altre e semplici parole, non sò come mare, acqua, morte, calcolatore. Credo che molti speculino, costruiscono molte sugestioni, artistiche e no, creino aspettative ed abbiano quell’innata capacità alla menzogna. Non è solo con la paura, con il dolore, che si controlla la volontà, ma con la logica delle proporzioni tra verosimile e
stavo scrivendo e si è inviato da solo, quindi uno (1) l’ultima parte l’avrei cancellata, da Credo… . E visto che stavo scrivendo in velocità un disastro….a questo punto è argomento magico e lo lasciamo così senza finire. (Alla prossima. E’ stato un piacere chiacchierare con te, mic)
stai bene? :-)
sono solo 400000 battute che ti dico che amore=ragione.
per questo la madre che è “sufficentemente buona”(Bion Wilfred)riesce a trasmettere con l’amore,la reverie, sicurezza a suo figlio neonato, e dalla sicurezza il neonato sviluppa capacità cognitiva. attaccamento sicuro e relazione con il mondo. la tettamondomamma è una roba quasi indispensabile, forse l’unico legame necessario. questo non è atomo linguistico ne logico ma affettivo-cognitivo. In questa fase si potrebbero stravolgere i patterns di apprendimento e parlare ai bambini nella sola lingua che conta, quella delle fiabe, della lallazione, dell’amore, che da grandi rimandiamo al mondo con capacità di produrre cultura, affabulazione, narrazione………..
“L’amore non esiste, per questo si fa”
http://www.bloggers.it/platinoro/index.cfm?blogaction=article_detail&idBlogStorie=A5E8B0D0-DD40-F72B-0F8F6EEA65C047DE
@Cristian Raimo
la prossima volta che chiudi casa e spegni le luci, assicurati che dentro non ci sia rimasto nessuno.
grazie cmq per averci permesso di srotolare la carta da parati dietro il tuo post e averla ridipinta a modo nostro.
come possiamo sdebitarci?
Aiut voglio uscireeeeeeeeeee (aposiopesi) arghhhhhhhhhhhh. No, gli intellettualoni che fissano il punto oltre l’orizzonte (il punto e non un punto), nooooooooooo. Pietà, fatemi scendere. L’ego cazzuto e le Sibille Alerame.
… miserum me cepit ocellis
contactum nullis ante cupidinibus.
Quanti sesterzi vale la vita? Quanta vita c’è dietro quei 21 grammi, quanti Benicii Del Toro e Naomiiii Watts… e Sean Penn. Quanta vita costa Central do Brasil, qunata ne è costata a Salles. Quanti Ungarettii son morti sull’Isola, tra i Sentimenti del tempo o del Tempo?
Quanto Properzio, please? Anagrammando la parola Ergastolano= Sogno/Realtà.
A mgd, (Cara magda) sembra strano, dire prima alle 12,46 del 30/7, che ero interessato a te per via di quella strana “parola” (amore), e poi dire il contrario alle 18,32 del giorno dopo. Mi sono spiegato male. Non era riferito a te il “non so se hai notato la parola amore “qui” (N.I) non esiste.
Poi, era un discorso non concluso, volovo scriverti altre cose, ma ci vuole calma e tempo. Chiacchiereremo (spero) ancora. Mic
Non è esatto dire che su NI la parola amore non esiste, è solo sommersa, un basso continuo a tratti evocato, a tratti emanato.
un caro amico mi ha dedicato tempo fa una lettura che mi ha emotionato molto. forse perchè l’assenza è metafora di troppo per me:
http://www.bloggers.it/platinoro/index.cfm?blogaction=article_detail&idBlogStorie=90E478E7-E187-570E-2AD2F8E96C44CFB9
ragazzi, ma avete letto sul Corsera? alla generazione di noi poveri appartenenti alla generazione mille euro al mese (io anche meno!) se ne oppone un’altra quella da duemila euro al mese – spese di casa escluse -. Sono quelli del cernobbio meeting, giovani rampolli di famiglie bene, super impegnati, anch’essi a loro modo intellettuali. Due mondi contrapposti? Non so, forse, sovrapposti…voi che ne pensate?
Quelli che Raimo chiama gli scrittori sintomatici, spesso effettivamente sono presi dalla strada o dalle cantine pseudorivoluzionarie e direttamente imbarcati sul panfilo editoriale di serie A, quando chi di dovere ne fiuta il valore mercantile. I primi a farlo in Italia sono stati gli editori “underground” degli anni Settanta, quando si pubblicarono anche le scritte oscene sui muri dei cessi, prima che l’ineffabile Fazi inventasse Melissa P. e J.T. Leroy.
Perchè indignarsi di questo? E’ il loro stesso carattere “sintomatico” che ne garantisce l’alta spendibilità sociale (non letteraria, per carità), in un universo mediatico sempre più ridotto al voyeurismo, alla supplenza dell’emozione che è negata al narciso di massa.
Credo che alla base di questo ci sia una colpa condivisa da scrittori e lettori in uguale misura: quella di non saper distinguere tra il vero e l’autentico. Il dolore, le speranze, i deliri sono certamente autentici, ma occorre una certa operazione alchemica perchè possano cristallizzarsi nella verità di una scrittura artisticamente autonoma dalle pulsioni psicologiche e sociali che ne hanno dettata l’urgenza. E non sto parlando di ineffabili altezze classicistiche, ma semplicemente della differenza che c’è tra il gemito sfuggito a ridosso della cronaca e la meditazione che sa raccontare la storia.
E’ questa confusione tra il vero e l’autentico che fa prendere cantonate ai lettori di Leroy e ai loro biografi, in attesa che una nuova star editoriale (questa volta di otto anni) ci spieghi i cento usi del biberon prima di dormire.
Personalmente, mi piacerebbe tanto che un romanzo venisse esaltato per la storia che racconta (un punto di vista sul mondo, niente di meno) piuttosto che per “l’esperienza umana” che pretende di “esprimere autenticamente”. La scrittura è una cosa, il sangue un’altra.
E il sangue, si sa, richiama i vampiri.