“L’eminenza grigia” di Aldous Huxley

180px-father_joseph.jpg di Andrea Inglese

Questa scheda dedicata ad un libro ingiustamente dimenticato e che varrebbe la pena oggi come mai di ripubblicare, è apparsa in forma un po’ diversa in il manifesto (5/10/06)

Allo scoppio della Seconda guerra mondiale, Aldous Huxley si trova a Los Angeles, impegnato su di un doppio fronte : da un lato, lavora per la Metro-Goldwin-Mayer all’adattamento cinematografico di Orgoglio e pregiudizio della Austen, dall’altro è sprofondato in una ricerca sulla vita di François Leclerc du Tremblay, un aristocratico francese entrato nell’ordine dei Cappuccini con il nome di padre Giuseppe e divenuto celebre come ministro degli esteri e capo del servizio segreto sotto il governo di Richelieu nella Francia del Diciassettesimo secolo.

Questa diversità d’impegni non deve stupire. Da quando la famiglia Huxley è approdata negli Stati Uniti nel 1937, Aldous ha cominciato a dividere la propria attività di romanziere e saggista con quella di stipendiato della grande industria hollywoodiana. Il soggiorno americano, inizialmente previsto di sei mesi, si prolungherà sino alla sua morte, nel 1963. Ma per Huxley la California non è solo sinonimo di Hollywood, ma anche di quell’estrema frontiera occidentale, che per prima, paradossalmente, è stata in grado di recepire un interesse per il mondo orientale, le sue pratiche e i suoi saperi. Nel ’39 a Los Angeles è sbarcato anche il poeta Christopher Isherwood, che stringe con Huxley una solida amicizia, basata su di un comune interesse per lo studio filosofico dei Veda e per la pratica della meditazione.

L’evoluzione della personalità artistica e intellettuale di Huxley è coerente con le sue premesse
radicalmente “scettiche”, da gentleman che raccoglie in sé una duplice eredità, quella scientifica del nonno Thomas, biologo e naturalista, e quella umanistica, del prozio materno Matthew Arnold, poeta e critico. Da una posizione aristocratica, di spettatore del mondo spassionato e irridente, Huxley sarà distolto durante gli anni Trenta e spinto verso la militanza nel movimento pacifista Peace Pledge Union. Ma l’ulteriore tappa nella formazione intellettuale dell’autore si ha proprio con l’avvicinamento alla filosofia induista e buddista, e con l’esperienza diretta delle tecniche di meditazione. L’iniziale postura anti-dogmatica e critica permetterà ad Huxley di registrare più precocemente di altri intellettuali la crisi delle varie opzioni ideologiche offerte al momento del conflitto bellico alle società occidentali (nazionalismo, comunismo, democrazia liberale). Ed è proprio questa crisi a costituire lo sfondo di quella straordinaria biografia storica di padre Giuseppe che appare nel 1941 con il titolo Grey Eminence. A Study in Religion and Politics.
La prima edizione italiana appare nel 1946 da Mondadori, nella collana I Quaderni della Medusa, con il titolo L’eminenza grigia. Biografia di padre Giuseppe, segretario del Cardinale Richelieu. Il sottotitolo dell’edizione italiana di tono più didattico riduce di molto la portata del progetto di Huxley, che usa il genere biografico come strumento utile per innescare un’ampia riflessione sulla storia e, più precisamente, sui rapporti tra l’azione politica e il perseguimento dei beni ultimi di natura religiosa, quali la perfezione spirituale e l’unione con Dio. La Mondadori ripropone il libro nel 1966, nella collana economica Record, dopodiché esso sparisce da scaffali e cataloghi, salvo affiorare per qualche fortunato lettore in mercatini di libri a due euro. Fortuna migliore ha avuto il lavoro che costituisce il secondo volume di un ideale dittico storico, ossia I diavoli di Loudun del 1952, apparso in Italia nel 1960 e ristampato negli Oscar nel 1988. Il libro fornisce una ricostruzione storica di un processo di stregoneria, ambientato nella medesima Francia del Seicento, in cui si muovono padre Giuseppe e Richelieu. Anche in questo caso, l’episodio storico offre lo spunto per un’analisi dell’idolatria, che per Huxley definisce ogni strumentalizzazione (consapevole o meno) a fini mondani di valori superiori e oltremondani. Ma tale strumentalizzazione non è solo un fenomeno tipico delle società religiose, in quanto l’autore lo ritrova nelle laiche società novecentesche. Il bene sommo cessa di essere Dio, per divenire la patria, la democrazia rappresentativa, il mercato, la socializzazione dei mezzi di produzione. Si ha idolatria, quindi, ovunque un processo di sacralizzazione più o meno implicito fornisce un alibi allo scatenamento delle passioni più distruttive e barbare dell’umanità.

L’eminenza grigia è un saggio in forma di biografia, nel quale la competenza dello storico è messa al servizio di una meditazione su di un grappolo di questioni variamente intrecciate tra di loro: la ragion di stato, la guerra, il rapporto tra misticismo e religione ortodossa, le illusioni del progresso. In uno stile sobrio, che non si compiace mai del materiale erudito che intesse con grande fermezza, Huxley si mostra capace di abbinare lo sguardo del moralista, che penetra e sfronda i fenomeni umani, con la precisione e il rigore dello scienziato, attento più al peso specifico del singolo fatto piuttosto che alla coerenza e alla beltà dell’edificio concettuale.

Un così raro equilibrio richiama alla mente la prosa di un Primo Levi, ma più spesso, per una consonanza evidente di tematiche, alcune delle pagine più alte dell’Uomo senza qualità di Musil. Entrambi gli autori sentono l’esigenza di coniugare le esperienze antitetiche di scienza e misticismo, e concordano con una concezione che potremmo chiamare “oscillatoria” del divenire storico: ossia fortemente scettica nei confronti sia di ogni progresso lineare e cumulativo (modello delle democrazie liberali) che di ogni progresso per “strappi” rivoluzionari (modello leninista).

Per questo motivo, l’Europa seicentesca e la guerra dei Trent’anni, con il suo corredo di stragi, orrori ed imbarbarimento, costituiscono per Huxley lo specchio in cui leggere il destino di un’Europa, che nel 1940 si prepara a rinnovare, in un tempo più ridotto, su scala geografica più ampia, e con mezzi molto più sofisticati, le medesime crudeltà realizzate circa tre secoli prima. E noi oggi, individui del XXI secolo, ritroviamo in quella che Huxley definisce l’idolatria, il male che tuttora affligge le nostre società “evolute” e che nessuna esperienza storica è stata in grado di guarire. Le “deificazioni della nazione, del partito, del capo politico locale” sono ancora, come nell’Europa cristiana del Seicento, le più radicate e nocive attitudini mentali della gente comune, quelle attitudini di cui governanti e classi dirigenti si servono per perpetrare, sotto forme politiche diverse, logiche di controllo delle menti, di guerra e di distruzione del pianeta.

(Immagine: ritratto di Padre Giuseppe)

3 COMMENTS

  1. molto, molto stimolante. Si può lavorare ultreiormente sul concetto in varie direzioni: 1) sacralità e mondanità dell’antica idea imperiale di Roma Caput Mundi (niente di nuovo nell’amor di patria/immperialiamo novecenesco)
    2) conseguenze “creative” di questo approccio del sacro-nel-profano (penso alla manipolazione del sacro compiuta da Churchill durante la II Guerra mondiale e al concetto di dio/dei in molti autori di fumetti britannici)
    3) necessità di un orientamento e di un comportamento religioso o parareligioso – seppur privo di contenuti o con contenuti pseudospirituali – per ciascun essere umano…

    devo mettermi in caccia del volume!

  2. Ho di recente letto per la prima volta il Mondo Nuovo di Huxley. Uno dei libri più amari che mi siano mai capitati. Chissà questo….
    Grazie per la bella indicazione!

  3. Qualche anno fa, in una libreria remainders, comprai alcuni vecchi volumi della Medusa mondadoriana, tra i quali proprio “L’eminenza grigia”, messo in un angolo e mai letto. Lo farò in questi giorni, grazie anche alla tua bella recensione.

    “Si ha idolatria, quindi, ovunque un processo di sacralizzazione più o meno implicito fornisce un alibi allo scatenamento delle passioni più distruttive e barbare dell’umanità”.

    C’è da meditare su questa affermazione, e molto, soprattutto oggi che l’assunto teorico ha lasciato tragicamente il campo alla sua concretizzazione sotto forma di macerie di senso e di valori.

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Andrea Inglese (1967) originario di Milano, vive nei pressi di Parigi. È uno scrittore e traduttore. È stato docente di filosofia al liceo e ha insegnato per alcuni anni letteratura e lingua italiana all’Università di Paris III. Ha pubblicato uno studio di teoria del romanzo L’eroe segreto. Il personaggio nella modernità dalla confessione al solipsismo (2003) e la raccolta di saggi La confusione è ancella della menzogna per l’editore digitale Quintadicopertina (2012). Ha scritto saggi di teoria e critica letteraria, due libri di prose per La Camera Verde (Prati / Pelouses, 2007 e Quando Kubrick inventò la fantascienza, 2011) e sette libri di poesia, l’ultimo dei quali, Lettere alla Reinserzione Culturale del Disoccupato, è apparso in edizione italiana (Italic Pequod, 2013), francese (NOUS, 2013) e inglese (Patrician Press, 2017). Nel 2016, ha pubblicato per Ponte alle Grazie il suo primo romanzo, Parigi è un desiderio (Premio Bridge 2017). Nella collana “Autoriale”, curata da Biagio Cepollaro, è uscita Un’autoantologia Poesie e prose 1998-2016 (Dot.Com Press, 2017). Ha curato l’antologia del poeta francese Jean-Jacques Viton, Il commento definitivo. Poesie 1984-2008 (Metauro, 2009). È uno dei membri fondatori del blog letterario Nazione Indiana. È nel comitato di redazione di alfabeta2. È il curatore del progetto Descrizione del mondo (www.descrizionedelmondo.it), per un’installazione collettiva di testi, suoni & immagini.