TANA!

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Santi liberi tutti
di Manila Benedetto

Zero.
La prima volta era verde.
Non so di preciso come lo fosse diventata, ma la prima volta era verde. Un verde vivo, un verde abbagliante, potrei dire fosforescente.
Mi spostavo adagio, attratta da quel verde, eppure spaventata. Dove mi avrebbe portata non lo sapevo, ma non potevo far altro che seguirlo, per un atto di fede, che nient’altro mi rimaneva che aver fede in quel colore. In fondo il verde ha sempre rappresentato la speranza
E la prima volta Lecce era verde.

Uno.

Camminavo con la testa in su, cercando di non inciampare nei miei lacci.
Non cercavo nessuno dei posti conosciuti della città, ma solo quella piazzetta di cui al primo ascolto mi aveva affascinato il nome.
Piazzetta della Luce.
Ci si riempiva la bocca nel pronunciarla, non come i soliti nomi di guerrieri e condottieri, o anonimi personaggi locali. Piazzetta della Luce aveva un che di mistico e sensuale, che mi attirava.
La cartina di Lecce l’avevo persa chissà dove. Non mi restava che affidarmi ad un colpo di fortuna e tirare ad indovinare, con la moneta che mi aveva regalato Giuseppe qualche tempo prima, le direzioni da seguire, le strade da percorrere.
Siamo in fondo solo viaggiatori che seguono delle mete spesso sconosciute. E se io ero arrivata a Lecce così, alla ricerca di quella Piazza, una motivazione ci doveva essere, anche se allora mi era sconosciuta.
Quella prima volta, quando vidi Lecce accogliermi verde fosforescente, non conoscevo il motivo per cui ero arrivata fin lì.
Eppur ora sì, so tutti i perché.

Di sette strade che mi si aprirono davanti, ne percorsi tre.
Di tanto in tanto incontravo sulla mia via della gente dal volto oscuro, che guardandomi con compassione muoveva il capo in un gesto dai vaghi toni di stizza.
Non ero poi così diversa da tutti gli altri, lì. Eppure non capivo perché solo a me guardassero tutti, perché solo io attiravo la loro attenzione.
In fondo chi ero? Si erano dimenticati di me da anni. Un tempo sì ero conosciuta. Ero una persona influente, tutti mi temevano ed allo stesso tempo mi amavano. Di un amore puro, affatto carnale, un amore divino.
Poi si erano dimenticati della mia esistenza, ed ero finita per essere una qualsiasi. Certo, a volte, come quel giorno, mi vestivo ancora alla maniera antica, davo loro un’opportunità di riconoscermi. Ma solo alcuni, i più anziani, ricordavano vagamente chi fossi. Era passato così tanto tempo dall’ultima volta che avevano parlato di me, che mi scambiavano per un’allucinazione.
E così quel giorno, a distanza di anni dalla mia ultima apparizione popolare, me ne andavo per le strade di Lecce alla ricerca di una piazzetta, la Piazzetta della Luce, dove speravo di trovare qualcosa di familiare, di ritrovare un po’ del mio passato.
La gente mi guardava, mentre io nel mio manto rosa, nascosta dal velo azzurro, fingevo un’indifferenza beata, e cercavo di non schiacciare i lacci delle mie vesti che mi intralciavano il cammino.
Non lo facevo da molto, ma non potevo più starmene ad aspettare. Rischiavo davvero di essere dimenticata per sempre.

Due.

Qui a Piazzetta della Luce si vive bene. Non ci sono scocciatori, né agiografi o preti, non ci sono crociati, inquisitori, e tanto meno i mangiapeccati. Qui stiamo bene. Ogni tanto viene a trovarci qualcuno che si ricorda ancora di noi.
Non chiedono i nostri servigi, di quelli pare che tutti si siano dimenticati, spesso chi viene qui vuole solo sentirci raccontare quelle vecchie storie che nessuno narra più, le storie dei santi, del diluvio e del paradiso.
Oggi è venuto il ragazzino che mi riconobbe il giorno in cui arrivai la prima volta nella Piazzetta.
Ero per la terza strada di Lecce, terza di sette che mi era dato percorrere, l’ultima, quella esatta, ero nei miei vestiti rosa e azzurri, e camminavo adagio, schivando gli sguardi dei curiosi, e quelli di chi mi scambiava per un’allucinazione.
Il ragazzino, avrà avuto non più di 13 anni, mi vide e con un gesto impulsivo, si inginocchiò.
“Madonna mia”, disse sottovoce, porgendomi una mano.
Il mio primo istinto fu quello di nascondermi, fingermi pazza, una pazza scappata da un manicomio e che se ne andava in giro vestita come Maria Santissima, solo per un disturbo mentale. Ma nello sguardo di quel ragazzo, dopo anni ed anni, rividi il mio nome pronunciato veramente.
Gli porsi la mano e lui la baciò, poi lo feci alzare e gli chiesi di accompagnarmi alla Piazzetta della Luce, dove avrei trovato riposo, temprato le membra, lavorato alla mia rinascita.
Lungo la strada mi raccontò della sua vita e di come fosse l’unico rimasto a camminare tra la gente, continuando a ricordare tutto di me e di loro
– Siamo arrivati – disse poi indicando un portone dove campeggiava la scritta “Bordello”.

Tre.

Nel Bordello di Piazzetta della Luce ci dedichiamo ad un gioco perverso, io e i miei compagni. Siamo in tanti, quasi tutti, mancano ancora Santa Teresa, che probabilmente ha preso altre strade già prima di noi – in fondo lo sapevamo, era un po’ strana, e quelle estasi, poi, tutte fandonie, non avevano un bel nulla di divino – e Santo Stefano, che è alle prese con le pratiche burocratiche per essere ammesso qui nonostante le numerose frecce, perché qui una delle regole fondamentali che ha imposto Madame Maddalena è l’interdizione assoluta all’entrata di armi. Il massimo che ci è permesso avere sono gli attrezzi da lavoro.

Il Bordello di Piazzetta della Luce è rinomato a tutti per essere il migliore d’Italia. Nessuno, da fuori, sa com’è dentro e cosa succede dentro. Né chi lo gestisce o chi sono i membri che hanno accesso. Neanche i clienti sono ben chiari. C’è anche chi dice che chi entra qui non ne esce più normale. Non come prima.
In verità sì, non sono solo dicerie.
All’inizio non ci credevo nemmeno io, ma poi.

Oggi il ragazzo è tornato a farmi visita, sfogandosi un po’. Dice che fuori è uno schifo, che peggiorano di giorno in giorno. Che la memoria è sempre più labile e che presto si ricorderanno di noi solo per le barzellette sui miracoli.
E’ Gesù, lui. Lo so, non ci credete. Ma non avrei motivo per mentirvi.
Gesù dice che questo è il luogo migliore che ci potesse capitare per riprendere la nostra vita, e che prima o poi verranno da ogni dove a cercare qui l’illuminazione.
Lux Mundi. Me la ricordo la scritta che ci siamo sempre portati dietro io e lui in tutti gli anni passati. Ah, sì, se la ricordo. E come potrei dimenticarmi quante volte ho riso nel cercare di identificare un tratto che mi somigliasse davvero su quelle statue.
Però, erano bei tempi quelli. Bastava un pupazzo da portare in processione per crederci davvero. Poi hanno iniziato a cercare di più, sempre di più, e non siamo più bastati noi. E pensare che l’insegnamento è sempre stato semplicissimo: avete tutto dentro di voi. Bastava solo un po’ di disciplina. Ma come fa l’uomo ad accontentarsi di se stesso, quando si illude di poter avere l’infinito?
Adesso è finita. Finita la loro pacchia. Noi ci siamo reclusi qui, viviamo bene, siamo tutti fratelli. E loro vengono da noi per trovare quello che hanno perso: il piacere. Incredibile vero?
E noi glielo diamo. Oh certo. Un piacere unico. Un piacere che non proveranno mai più nella loro vita, e di cui non si pentiranno mai.

Gente, venite a provare il piacere della vendetta!
Della nostra vendetta.

Infinito.

La prima volta Lecce era verde fosforescente. A volte la guardo ancora dal triangolo di luce delle mie finestre, qui in Piazzetta della Luce, e mi rattristo per tutti quelli che non la vedono veramente.
La prima volta Lecce era verde fosforescente, perché mi aspettava. Aspettava la speranza. E sono arrivata.
Per tre volte i santi hanno fatto la conta.
La prima volta Lecce era verde, ma cambierà colore. Perché i santi hanno smesso di giocare a nascondino.
E presto io libero tutti.

13 COMMENTS

  1. manila avrei voluto leggere il tuo raccondo che dalle prime righe mi è sembrato intrigante ma, avendo letto prima il commento a mio parere inopportuno che hai lasciato, m’è passata la
    poesia. sarà un problema mio.
    non so… un minimo di discrezione… esistono i pvt, no?
    ma ok. ok.
    alla prossima.
    un saluto
    paola

  2. manila avrei voluto leggere il tuo racconto che dalle prime righe mi era sembrato intrigante ma, avendo letto prima il commento di sopra (a mio parere inopportuno( che hai lasciato, m’è passata la poesia. si. sarà un problema mio.
    non so… un minimo di discrezione… esistono i pvt, no?
    ma ok. ok.
    alla prossima.
    un saluto
    paola

  3. nononstante il post, ho letto.
    e penso che questo racconto sia a dir poco strepitoso.
    cara Manila sei stata bravissima, ma ti stimavo già

    b!

    Nunzio Festa

  4. se non sbaglio, e di certo non sbaglio, ho pubblicato ( previo gentile concessione di manila) sei o sette mesi fa questo racconto sulla pagina culturale de il paese nuovo. il mio è, comunque, un ricordo opaco, misero, senza pretese. lo rileggerò volentieri.

  5. Un bel racconto, non c’è che dire Manila.
    Ti fa sentire e pensare in verde…
    Il titolo è splendido nel mescolare un senso esplicito di liberazione ed uno più sotterraneamente ironico che ci parla di indulti&Gomorre.
    Continua così… Tu che “sai perchè non mi piace il sol”… Spero tu abbia capito chi sono.

  6. Cara Paola,
    i messaggi privati per una dichiarazione d’amore virtuale non hanno senso.

    Al De Santis: purtroppo non ho capito chi sei, puoi perdonarmi e darmi qualche indizio?

    Petrelli: sì, ricordi bene, il racconto è nato mesi fa per il giornale leccese.

    Effe: è solo un timido dire che esisto ancora…

    Gli altri: grazie :)

  7. Sai perchè non mi piace il sol…un incipit ed una prosecuzione… dei Sedani & un cadavere squisito…
    Tutto più chiaro che qui.

    Ciao ed AD MAIORA

  8. piccola correzione sul nome di un santo, credo doverosa…

    – …e Santo Stefano, che è alle prese con le pratiche burocratiche per essere ammesso qui nonostante le numerose frecce, perché qui una delle regole fondamentali che ha imposto Madame Maddalena è l’interdizione assoluta all’entrata di armi… –

    Il santo puntaspilli di frecce è San Sebastiano Martire, Santo Stefano è morto crocefisso su una croce a forma di X, se il catechismo non m’inganna… :-)

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francesco forlani
Vive a Parigi. Fondatore delle riviste internazionali Paso Doble e Sud, collaboratore dell’Atelier du Roman e Il reportage, ha pubblicato diversi libri, in francese e in italiano. Traduttore dal francese, ma anche poeta, cabarettista e performer, è stato autore e interprete di spettacoli teatrali come Do you remember revolution, Patrioska, Cave canem, Zazà et tuti l’ati sturiellet. È redattore del blog letterario Nazione Indiana e gioca nella nazionale di calcio scrittori Osvaldo Soriano Football Club, con cui sono uscite le due antologie Era l’anno dei mondiali e Racconti in bottiglia (Rizzoli/Corriere della Sera). Corrispondente e reporter, ora è direttore artistico della rivista italo-francese Focus-in. Con Andrea Inglese, Giuseppe Schillaci e Giacomo Sartori, ha fondato Le Cartel, il cui manifesto è stato pubblicato su La Revue Littéraire (Léo Scheer, novembre 2016). Conduttore radiofonico insieme a Marco Fedele del programma Cocina Clandestina, su radio GRP, come autore si definisce prepostumo. Opere pubblicate Métromorphoses, Ed. Nicolas Philippe, Parigi 2002 (diritti disponibili per l’Italia) Autoreverse, L’Ancora del Mediterraneo, Napoli 2008 (due edizioni) Blu di Prussia, Edizioni La Camera Verde, Roma Chiunque cerca chiunque, pubblicato in proprio, 2011 Il peso del Ciao, L’Arcolaio, Forlì 2012 Parigi, senza passare dal via, Laterza, Roma-Bari 2013 (due edizioni) Note per un libretto delle assenze, Edizioni Quintadicopertina La classe, Edizioni Quintadicopertina Rosso maniero, Edizioni Quintadicopertina, 2014 Il manifesto del comunista dandy, Edizioni Miraggi, Torino 2015 (riedizione) Peli, nella collana diretta dal filosofo Lucio Saviani per Fefé Editore, Roma 2017