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Una riflessione su “Baldus” (la rivista)

bald_4f.jpgdi Biagio Cepollaro

L’inizio di una riflessione sulla rivista Baldus (1990-1997)

Sta per uscire, ma darò notizie più precise, la digitalizzazione di tutti i numeri della rivista Baldus (1990-1997) a cura di Massimo Rizzante.

Per me è occasione di una riflessione che vuole superare le difficoltà incontrate fin qui a ripensare a quel periodo, in serenità, al di là di automanieriste e autocelebrative identificazioni ma anche al di là di una poco generosa severità rispetto a fasi precedenti del proprio lavoro. Quando si storicizza un’esperienza, si vede farlo ad altri, occorre equilibrio di giudizio. E vorrei provarci. Le seguenti riflessioni chiedono approfondimenti che spero di fare successivamente.

Un breve bilancio
A distanza di tanti anni ripensare l’esperienza di Baldus (per ora qualche notizia frammentaria in www.cepollaro.it/baldus.htm ma anche altrove, in rete e no) mi dà una certa emozione: non si tratta solo di letteratura ma di incontri, di sodalizi, di contrasti appassionati, si tratta, insomma, di un pezzo di vita condivisa e di lavoro senza risparmio e senza esclusione di colpi. Proverò a dire qualcosa guardando un po’ le cose dall’esterno anche perché con le esperienze importanti bisogna prima o poi con chiarezza, anche se in breve, fare i conti…

Baldus è stata intrinsecamente una rivista novecentesca.
Si è collocata in una tradizione ben definita che dalla metà degli anni ’50 ha affrontato, a partire da il Verri, i temi più decisivi dello sperimentalismo, del realismo e dell’avanguardia, passando per le esperienze della Neoavanguardia degli anni ’60 ( ma soprattutto per figure in ombra rispetto ai Novissimi) fino alla ripresa degli anni ’70 e allo sviluppo di quei temi presso le riviste Tam-tam e Altri termini.

Novecenteschi sono stati i contesti: un settore della critica accademica a fianco della critica militante, la recensione sul quotidiano, la polemica letteraria a stampa, l’antologia di ‘tendenza’, l’ancor identificabile linea editoriale di ‘piccoli ma coraggiosi editori’, il nesso tenue ma ostinatamente tenuto in piedi tra le scritture creative e le loro valenze intellettuali ed etico-politiche, la nozione di ‘poetica’, sovraccaricata fino a fungere da estetica e da critica della cultura.

Novecentesca nelle intenzioni: sollecitare discussione, anche polemica, sulle implicazioni ideologiche dei modi di fare poesia che tenesse conto del passato più o meno recente, di autori poco celebrati ma autenticamente sperimentali, che puntasse ancora, in pieno postmoderno, a configurare le possibilità del nuovo, del ‘criticamente’ detto, del non consolatorio, contro ogni ritorno all’ordine, contro ogni riflusso in una sorta di endemica italica arcadia. In tal senso va considerata la nozione paradossale da me costruita di ‘postmoderno critico’, nata dall’opposizione alla teoria del pastiche di Jameson. Si trattava, in sostanza, di liquidare lo stanco dibattito sull’avanguardia e, insieme, il ritorno epigonale in voga in quegli anni, per rilanciare una ‘funzione conoscitiva’ della poesia per gli anni a venire…

Baldus è stata una rivista che ha anticipato.
L’impatto delle nuove tecnologie sui modi di fare cultura, anzi sulla percezione del reale stesso, ha trovato in Baldus luoghi creativi e di riflessione, così come la diffusione dell’oralità secondaria (nella definizione profetica di Walter Ong) e la dissoluzione delle problematiche tradizionali (come l’opposizione avanguardia/tradizione) col mutamento antropologico delle società mediatizzate. In particolare Baldus ha attraversato la crisi della funzione intellettuale e della critica della cultura nel passaggio dalla società di massa (con le sue istituzioni di cultura, università, editoria, i suoi riferimenti politici, i suoi miti) alla ‘società mediatizzata’ (la letteratura nel tempo dell’indebolimento del legame sociale) che maturava e si annunciava proprio negli anni di Baldus.

Il limite per me principale di Baldus.
A mio avviso il limite di Baldus, limite forse oggettivo, storico, ma anche mio, è stato il sovraccarico di tensione a cui è stata sottoposta (ho sottoposto) la nozione di poetica. L’insistenza sulle implicazioni di poetica dei testi poetici, ha contribuito a sottrarre attenzione alla lettura dei testi effettivamente prodotti, radicalizzando le posizioni fino talvolta a impedire l’apporto di un più sereno ascolto.

Questo limite – che è stato anche un sacrificio- ha di fatto alimentato l’ipostatizzazione della nozione di poetica, limitando e distorcendo l’ampiezza e il senso del dibattito, distogliendo l’attenzione da una lettura serena delle diverse possibili direzioni della poesia, delle specificità e ricchezze di ogni singolo autore, di ogni singolo testo.Anche l’aver impegnato una parte considerevole delle risorse baldusiane per animare il Gruppo 93 ha non poco stressato una ricerca e un lavoro che potevano, senza quelle pressioni, essere più vicini alla loro natura e quindi, in un certo senso, più prossimi ai testi…

L’eredità per me di Baldus.
La centralità della ricerca poetica in Italia degli anni ’70-‘90 occupa gli sforzi della editrice on line che curo Poesia italiana e-book, con le ristampe in pdf di testi importanti ma introvabili. In queste imprese le ‘nuove tecnologie’ costituiscono ormai i mezzi di produzione letteraria, per dirla con Benjamin. L’impatto per un certo modo autoreferenziale e chiuso di produrre critica ed editoria, ad esempio, comincia a farsi sentire, soprattutto per i poeti più giovani che trovano sulla rete la loro prima pubblicazione e lettori, con riconoscimenti sul campo, al di là delle asfittiche corporazioni letterarie, ormai quasi obsolete come i loro strumenti di potere (la recensione incrociata, il do ut des, l’inclusione o esclusione nelle antologie) nel progressivo collasso della circolazione in cartaceo della poesia.

L’oralità si è ‘incarnata’ negli mp3 che si possono scaricare dal sito www.cepollaro.it ; la rivista on line Poesia da fare insiste non su di una poetica ma sulla qualità dei testi, intesa come capacità di configurare i molteplici punti di vista dell’esperienza contemporanea, sull’attenzione riservata ad essi (solo due autori per numero), mentre la riflessione sulla critica, in contesti così diversi da quelli novecenteschi, è affidata alla nuova rivista dedicata alla critica Per una Critica futura ma anche a questo blog, nato nel giugno del 2003 e al suo flusso ‘polifonico’ –ancora un tema tipicamente baldusiano.

70 COMMENTS

  1. “Baldus” ha contribuito in maniera molto rilevante al rilancio del dibattito teorico. Strumento fondamentale per la costituzione e l’articolazione critico-poetica del Gruppo 93, ha anticipato o sviluppato questioni fondamentali come contaminazione (anti-)postmoderna, tendenziosità antilirica, oralità e oratura, accelerazione: da Benjamin a Bachtin, da Ong a Virilio, da Luhmann a Barthes. Dalla fucina della rivista o dalla sua frequentazione en passant- i cui numeri sono pressoché introvabili ed è grande cosa che vengano digitalizzati – è emersa la migliore generazione poetica di fine Novecento. Generazione che, dopo lo scioglimento del Gruppo 93, ha imboccato strade nuove o ha effettuato svolte decisive, ma comunque nell’accezione “sperimentale” (penso anche solo ai tre fondatori Bàino, Cepollaro e Voce, ma anche a Ottonieri, Frixione, Berisso…)

  2. per ricevere notizie più precise:

    maledizioni@sparajurij.com

    intanto queste:

    baldus uscirà nel marzo 2007 in un’edizione molto elegante, all’interno della collana Maledizioni curata da noi.

    nella stessa collana sono già usciti Sara Ventroni, Stefano Raspini e Nero Luci.

    e uscirà, insieme al Baldus, e nello stesso formato cofanetto, la prima antologia europea di poetry slam, con testi italiani ed in lingua (in originale con traduzione) + mp3.

    a presto

  3. Mi sembra interessante l’autocritica.

    Concordo sul

    “sovraccarico di tensione a cui è stata sottoposta (ho sottoposto) la nozione di poetica. L’insistenza sulle implicazioni di poetica dei testi poetici, ha contribuito a sottrarre attenzione alla lettura dei testi effettivamente prodotti, radicalizzando le posizioni fino talvolta a impedire l’apporto di un più sereno ascolto.”

    che arrivati a questo punto mi fa considerare più temibile, per le nuove generazioni, l’insistenza sulle implicazioni di poetica di quanto non sia l’arcadia, ormai considerata generalmente un vecchio arnese buono per le filodrammatiche, mentre la coazione all’autocontrollo critico rischia di valere come un’autocensura piuttosto castrante.

  4. quello che mi fa temere per le nuove generazioni è che non vedo “esistere” nuove generazioni
    prima ancora di tutta la teoria e di tutta la poetica classica che si dovrebbe tornare ad imparare ad amare e a fare amare
    si dovrebbero resuscitare le cosidette nuove generazioni
    che io, ripeto, non riesco a vedere e se ci sono, a furia di parlarne en passant passeranno, si, come fantasmi, già relegati come vecchie glorie dell’auditel-spazzatura.
    un saluto
    paola

  5. Io penso, invece, che se quel sovraccarico di poetica, che risultò fatale per gli esponenti prima del Gruppo Baldus e poi 93, finiti strangolati dalle polemiche suscitate, oggi, mutati i tempi, sopiti i grandi contrasti, finita l’era delle grandi battaglie, sia per noi irrinunciabile.
    Confrontarci con quella stagione verso cui abbiamo contratto grossi debiti è anche una questione di onestà. Molte delle attuali diramazioni della poesia più recente, anche di quelle stesse di cui si stava discutendo a proposito dell’appuntamento milanese sulla poesia di ricerca, discendono direttamente dalle Tesi di Portici:
    fine dicotomia lingua ordinaria- lingua seconda
    strategie di contaminazione e degrado linguistico
    slogatura logico-sintattica
    citazione, utilizzo non neutrale dei lacerti
    montaggio di frammenti narrativi e coaguli di significanti in un testo non pacificato, ma critico nei confronti dell’io lirico
    referente reale irrinunciabile

    risposte tuttora valide per tentare un approccio comunicativo in termini di complessità del reale, di contaminazione virtuale, di modificazione delle categorie percettive e riposizionamente dei sensi che ne sono derivate.
    Credo che l’eredità di Baldus sia di una portata più ampia di quanto affermi Capollaro, che pure, noto con piacere, tornare ad una riconsiderazione più pacata del suo ingombrante passato, rispetto alle brusche prese di distanza cui ci aveva abituati, eppure ancora un poco trattenuto.

    Sarebbe un errore rimanere ancorati ad una stagione dichiarata conclusa, ma archiviare il database per il timore di un’autocensura, come dice Alcor, è un rischio maggiore di regresso, rispetto a una maniera disciplinata e originale di gestire un’importante eredità.

  6. @maria

    io non dico di archiviare il database, (mio dio) anche perchè è impossibile azzerare le esperienze, dico solo che c’è un rischio di accademismo di nuovo genere, e che le aurore adesso non hanno nessun appeal, o meglio, sono come la pubblicità dei detersivi, rivolte a un pubblico poco sofisticato, mentre vedo un gran desiderio di cooptazione, di correttezza critica.

    Da un lato. E dall’altro vedo una tendenza alla contaminazione tra poesia e filosofia che mi pare, anche quella, paralizzante.

    L’arcadia non mi fa paura per la stessa ragione per cui non mi fanno paura le stufe a segatura, mi pare assai difficile che tornino. E se tornano, tornano in modo periferico.
    Dove sarebbe l’arcadia, ormai, se non nelle filodrammmatiche?

    E poi, parliamoci chiaro, quanti devono essere i poeti? legioni? Finché prevale la linea le carriere possono essere infinite, e le voci originali poche.

  7. > le carriere possono essere infinite, e le voci originali poche

    Ma quante saranno, in questo mondo, le facce davvero “originali”? Poche? Tante? Dipende? E l’espressione poetica non sarà magari anch’essa un fenomeno naturale, una morfogenesi fra le tante? Per conto mio vedo un enorme ridondanza. Nessuno “serve”.

  8. naturale e culturale

    e se il culturale produce una pletora di mandarini, mi disturba di più, perchè intorno a me fa più rumore, dell’altro culturale che produce arcadie e che abita lontano da casa mia.

  9. Penso che non si tratti di un “sovraccarico di poetica” ma di un sovraccarico di vita.

    > mi dà una certa emozione: non si tratta solo di letteratura ma di incontri, di sodalizi, di contrasti appassionati, si tratta, insomma, di un pezzo di vita condivisa e di lavoro senza risparmio e senza esclusione di colpi.

    Ciascuno riceve emozione dai propri “pezzi di vita”, questo è naturale e buono. Ma se il “pezzo di vita” non riesce a “sintetizzarsi” in qualche cosa che sia davvero per l’Altro – e nulla al mondo lo assicura a priori – allora che basti a se stesso! (ma perché Luzi si incazzava per il Nobel negato?)Tutti dicono: “ehi, siamo in troppi qui dentro, sistemiamoci almeno un po’ a piramide”, ma per questo ci vogliono i “criteri”. Li si invoca di continuo, e nessuno che ne sappia enucleare uno che sia uno: soltanto interminabili e vaghi percorsi iniziatici: prendi questo e sforzati, forza, ripercorri il mio “pezzo di vita”! Lo so che è facile mettersi dalla parte del caos, ma tutto mi pare così ovvio.

  10. Wovoka non condivido una sola parola del suo discorso, mi spiace.
    I criteri non s’invocano per fare ordine nel caos, ma perché la poesia ha da sempre a che fare con i lacci, con le gabbie e con le leggi a cominciare da quelle del numero. Nessuna operazione è meno immediata e spontanea di quella poetica, non foss’altro per il labor limae, dunque, o lei è un ingenuo, e non lo credo, o difende categorie poetiche che rientrano tra le stufe a segatura di cui parla Alcor, e allora non abbiamo un solo presupposto in comune per intavolare una discussione proficua.

    Più complesso è il discorso di Alcor, che però mi pare viziato da certo elitarismo, che significa: quanti devono essere i poeti? E se anche fossero legioni, cos’è che la disturba? Teme la concorrenza? Magari fossero legioni!
    Se poi intende criticare l’uniformità, il rischio di omologazione…si agita inutilmente, mai battaglie, interne ed esterne, furono più cruente di quelle che agitarono i gruppi di cui si discute, e la sfido a trovare due opere, non dico identiche, ma somiglianti, basti per tutti il baldusissimo triperuno di Voce, Cepollaro e Baino. In questo la riflessione teorica, la speculazione e anche la polemica, lungi dall’isterilire il campo, contribuì ad approfondire le distanze e la diversificazione dei percorsi, anche a costo di accelerarne il count down.
    Semmai un certo timore è ancora legittimo per quelle stufe a segatura che a lei sembrano tanto lontane e invece gestiscono ancora una buona fetta del mercato editoriale, ma impelagarci in queste discussioni non fa che rafforzare il sospetto che il Baldus sia ancora più attuale di quanto non pensassimo, dal momento che ci troviamo a combattere sempre con i soliti neo-orfismi e neo-simbolismi che fanno ancora scuola a Milano come a Bologna, ma che pur di non ripetere sempre le stesse cose da più 10 anni preferiamo ignorare, a patto che però non si cada nell’equivoco di attribuire quelle colpe alle persone sbagliate.
    E’ piuttosto singolare che un gruppo allargato autodistrutto per un eccesso di spinte centrifughe oggi venga accusato del suo esatto contrario.
    Questo dimostra solo che il lavoro filologico curato dal Rizzante è più che mai urgente.

  11. il primo di cui mi ricordo che si stizziva appena si parlava di poetiche è stato Giuliano Mesa, poi più tardi, seguendo il suo proprio percorso, Biagio Cepollaro. Io inizialmente davvero non capivo. Ora capisco molto di più. Anch’io mi sento, in questo momento, molto insofferente rispetto a troppi discorsi di poetica. In realtà mi sento insofferente rispetto a tutti i discorsi, e anche qui ne ho letti, che sono vaghi, generici, aprioristici, confusi, frettolosi, approssimativi, o ultraminuziosi, ipercapziosi, e che girano sempre a mille miglia da un testo, da un nome determinato, da un’opera, da un libro, da due versi.

  12. @ maria

    Vado per ordine.

    Ci dobbiamo dare del lei? Io dò sempre del tu a tutti, qui, ma mi adeguo.

    Io non sono agitata, ma lei mi sembra aggressiva nei miei confronti.

    Perché dovrei essere elitaria?
    Mi capita di leggere parecchi testi di poeti delle nuove generazioni che mi sembrano soffrire della malattia che indicavo. Neppure uno di poeti arcadici o aurorali. Perciò giudico da quello che mi capita in mano.

    Vedo molto accademismo, molte parole vuote, molte parole girate in bocca senza alcuna necessità, leggo poeti che mi annoiano profondamente, quasi tutti giovani, molto pseudofilosofici, pseudocritici, nessuno che rimi cuore e amore.
    Devo fare i nomi? ma neppure per sogno, non mi chiamo madame guillotine, che si arrangino.
    Non credo alle legioni di buoni poeti come non credo alle legioni di buoni cuochi, o di buoni dentisti.
    Ci fossero – e mi riferisco a tutte le categorie – sarei contenta.

    Le “scuole” hanno sempre avuto un valore culturale, prima che poetico, così è sempre stato e sarà, non vedo ragione, alla mia età, e dopo aver letto tanto, di annoiarmi a leggerne dieci per trovarne uno. E parlo di noia, non di élite.
    Toccherà anche al poeta appassionarmi alla lettura, o no? O devo farmelo piacere a tutti i costi?

    Quanto al timore della concorrenza, non scrivo poesie da anni. Spero che il fatto di non essere un competitore sul campo basti a salvarmi dall’accusa. Ma trovo curioso che me la faccia, anzi, a dirla tutta la trovo un’accusa volgare perché se il solo fatto di essere d’accordo con un’autocritica di Cepollaro la spinge a vedere un secondo fine in quello che dico, anzi, un secondo fine ridicolo, visto che l’eccellenza di un poeta non è limitabile, grazie a dio, dai desideri di un eventuale competitore, lei pensa molto male. E peggio per lei.

    Quanto a quello che penso, l’ho già detto e non vedo la necessità di ripetere.

    Quanto poi, per concludere, al lavoro filologico è sempre importante e benvenuto, ma io non parlavo di quello.

  13. Ho visto adesso il commento di Inglese. Sono d’accordo anche con lui, plaudo, finalmente, basta poetica, testi, che troppa poetica porta a fare testi distratti e deboli.

  14. @ Alcor
    sperando sia educata e stavolta risponda.

    “che troppa poetica porta a fare testi distratti e deboli. ”

    ma lei pensa veramente che tutti i “poeti” a rischio di testi deboli e distratti leggano tutta la poetica di cui lei parla?
    hanno da lavorare. hanno da masturbarsi e da cercare di fare sesso o qualcosa che abbia la parvenza di sesso.
    hanno da sillabare le loro fogne. sono sporcaccioni, sa?
    satiri. anche le poetesse. hanno certe fantasie… e certe tiritere edipiche centripete e via così, da sciogliersi.
    hanno da togliersi l’aria fino a goderne o fino a morirne o da andarci almeno vicino ad entrambe le cose.e si portano dietro chi li ama, spesso.
    hanno una paura fottuta della teoria e della pratica, ma a volte sono anche coraggiosi e belli.
    hanno da litigare con se stessi per la maggior parte del tempo.
    lei pensa veramente questo dei “poeti” di cui fa larvata menzione? che leggano cumuli di poetica?
    mi permetta. lei fa molto fumo e mi pare che non abbia le idee ben chiare nè sulla poesia nè sui poeti.
    le ci vorrebbe qualche ripetizione.
    un saluto
    paola

  15. riformulo.

    che troppa poetica porta a fare testi distratti e deboli. ”

    ma lei pensa veramente che tutti i “poeti” a rischio di testi deboli e distratti leggano tutta la poetica di cui lei parla?

    così

    lei pensa veramente che tutti i poeti leggano la poetica di cui lei parla? e perchè, anche leggendola, i testi dovrebbero indebolirsi?

  16. Senta Alcor, mi sarei aspettata l’accusa di aggressività da Wovoka (a ragione), non da lei, e non cerchi di cambiare le carte in tavola, la mia domanda sul timore della competizione (ironica, non so neanche chi è né che fa) rispondeva alla sua imposizione ingiustificata d’una limitazione al numero di poeti, non al suo accordo con Cepollaro, il mio sentimento nei confronti del quale, se ha ben capito, non era di critica, ma di una maggiore riconoscenza di quella che lui stesso si attribuiva.

    Lei è libera di annoiarsi dei poeti che vuole senza fare i nomi e senza citare due versi per darci un’idea, così come Andrea Inglese (che ha già un certo percorso alle spalle) è liberissimo di essere insofferente nei confronti dei discorsi di poetica, io purtroppo ancora no, per me è inevitabile pormi certe domande, avere maggiori timori reverenziali, farmi più scrupoli prima di liberarmi di certi fardelli, titubare un po’ di più. Tutto qui.

    Quello che intendevo l’ha spiegato più concisamente Cara Polvere: chi ha detto che troppa poetica porta a fare testi distratti e deboli? Ci si può liberare solo quando si è già accumulato abbastanza, io per me sento di avere ancora molto “lavoro da fare” prima di liberarmi. E il lavoro include sia poesia che poetica.

  17. io posso essere insofferente con tutti, ma non con maria valente
    (che per altro non fa discorsi né generici né frettolosi; e i poeti li conosce) e fuma le sigarette in una maniera molto elegante

  18. io ero quasi sempre d’accordo con maria (valente), ma dal 23 novembre le cose sono completamente cambiate. infatti, da allora, io sono sempre d’accordo con maria (valente)

  19. Ragazzi, stamattina mi fate svegliare con tanto di sorriso ;-)))
    che belli che siete, vi voglio troppo bene!
    Buona giornata a tutti.

  20. @Maria
    Credo che semplicemente guardiamo la faccenda da punti di vista e con desideri esplicativi differenti, e dunque consideriamo “pertinenti” aspetti differenti. Non nego né disprezzo il lavoro di lima, e neppure quei “pezzi di vita”. Ma mi interrogo su qual genere di adattamenti reciproci siano modellati da quelle lime, questione che ha un impatto diretto sulla formazione delle gerarchie, e sul loro significato. Questi sono i miei interessi.

  21. @ cara polvere
    non le rispondo perchè di solito non la leggo, questa volta ha messo la @Alcor e quindi l’ho letta. Non ho capito cosa sostiene, che è anche il motivo per cui di solito non la leggo, e non so cosa risponderle.

    @ tutti gli altri
    vi siete simpatici tra di voi, fumate con eleganza, vi basta quello che avete, anzi, ne volete di più, non mi pare che serva altro.

  22. cara alcor non siamo cervelli in provetta, per questo abbiamo simpatie e antipatie, ma è un problema? ci vorresti asettici atoni astenici robotbloggers? Chennesai, poi, di essere fuori dal flusso della simpatia?

  23. sei gentile e la proposta m’interessa. tuttavia, volevo un vostro parere sull’inutilità, sullo squallore e sulla noia del progetto sparajurij.

  24. non pensare a loro, pensa a me.
    e se ti hanno fatto del male, al punto che ti vergogni di usare il tuo vero nome, non badarci più.
    adesso ci sono io per te.

  25. alcor, hai perfettamente ragione, io li conosco bene. hanno l’aria apparentemente dimessa, ma, se li osservi da vicino, come io ho avuto modo di fare, hanno negli occhi la determinazione di chi sta già scrivendo la letteratura del XXII secolo e, nelle mani, anche se non lo ammetterebbero mai, il controllo di almeno l’ottanta per cento dell’editoria di poesia, nella quale ognuno di loro cura una collana prestigiosa utilizzando un prestanome o, in casi estremi, un nick. si riuniscono alla luce del sole, di tanto in tanto, in incontri e letture pubbliche. inutile dire che è uno schermo di comodo: mentre il pubblico, ignaro, crede di ascoltare versi o pagine di prosa, non sa di rendersi complice involontario del passaggio e della diffusione di parole d’ordine, slogan e strategie editoriali che passano sulla sua testa in forma di endecasillabi, di strutture chiuse e aperte, di anapesti, anacoluti e anatemi. io l’ho capito subito, così come ho capito che stanno predisponendo il tabellone dei premiati di tutti i più importanti premi letterari italiani della prossima stagione: perché è chiaro, sono loro che, da dietro le quinte, ne tirano i fili. e dopo questa accorata denuncia che spero smuova un po’ le acque, mi sembra giusto indicare anche i capi, i sovversivi per antonomasia: Andrea Inglese e Maria Valente. e ti dico di più: la frase di Inglese, “fuma le sigarette in una maniera molto elegante”, rivolta alla sua consocia Valente, contiene l’intero programma predisposto per dare l’assalto definitivo al superstite venti per cento di editoria libera rimasta in Italia. io ho detto, perché questo era il mio dovere di sincero democratico (nonché amante dell’arcadia e del melodramma).

  26. respingo formalmente ogni addebito di babbonatale, ma ho già mobilitato i miei avvocati della Caimans e passato un foglietto scritto a matita ai vertici delle più grandi multinazionali della cultura e dello spettacolo.

  27. @babbo natale

    Io sono miope, ma tu sei strabico.

    Ma come, non vedo che critiche al mercato e poi si vorrebbe un pezzo proprio di quella torta. E non solo la torta, anche le tre stelle Michelin. Che lagna.

    “E la pioggia cadeva ogni giorno
    e il sole splendeva di rado e fiaccamente
    ed essi guardavano in silenzio i flutti salire
    sul monte Ararat”

    Flutti di parole, obviously.

  28. tra poco meno di un mese sarò a casa tua. mi sono permesso di scegliere il regalo per te, senza aspettare nessuna letterina. non è niente di nuovo, lo riconoscerai subito, visto che, fino a qualche tempo fa, ti apparteneva ancora a pieno titolo: una piccola, giusta, preziosa dose di umorismo (do you remember L.P.?) e di sana (auto)ironia.

    cordially

  29. Il pezzo postato da Inglese ed elaborato da Cepollaro è quello che l’ex fondatore del Baldus ha scritto per l’antologia in uscita tra cinque mesi.

    L’antologia conterrà anche il punto di vista degli altri due fondatori, Voce e Baino, un’introduzione di Rizzante ed un breve saggio di Padua sulla ricezione del Baldus.

    Nell’anticipare i contenuti di un intervento importante, a cinque mesi, non cinque giorni dall’uscita, senza informare i curatori o l’editore, non riconosciamo alcuna forma di virtù o galanteria editoriale.
    Le discussioni o polemiche che possono svilupparsi adesso non gioveranno allo sforzo, anche economico, di un piccolo editore; rischiano invece di bruciare la notizia o comunque indebolire le possibilità di aprire un dibattito nel momento in cui il volume sarà in libreria, e quindi saranno a disposizione di tutti i differenti contributi.

    sia noi, in quanto curatori della collana, che i curatori dell’antologia, sono stupefatti di un comportamento così scorretto, e non ci riferiamo certamente alla proprietà intellettuale – tutto sarà copyleft – bensì alla semplice scortesia.

  30. Sono anch’io perplesso. Sarebbe stato il caso (per correttezza) di avvertire della pubblicazione di questo pezzo su n.i. chi sta compiendo lo sforzo editoriale e i curatori. Ingenuamente credevo che questa fosse una semplice riflessione di biagio, non il pezzo da pubblicare nell’antologia.

  31. E fra cinque mesi leggerò anche Voce, Baino, Rizzante e Padua.
    Non me la faccio certo scappare, riprenderò il battibecco con maria (valente).

  32. grazie ad alcor.
    e chiediamo scusa della sfiducia riposta nella memoria dei nostri contemporanei.

    ma, abbiamo la sensazione di vivere in un quasi giappone dove, secondo una ricerca, gli abitanti di Tokio non riescono a memorizzare un’informazione molto a lungo.

    citando da Aldo Nove “nella raffica di notizie o parvenze di notizie che ci travolge quotidianamente è difficilissimo isolare ciò che merita di restare al vaglio di una cronologia dei giorni che si fa sempre più asfittica, ansiosa, se non addirittura improbabile.”

  33. alcor, nemo me timet et cum dona fero omnes portas quotannis aperiunt. ergo, noli foras exire die constituta.

    ave atque vale.

  34. Non è mia abitudine agire scorrettamente ed inoltre ho una discreta esperienza di avvocati specializzati in questi problemi. Avevo scritto tempo fa una lettera a Rizzante per chiedergli il permesso. Non ho avuto risposta. Il testo è sostanzialmente quello che uscirebbe in quel lavoro – termine di consegna a dicembre-: se è necessario ne scrivo un altro immediatamente così il problema non c’è. Circa il problema di bruciare la notizia: mi fa sorridere come anche nelle piccole dimensioni editoriali si siano introiettate le logiche altrui…Piuttosto, tenete da conto almeno una copia della pubblicazione, perché tra qualche anno possa salvare l’opera dall’oblio attraverso le mie edizioni on line…una volta estinto il diritto d’autore…
    Biagio Cepollaro

  35. mi chiedo come mai sparajurij sia intervenuto ieri con un semplice spot marchetta e oggi, a distanza di più di ventiquattro ore e di quaranta post, torni alla carica con una bella dose di veleno. non poteva fare quest’intervento ieri mattina? mi piacerebbe sapere cos’è che gli ha fatto cambiare idea e atteggiamento. i soliti misteri della rete. o forse no.

  36. carissimo (francesco)
    o dovrei dire carissimi Sparajuri (zeno, francesco, sergio, neri)
    sinceramnete queste cose non le capisco e voglio dire il comunicato e quant’altro.
    effeffe

  37. Babbo Natale a questo punto avevi ragione tu: Andrea Inglese è un sovversivo, ma io non c’entro nulla, sono appena tornata ed ho visto la fumata bianca: Habemus Pappam! VIVA IL CHEPO ;-)))

  38. non ti preoccupare biagio.
    le cose nostre non finiranno nell’oblio.
    possono invece finire sul tuo sito.
    e non c’è diritto d’autore caro, lo sai.

    dunque gli avvocati non ci azzeccano nulla, potresti invece evitare l’uso moralistico e automatico di certe semplificazioni.
    noi siamo molto contenti di poter pubblicare il baldus e di farlo in un’edizione che ci pare davvero bella.
    speriamo di farne altre però. mica di guadagnarci.
    e di conseguenza speriamo che vi massacrerete in rete e altrove, anche fisicamente, un po’ più in là. giusto un po’.

    le nostre considerazioni partono da una forma di cortesia che tu stesso avendo scritto a rizzante, hai ritenuto se non necessaria, quanto meno opportuna.

    d’ora in poi se non riceverai risposta potrai scrivere a noi, di certo risponderemo.

    caro babbo,
    così come padua, non avevamo ricevuto il materiale, (non siamo noi a curare l’antologia), dunque ignoravamo che il contenuto del post fosse lo stesso di quello che stiamo per pubblicare.

  39. a effe
    il fatto che cepollaro abbia scritto a rizzante, dimostra che conosce la cortesia che ci sembrava opportuno considerare in situazioni simili.

  40. no dài boomerang, stavi per venire, non ti succede da mesi, non distrarti. non farlo.

    [questo commentatore è lo stesso sparajurij di prima. Per favore, nick persistenti e commenti pertinenti. La redazione]

  41. Per amore della verità. Come si diceva. Biagio Cepollaro afferma di avermi mandato un e-mail chiedendomi il permesso di pubblicare il suo “ricordo-bilancio” dell’esperienza di “Baldus” e di non aver ricevuto alcuna risposta. Non ricordo l’e-mail in questione, ma non ho nessuna ragione di non credergli. E’ sicuro che non gli ho dato alcuna risposta. Il mio silenzio è stato interpretato come assenso. Se qualcuno non ti risponde non necessariamente acconsente. E poi il mio silenzio era dettato da un semplice fatto: il progetto era ancora in fieri.

  42. Spara
    vorrei che tu Blasio e Voz
    et baino il rizzant et puis l’iglesia e mmia
    cum todos autros el padua et puis il renelo
    e Paghi e pedrazzini et ancor l’immenso Sassi
    feria de toda kista historia
    pueta mente e human consorteria
    tenendo i calici levati
    in alto ei cristal
    par saludar el livre (ivre)

  43. Cari amici e carissimi nemici,

    intervengo solo ora, che una serie di fatti sono chiari. E’ chiaro, ad esempio, che stiamo parlando dell’impresa (direi del miracolo, visti i tempi) che un piccolo editore si è accollato in copyleft, investendoci di proprio, e che offrirà del materiale che a qualcuno potrebbe serre utile e che dunque nessuno, meno che mai Sparajurij, sta blaterando di copyright o simili. E’ chiaro che nessuno ha introiettato logiche ‘proprietarie’ ma che ci lamenta che il lupo ha perduto (forse, gli ho sempre invidiato i capelli folti e neri) ha perduto il pelo ma non il vizio,: quello di considerare iniziative collettive come faccende personali, nelle quali si è liberi di gestire anche il lavoro altrui come se fosse il proprio. E’ chiaro che lanciare un’iniziativa 5 (dico 5) mesi prima che si faccia realtà, in una società dove ‘comunicare’ è piuttosto difficile, e farlo senza avvertire i curatori, o almeno senza riceverne l’assenso, è come minimo una scortesia. E’ chiaro che nascondersi dietro il dito di una mail, forse partita e forse no, e dietro una mancata risposta è comportamento latamente à la Gombrowicz (adolescenziale?). E’ chiaro che far iniziare un dibattito senza che ci siano anche le altre voci presenti e senza quel materiale che volevamo offrire nella sua integrità è qualcos che assomiglia a uno sgambetto.
    Meno chiaro è (ma non approfondisco, vorrei che il dibattito si sviluppasse quando tutti quelli che vogliono, avranno i testi per giudicare) ciò che dice Inglese quando dice che gli pare di ricordare che i primi a mettere il dito nella piaga della pletorizzazione delle ‘poetiche’ furono lui e Cepollaro. A me pare di ricordare il contrario, ma posso pubblicare le mail di redazione su questo, mi pare che l’avventura terminò quando Cepollaro ci pose davanti all’aut-aut: fuori Gian Mario Villalta (agente del nemeico antiavanguardista) o fuori io. Rigirare la frittata, en passant, come fa lui, è anch’esso un comportamente direi… poco galante.

    Altro che avvocati, qui basterebbe una cosa che si chiama, qui in Rete, netiquette.

    Un saluto a tutti

    Lello Voce

  44. Non ho mai pensato che l’essenziale passi attraverso una mediazione e non credo sia il caso di farlo ora. Credo invece e fermamente che certe imprese – una rivista, un blog, una riflessione – restano nella storia delle persone prima ancora che nella storia dei fatti. Che cosa ha decretato la fine di Baldus? Non lo so ma certamente la riedizione attraverso l’antologica della rivista permetterà a tanti di capire com’è che nacque.

    E so anche com’è nato il post di Andrea. Ero a Milano quando Biagio ha scritto la sua “testimonianza” e me l’ha letta a viva voce. Con uno slancio genuino e sincero Biagio l’ha messa sul proprio sito prima e Andrea qui su NI. Di Baldus circolano materiali in rete e com’è stato detto questa cosa non farà che valorizzare l’attesa per l’uscita del libro.

    Eravamo a Parigi tutti, a casa nostra (del Rizzante e mia) quindici anni fa quando Mariano Baino annunciò a te (lello) e a Biagio la sua partenza da Baldus. Mi ricordo della profonda malinconia di quei giorni e dell’amicizia che vi lega (tutti e tre) .

    Mi ricordo dell’omaggio a Gianni Sassi, quando Steve Lacy intonò al sax – ma facendo vibrare le corde del pianoforte a coda- un lamento per la morte di un amico.
    Baldus nuova edizione nasceva da questi due “momenti”.
    La ragione -o le ragioni per cui avvenne la rottura del sodalizio Cepollaro/Voce furono molte. La storia di Villalta fu certamente un momento molto duro, quasi brutale, ma le ragioni più importanti erano altrove. Oggi credo sia importante per i giovani poeti (sparajuri, adriano padua, maria valente…)pensare che qualsiasi cosa accada, in un gruppo letterario, nessuna divergenza politica, estetica, critica, metterà in pericolo l’esperienza comune e la memoria che se ne ha di essa.
    effeffe

  45. A quanto ho capito si è trattato di un semplice malinteso e non c’è scorrettezza da parte di nessuno. Non ci vedo malafede, sinceramente.
    Per quanto riguarda le divergenze sull’esperienza di baldus, quelle restano ed io rimango in ascolto.

  46. Lello guarda che hai capito male, Andrea non ha rigirato nessuna frittata, anzi. Come dice Adriano: nessuna scorrettezza da parte di nessuno.
    Direi invece che è bellissimo questo fortituito ritrovarsi (anche polemico come allora) di molti dei principali protagonisti di quella stagione, tra i dejà-vu e il sax di Effeffe. Anch’io alzo i calici per salutare il Libro e magari, chissà, una nuova stagione. Salute Signori!

  47. Ciao Maria,

    e grazie per gli interventi come al solito acuti e informati.

    Mi spiace, ma mi pare di aver capito benissimo:
    “l primo di cui mi ricordo che si stizziva appena si parlava di poetiche è stato Giuliano Mesa, poi più tardi, seguendo il suo proprio percorso, Biagio Cepollaro.”

    lv.

  48. Stavo sfogliando, tanto per non parlare di nessuno qui, il vecchio Almanacco DADA di Schwartz.

    Molto bello, interessant, culturale, salvo che i poeti stavano altrove. Queste discussioni, alle quali, essendo io pure prevalentemente novecentesca ho già assistito, e sotto le quali si vedono schieramenti, sono una parte del percorso, su altri versanti, che producono le stesse lobbies che vedete come il fumo begli occhi.

    Dunque e non parlo dell’antologia che uscirà, le logiche interpersonali sono sempre le noiosissime stesse, forse anche al di là delle intenzioni, temo però al di là della consapevolezza generale. E questa ai miei occhi è un’aggravante.

    Dirò solo… no, non voglio dirlo.

  49. E’ molto difficile guardare questo mondo dall’esterno. Queste dispute sulle correnti di pensiero ma tanto di posizione. Sulle politiche di una pubblicazione giusta o sbagliata o di transizione. Storie di amicizia.
    (Provo poi a rileggere i commenti un’altra volta).
    Il mio mondo è quello dell’arte contemporanea dove oggi ci sono meno le correnti, e gli artisti sono come tanti microchip che si muovono, cellule vaganti che fluttuano e usano modelli anche diversi tra loro. Ma c’è qualcosa in comune, forse un punto, un orientamento, un dopo Duchamp da trovare insieme.
    E’ una intromissione questa, lo so.
    Ero presente alla serata milanese sulla poesia di ricerca.

  50. Più che altro è lo squallore complessivo dell’operazione. Il gruppo 93 era un orrendo ricettacolo di poetastri negati e lottizzatori, gente da Unità insomma. Ora poi con il sigillo Sparajurij No reply l’immondizia è servita…

  51. schizzettino mio, ma che fai? torna a letto, ti faccio l’ovetto sbattuto che ti piace tanto, e magari più tardi andiamo a vedere i polli al girarrosto.

  52. Cari sparajuri, caro Lello, Adriano e gli altri, la responsabilità di aver messo questo pezzo su NI è tutta mia. E dopo i vostri interventi mi rendo conto che ho agito con leggerezza e mi scuso con voi. Avrei dovuto informarmi meglio preventivamente sui tempi del progetto. Purtroppo gli errori sono spesso motivati da buone intenzione, come in questo caso la voglia di diffondere una notizia che riguardava Baldus, rivista che per me è stata molto importante, a cui ho partecipato durante l’ultima, brevissima stagione. Il meccanismo di pubblicazione in rete è spesso perverso, perché non ti lascia sempre il tempo di riflettere a tutte le conseguenze di un’azione. Ma questa non è ovviamente una giustificazione.

    Vi rispondo solo ora, perché ero via.

    L’unica cosa che non c’entra nulla in questa faccenda è la questione delle poetiche, sollevata da Lello. La mia osservazione che Lello ha riportato non aveva nessuna connessione con la vicenda di Baldus e della rottura che ci fu. La riflessione critica sulle poetiche è qualcosa a cui ho, per parte mia, prestato orecchio molto più tardi, ossia in tempi molto recenti. Ed è ovvio che quanto dice ora Cepollaro sulle poetiche è conseguenza dell’idea rigida che lui aveva in precedenza. (E non solo lui. La faccenda

  53. delle poetiche è sempre in qualche modo attuale. Come diceva Anceschi, le poetiche tendono ad essere costitutivamente dogmatiche.)

  54. il discorso sul metterci la faccia è veramente un non sense in rete comunque… è possibile pensare che i ‘poeti’ suddetti siano immondizia che occupa spazio o questo è mafiosamente impedito?

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Andrea Inglese (1967) originario di Milano, vive nei pressi di Parigi. È uno scrittore e traduttore. È stato docente di filosofia al liceo e ha insegnato per alcuni anni letteratura e lingua italiana all’Università di Paris III. Ha pubblicato uno studio di teoria del romanzo L’eroe segreto. Il personaggio nella modernità dalla confessione al solipsismo (2003) e la raccolta di saggi La confusione è ancella della menzogna per l’editore digitale Quintadicopertina (2012). Ha scritto saggi di teoria e critica letteraria, due libri di prose per La Camera Verde (Prati / Pelouses, 2007 e Quando Kubrick inventò la fantascienza, 2011) e sette libri di poesia, l’ultimo dei quali, Lettere alla Reinserzione Culturale del Disoccupato, è apparso in edizione italiana (Italic Pequod, 2013), francese (NOUS, 2013) e inglese (Patrician Press, 2017). Nel 2016, ha pubblicato per Ponte alle Grazie il suo primo romanzo, Parigi è un desiderio (Premio Bridge 2017). Nella collana “Autoriale”, curata da Biagio Cepollaro, è uscita Un’autoantologia Poesie e prose 1998-2016 (Dot.Com Press, 2017). Ha curato l’antologia del poeta francese Jean-Jacques Viton, Il commento definitivo. Poesie 1984-2008 (Metauro, 2009). È uno dei membri fondatori del blog letterario Nazione Indiana. È nel comitato di redazione di alfabeta2. È il curatore del progetto Descrizione del mondo (www.descrizionedelmondo.it), per un’installazione collettiva di testi, suoni & immagini.