Anteprima: Enrico Remmert
Mi auguro solo che questo post porti fortuna ad un libro che non si può non amare. effeffe
Passaggi
di
Enrico Remmert
da “Strade bianche”
Marsilio Editori
In libreria dal 15 settembre 2010
Sul muro di un palazzo c’era una scritta a spray rosso: SFRUTTATE L’EREZIONE MATTUTINA. Ho sorriso, eravamo in viaggio.
Manu
Una volta usciti dal traffico del centro città imbocchi corso Unità d’Italia, un’uscita dolce, accompagnata dai parchi lungo il Po, poi i piazzali dei noleggi di camper e degli autosaloni, lasci indietro Torino, Ivan, il Balboa e l’Autoscuola Pilone, fino alla rampa della tangenziale, al traffico dell’autostrada. E qui cominciano le difficoltà, perché a te piace la teoria della guida ma non la pratica, soprattutto quando si alza un vento fortissimo e ti trovi stretta fra centinaia di camion giganteschi e pieni di ruote, ti sembra di essere entrata nel circuito di gara della Formula Tir, circondata da mastodonti capaci di superare i trecento chilometri all’ora e con, al posto del clacson, le trombe dell’Apocalisse. Il problema è che la Baronessa ci mette un po’ a raggiungere una velocità di crociera decente perciò uno di questi bastardi comincia a sorpassarvi e qui è una questione di orgoglio e allora tu schiacci a tavoletta ma la Punto viene come risucchiata all’indietro da una forza immane – il vento unito al vuoto d’aria creato dal mastodonte – e la velocità scende, il tir si affianca e il risucchio lascia il posto a una libecciata laterale e questa è una fase molto delicata, devi guidare la Baronessa di bolina per riuscire a tenerla dritta, e poi segue un altro vuoto d’aria, l’abitacolo scricchiola, i vetri vibrano, ma adesso comincia una leggera pendenza e il tir fatica mentre il motore della Baronessa si è finalmente slegato, sei più veloce,lo risorpassi e alzi il dito medio al camionista e dopo un po’, finalmente, il traffico comincia a diminuire.
Vittorio è immobile, probabilmente terrorizzato, mentre Francesca – la spii nello specchietto – sta guardando fuori dal finestrino, vorresti accendere l’autoradio o mettere su un cd ma poi Vittorio inizierebbe a borbottare come un cuoco a un tavolo di un ristorante altrui Questo è poco cotto, questo è troppo cotto, lo stesso tormento, Questa schifezza elettronica cosa sarebbe? Musica? Un monitor cardiaco ha una pulsazione più allegra. E questa voce? Un raglio d’asini? Ma per carità… allora tanto vale il silenzio, e poi cosa aspettarsi da uno che al Père Lachaise, invece di vegliare sul monumento funebre a Jim Morrison, ha passato tre ore vicino alla tomba di Édouard Lalo? Francesca si sporge da dietro e ti chiede Come va l’occhio? e tu rispondi Abbastanza e allora interviene Vittorio e chiede Ma come hai fatto a rimanere con lo scemo gigante tutto questo tempo? ma tu non rispondi. Vittorio sbircia il tachimetro e tu dici Rilassati, siamo a centoventi allora lui si giustifica spiegando che voleva controllare il livello del serbatoio e tu dici Rilassati, abbiamo il pieno e poi ripiombate nel silenzio, e allora accendi la radio e va bene così perché tu hai solo voglia di andare, viaggiare, far correre le ruote, non stare mai ferma, come una persona afflitta da uno strano male, obbligata a muoversi, incapace di sopportare che il sole, al suo sorgere, parta senza di lei.
Vittorio
Adesso dalle casse escono le note di una canzone che riconosco e l’autoradio diventa una macchina del tempo che si muove a ritroso. Dentro quella canzone c’è un’estate dal sole implacabile, in Puglia, nella masseria dei nonni. Terra rossastra, ulivi, i muretti a secco poco più alti di me bambino. È qualche giorno prima della notte di Alfonsina. Sono in veranda e gioco con i soldatini. Sono quelli piccoli, alti come un mozzicone di sigaretta. Ne ho molti della Atlantic ma i miei preferiti sono della Airfix, la scala è identica, 1:72, ma sono leggermente più corposi, cicciotti. Quelli della Atlantic sembrano tutti magri magri in confronto. Tra i soldatini della Airfix ho un reparto di Gurkha nepalesi e combattiamo i nazisti. Anche nella veranda il caldo è afoso, l’aria irrespirabile.
Mia madre stende il bucato. Ha infilato una cassetta nel mangianastri. È qualcuno che canta in dialetto ma non è il nostro, è contemporaneamente più dolce e più musicale. L’uomo che canta ha una voce profonda che riesce a dare colore a parole che non capisco a fondo: «Umbre de muri muri de mainé / dunde ne vegnì duve l’è ch’ané…» Mi alzo tenendo in mano il capo dei Gurkha – un soldatino che stringe un machete ricurvo, un soldatino da cui non mi separo mai – e raggiungo mia madre. Non c’è un alito di vento. Il sole sembra cuocere ogni cosa. Non so ancora nulla di composizione, di qualità dei timbri, di sfumature nelle frasi melodiche, eppure quella canzone ha qualcosa di unico. Mia madre è allegra, lontana, rapita dalla musica.
«Mamma» le chiedo, «ma tu capisci cosa dice?»
Lei mi accarezza una guancia e dice: «Ma certo. Quando la musica è bella, si capisce sempre quel che dice.»
Certe volte mi chiedo: se io sono un musicista lo devo tutto a quel pomeriggio?
La risposta è no.
Manu
Allora Francesca dice Io c’ero quando l’hai conosciuto, ti ricordi? Ballavamo ancora insieme e tu dici È vero, l’ho odiato dalla prima volta che l’ho visto e poi aggiungi, seria, rivolta al parabrezza Lo odiavo per come si atteggiava, per come parlava, per come sembrava sicuro che il mondo fosse ai suoi piedi. Lo odiavo mentre mi corteggiava e lo odiavo mentre cedevo, lo odiavo sempre. Ma lo odiavi davvero?, ti chiedi, e Vittorio interviene Io proprio non riesco a capire, ma se lo odiavi così, com’è che ci sei rimasta insieme fino a stamattina? e tu alzi il piede dall’acceleratore, una specie di riflesso condizionato, e dici Non lo so, forse il problema è che l’odiavo troppo. E quando c’è un sentimento troppo forte come l’odio, e manca un sentimento più intenso, be’, si finisce per degenerare nell’amore. Vittorio ti fissa perplesso e scuote la testa, poi si volta a guardare i campi nudi fuori dal finestrino e mormora Secondo me donne e uomini non dovrebbero vivere nello stesso pianeta e tu pensi che forse ha ragione, e adesso sulla destra scorrono file di alberi spogli, e Francesca si sporge di nuovo da dietro e chiede Come mai ti ha ridotta così? e tu scuoti la testa, cerchi una risposta, spieghi Non lo so, siccome Ivan era ubriaco, ho iniziato a bere anch’io, così, giusto per mettermi sulla stessa lunghezza d’onda, per capire quel che diceva… e Vittorio interviene ironico Una logica ferrea… ma Francesca lo zittisce E lasciala parlare allora tu continui Ma poi, non so, alla fine ero fradicia anch’io e mi è venuto fuori tutto quello che avevo da dirgli e gliel’ho detto… ti spunta una lacrima ma tieni duro… Poi lui mi ha tirato un paio di sberle, ma forti, e con quei cazzo di anelli che porta, e poi è rimasto lì sul divano e dopo un po’ si è addormentato… Io ho fatto su le mie cose e… ed eccoci qua.
Manu
Francesca da dietro ti accarezza i capelli e tu, per la prima volta, pensi che ti dispiace intrometterti nel loro viaggio, ma hai davvero bisogno di lei, di qualcuno che ti stia vicino senza parlare, solo accarezzandoti i capelli, e ti scende addosso una sensazione di calma tale che, mentre sorpassi un tir, sbandi leggermente e subito Vittorio si allarma Se sei stanca, guido io ma tu rispondi Adesso no poi guardi nello specchietto retrovisore e c’è una macchina inconfondibile e non sai spiegarti come faccia a essere lì ma adesso, davvero, ti dispiace di avere coinvolto Francesca e Vittorio nelle tue questioni.
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Quella stessa scritta l’ho fotografata su un muro a Carrara, città rossa dalle strade bianche di marmo…
Domanda: ma davvero il romanzo è costruito tutto come in questo stralcio, con tre voci narranti incrociate? E riesce a tenere fino in fondo?
certo !!! e devo dire con ritmo incalzante . Comunque tra qualche giorno dedicherò una nota a questa particolarità cogliendo l’occasione di analizzarne l’impiego in tre prove d’autore. Camilleri ( 2009 un sabato, con gli amici ) Remmert (2010 strade bianche ) e Paolo Mastroianni (2011, midland metro)
tre prove che a parer mio, proprio attraverso l’esplosione delle voci narranti dei personaggi, sul modello del poema romanzo Spoon River, ripropongono uno schema di grandissima attualità (vd la letteratura della moltitudine degli anni scorsi)
effeffe
mi permetto di aggiungere due libri che ho letto:
il mio nome è rosso di Pamuk
la pista di ghiaccio di bolano
oltre naturalmente a I detective selvaggi
Questa strada la seguio…
Tutti i libri consigliati da Francesco sono ottimi. Leggo sempre con un tempo di ritardo, ma l’attesa della lettura arde.