Se parlassimo di autoproduzione e responsabilità dei lettori?
[La prima parte di questo post è uscita su “il manifesto” del 5/09/2010]
di Andrea Inglese
Battaglia politica e battaglia culturale: una confusione.
Il grande tema di fine estate (“Scrittori e lettori Mondadori: che fare?”), capace di suscitare massicce discussioni in rete e sulla carta stampata non è certo nuovo né scoperto da Vito Mancuso. Difficile, certo, definirlo questo tema, che deve la sua forza catalizzatrice forse al suo carattere ambiguo: questione politica, etica, letteraria, o di costume? Di certo, questa volta, esso ha suscitato prese di parola da parte dei più diversi e autorevoli tra scrittori, critici, intellettuali, oltre che da parte di una combattiva popolazione di commentatori in rete. Nonostante alcuni effetti di spossante monotonia, sono state dette, in tale occasione, anche cose interessanti, intelligenti, a volte persino molto divertenti (la scena di Luca Casarini accolto a Segrate rimarrà memorabile, quanto i primi passi di Marcel nel salotto dei duchi di Guermantes).
Sacrificando molte sfumature, verrebbe da dire che il dibattito ruota sull’opportunità o no di boicottare da parte di scrittori ad essa affiliati la casa editrice Mondadori. Alcuni si spingono a sostenere un boicottaggio nei confronti di ogni prodotto editoriale Mondadori (purché il consiglio di classe del loro figlio non adotti il libro di matematica o italiano di una casa editrice scolastica facente capo a Segrate!). Se si parla di boicottaggio, si parla di una campagna politica. Un boicottaggio, per avere senso, deve darsi degli obiettivi pratici, ben definiti e ad esso adeguati.
Immagino io, che se si lancia una campagna contro la Mondadori, essa fa parte della più ampia battaglia politica che una fetta importante di italiani ha ingaggiato contro il governo e la politica di Silvio Berlusconi, una battaglia che ha un chiaro obiettivo: non farlo rieleggere, sottrargli quei poteri politici, che gli permettono, ad esempio, di creare leggi per depenalizzare frodi fiscali che qualche sua azienda ha potuto o potrebbe realizzare. Questa battaglia politica si può concretizzare di volta in volta in campagne specifiche: la campagna per il ritiro della legge-bavaglio, la campagna contro i tagli alla scuola e alla ricerca universitaria proposti dalla riforma Gelmini, e così via. Di ogni campagna politica, così come della battaglia più generale in cui essa confluisce, si può chiaramente dire 1) se abbia raggiunto o meno i suoi scopi; 2) se abbia adottato o meno le forme più efficaci e adeguate per essere perseguita. Quali sono gli scopi verosimili, plausibili, di una campagna per il boicottaggio della Mondadori propugnata da autori che, fino a ieri, erano nel suo catalogo? L’indebolimento (magari il crack) dell’impero economico di Berlusconi? Ma il rendere Berlusconi un po’ meno ricco, non sembra un obiettivo politico, a meno di immaginare che le pressioni esercitate dalla campagna di boicottaggio su una delle sue aziende non lo inducano ad abbandonare il governo o a cambiare politica. Tattica alquanto tortuosa e, date le circostanze, poco realistica nei suoi esiti.
Ma qualcuno dirà che, in effetti, non si tratta di una campagna politica, bensì di una campagna moralizzatrice. Non contano più gli obiettivi concreti, conta la capacità degli autori Mondadori di fare dei gesti esemplari, che hanno valore in sé, in quanto testimoniano di un’opposizione intransigente, capace di giungere sino al sacrificio di vantaggi materiali. Qui sembra che il nemico non sia più Berlusconi, ma “il berlusconismo”, ossia il lato Berlusconi di ognuno di noi. Il significato di una campagna moralizzatrice è grosso modo questo: se Berlusconi ha vinto è perché tutti noi (elettori o meno di Berlusconi) abbiamo ceduto al “berlusconismo”. Qui siamo passati, però, dalla battaglia politica (non fare rieleggere Berlusconi, bloccare i provvedimenti del suo governo) a una battaglia culturale (cacciare fuori dalla nostra pelle e dalle nostre menti il “berlusconismo”). Ma che cos’è questo “berlusconismo”? Non è la forma propriamente italiana, quella più aggiornata, della mercificazione sempre più estesa della vita che tutti i paesi del capitalismo avanzato conoscono? O meglio, il “berlusconismo” non è che uno dei nomi di questa cultura da tutti condivisa – una volta si diceva “ideologia dominante” – in quanto essa, nonostante le differenze negli stili di vita, ha permeato la nostra formazione o il nostro invecchiamento sociale sia a destra che a sinistra. Non siamo tutti quanti a bagno nella merce, sia essa solida o digitale, in forma di beni o di servizi? Così va il nostro mondo, nell’epoca in cui siamo venuti al mondo. E questo non significa certo né che questa cultura del tardo capitalismo sia l’unica cultura di riferimento né che sia impossibile, per noi che vi siamo nati in mezzo, sottoporla a critica anche radicale.
Se comunque è questa la battaglia culturale in cui siamo ingaggiati, è evidente che è altamente difficile definire obiettivi circoscritti e verificabili. A questo punto diventa arduo decidere se sia più opportuno ed efficace, per uno scrittore, realizzare la sua battaglia contro la mercificazione abbandonando la casa editrice Mondadori o scrivendo per la Mondadori un libro che manifesta, nell’onda lunga della ricezione, altri valori, altre possibilità di vita più degne e umane di quelle offerte dalla società presente. L’esemplarità riguarda sia il gesto concreto di un individuo, al cospetto del gruppo sociale che ne legge il senso, sia il messaggio complesso e stratificato di un testo letterario che agisce sulla visione del mondo di ogni lettore.
Molti scrittori, intervenuti nel dibattito in corso, si sono mostrati convinti, pur in maniera diversa, che boicottare la Mondadori non è un passo decisivo nella battaglia culturale per una società meno mercificata. (L’argomento più sensato fatto al riguardo segnala gli svantaggi di un tale atteggiamento: accelerare un processo di omogeneità ideologico-culturale forse già avviato ai vertici dell’azienda.) Io aggiungerei una cosa soltanto. Boicottare l’editoria capitalista sarebbe un passo decisivo in questo senso, dedicandosi interamente a forme di editoria digitale autoprodotta e finanziata da lettori altrettanto impegnati in tale boicottaggio. Se esistono scrittori, che hanno convinzioni anticapitalistiche radicali, essi senz’altro staranno battendo questa strada. Un gesto davvero utopico e di sfida non potrà limitarsi, per chi è un autore noto, al passaggio da un’azienda del capitalismo tracotante ad un’azienda del capitalismo temperato. Dove starebbero, in tal caso, il coraggio e il sacrificio esemplari? Che un autore da 50.000 copie decida di autoprodursi il proprio libro in rete, finanziandosi con una sottoscrizione di lettori, questo sì che sarebbe un gesto capace di scuotere le coscienze e di sconvolgere le odierne pratiche editoriali.
Autonomia dello scrittore e logica di mercato
La confusione tra battaglia politica e campagna moralizzatrice (o battaglia culturale) fa girare non poco a vuoto la discussione. Se il problema della Mondadori è Berlusconi, allora il conflitto deve giocarsi chiaramente sul terreno politico. (E questo vuol dire salvaguardare ogni voce dissenziente, tanto più se viene da autori dell’azienda di cui è Berlusconi è proprietario.) Se il problema della Mondadori riguarda una serie di atteggiamenti, riconducibili alla logica dell’odierna azienda culturale, che pone il profitto e i mezzi per realizzarlo al di sopra di qualsiasi altra considerazione, allora la Mondadori non è l’unico problema, in quanto tutte le grandi case editrici adottano la medesima logica. La campagna moralizzatrice, nata intorno alle peggiori ombre che si addensano sulla casa editrice di Berlusconi (casa editrice fraudolenta, monopolista, acquisita illegalmente, macchina ulteriore di consenso), dovrà investire alla fine lo statuto più generale dello scrittore al cospetto del mercato editoriale e porgli la domanda cruciale: tu che sei giunto ad un vasto pubblico grazie a una casa editrice che riconosce economicamente il tuo mestiere, ti permette di essere presente nelle librerie e ti offre una sufficiente pubblicità, sei nonostante tutto autonomo, indipendente, libero in quello che scrivi?
Questione non di poco conto, perché è sicuramente vero che lo scrittore, in un certo senso, è responsabile solo delle sue parole, ma ciò non va inteso in maniera riduttiva. Non credo sia sufficiente dire: “Nel mio libro non c’è stata censura, nel mio libro dico peste e corna del capo del governo”, ecc. Questo discorso vale finché si parla di battaglia politica, ma se la battaglia in cui uno scrittore degno di questo nome è ingaggiato riguarda soprattutto la cultura dominante e la mentalità che essa favorisce, allora vale l’osservazione che fece Giulio Mozzi in un’intervista su NI proprio sul tema della responsabilità dell’autore: “mi convinco che la tendenza verso un’industrializzazione crescente dell’editoria non solo frena la pubblicazione di opere non adatte a essere pubblicate da un’editoria caratterizzata da una tendenza verso un’industrializzazione crescente, ma ne frena addirittura l’apparizione, e prima ancora il concepimento, e prima ancora il desiderio”.
La campagna moralizzatrice contro il “berlusconismo” si scontra qui con la battaglia solitaria che ogni aspirante scrittore realizza, fin da giovanissimo, per adeguare la sua vocazione agli standard della merce editoriale di largo consumo, in quanto è l’assimilazione di tali standard che promette di ridurre ampiamente i rischi di rifiuto editoriale. Ciò non deve stupirci, in quanto una battaglia culturale è sempre una battaglia contro un nemico che è innanzitutto interno: un habitus mentale e pratico.
Il grande sospetto che la compagna moralizzatrice suscita verte su questo inevitabile compromesso tra scrittore e mercato del libro. Pur di raggiungere il pubblico, e confezionare come gli è richiesto un prodotto commerciale, e trarne tutti i vantaggi conseguenti, lo scrittore non rischia di rinunciare alla propria opera, alle proprie ossessioni, alla propria sintassi, al proprio pensiero? Possibile che un tale sospetto cada solo su quegli scrittori che pubblicano per Mondadori, e che potrebbero autocensurarsi nel momento in cui stanno utilizzando o hanno utilizzato una figura come “nano peronista”?
Gli effetti di censura di carattere politico, quando davvero esistono sulla scrittura di un autore contemporaneo, almeno in Italia, sono senz’altro quantitativamente molto limitati rispetto agli effetti di censura che derivano da altri imperativi, come quello della vendibilità e della leggibilità, della leggerezza e della facilità. Peggio di un libro scomodo politicamente, che vende bene, c’è solo un libro, politicamente indecifrabile, che non vende.
Ora, se davvero si vuole porre in modo radicale la questione dell’autonomia dell’autore, non si può fare a meno di legarla alla questione dell’autoproduzione. Ma ciò tira in ballo non più solo lo scrittore e la sua “coscienza”, ma anche il lettore e le sue responsabilità. Tutto questo risulta chiaro per chi sia familiare con il genere della poesia. La poesia è un tipo di scrittura che non riesce ad elevarsi al cielo della merce editoriale. Poiché gli estimatori di poesia non costituiscono un numero sufficiente di compratori per essere qualificati come pubblico, si dice che la poesia non ha pubblico. Ed è vero che un poeta può avere, in certe circostanze, non più di otto o dieci lettori. Questi lettori non saranno tanti quanto quelli di cui un editore ha bisogno per pubblicare un libro senza perderci, ma possono essere sufficienti a legittimare l’esistenza del genere poetico e, in alcuni casi, di opere poetiche molto importanti. Mi rendo conto che è divenuto impossibile ai più concepire l’idea che qualcosa valga, nell’ambito dell’arte della parola scritta, anche se non interessa immediatamente (nel giro di sei mesi) un numero cospicuo di persone. Chi si trova a frequentare l’universo delle scritture poetiche è portato più facilmente di altri a infrangere il tabù che assegna valore a un testo scritto in proporzione alla quantità di pubblico che è disposto ad acquistarlo in forma di libro. (Naturalmente nessuno si sogna di difendere l’idea che sia vera l’equazione inversa: meno pubblico = più valore. Forse le equazioni di questo tipo non sono semplicemente pertinenti.) [Si veda su questo argomento, quanto scritto qui da Marco Giovenale, poeta e, come altri poeti, impegnato in forme di autoproduzione.]
Se esiste qualcosa come l’autonomia di uno scrittore, deve poter consistere anche nel voler scrivere un testo, nonostante si corra il rischio che esso non corrisponda a un prodotto editoriale immediatamente vendibile (i famosi sei mesi). E qui l’esame di coscienza degli autori – è ciò cui abbiamo assistito durante queste settimane –, pur non essendo inutile non è sufficiente. L’esame di coscienza lo facciano anche i lettori e partendo dalla stessa questione: che cosa favorisce l’autonomia, in ambito culturale e letterario?
La responsabilità dei lettori
L’onda lunga delle battaglie politiche altermondialiste, inaugurate a Seattle nel 1999, ha preso la forma di una campagna moralizzatrice, che ha influito sulle abitudini pratiche e mentali dei cosiddetti consumatori. Gli obiettivi politici più ambiziosi come la Tobin tax sono rimasti per ora lettera morta, ma alcuni obiettivi culturali sono stati realizzati: dalle forme di commercio equo e solidale alle pratiche inerenti allo Slow Food. Insomma, una fetta di consumatori si è fatta responsabile almeno quando mangia o acquista una lavatrice. Non sarebbe possibile estendere questa responsabilità anche al consumo dei prodotti culturali? Il tema della bibliodiversità dovrebbe essere all’ordine del giorno, quando si discute di scrittori e di editoria oggi. Ma facciamo un passo avanti: può questo discorso ricadere esclusivamente sulle spalle degli autori più intransigenti e innovativi, o degli editori indipendenti e audaci? Il discorso sulla bibliodiversità è ovviamente complesso e tira in causa diversi fattori, da quello della produzione del libro sino a quello della sua distribuzione e vendita. Oggi, inoltre, ampliando la visuale a tutto il mondo occidentale, nuovi giganti del monopolio (Amazon e Google) si affacciano sul mercato editoriale, pronti ad occuparlo nella sua forma più avanzata, elettronica e telematica.
Una cosa è certa. Qui ed ora esistono pratiche che permettono l’estensione dell’indipendenza e dell’autonomia dello scrittore, e degli stessi progetti editoriali. Ma tale estensione non può che farsi in forma di reale cooperazione tra i diversi soggetti implicati: autori, editori, traduttori, grafici, lettori. Il lettore che voglia “far la morale” è poi disposto, lui per primo, a cambiare alcune abitudini, a compiere qualche sacrificio?
Voglio concludere questa riflessione con due casi molto concreti, uno riguarda un autore francese che in Italia è quasi sconosciuto, l’altro riguarda Nazione Indiana. In entrambi i casi, le scelte e il coinvolgimento dei lettori è decisivo per promuovere l’autonomia e l’indipendenza degli autori.
Partiamo da Paul Jorion. Jorion ha una formazione multidisciplinare, in antropologia e filosofia, ma anche nelle scienze cognitive e nell’economia. Unisce riflessione teorica ed esperienza sul campo. È autore di diversi libri importanti, quali Investing in a Post-Enron World (McGraw-Hill 2003), La crise du capitalisme américain (La Découverte 2007), La crise. Des subprimes au séisme financier planétaire (Fayard 2008) e Comment la vérité et la réalité furent inventées (Gallimard 2009). Sul mondo della finanza statunitense, Jorion ha conoscenze di prima mano. Dal 2005 al 2007, ad esempio, ha lavorato presso Countrywide, l’azienda principale dei prestiti ipotecari negli USA. Dal 2007 Jorion dirige un blog, attraverso il quale ha realizzato una sorta di diario della crisi finanziaria statunitense ed europea giorno per giorno, spostandosi continuamente dal piano dell’attualità a quello dell’analisi critica. Ma gli argomenti in esso trattati spaziano dalla filosofia della scienza all’ecologia, dalla letteratura all’intelligenza artificiale.
A mio parere Paul Jorion incarna la figura di quello che definirei un intellettuale post-universitario, riallacciandomi ad una riflessione fatta in questo articolo sull’eclissi dell’intellettuale universitario. Jorion, pur avendo insegnato in diverse università (Bruxelles, Cambridge, Paris VIII, l’Università di Californie a Irvine), ha deciso alla fine di collocarsi al di fuori dell’istituzione accademica. I materiali del blog, che confluiscono nei suoi libri, hanno per certi versi le caratteristiche di corsi universitari. Rispondono ad una doppia esigenza: quella di far circolare dei saperi, impegnandosi in un lavoro serio di esposizione e divulgazione, e quella di approfondire questi saperi, nel rispetto del rigore scientifico e di una piena indipendenza intellettuale.
Ciò che permette al lavoro di Jorion di realizzarsi in completa autonomia sono le libere sottoscrizioni dei suoi lettori. In una sezione del blog intitolata “Donazione”, l’autore scrive: “Voi avete la bontà di affittare la mia indipendenza: non lavoro infatti per un’azienda, non insegno neppure più, né voglio beneficiare della pubblicità. Vivo esclusivamente dei miei diritti d’autore e dei vostri contributi. Rifiuto di operare tra di voi una selezione in funzione dei soldi: voglio che l’accesso ai miei testi resti gratuito, perché continuerò a rivolgermi a coloro per i quali tutto ciò che non è gratuito è troppo caro. E ciò mi obbliga a contare su altri, che potrebbero contribuire di più, ma su una base strettamente volontaria. Perché non ci sia abuso da parte mia, pubblicherò i miei conti tutti i mesi, in modo che possiate valutare come utilizzo i miei fondi.”
Jorion ha anche chiarito che la cifra mensile ottimale, che gli permette di dedicarsi interamente al suo lavoro, è pari a 2.000 euro mensili. Tutto ciò che raccoglie in più, è utilizzato per finanziare altri autori indipendenti, associandoli al suo progetto. Abbiamo qui una pratica realmente alternativa di produzione e circolazione del sapere, che è interamente funzionale a rafforzare l’autonomia e l’indipendenza dell’autore. Essa si basa sulla cooperazione instaurata con i lettori, che gli permette di salvaguardare il principio etico della gratuità e la necessità materiale di finanziare le proprie ricerche e il proprio lavoro. Il blog di Jorion continua ad essere a tutt’oggi attivo e a richiamare un pubblico deciso a scegliere come spendere il denaro in strumenti di conoscenza del mondo.
Veniamo ora a Nazione Indiana. Le motivazioni che animano un blog collettivo come il nostro possono essere diverse, ma tra di esse la spinta a realizzare uno spazio di espressione autonomo e indipendente si è rivelata nel tempo fondamentale. Questa autonomia si è per altro rafforzata nel confronto spesso rude e impietoso con i gruppi di commentatori, che nel contesto orizzontale della rete non si ponevano certo in un atteggiamento di ricezione passiva e docile. Va però chiarito meglio in che senso un blog letterario come il nostro amplia gli spazi di pensiero autonomo. Spesso si tende a sottolineare che i membri di un blog investono tempo ed energie, cioè lavoro, al fine di proporre dei materiali d’interesse collettivo, e ciò avviene gratuitamente, in una forma che ricorda il volontariato o la militanza politica. Tutto ciò è vero. Dietro ogni post di Nazione Indiana c’è del lavoro, e del lavoro non remunerato. Ma il punto cruciale non è ancora questo. La maggior parte di noi, anche al di fuori degli articoli nati esclusivamente per il blog, nelle collaborazioni a riviste specializzate, convegni, o addirittura pagine culturali sui quotidiani, ha scritto molto spesso, e in molti casi continua a scrivere, gratuitamente o quasi. Il problema è generale: i soldi investiti nella cultura sono pochi, e quei pochi, quando ci sono, possono ridurre drasticamente gli spazi di autonomia. La novità del blog non sta quindi nel lavoro gratuito che lo tiene in piedi, ma nel lavoro gratuito autogestito dagli autori, fuori dalle mediazioni e dai vincoli imposti dalle redazioni, dalle firme autorevoli, da qualche autore influente o redattore privilegiato. Questa situazione ha rotto parecchi equilibri, almeno su due fronti: quello delle riviste specializzate, molte delle quali legate all’università, e quello delle pagine culturali dei quotidiani o di altri periodici nazionali. Entrambe queste realtà, che funzionano in base a gerarchie abbastanza rigide, sono state costrette a fare i conti con una serie di soggetti, che si sono costituiti un’identità culturale e un’autorevolezza soprattutto in rete, nel confronto diretto con i lettori.
Non tutti i membri di un blog come Nazione Indiana possono essere considerati dei parvenu, dei nuovi arrivati, in quanto molti autori sono presenti anche in contesti diversi e più tradizionali, come appunto redazioni di riviste specializzate o pagine culturali di quotidiani. Ciò che però li accomuna è una certa insofferenza verso questi contesti, e la convinzione che il lavoro in rete sia in qualche modo più appagante e più libero, a parità di svantaggi materiali.
Oggi però il nostro blog si propone di realizzare un passo ulteriore, richiamando anche i suoi lettori ad un esercizio di responsabilità. La decisione di inaugurare “Murene”, ossia una collana legata al blog e inizialmente autofinanziata dai suoi membri, auspica una piccola rivoluzione nel rapporto con i fruitori del blog. Anche in questo caso diverse sono state le motivazioni a spingerci su così perigliosa china. Di certo le nostre ambizioni non sono quelle di creare una nuova piccola casa editrice. L’aver poi optato, invece che per un e-book, per il vero e proprio libro, con tutta la cura e l’arte (di Mattia Paganelli) che ciò comporta, credo sia da ascrivere ad uno spirito provocatorio. Non vogliamo prendere scorciatoie tecnologiche, ma accettare la sfida di produrre il più classico degli oggetti culturali: il libro. E non ci accontentiamo soltanto del fatto che il libro sia materialmente bello, vogliamo anche che sia espressione di un’arte della parola intransigente, audace, intelligente, come quella che esercitano i primi tre autori da noi scelti. (Non proponiamo pane, ma brioches. E brioches a prezzi popolari.)
Qual è il senso ultimo di questa provocazione? Io, rispondendo anche per gli altri indiani, lo riassumerei in una frase: smettiamola con il lamento, e cominciamo a costruire la nostra autonomia. Ma un progetto come questo non può funzionare senza la complicità e il sostegno dei lettori. È un progetto rischioso, ma assolutamente realistico. Con 200 abbonamenti copriamo le spese di stampa e spedizione. Oggi siamo a quota 87, e questo è un segnale già molto positivo; 87 persone hanno contribuito a realizzare una pratica culturale inedita. Una pratica che è parte della battaglia contro il “berlusconismo”, i monopoli editoriali, la mercificazione estrema della nostra vita. Sottoscrivere un abbonamento di 20 euro per tre titoli è un atto di fiducia, ma fondamentalmente un atto di fiducia nei confronti della nostra autonomia di scelta. Vi proponiamo dei testi che nascono da un innamoramento forte, e che giungono a voi passando per il difficile corpo a corpo della traduzione. Abbiamo infatti privilegiato autori stranieri, sempre più convinti che il confronto con altre lingue esperienze culture sia per noi, oggi, fondamentale. Infine, abbiamo scelto di dare spazio a generi diversi, quali la poesia, il saggio e il racconto, consapevoli della complessità del fatto letterario, che tende ad essere ricondotto troppo spesso all’unico genere redditizio per il mercato editoriale, ossia il romanzo.
Aggiungo solo che la nostra piccola proposta, pur andando nella direzione dell’autoproduzione, resta imperfetta riguardo ad un’importante questione. Se raggiungiamo i 200 abbonamenti la nostra scommessa è vinta. Significa che non esiste solo “il lettore medio”, il “pubblico”, “il mercato del libro”, ma che esistono singoli lettori consapevoli e capaci di modificare le loro abitudini, di sperimentare forme di produzione culturali diverse e indipendenti. Ciò nonostante non abbiamo ottenuto ancora quella situazione pienamente soddisfacente, per cui la forza-lavoro intellettuale presente in un prodotto culturale viene adeguatamente ricompensata. Affinché si riuscissero non solo a coprire le spese di stampa e spedizione, ma anche a retribuire il lungo lavoro dei traduttori e curatori (in questo caso Raos, Rizzante, Zangrando), gli abbonamenti dovrebbero almeno raggiungere il numero di 400. Ma a parità di svantaggi materiali, la proposta di una collana attraverso degli abbonamenti per sottoscrizione ci sembra davvero il modo migliore per buttare la palla nel campo di voi lettori e di misurare anche la vostra di responsabilità.
“La campagna moralizzatrice contro il “berlusconismo” si scontra qui con la battaglia solitaria che ogni aspirante scrittore realizza, fin da giovanissimo, per adeguare la sua vocazione agli standard della merce editoriale di largo consumo, in quanto è l’assimilazione di tali standard che promette di ridurre ampiamente i rischi di rifiuto editoriale. Ciò non deve stupirci, in quanto una battaglia culturale è sempre una battaglia contro un nemico che è innanzitutto interno: un habitus mentale e pratico.”
Considero questo un punto centrale di tutta la vicenda, e sottoscrivo in pieno.
Ad esempio Simone Rossi già ha cominciato. Leggete qui: http://simonerossi.tumblr.com/post/365257158/sbriciolunaglio
cinquecento copie in sei mesi.
senza editore.
senza distribuzione.
passaparola, buste e francobolli, reading a spasso per l’italia.
sono cifre piccole ma boh, secondo me sono cifre.
ha presente l’internet, signora mia?
(grazie della segnalazione, gianlù)
Il segno che il berlusconismo ancora impera e che gli intellettuali stessi no sanno usare più usare il benchè minino straccio di fantasia e il pensiero laterale è dimostrato dall’esistenza del dibattito stesso sulla mondadori.
l’anomalia è berlusconi editore, corruttore in pieno conflitto di interessi non gli autori di sinistra che pubblicano e devono pubblicare per chi volgiono e più grande l’editore meglio è ma come diceva moretti: continuiamo a farci del male. diamoci anche la colpa e sprechiamo fiumi di inchiostro a legittimare le violazioni della costituzione, il regresso culturale, le tette della avallone (che un po ci marcia diciamolo su sta storia, o rizzoli per lei, con le sue foto velinesche dietro la quarta di copertina) ma del libro che fa schifo e prende premi tacciamo e via così.
sto paese ormai è la patria del surrealismo, dell’assurdo, aspettiamo godot
Sull’autoproduzione degli esordienti, non pochi storceranno il naso. Eppure è una reale alternativa alla vergogna della case editrici a pagamento. Una volta, in poesia ad esempio, era quasi inevitabile pubblicare almeno il primo volume a proprie spese. Ora, dati i mezzi e le competenze diffuse a disposizione, è divenuto assurdo. La qualità? La qualità sarà la stessa (buona o cattiva) sia che mi autoproduca sia che paghi l’editore per farmi pubblicare.
io mi sono abbonato e ne sono ben felice.
alla fine della fiera, il salto del fosso devono farlo i lettori, mica gli scrittori.
legittimando l’autorevolezza del pod al fianco della piccolèrrima editoria indipendente.
che non ci si vergogni, insomma, di dire ipod [I print on demand]
La rivoluzione sarebbe possibile se autori di spessore e rilievo nazionale decidessero di coprodursi col lettore. Ma sarebbe una sfida frontale al (super)mercato editoriale che non so effettivamente quanti siano disposti a combattere.
sia chiaro che il termine autoproduzione ha un significato duplice: non vuol dire solo realizzare un prodotto proprio (fare dei propri testi un libro, un e-book), ma anche realizzare un prodotto in proprio (fare di testi altrui un libro, un e-book);
tanti sono gli esempi in questo senso; la collana di e-book di Biagio Cepollaro sul suo sito; ma sarebbe interessante sentire Mozzi sul progetto Vibrisse-libri; mettere in rete degli esordienti validi in cerca di editori… ecc.
meritevole di segnalazia, allacciato alla locomotiva del “fare di testi altrui un libro”, il vagone di http://barabba-log.blogspot.com/, con le sue Schegge di liberazione e le prossimèrrime Cronache di una sorte annunciata, anche, per dire.
Certo, ci vuol coraggio, un minimo di scelleratezza ed una buona chilata d’assunzione di responsabilità. Culturali in primis.
Ròba, insomma, poco di moda, in italia.
Auspico che il criterio di valutazione e di selezione degli autori sia ispirato esclusivamente a principi di natura estetica. E non ho motivo per dubitarlo. dalla lettura dei nomi che hai citato (in questo caso Raos, Rizzante, Zangrando). In letteratura non esistono gli amici, ne’ gli autori simpatici, nè quelli affini.
Sono profondamente convinto che la sopravvivenza della Lettaratura dipenda soprattutto dalla sopravvivenza dei lettori. Penso, dunque che questa iniziativa di sottrarsi alle regole e alal schiavitu’ del mercato, di rivolgersi ai lettori e non ai consumatori, sia importante e meritevole di essere incoraggiata in modo concreto.
que le vaya bien entonces!!
in effetti, Andrea, ci si autoproduce da un po’ – persino prima di internet. al momento un po’ tutte le riviste “underground” lo fanno – una per tutte: la rivista patinata, bella, e produttivamente costosa del collettivomensa.
ora, nel 2010, a questo punto, la speranza di molti è che l’ePub porti una ventata di freschezza, bypassando le questioni distributive – che, i più attenti lo sanno bene, sono il vero problema. fare, produrre, libri non è l’attività più costosa in circolazione, non necessita di investimenti straordinari. il problema è venderli, i libri. farli conoscere, farli toccare. Simone, che ha venduto 500 copie del suo libro, o il collettivomensa, che viaggia su numeri simili, si sbattono assai, in proprio, girano, comunicano. molto più di tanti editori.
ben venga Murene, e ben venga ogni “autoproduzione”. ma andrebbe pensato un piano distributivo comune, un modo per stare insieme, tra realtà diverse ma simili.
ovvero: la logica delle autoproduzioni non dovrebbe ricalcare quelle dell’editoria tradizionale [= coltivare un orto più grande del proprio].
e-
“Il lettore che voglia “far la morale” è poi disposto, lui per primo, a cambiare alcune abitudini, a compiere qualche sacrificio?”
da lettore, questo mi sembra il punto più importante. e, per abitudini, intenderei anche quelle estetico-conoscitive oltre ovviamente al piano (che poi è corradicale) commerciale. forse si ritiene che a cambiare le letterature (etc) siano i soli scrittori, in punta di trespolo e penna; e non ci si accorge che un’incidenza non secondaria può averla invece anche il cosiddetto orizzonte d’attesa, il quale viene quasi sempre introiettato da chi scrive, e che quindi non può pretendere responsabilità senza al contempo assumersene. tanti Vespa in meno, tante scollature in meno insomma.
gli 87 di Murene, probabilmente, l’hanno certo capito, ma a me paiono ancora pochini, se penso all’auditorio di NI e a quanti – spessissimo, nei thread – stanno a lamentarsi del qui e ora o a lanciare pirgopolinicesche ricette di rivoluzione.
non facciamo fallire quest’iniziativa, insomma. parliamo dopo.
il “problema” è la qualita estetica del libro, il resto sono quisquillie. Cio’ che conta è l’opera. Il problema è la circolazione delle opere di qualità oltre la lingua, oltre la nazione. Ci sono tantissime opere di poesie, di saggi, racconti, romanzi di elevata e riconosciuta qualità che non vengono tradotte perchè le case editrici temono di non vendere. Questo potrebbe essere un banco di prova, un’azione che potrebbe davvero mettere in difficoltà il mercato ufficiale. E’ evidente che all’autore debbano essere riconosciuti i diritti e al traduttore il compenso per il suo lavoro. Ma è anche evidente che i costi sarebebro relativamente piu’ contenuti ed il numero minimo di copie da vendere per coprire i costi inferiore.
Ci sono dei romanzi considerati tra i migliori della narrativa ispanoamericana degli ultimi 25 anni, che non sono stati mai tradotti. Ci sono poeti di elevata staura qui sconsociuti.
Mettiamo che si stabiliscano dei “ponti” tra l’intellettuale francese di cui parla inglese e il gruppo di nazione indiana (tra i cui i traduttori e icritici: massim orizzante, franco buffoni forlani, spaziani che vedo conosce ilk tedesco e tanto altri a me sconosciuti) e si mette in atto uno scambio di autori francesi, o spagnoli, o tedeschi, o slavi, o giapponesi) con autori italiani non tradotti.
si creerebbe una rete di autori di qualità, una circolazione di idee, insomam io ci penserei
sì, Carmelo, ed è proprio la qualità – visti i tragitti, consci o meno, che la vocazione di un autore può intraprendere relativamente al mercato editoriale e ai suoi standard – che necessariamente deve riguardare (e di fatto riguarda) l’assunzione di responsabilità anche e innanzitutto da parte dei lettori (non ragiono, o non vorrei, in termini di pubblico. appunto).
http://slowforward.wordpress.com/2010/09/08/9punti/
io mi sono autoproclamato scrittore alcuni anni fa. ho anche deciso che essendo uno scrittore sono altri che – vedendo in me un buon prodotto – devono chiedermi di pubblicare. io poi decido se pubblico o no. fino a oggi nessuno mi ha chiesto di pubblicare. allora ho capito che pubblicare è sbagliato, infatti quando pubblichi cominci a farcela e quindi perdi la creatività. io grazie al fatto che non pubblico ho ancora tanta creatività e continuerò a scrivere dei capolavori come ho fatto fino a oggi
In campo musicale l’autoproduzione e’ una realta’ ormai trentennale. Non e’ mai morta perche’ funziona, soprattutto in certi settori: punk, hardcore, crust, roba simile. Una band riesce a vendere tranquillamente 1000 copie di un disco tramite i distributori indipendenti, appassionati che girano per concerti con le loro bancarelle o che vendono per corrispondenza via internet. Con il mio gruppo sono riuscito a vendere piu’ di 5000 copie di un disco, dell’ultimo siamo gia’ a 3800. Cinque anni fa scrissi anche un libro, lo stampai in 500 copie, affidandomi a loro per la distribuzione. In solo sei mesi era esaurito. Con un po’ di organizzazione, la creazione di un circuito distributivo dedicato, si riuscirebbe ad andare ben al di la’ delle piu’ rosee previsioni. Di questo sono sicuro.
La strada e’ coraggiosa ed e’ stata percorsa costantemente nel web, gia’ ai tempi delle prime newsletter e dei gruppi di discussione (ricordo it.arti.scrivere e it.arti.poesia con gente che si autostampava anche dopo essere stata pubblicata mainstream). Che ora diventi una forma di capitalismo individuale e’ anche una contingenza storica, quella del mercato di massa nel quale le piccolissime nicchie hanno maggiori prospettive dell’offerta omogeneizzata ma priva di battage pubblicitario, battage che e’ cio’ che dirime chi sopravvive a parita’ di prodotto (si vedano, al contrario, i fenomeni hard discount e anche quello dei medicinali biocompatibli che tentativamente erodono quote dai brand, a parita’ di prodotto e senza battage).
Il problema e’ che il timbro “qualita’”, specie in ambiti estetici, non lo rilascia nessuno e che bene o male i discorsi artistici portati avanti dai vari gruppi, quando consapevoli e ben organizzati come voi, sono rivolti ad un piccolissima nicchia di iniziati e affini. Io per esempio non mi abbono a Murene perche’ sostanzialmente trovo noiosissimi gli autori coinvolti e presentati, pur avendo rispetto per la “fratellanza militante”, cosi’ come ho smesso di abbonarmi ad Atelier e cosi’ come sostanzialmente ignoro la produzione delle edizioni di Ansuini (che prendo a riferimento anche qui come portatore di un modo pauperistico in teoria migliore, rispetto al turbocapitalismo, ma esteticamente tutto da verificare esattamente come quell’altro). Mi piaceva qualcuno dei Millelire di Baraghini, libretti bianchi e neri in carta pessima che pero’ valevano il mesetto prima della scadenza, ma l’impresa falli’.
Non mi sento in colpa per il fatto di non sostenere la “fratellanza” perche’ non c’e’ legame reale tra chi svolge la stessa attivita’. E a mio parere nemmeno dovrebbe esserci, essendo questo un ambito estetico prima che sociale. Non c’e’ legame perche’ non faccio di questa attivita’ un mestiere e, mi pare, non la facciate nemmeno voi di nazione indiana, che siete in maggioranza retribuiti in altro modo.
Inoltre e a puntellare l’impossibilita’ del mestiere e’ ancora diffusissimo in Italia il malcostume del chiedere lavoro di livello professionale a gratis (un contributo saggistico, una traduzione, una lettura tecnica), come se l’impegno militante bastasse a se stesso e non dovesse comprare pane. Ad un certo punto, imparare molto bene un linguaggio di programmazione universale come il C++ e’ molto piu’ remunerativo e soddisfacente del lavorare per la gloria, per i complimentucci e le buone parole degli altri dilettanti (e dei furbetti) di questo settore.
Insomma la strada e’ praticabile ma a grandissimo rischio di solitudine e di un altro tipo di omogeneizzazione, quello dei senza voce, degli scriventi che alla fine pubblicano a pagamento o si autostampano. Discorso che per la poesia avrebbe un senso ma che, nel mare magnum delle cose da fare e da pensare e da guardare, non ha speranze di filtrare nemmeno tra gli iniziati.
Io credo siano sbagliati sia l’approccio con cui Andrea affronta il dibattito in atto, sia il tono dei suoi giudizi verso coloro che chiederebbero il “boicottaggio” di Mondadori.
Primo. Perchè “il dibattito NON ruota sull’opportunità o no di boicottare da parte di scrittori ad essa affiliati la casa editrice Mondadori.”
Boicottare una azienda significa non comprare prodotti di quella azienda e fare una compagna di convincimento affinchè altri cittadini consumatori decidano liberamente di non comprare prodotti di quell’azienda.
Boicottare non significa “non scrivere per”. A meno che si voglia dire che gli autori Mondadori o Einaudi stiano boicottando RCS, Feltrinelli e tutte le altre case editrici.
Il dibattito verte su altro: sull’opportunità o meno di scrivere per Mondadori/Einaudi da parte di chi crede la sua proprietà si contraddistingua
-per aver commesso atti delittuosi gravi in vari settori finanziari e mediatici italiani (compreso quello editoriale, come nel caso dell’acquisto dello stesso gruppo editoriale)
– per essere organico a un potere economico-mediatico-politico in palese conflitto di interessi, che si delinea come un abuso di potere del tutto inedito in una democrazia occidentale, tale da connotarsi come un regime politico illiberale e antidemocratico.
Non esistono altre proprietà editoriali che si contraddistinguano per questi due dati distintivi.
Secondo. “Se si parla di boicottaggio, si parla di una campagna politica.”
No, si parla di una campagna economica, che ha dei risvolti politici. “Un boicottaggio, per avere senso, deve darsi degli obiettivi pratici”, certo, che sono primariamente economici.
Non comprare Mondadori/Einaudi, se diventasse un comportamento diffuso (parlo di pochi punti percentuali da parte di lettori/consumatori di Mondadori/Einaudi, non di decine di punti percentuali) provocherebbe la sparizione di fette di mercato di quell’azienda. Il passaggio di autori di bestsellers da Mondadori/Einaudi ad altre aziende è una condizione favorente il boicottaggio (ma non intrinsecamente necessaria al realizzarsi del boicottaggio).
Gli obiettivi diventano, di riflesso, politici nel momento in cui il boicottaggio evidenzia che la sua ragione risiede nel conflitto di interessi – ovvero nelle leggi ad aziendam – che il governo presieduto dal proprietario di Mondadori continua ad avere.
Terzo. Credo sbagli Andrea a scrivere che “gli scopi verosimili, plausibili, di una campagna per il boicottaggio [l’abbandono, non il boicottaggio] della Mondadori propugnata da autori che, fino a ieri, erano nel suo catalogo” ossia “l’indebolimento (magari il crack) dell’impero economico di Berlusconi”.
Perchè non è in atto alcuna campagna di boicottaggio. Alcuni autori sono usciti da Mondadori/Einaudi poiché gli erano stati rifiutati dei libri. Altri come Mancuso per questioni etiche, che non si pongono obiettivi economici né politici.
Andrea inoltre, come del resto tutti quelli che non vogliono fare battaglie contro Mondadori/Einaudi, trascura l’effetto mediatico che una vera campagna di abbandono della casa editrice da parte dei suoi autori di spicco, e di un boicottaggio dei prodotti Mondadori/Einaudi (in parte conseguente all’abbandono degli autori: se vanno via gli autori che tirano, non è detto se ne trovino subito altri)avrebbe su Mondadori/Einaudi: “il rendere Berlusconi un po’ meno ricco, non sembra un obiettivo politico, a meno di immaginare che le pressioni esercitate dalla campagna di boicottaggio su una delle sue aziende non lo inducano ad abbandonare il governo o a cambiare politica. Tattica alquanto tortuosa e, date le circostanze, poco realistica nei suoi esiti.”
La tattica sarebbe al contrario molto lineare e gli esiti pressoché scontati. Se un gruppo consistente (non tutti e neanche la metà) di autori di spicco se ne andasse da Mondadori/Einaudi con una conferenza stampa, il lancio di una appello pubblico ai lettori e ai politici, la questione politica scoppierebbe. Ci sarebbero decine di dibattiti in tivù, ci sarebbero anche controcampagne dei servi di Berlusconi, che amplificherebbero per molto tempo la questione, che sarebbe quindi su tutti i media nei primi punti dell’ordine del giorno.
I politici dell’opposizione sarebbero messi sotto accusa per non aver fatto niente contro il conflitto di interessi e sarebbero costretti a mantenere un atteggiamento meno dialogante con Berlusconi: alcuni di loro, i soliti utili idioti, criticherebbero la campagna, ma molti di loro capirebbero di perdere consensi opponendovisi, e alcuni di loro la sosterrebbero in modo convinto. Molti altri autori, e non solo: artisti, attori, giornalisti, si unirebbero alla campagna. Avremmo insomma finalmente la rivolta visibile di una parte degli intellettuali al regime – con un’altra parte invece che continuerebbe come prima: la parte che ha permesso 16 anni di berlusconismo (non importa se al governo o all’opposizione).
L’effetto politico, innanzitutto sul ceto politico di centrosinistra, e l’effetto sulla società civile sarebbe enorme, specie se quel gruppo di intellettuali continuasse a esporsi pubblicamente con articoli, libri e presenze in tivù.
– CONTINUA –
Concordo con enpi e Carlo Canella. Ben felice che anche gli autori mainstream si stiano rivolgendo all’autoproduzione ma il problema resta sempre il creare una filiera distributiva alternativa. Un altro problema sono le aspettative. In italia non legge nessuno, altro che boicottaggi alla mondadori, qui è il popolo italiano che boicotta la letteratura per guardare la televisione o giocare alla playstation. Lecito per carità, ma così è. Quindi l’aspettativa di “vendere” bisogna metterla in un cassetto, prima si deve coltivare il terreno. Si parte sconfitti in partenza in pratica, una volta entrati nell’ottica ci si sente meglio. Come sottolinea Giusco per la poesia la strada è assolutamente praticabile, io la pratico, e dopo anni d’esperienza adesso la do via gratis. (eheh) Tanto di poesia non ci si campa, quindi non c’è niente da perdere. E vi dico che anche se metti in mano a una persona fisicamente un bel prodotto, e glielo dai gratis, non è detto che lo legga. Fa niente. Io continuo a darglielo. Un tempo li cucivo i libri, a mano, e visto che chiedeva tempo e mi costava anche qualcosa (i fogli, la copertina, la stampa, etc) chiedevo un paio d’euri o un’offerta libera. (principalmente ai readings o ai festival) Oggi ho un nuovo formato molto più economico (un solo foglio a 4 accuratamente piegato) e quindi posso regalarlo. Lo scopo non è vendere bensì diffondere, ed ha un carattere performativo visto che i libri vanno lasciati in strada, e quando dico strada intendo autobus, stazioni, panchine, bar, parruchieri e così via. Poi chi vivrà vedrà, Un po’ di numeri se vi interessano, parlo solo della mia esperienza (ce ne sono anche altre) Libri cuciti a mano, dal 2002, circa tremila. (quelli dove chiedevo l’offerta libera) Libri che do gratis, da marzo, sono già a 2500 circa. Questo per rimarcare, come diceva Carlo, che le esperienze indipendenti funzionano, possono funzionare, ma non sono collegate.
io addirittura qualche anno fa feci finta che una stanza che avevo in casa era una libreria. feci una specie di bancone dove misi tutti i libri che avevo. allora entravo in quella libreria e chiedevo se c’era il mio libro. però facevo dire al commesso (sempre io) di no, perché così era più realistico
io addirittura immondizie riunite me lo/la sposerei.
– CONTINUA –
La campagna che potrebbero fare gli autori fuoriusciti da Mondadori/Einaudi porterebbe in tivù, ossia alla coscienza civile, temi di cui solo piccoli strati della società discute:
– i nodi giudiziari che riguardano l’acquisto di Mondadori/Einaudi, e la questione delle tasse
– la solo presunta “liberalità” della casa editrice, viste le non pubblicazioni di Saramago, Belpoliti, Cordelli e non ricordo chi
– il quasi monopolio di cui gode Mondadori
– le leggi ad aziendam nel campo editoriale, comprese quelle in ambito scolastico
Sono tutte questioni che, una volta raggiunta la tivù, scoppierebbero a livello popolare. Non sarà più facile per Veltroni pubblicare per Mondadori. E non sarà facile per i politici di centrosinistra opporsi a un gruppo di intellettuali, che vedrebbe senz’altro l’appoggio di parte dei giornalisti di Repubblica/Espresso/Micromega e de Il fatto, che finora pur avendo sfiorato questi temi, si troverebbero a dover prendere posizione in modo chiaro e non c’è dubbio che questo non crei anche al loro interno divisioni. Per non parlare dell’effetto che questo avrebbe su altri autori di Mondadori/Einaudi che prima non si ponevano il problema.
Si svulupperebbe una resistenza personale fatta di gesti concreti che coinvolgono la persona, la vita stessa dell’intellettuale, non solo la sua parola scritta – magari su fogli pagati da Berlusconi.
Non si tratta quindi, come scrive Andrea, di una “campagna moralizzatrice” fatta di gesti esemplari”: questo è quello che ha fatto Mancuso – e pochi altri. Chi ha cambiato casacca per il rifiuto di un suo libro, poi, di certo non sta facendo alcuna campagna moralizzatrice.
Mi chiedo, peraltro, come possa un autore antiberlusconiano, convinto dell’assoluta “liberalità” dei redattori Einaudi, aspettare che venga il suo turno di “censura”prima di decidersi a cambiare editore: non contano niente per lui gli ormai non pochi casi di “censura” già avvenuti?
(Scrivo “censura” tra virgolette perché secondo me è un termine improprio in questi casi: un editore non ha il dovere di pubblicare ogni libro di un suo autore, tanto meno quelli che danno giudizi negativi sulla proprietà. E tuttavia gli autori Mondadori che hanno avuto un rifiuto parlano di censura, per lo più, quindi richiamo il termine.)
, che hanno valore in sé, in quanto testimoniano di un’opposizione intransigente, capace di giungere sino al sacrificio di vantaggi materiali. Qui sembra che il nemico non sia più Berlusconi, ma “il berlusconismo”, ossia il lato Berlusconi di ognuno di noi. Il significato di una campagna moralizzatrice è grosso modo questo: se Berlusconi ha vinto è perché tutti noi (elettori o meno di Berlusconi) abbiamo ceduto al “berlusconismo”. Qui siamo passati, però, dalla battaglia politica (non fare rieleggere Berlusconi, bloccare i provvedimenti del suo governo) a una battaglia culturale (cacciare fuori dalla nostra pelle e dalle nostre menti il “berlusconismo”). Ma che cos’è questo “berlusconismo”? Non è la forma propriamente italiana, quella più aggiornata, della mercificazione sempre più estesa della vita che tutti i paesi del capitalismo avanzato conoscono? O meglio, il “berlusconismo” non è che uno dei nomi di questa cultura da tutti condivisa – una volta si diceva “ideologia dominante” – in quanto essa, nonostante le differenze negli stili di vita, ha permeato la nostra formazione o il nostro invecchiamento sociale sia a destra che a sinistra. Non siamo tutti quanti a bagno nella merce, sia essa solida o digitale, in forma di beni o di servizi? Così va il nostro mondo, nell’epoca in cui siamo venuti al mondo. E questo non significa certo né che questa cultura del tardo capitalismo sia l’unica cultura di riferimento né che sia impossibile, per noi che vi siamo nati in mezzo, sottoporla a critica anche radicale.
Dove poi il discorso di Andrea si fa più insidioso è quando distingue tra lotta a Berlusconi e lotta al berlusconismo. Perchè con il suo ragionamento arriva a dire che non va combattutto Berlusconi ma il berlusconismo, e quindi la mercificazione del mercato. Ma con questo Andrea rinuncia alla battaglia, tutta attuale, contro il regime berlusconiano per proporre una battaglia all’intero sistema capitalistico. Eppure, la prima è una battaglia a medio-breve termine, che potrebbe avere effetti immediati, e che andrebbe nello stesso senso della seconda: è controproducente rinunciarvi. La seconda è una battaglia di medio-lungo termine dagli effetti immediati ridotti. Non si capisce quindi perché rinunciare alla prima per la seconda.
Scive Andrea: “il significato di una campagna moralizzatrice [mediatica e poltica, cioè civile, non moralizzatrice] è grosso modo questo: se Berlusconi ha vinto è perché tutti noi (elettori o meno di Berlusconi) abbiamo ceduto al “berlusconismo”. Qui siamo passati, però, dalla battaglia politica (non fare rieleggere Berlusconi, bloccare i provvedimenti del suo governo) a una battaglia culturale (cacciare fuori dalla nostra pelle e dalle nostre menti il “berlusconismo”).”
Tutto giusto: solo che Andrea, non comprendendo gli effetti mediatici e politici di una campagna contro Berlusconi non di tipo moralizzatrice, considera la battaglia culturale alternativa a quella politica.
Nel giudicare poi la battaglia culturale, Andrea afferma che “mollti scrittori, intervenuti nel dibattito in corso, si sono mostrati convinti, pur in maniera diversa, che boicottare la Mondadori non è un passo decisivo”.
Questi autori evidentemente non si rendono conto di quanto una vera campagna di abbandono di Mondadori, specie se unita a un appello al boicottaggio, avrebbe effetto a livello mediatico-politico ed economico sul mercato editoriale. Di certo grazie a loro non si combatterà mai il monopolio editoriale Mondadori.
L’argomento che Andrea ritiene più sensato, quello secondo cui l’abbandono di Mondadori accelererebbe un processo di omogeneità ideologico-culturale forse già avviato ai vertici dell’azienda, è un paradosso: si sostiene che lavorare per Berlusconi sia l’unico modo per combattere Berlusconi e il berlusconismo, ossia il pensiero che l’Italia appartenga a Berlusconi.
Andrea passa poi, come se fosse una deduzione conseguente, a sostenere che “boicottare l’editoria capitalista sarebbe un passo decisivo in questo senso, dedicandosi interamente a forme di editoria digitale autoprodotta e finanziata da lettori altrettanto impegnati in tale boicottaggio.”
Ora, io dico subito che mi abbono a MURENE, che sostengo la pratica dell’autoproduzione come gesto in sè e come gesto utopico anticapitalista, ma non condivido gli argomenti con cui Andrea è arrivato a sostenere questo sistema produttivo alternativo al capitalismo.
Credo infatti che se si vuole percorrere il sentiero dei cento passi si debba iniziare facendo il primo: combattere le degenerazioni del capitalismo, ossia i monopoli e i conflitti di interessi, con le armi che il capitalismo ci mette a disposizione in quanto produttori e consumatori: l’abbandono dei monopoli da parte di chi vi lavora e può permetterselo, il boicottaggio dei monopoli, per quanto ogni consumatore può permettersi.
caro lorenzo (Galbiati),
sono talmente numerosi i punti su cui sollevi obiezioni, che per risponderti dovrei riscrivere un saggio, per altro sostenendo le stesse posizioni da me espresse qui; e sono convinto che non servirebbe a respingere le tue obiezioni; mi limiterò quindi a discutere due punti.
Il primo. tu scrivi:
“Dove poi il discorso di Andrea si fa più insidioso è quando distingue tra lotta a Berlusconi e lotta al berlusconismo. Perchè con il suo ragionamento arriva a dire che non va combattutto Berlusconi ma il berlusconismo, e quindi la mercificazione del mercato. Ma con questo Andrea rinuncia alla battaglia, tutta attuale, contro il regime berlusconiano per proporre una battaglia all’intero sistema capitalistico.”
Questa come altre obiezioni sono basate su un malinteso senz’altro involontario, ma palese di quanto scrivo. Io distinguo due tipi di battaglie. Una battaglia politica contro Berlusconi, come uomo innanzitutto politico. E non dico in nessun punto che questa non è una battaglia da fare. Ma è una battaglia che va fatta su fronti politici, con obiettivi e mezzi chiari: VEDI LA LOTTA CONTRO la RIFORMA della SCUOLA. Dico inoltre che esistono altre battaglie oltre quelle politiche contro l’attuale governo. E sono battaglie di tipo culturale, e che chiamo battaglie moralizzatrici nel senso proprio del termine. E dico che molti motivi confluiti nella discussione sulla Mondadori appartengono in realtà a questa battaglia. E si tratta di motivi di carattere anticapitalistico. Infatti, benché Lorenzo Galbiati, come molti altri italiani abbia lo sguardo ipnotizzato da Berlusconi, monopolio e conflitto d’interessi sono il pane quotidiano del funzionamento del capitalismo in tutto il mondo, a partire dagli Stati Uniti, superpotenza che ospita alcune delle più grandi multinazionali del capitalismo mondiale. Consiglio quindi a Galbiati di leggersi la vasta oroduzione intorno alle più recenti crisi della finanzia mondiale, per rendersi conto di questo. Basterebbe partire dal caso Enron, del 2001.
Questo per il primo punto.
non c’entra niente berlusconi, non c’entra niente il berlusconismo, non c’entra niente il capitalismo. Proviamo una volta ad essere pragmatici, ad essere cioe’ un po’ inglesi o magari tedeschi, evitando ogni: retorica;
e’ stato comemsso un reato penale, che danneggia lo stato (minori entrate fiscali), la società (uso privato delle istituzioni) il mercato (concorrenza sleale)
Di fronte a questo reato i primi a dover protestare dovrebebro essere i politici e i cittadini;
Essendo colpevoli di questo reato una società editoriale ed il suo padrone, gli scrittori possono:
1): restare indifferenti
2 a): se interpellati spiegare i motivi del tutto personali che li inducono a restare
2 b) giustificare politicamente la loro scelta di restare
3): ritenere che la misura è colma, che la storia non finirà e decidere che non in quanto scrittori ma in quanto cittadini la loro permanenza è incompatibile con le loro convinzion ietiche e politiche e andarsene;
i lettori avranno la possibilità di ammirare o stigmatizzare gli scrittori in quanto cittadini, ma cio’ non dovrebbe cambaire il loro giudizio sulle opere
Quello che a me fa incazzare se mi è permesso è che qualcuno senta il bisogno di fornire un alibi politico a chi resta, di elaborare un teorema politico per giustificare chi resta. Gli episodi di censura qui segnalati sono avvenuti nella totale indifferenza di tutti.
Non c’e’ nessun motivo politico per restare, nè c’e’ nessuna condanna politica per chi resta.
Tutti i teoremi che ho fin qui letto sono pretestuosi, retorici e assolutori.
giuro che non apriro’ piu’ bocca
Secondo punto, in risposta a quanto scritto da Lorenzo Galbiati:
“La tattica sarebbe al contrario molto lineare e gli esiti pressoché scontati. Se un gruppo consistente (non tutti e neanche la metà) di autori di spicco se ne andasse da Mondadori/Einaudi con una conferenza stampa, il lancio di una appello pubblico ai lettori e ai politici, la questione politica scoppierebbe.”
Poi Lorenzo prosegue descrivendo l’effetto domino che un tale boicottaggio avrebbe.
Vedo che su questo Lorenzo hai incrollabili convinzioni. In tutta franchezza mi sembra questo un tipico caso di sopravvalutazione del ruolo degli scrittori e intellettuali nell’odierna società. Ma il punto centrale della questione è che il caso “politico” è scoppiato da mo’, scoppia ad ogni nuovo governo Berlusconi, e da decenni alcuni quotidiani nazionali dicono tutto quanto hanno da dire sul conflitto d’interessi e l’illiberalità del governo Berlusconi. Quale sarebbe dunque questa occulta verità che solo i bestsellers migranti da Mondadori a Rizzoli e Feltrinelli rivelerebbero all’opinione pubblica italiana, riuscendo pure nel miracolo – che tu prevedi – di smuovere il PD dalla sua inerzia?
Qui evidentemente almeno ci capiamo. Tu davvero ritieni che il rifiuto degli autori mondadori a stare in mondadori sia la mossa decisiva per fare “scoppiare la questione politica”, ossia per indebolire in modo vincente il governo berlusconi. Io invece ritengo che una tale mossa non sarebbe decisiva politicamente. Decisivi sono i fronti politici aperti sulle leggi del gverno e decisivi sono gli italiani quando vanno alle urne. L’essenziale di quanto c’è sa sapere su Berlusconi oggi gli italiani sono in grado di saperlo.
“decisivi sono gli italiani quando vanno alle urne”
caro andrea, la storia smentisce la tua affermazione purtroppo (spero che non sia cosi’ per il futuro) il che induce a riflettere sullo scenario western cosi’ ben illustrato da pecoraro, e induce a riflettere sulle categorie che usiamo (che tutti i cittadini del resto del mondo usano) per analizzare, valutare e capire quello che succede in questo paese.
Il post e la discussione sembrano il trattato di Lisbona: era stata scritta una convenzione, chiarissima, ma si accorsero che conteneva la verità, che non sarebbe stata digerita dai vari popoli; allora scrissero il trattato di Lisbona, che è la convenzione in forma incomprensibile, in modo che i popoli la votino senza fare tante storie.
Segnalo appena che la nobile pratica dell’autoproduzione è quanto da anni avviene nel teatro e nella musica, ma non funziona, dato che il mercato non è il luogo dove si stabilisce la qualità del prodotto, ma il luogo dove si da’ la patente di artisticità.
In effetti la “clandestinità” è cosa altra a ‘o sistema editoriale. Per questo servirebbe una filiera distributiva alternativa, ma, anche da mia esperienza, è di difficile attuazione. Per fortuna queste cellule nascono per autogestirsi, quindi nel micro vivono lo stesso. E’ l’accesso al macro il problema, se problema vero è. A me non interessa per dire.
a carmelo
“Quello che a me fa incazzare se mi è permesso è che qualcuno senta il bisogno di fornire un alibi politico a chi resta, di elaborare un teorema politico per giustificare chi resta.”
Per intenderci, tu credi che la riflessione che ho fatto sia uno “dei teoremi politici per giustificare chi resta”?
In quanto cittadino, prima che scrittore, credo che Berlusconi sia estremamente nocivo per il bene pubblico, e che vada combattuto politicamente. In quanto scrittore, penso che l’ostacolo maggiore all’emergere di un’opera sia la mancanza di autonomia, in quanto l’opera letteraria degna di questo nome è almeno portatrice di questo. In quanto scrittore l’autonomia è minacciata da molti fattori. E oggi in Italia la minaccia nei confronti dell’autonomia di uno scrittore non si chiama per forza solo Monandori o Berlusconi: ma introiezione di alcuni standard “formali”, di alcune urgenze, di alcune paure, che assorbiamo a contatto con l’ideologia dominante, che qui possiamo chiamare berlusconismo, ma che in Francia, negli Usa, in Germania avrà un altro nome, e sarà in ogni caso legata all’ideologia capitalista.
Andrea, quello di cui io sono certo sono
– l’effetto mediatico che si otterrebbe dall’uscita di Mondadori di autori di spicco, dal lancio di un appello rivolto a giornalisti e scrittori, dalla conferenza stampa che darebbero alcuni di loro (metti i più noti: Saviano, Lucarelli, giornalisti televisivi come Augias e altri), se queste azioni sono realizzate sapendo come gestire la dinamica di comunicazione dei media
(conferenza stampa e appelli sulla stampa concordati con giornalisti amici magari del gruppo Repubblica, contenuto della conferenza volto a colpire anche quotidiani e politici di sinistra; e dopo: articoli per quotidiani, petizione online, chiamata in causa dei giornalisti , di altri scrittori e di altri gruppi editoriali; e poi: presenza in tivù dei promotori e da capo…).
-l’effetto politico conseguente. Ma non ho detto che questo farebbe crollare il governo. Ho detto anzi che questo effetto politico si sentirebbe soprattutto sul mondo giornalistico-editoriale di sinistra e su quello dei partiti di centro-sinistra, non solo sul PD. Credo che questo effetto possa contribuire alla rinascita della sinistra – non credo sia DECISIVO per la rinascita della sinistra – e alla costruzione di un pensiero deberlusconizzato.
Non credo di sopravvalutare gli intellettuali, il mio ragionamento varrebbe anche se al loro posto ci fossero altri soggetti popolari, ossia con visibilità sui media, soprattutto la tivù.
– l’effetto economico: sono certo che ci sarebbe, non che sarebbe così forte come prevede Ostuni nei commenti all’intervento di Cortellessa (lui prevede un effetto domino, io no)
Insomma, se i politici, specie quelli del PD, non han saputo far altro che continuare a essere pappa e ciccia con Berlusconi e le sue aziende, io mi auguro che gli intellettuali facciano la loro parte.
Dopo 16 anni di governo guidato personalmente, o tramite terzi, da Berlusconi, dopo la berlusconizzazione totale dell’Italia, credo che sarebbe ora di dar vita a una vera resistenza, chiara, visibile, fatta di gesti e non di dibattiti fini a se stessi.
In conclusione,
credo che gli storici, in futuro, considererenno emblema della RESA totale a Berlusconi, e soprattutto al berlusconismo, proprio i discorsi degli intellettuali quali quello della “lotta dall’interno”
(fatta con argomenti deliranti quali quelli di evitare di farsi “ossessionare della purezza”, “rimanere nella contraddizione perché non si vuol essere anime belle che si mettono a posto la coscienza” e altri che sfumano nel demenziale involontario).
Non c’è nulla, secondo me, di più emblematico della RESA al berlusconismo, nell’Italia sempre più di proprietà di Berlusconi, dell’argomento secondo cui il miglior modo per combattere Berlusconi e il berlusconismo sia lavorare per Berlusconi – perchè si tratta di una resa mentale, oltre che materiale.
@ Carmelo
forse è stato commesso un reato penale, per adesso sappiamo che i due gradi di giudizio li aveva vinti e nonostante ciò ha pagato, dunque per adesso le entrate fiscali sono addirittura maggiori, se vogliamo stare alle leggi vigenti.
@ Andrea Inglese
Onestamente non capisco quale sia il problema. Se si parte dai dubbi di Mancuso si arriva al nulla, perché i suoi dubbi sono una sua debolezza e basta, non sono rivelatori di altro. I molti scrittori che hanno detto perché rimangono dovrebbero bastare, ma ci si poteva fermare all’articolo di Scalfari http://www.repubblica.it/politica/2010/08/25/news/gli_scrittori_i_libri_e_il_conflitto_d_interesse-6493004/?ref=HREA-1
poi se uno non vuole capire amen. L’autoproduzione che cos’è, pagarsi da solo le cose che grazie alla possibilità di guadagno pagherebbero altri soggetti? è una conquista?
@ Carlo Cannella, spero mi legga, sarei curioso di sapere come si chiama il suo gruppo e chi distribuisce i suoi dischi
Io sono abbonato a Carta, da due anni, il prossimo abbonamento lo farò per il pdf on-line, secondo me avrebbero dovuto fare il passo di pubblicare solo sul web.
Berlusconi si combatte alle urne, e in parlamento, oppure ci pensa la magistratura se commette dei reati; il berlusconismo è un fatto culturale, con meno persone si comunicano le proprie idee, meno si può sperare che passino. L’autonomia dell’autore è pura mitologia, e l’autoproduzione che libertà ti dà, smettiamola con questa illazione continua per cui il mercato toglie fantasia e appiattisce il linguaggio, la bibliodiversità! La dodecafonia è stato uno dei momenti musicali più densi di ricerca e sperimentazione, quanti ascoltano Schoenberg?
a Lorenzo, (ma anche Liguori, Ansuini, Calella)
io non sono un autore mondadori ed enaudi; sinceramente sarebbe facile fare la morale agli altri; in realtà ho preso per buone alcune cose dette in questi giorni da alcuni autori, che rimangono in Mondadori; inutile dire, che ci sono anche argomenti meno convincenti, o addirittura “toni”, “stili” non convincenti; ma questo a me interessa secondariamente; mi sembra soltanto che la fuoriuscita o meno da Mondadri, attualmente, non possa essere di per sé, da sola, la “prova cruciale” dell’opportunismo o della docilità politica di scrittori e intellettuali nei confronti della politica di Berlusconi.
Quanto al berlusconismo, così come l’ho definito – forma italiana dell’ideologia dominante: priorità del mercato, della visibilità, del consenso, del profitto, ecc. – nessuno ne è veramente illeso, e i modi per reagire ad esso, le risorse per farlo, sono molto diverse anche tra coloro che si proclamano scrittori di sinistra.
Infine. Quale potrebbe essere un prova cruciale dell’anti-berlusconismo di scrittori popolari e celebri….
(continua)
Infine. Una prova cruciale dell’anti-berlusconismo di scrittori popolari e celebri potrebbe essere rischiare forme di autoproduzione. Per chi è “piccolo”, come i poeti, i gruppi undreground, l’autoproduzione è una scelta in qualche modo obbligata; sarebbe interessante sperimentarla nel momento in cui si è grande.
a ?
“Berlusconi si combatte alle urne, e in parlamento, oppure ci pensa la magistratura se commette dei reati; il berlusconismo è un fatto culturale, con meno persone si comunicano le proprie idee, meno si può sperare che passino.”
Perfettamente d’accordo (tranne sulla sintassi).
“L’autonomia dell’autore è pura mitologia, e l’autoproduzione che libertà ti dà, smettiamola con questa illazione continua per cui il mercato toglie fantasia e appiattisce il linguaggio, la bibliodiversità!”
Perfettamente in disaccordo. Brano perfetto di ideologia dominante.
“La dodecafonia è stato uno dei momenti musicali più densi di ricerca e sperimentazione, quanti ascoltano Schoenberg?”
Perché me lo chiedi? Se hai letto il pezzo qui sopra, la tua domanda è superflua.
@ Inglese
grazie per la risposta, adesso devo uscire, però vorrei tornare a scriverti.
Caro Andrea,
prima preciso: io ho il vizio di intervenire più che altro per fare fare aggiunte, obiezioni o critiche ad articoli che mi interessano. Trovo poco gusto nel dire solo di essere d’accordo o nel fare complimenti. Tuttavia ogni tanto, se non spesso, imparo qualcosa qui su NI, sono colpito da alcuni ragionamenti o dal talento letterario, e in quel caso lo dico.
Qui, in questo post, io ho tralasciato di dire quanto sia d’accordo con la linea di pensiero anticapitalistico con cui sei passato dalla critica al sistema alla proposta dell’autoproduzione. Ho tralasciato, più che di dirlo, di evidenziarlo, perché tengo al discorso sull’agire di scrittori e intellettuali contro il regime/monopolio berlusconiano e trovo che in questo articolo, che riporta argomenti fatti da altri sulla questione, sia poco compreso ciò che alcuni di noi propongono, chiedono agli autori – che non è per esempio un “lamento”, come dici, una richiesta fatta da chi chiede sacrifici ad altri senza farne di propri: è un interrogare, un chiedere conto del perchè non si prendono in considerazione certe forme di lotta, ed è anche un chiedere conto dei risultati che crede di aver ottenuto in questi anni chi propugna attivamente la cosiddetta “lotta dall’interno”.
Inoltre credo non si considerino con la dovuta apertura di pensiero gli effetti politici che avrebbe l’abbandono di Mondadori/Einaudi con una precisa strategia mediatico-politica e quelli economici che avrebbe il boicottaggio dei prodotti librari. Pare infatti che alcuni vedano soltanto come possibilità quella di cadere dalla padella nella brace: abbandonare Einaudi per trasformarla in una macchina di propaganda berlusconiana e diventare marginali, come aveva scritto Cortellessa. Sono scenari indimostrabili e secondo me poco realistici. Che dovrebbero fare il conto con il fatto che se una strategia si è dimostrata perdente, come quella della lotta dall’interno (a meno che qualcuno mi smentisca spiegandomi i suoi successi: finora nessuno l’ha fatto dei suoi sostenitori, e io continuo a chiederlo), vale la pena rischiarne una nuova, anche se potenzialmente dannosa. Se uno sta nelle sabbie mobili, sicuro di affondare lentamente, tenterà di aggrapparsi a qualcosa, prima o poi, anche con il rischio di affondare, in caso di fallimento, più velocemente.
Tutto questo per dirti Andrea che non dimentico che tu non sei un autore Mondadori, non trascuro il tuo discorso sulla finanza mondiale, non credo cioè che Berlusconi sia estraneo alle dinamiche capitalistiche, accetto anzi senza problemi il discorso che fanno alcuni di Berlusconi come epifenomeno italiano del mercato globale. Non ho quindi bisogno di leggere i libri che mi consigli per darti ragione su quello – magari per capirci più di economia sì.
Ma proprio perchè il capitalismo, e nello specifico il ruolo e le dinamiche dei media, sono parte integranti del berlusconismo, credo che comportamenti alternativi a tale dinamiche, che siano ben “venduti” mediaticamente, come l’abbandono di Mondadori di un gruppo di scrittori, possano essere insieme a pratiche di boicottaggio (che è un’arma che funziona proprio in un contesto capitalista) le tattiche per combattere il sistema usando le armi che il sistema consente. Al contrario, se si usano certe armi all’interno del sistema, il sistema ha gli anticorpi per poterle rendere innocue. Per intenderci con un esempio: vale molto di più l’effetto mediatico di un Saviano che esce da Mondadori con dichiarazione pubblica e appello di un libro di Saviano contro Berlusconi pubblicato da Mondadori. Quest’ultimo vale di meno sia perchè l’effetto di un libro sull’elettorato vale molto meno di una campagna giornalistica (e ancor meno di una televisiva), sia perché evidenzierebbe quanto sia un editore libero Berlusconi, e questo potrebbe diventare più importante del contenuto del libro.
Ecco perchè, secondo me, Andrea 8 e (?): Berlusconi non si batte alle urne. Le urne decretano quel che è stato fatto prima per battere Berlusconi. Se prima per esempio non fai una legge sul conflitto di interessi televisivo, non batti Berlusconi, sia perché c’è appunto il conflitto di interessi che lo aiuta a vincere (aiuta: non FA), sia perchè il cittadino capisce che è Berlusconi che comanda, che i suoi oppositori non hanno la forza di opporglisi. Con le dovute proprorzioni, (del tipo: tv sta a giornali come 1 sta a 5, giornali stanno a libri come 1 sta a 10), lo stesso discorso si applica a giornali/riviste ed editoria: se gli oppositori continuano non solo a tollerare, ma a collaborare con quell’impero mediatico ed editoriale, Berlusconi si rafforza, e questo contribuisce a farlo vincere alle urne.
Non vedo quindi una sostanziale differenza tra battaglia politica e battaglia culturale. La lotta contro la riforma della scuola, per esempio, non può essere disgiunta da quella contro l’impero mediatico berlusconiano, specie quello televisivo, che è parte integrante di quel culturame che rende possibile far accettare all’elettorato senza problemi ogni legge di questo governo. Finché si avrà la sensazione, grazie ai media di regime, che la scuola non fa tagli se non di cose superflue, che il tempo pieno in verità c’e ancora, che le proteste dei precari sono strumentalizzate politicamente o fatte da fannulloni, non vedo come si possa fare una lotta politica che abbia consenso sulla scuola. E per non dire del fatto che la scuola segue il modello culturale porposto da tv e giornali: non si sarebbe potuta fare una riforma antidarwiniana come quella della Moratti senza la campagna giornalistica antidarwiniana in atto da anni sui giornali e sui libri berlusconiani (e ora anche al Corriere e sulle tivù berlusconiane e in parte della Rai).
Qui concludo le questioni sull’analisi delle strategie di lotta al berlusconismo. Ma devo riprendere il discorso sull’autoproduzione.
La prima domanda che mi vien da fare è “chi sarebbero i moralizzatori?”
Chi sarebbero,i cavalieri della tavola rotonda? Già si presuppone che i detentori delle tavole mosaiche siano l’Ingles e pochi altri.
Il solito vizio.
C’è sempre da diffidare di chi crede di possedere la moralità.
E poi,”il lettore che voglia far la morale…”,ma che significa?
L’articolo è di un infantilismo sconcertante,tipo;
“Boicottare l’editoria capitalista sarebbe un passo decisivo in questo senso, dedicandosi interamente a forme di editoria digitale autoprodotta e finanziata da lettori altrettanto impegnati in tale boicottaggio”
Ancora: “Ma che cos’è questo “berlusconismo”? Non è la forma propriamente italiana, quella più aggiornata, della mercificazione sempre più estesa della vita che tutti i paesi del capitalismo avanzato conoscono?
Dichiariamo guerra a tutto il capitalismo avanzato! Sembra di stare a metà ottocento.
Magari,facciamoci la benzina in casa,per boicottare Shell,Bp…e compagnia e mille altri esempi.
Nemmeno nel ’68,che di fantasia ne aveva più dell’Ingles,hanno raggiunto tali vertici di velletarismo illusionista.
Il risultato di questa fantasiosa iniziativa,sarebbe l’invasione in libreria di tonnellate di scrittori stranieri,( gli editori continuerebbero a munger le vacche),che col cavolo si autoprodurranno,con mercati tipo l’anglosassone con centinaia di milioni di potenziali lettori,
Così gli scrittori italiani sparirebbero definitamante,ed il palliativo internet,nella maggior parte dei casi,non sarebbe nemmeno un brodino per l’ammalato in coma.
@andrea
condivido in pieno le tua posizione in quanto cittadino e in quanto scrittore.
Ho apprezzato moltissimo la seconda parte del tuo inervento, apprezzo moltissimo il lavoro culturale che fai mettendo a disposizione il tuo tempo e le tue competenze non certo per il profitto. Io credo al vostro lavoro e alla sua utilità. Perche’ offre la possibilita a un lettore quale io sono di apprendere, conoscere le opere di critici scrittori e poeti che mai altrimenti avrei conosciuto.
Ma non condivido la prima parte del tuo intervento.
Perche’ qualsiasi giustificazione politica riguardo alllo specifico fatto puo’ essere smontata e dimostrato il suo contrario. Perche’ se uno scrittore si mette in gioco come cittadino allora io rispondo come cittadino.
Se qualche scrittore ritiene di dover restare per svolgere un ruolo politico, benissimo l’unica cosa che puo’ fare e per l’appunto fare senza bsogno di dire, annunciare o giustificare. Fare cioè quello che cortellessa ha auspicato nella seconda parte del suo intervento. Se cioè a un signore che si chiama saramago viene impedito di pubblicare un libro, quello scrittore saprà bene cosa fare.
@?
forse è stato commesso un reato penale, per adesso sappiamo che i due gradi di giudizio li aveva vinti e nonostante ciò ha pagato, dunque per adesso le entrate fiscali sono addirittura maggiori, se vogliamo stare alle leggi vigenti.
questa è la posizione di chi crede che non è stata fatta una legge ad “aziendam”per sfuggire al giudizio di terzo grado, che mondadori è innocente, e che i condoni fiscali sono utili perche’ “aumentano le entrati fiscali”
se questa posizione (quella di giulio mozzi) è sostenuta in buona fede
è una posizione coerente perche’ secondo questa teoria non c’e’ crimine probabilmente saremmo in presenza solo di un branco di manager sprovveduti che rinunciano a veder riconosciuta l’innocenza dell’azienda in terzo grado, e sono cosi’ generosi da regalare allo stato 9 milioni. Io ho molti dubbi al riguardo. il buon senso mi fa venire dei forissimi dubbi non solo per ilpresente ma cio’ che piu’ mi fa paura, PER IL FUTURO.
La discussione è estremamente interessante anche se forse, per ragioni di comodità, sarebbe probabilmente utile scinderla in più parti. Qualche considerazione sparsa e poco ordinata, causa stanchezza.
Mi sembra ci siano almeno quattro punti fondamentali che possiamo identificare nell’articolo di Andrea, quattro punti che difficilmente possono essere resi chiari ed evidenti e in uno spazio cosi limitato e nel quadro di un’unica argomentazione costruita su un argomentazione innanzitutto “militante”.
C’è il problema della lotta politica contro Berlusconi
C’è il problema del berlusconismo in quanto risvolto sociale richiedente l’assunzione di chiare posizioni etiche, sia a livello d’epifenomeno italico che a livello di fenomeno più generale di « capitalismo avanzato ».
C’è il problema Mondadori, come caso specifico di collusione di interessi ed elemento di attualità che ci permette di interrogarci sulla situazione attuale.
C’è, infine, il problema (finora solo accennato direi, anche nella discussione) dell’arte in quanto tale, della sua ormai storica collusione con il sistema capitalistico (collusione chiaramente che non si limita alla sola letteratura, anzi) e ai cambiamenti che le nuove tecnologie e i nuovi supporti possono portare agli equilibri attuali.
L’ultimo punto è, come dicevo, quello su cui finora si è meno discusso, ma che permetterebbe forse di elaborare tutta una serie di riflessioni trasversali ai primi tre.
Ho già avuto più volte l’occasione e il piacere di discuterne con Andrea, pubblicando anche un intervento qui su NI qualche tempo fa, ma penso che l’autoproduzione meriti un’analisi più approfondita per non ricadere, sotto nuove forme, nel già detto di un modello identico a quello editoriale classico, semplicemente maggiormente frazionato ed enormemente personalizzato quando ci sono le potenzialità per cui essa possa costituire un elemento capace di ricucire o reinventare il rapporto tra un autore e il suo pubblico. La riflessione deve quindi essere, in questo caso, prima di tutto estetica. E’ necessario quindi partire dalla constatazione del ruolo del supporto nella produzione artistica, perché è li, prima di tutto, che ha luogo la collusione con il mondo capitalistico. Perché pubblicare con un determinato editore se non per le sua capacità pubblicitarie, produttive, distributive? Perché trattare con un gallerista se non per la sua lista di contatti, per i suoi spazi espositivi, per le sue possibilità di promozione?
L’autopubblicazione permette infatti di ripensare tutte queste dimensioni intrinseche alla pratica artistica contemporanea, senza per questo uscire ancora dal canone capitalista (l’autore, ad esempio, potrebbe semplicemente divenire imprenditore di sé stesso grazie ai nuovi meccanismi di pod o di distribuzione globale à la Amazon).
Il fatto di costituirsi in associazione, di pensare una comunità (autori, traduttori, illustratori…) capace di seguire nel migliore dei modi l’insieme del processo di produzione, il privilegiare determinate scelte estetiche o politiche, il pensare forme collettive di finanziamento, possibili sinergie con altre comunità (diversi gruppi potrebbero sostenersi a vicenda, distribuendo i libri altrui, proponendo gratuitamente sale per effettuare letture o altro ancora), è qualcosa che si situa ad un altro livello; permesso dalle possibilità tecniche derivanti dal precedente, ma non per questo automaticamente derivante da esso.
E’ qui, più che altrove, a livello del rapporto che si può costruire con il proprio pubblico e con i propri pari, che si gioca a mio avviso la partita estetica legata ai fenomeni di autoproduzione, ed è sempre a partire da qui che è possibile avere i maggiori ritorni politici. E’ qui infatti che si può contribuire a formare nuove forme artistiche che sfuggano alle regole correnti e alle pratiche abituali con cui trattiamo sia a livello di forma che per quanto riguarda il contenuto stesso delle opere. E’ qui che si può contribuire a formare nuove pratiche di legittimazione artistica che vadano oltre le strette logiche di mercato che attualmente tendono a predominare, costruendo valide alternative e facendole conoscere e riconoscere dalla propria comunità di riferimento (tendenzialmente da allargare alla società intera).
Ed è a partire da queste riflessioni, e dalle nuove basi che si possono porre, che ci si può porre diversamente il problema di un intervento pratico della letteratura sia a livello sociale (confrontandosi quindi con il berlusconismo, con il capitalismo avanzato) che e a livello più strettamente politico (con Berlusconi quindi o chi al posto suo. Pur sapendo, tuttavia, che questo tipo di lotta mi pare da condurre in primis al livello politico propriamente detto, la letteratura e le arti essendo un possibile supporto, tra gli altri, di questa fondamentale azione “citoyenne”). Solo arrivati a questo punto, dunque, il fenomeno costituito dal caso Mondadori, cosi come le posizioni che ne sono scaturite, potrebbero uscire dalla propria condizione di stretta attualità ed essere inserite in un paradigma più ampio, capace di metterne meglio in luce linee di forza e contraddizioni.
Ci sarebbe sicuramente molto di più da dire e chiarire, ma credo che questa dimensione di produzione empirica e materiale, questo legame tra autore e pubblico e i suoi meccanismi di creazione meritino un trattamento più completo se vogliamo affrontare l’insieme delle altre tematiche con più solide basi.
@johnny doe
se c’e’ qualcuno che sfruttando le nuove tecnolgie, e il canale della rete riesce a pubblicare opere di qualità, soprattutto a tradurre opere di qualita’ che gli editori non traducono perche avrbbero delle perdite, io sono contento. tanto per essere chiari, se massimo Rizzante, al quale attribuisco altissimo valore come critico e come poeta per aver letto i suoi saagi e le sue poesie, traduce e propone attraverso questo canale dei poeti che le case editrici non traduzono, io sono ben felice di leggere quei poeti. Cio’ non vuol dire che io li debba apprezzare comunque, ma di sicuro ha la presunzione di ritenere che il giudizio critico è LIBERO, è cioe’ sottratto a ogni vincolo di scuderia di mercato di convenienza.
17 dicembre 1993
caro simone (morgagni)
ti ringrazio di essere intervenuto, e sopratutto di orientare nel modo più proficuo la discussione. (Mea culpa, in effetti, di aver voluto tenere troppi fili in un solo intervento.)
In particolar modo, sottolineo questi tuoi passaggi:
“L’autopubblicazione permette infatti di ripensare tutte queste dimensioni intrinseche alla pratica artistica contemporanea, senza per questo uscire ancora dal canone capitalista (l’autore, ad esempio, potrebbe semplicemente divenire imprenditore di sé stesso grazie ai nuovi meccanismi di pod o di distribuzione globale à la Amazon).
Il fatto di costituirsi in associazione, di pensare una comunità (autori, traduttori, illustratori…) capace di seguire nel migliore dei modi l’insieme del processo di produzione, il privilegiare determinate scelte estetiche o politiche, il pensare forme collettive di finanziamento, possibili sinergie con altre comunità (diversi gruppi potrebbero sostenersi a vicenda, distribuendo i libri altrui, proponendo gratuitamente sale per effettuare letture o altro ancora), è qualcosa che si situa ad un altro livello; permesso dalle possibilità tecniche derivanti dal precedente, ma non per questo automaticamente derivante da esso.”
Purtroppo nei prossimi due giorni sarò connesso saltuariamente, ma ci terrei che tu portassi avanti le tue riflessioni. E mi auguro che altri indiani e lettori prendano il testimone.
Andrea, questo del “fare la morale”, così come il fatto di “boicottare mondadori-einaudi” sono falsi problemi, sono uscite laterali usate dalla “quinta colonna” per depistare il problema principale. Li capisco, i loro lettori li pressano, qualche cosa devono inventarsi, e i “boicottatori selettivi” gli danno spazio dove spingere, per depistare, appunto.
Io sulla questione, anche se sembra l’opposto, la mia, in toto, mica l’ho detta ancora. Tu mi stimoli perché entri nel campo dell’autoproduzione che un po’ conosco, e sono contento dell’operazione murene, mi sembra assolutamente lodevole. Credo anche che mi abbonerò, anche se Giusco nel suo intervento poneva un problema che adesso che ci sono questioni più grosse sembra di lana caprina ma alla fine è fondamentale, che è quello dell’estetica. Cioé, io non mi abbonerò a murene perché siamo fratelli di lotta, ma chissenefrega, lo faccio come ho ordinato dieci libri della Chiara De Luca e della sua casa editrice Kolibris perché traduce autori anglosassoni tutta per conto suo, e mi piace l’idea, apprezzo lo sforzo e investo in chi investe energie per mostrarmi cose che non conosco. (anche se lei fa libri con l’isbn, come voi) Magari poi non mi sono piaciuti tutti, magari murene se mi fanno cagare i libri non lo rinnovo l’abbonamento, ma è tutto lecito, come è lecito che Giusco non vi caghi o non caghi me e gli autori che propongo, per ragioni di gusto. Noi, mi permetto di usare questo termine, che stiamo “fuori”, la nostra decisione l’abbiamo già presa, non ci dobbiamo spalleggiare, non abbiamo bisogno gli uni degli altri. Sono percorsi paralleli che se si incrociano ben venga, ma non è la regola, e non è richiesto, altrimenti imiteremmo il modello mainstram che schifiamo. Per dire, io alla camera verde ancora non sono riuscito a passare (abito a bologna) in tutti questi anni ma un salto ce lo farò, mi interessano le cose che fa Giovenale, ce la andrò a dare un’occhiata, ci annuseremo e se ci andremo a genio ci scambieremo informazioni e libri e esperienze ma mica è detto che ci piaccia la roba a vicenda la roba che facciamo. Io, parlo per me, so che un sistema alternativo può esistere ed esiste a prescindere. E’ la mia forza e il mio limite, da un certo punto di vista, limite di numeri, ma chissenefrega. Tornando a bomba. Ci sono piani diversi e soluzioni diverse, io per esempio l’uscita di Saviano dalla mondadori in grande stile la caldeggio, la penso come Galbiati, sarebbe un domino. E non c’entrano Lucarelli, Mozzi o te, quest’arma ce l’ha solo Saviano, gli hanno appiccicato addosso il santino dell’icona della legalità e finché pascola nel loro recinto è innocuo. Oh, saviano dice che al porto di Napoli c’è una gran merda, le nostre istituzioni che tanto invochi, per risolvere i problemi, perché non occupano il porto di Napoli con i carrarmati e legalizzano la faccenda? Saviano dice i grandi marchi i vestiti li fanno fare in campania, va bene a tutti questa cosa? Perché non intervengono? Lo sappiamo perché no, gusto? Se Saviano non si scrolla di dosso questa camicia di forza dell’icona della legalità ambigua e televisiva, se lo magnano, come hanno già fatto. Quello è un ragazzo come tutti noi che si caga sotto, non è mica il messia. Ce ne sono decine come lui che scrivono denunce sulla mafia, sulla camorra, sulla ‘ngrangheta. Lui si è fatto imbambolare da questa idea di essere speciale, ti chiama il tuo agente e ti vedi con bono vox, lo capisco che ti stordiscono. Le cazzate che uscendo da mondandori si escluderebbe da non so che cosa fagliele dire fra loro che restano. Mi sembra di vedere la Sub Pop, la casa editrice dei Nirvana, uno che adesso pubblica con la Sub Pop, che è diventata commerciale, non mi può venire a dire che sta dentro per difendere il catalogo, non sei Kurt Cobain bello, come Lucarelli non è il catalogo einaudi, sta cosa della difesa fa scappare da ridere, ma davvero, lasciamogliele raccontare fra loro se li fa sentire meglio, anche io me le racconto per sentirmi meglio, siamo esseri umani. E aggiungo. Il fatto che non sia affatto d’accordo con Lucarelli o coi Wu Ming di restare in einaudi non mi fa pensare che siano dei bastardi venduti, mi fa pensare che la vedono diversamente, e anzi, sostengo e promuovo le iniziative che fanno dall’interno che mi sembrano sensate, come il copyleft o la glasnost sulle vendite e sulle procedure. Bravi. Il loro contributo lo danno. Stare a litigare fra noi non serve. E’ lo sbaglio più grosso che si possa fare. Ma sono tutti piani diversi, Saviano potrebbe darlo un contributo (non a caso è l’unico che il suo dispaccio non l’ha fatto pervenire) e non lo da secondo me, oggi, nel 2010. Bon, me ne faccio una ragione. Tanto mica interferisce nelle mie cose, son qui a strillare da cittadino in quel caso. E le mie cose sono le autoproduzioni e il problema delle autoproduzioni, come dici tu, in grande, è un problema di filiera. Io non compro libri da 8 anni, tutti i libri col codice isbn (a parte casi in cui voglio sostenere dei piccoli editori, li faccio un’eccezione, non sono mica un fanatico) perché sono contrario a ‘O sistema editoriale. E quando dico ‘O sistema editoriale, parafrasando Saviano, intendo quel giochino di anticipi che mi sa di mafia. Ma che cazzo è? E i diritti d’autore al 10 per cento? Ma andate a cagare. Un discorso così lo fai in america, dove un autore di nicchia vende 200.000 copie e campa. Qui non ci campano manco gli scrittori con questa regola, ti costringono al loro gioco, vendere molto, moltissimo, che sappiamo che fine ti fa fare, alla lunga abbassa il livello al punto che moccia e vespa e le ricette di cucina sono le cose che vendono di più. Quelli ci campano. Ma che cazzo c’entra questo con la letteratura? Se un editore, oggi, a me, mi proponesse di pubblicare, io voglio il 50 per cento sul prezzo di copertina del libro. Non me lo dai? Ciao. Io metto in dubbio la divisione dei dividendo sul prezzo di copertina. Da scrittore, mi oppongo. Non li compro e non compro i libri dei miei colleghi, secondo me, vessati. Io voglio la metà del mio libro. Se costa dieci, io ne voglio 5 e i 5 ve li dividete fra voi. Non esiste? Bon, allora non esisto anche io per voi. (infatti non ho la fila fuori dalla porta, il mercato campa benissimo senza Ansuini) Poi ne riparleremo dopo lo tsunami del digitale, lì ci facciamo due risate. Miei amici che hanno pubblicato con mondadori o altre case editrici grosse in passato mi dicono che stanno arrivando delle mail truffaldine che li invitano a firmare contratti tarocchi per comprarsi i diritti anche del digitale. Wu ming su questo porta avanti una battaglia comune, ascoltateli, loro i diritti infatti se li stanno tenendo, non sono mica scemi. Se non lo stampi e non lo distribuisci mi dici perché ti continui a prendere tutti i soldi tu, distributore e tu, editore? Il sistema, ‘o sistema editoriale, è una merda, vi fregano. Vanno avanti ad anticipi (ma chi lo decide a chi e come e quanto? ) e poi a fantomatici diritti d’autore che sembra paghi solo mondadori perché gli altri non ci stanno dietro. Dice Busi che hanno persino una segretaria che risponde dopo due squilli, così lui non s’innervosisce. Ma chi le controlla in Italia le vendite effettive dei libri se non riusciamo manco a stare dietro ai punti della patente? Altra operazione glasnost di Wu Ming è quella sui dati di vendita, tutti taroccati. Ragazzi, ci stiamo facendo prendere per il culo. Tu scrivi, tu guadagni. Questa dovrebbe essere la regola. Il mercato non funziona così? Funziona che io scrivo e tu editore, e tu distributore guadagnate? Ciao mercato. Scriveteveli da soli i libri. Certo che se vuoi campare facendo lo scrittore, o ti metti a novanta e scrivi una bella storiella semplice che venda tanto o ti attacchi al tram. Oppure lotti dall’interno e ti prendi duemila vaffanculo ogni giorno. Sono scelte. Magari puoi fare una bella scuola di scrittura creativa o un corso pagato dalla regione. Di certo non campi con le tue sole parole. E le parole, cari miei, stanno per diventare “file”, e quando lo diventeranno chiedere soldi diventerà sempre più difficile. Staremo freschi a piangere le sorti del libro (che resterà, come resta il vinile). Io soluzioni per “il grande” non le ho, gli scrittori un sindacato non ce l’hanno, quello che credo fortemente è che un autore che vende 5000 copie dovrebbe poter vivere di quello. Lo ritengo un diritto. Sotto questo non scendo. Non mi metto a giocare a chi vende di più, vince vespa, già lo so, il popolo è educato alla televisione, non si legge mica Djuna Barnes. Piuttosto mi autoescludo e boiocotto tutto il mercato editoriale. Potrebbero fare come con le multe, che in base al reddito ti multano di più o di meno, ecco, in base alle vendite dovrebbero pagarti secondo me. Meno vendi più alta è la tua percentuale sul prezzo di copertina, così salvaguardiamo “tutte” le scritture, anche quelle non alla moda e che non ci piacciono. Ne ho detta una grossa, ma in realtà a me del sistema editoriale mi frega poco, non mi sforzo neanche di trovarle le soluzioni, mi sono arreso, spero che affondi, è roba gestita da gente che e se dirige un mcdonald o una casa editrice cambia poco. Di mio sto benissimo come sto, questioni personali, mi accontento di poco. Come dice immondizie riunite mi vendo i libri da solo, faccio finta che casa mia sia una libreria ma il mi libro lo trovo sempre, mi piace incoraggiarmi. Altri miei amici, scrittori, poeti, che condividono alcune cose che penso, su questo sono in disaccordo. Pace. Io le mie idee ce le ho chiare, e le porto avanti. Sarò fortunato (eheh) che principalmente scrivo poesia quindi un mercato non ce l’ho di mio, se avessi scritto gialli sarebbe stato un problema diverso. La cosa che fa scappare da ridere è che mi danno del talebano quando invece lotto per i “loro” diritti, io per campare ho scelto di lavorare, mi piace essere libero in campo artistico, non voglio una busta paga per quello che scrivo, ma pretendo che chi vuole vivere scrivendo possa permetterselo. Se tu mi chiedi in grande cosa si potrebbe fare ti rispondo una filiera alternativa di distribuzione e una battaglia sui diritti d’autore. Non possiamo fare la battaglia per i libri di carta? Facciamo la per i futuri diritti digitali. Ma tanto già lo so. Gli obiettivi appaiono irraggiungibili, si fanno spallucce e ognuno per la sua strada. Guarda casarini. Fa tanto il no global e poi appena ti sventolano l’assegno davanti ti si illumina l’idea di non dover lavorare per mesi, anche per un anno, e entri scodinzolante nel tritacarne. Tanto ci stanno tutti, che problema c’è? Ci pubblica Bertinotti con la mondadori, ma che cazzo di problemi ci poniamo? Io me li pongo. Ma alla fine pace. Non muore mica nessuno. Che non siamo un popolo di leoni in campo etico intellettuale mi pare chiaro, pare chiaro a tutti. In Italia è tutto in vendita e tutto può esser comprato. E’ il berlusconismo baby. Ci riguarda tutti, anche me. Che mi rallegro pensando di esserne escluso, e invece da qualche parte mi tocca andare a lavorare.
Ansuini,
grazie dell’intervento, che è importante perché finalmente porti a galla alcune questioni che ci interessano, dico noi di Nazioneindiana, oltre ad altra gente che tu citi (Wu ming, ad esempio); questioni che si spostano dall’orizzonte mondadori e toccano quelle più generali del mercato editoriale:
“Se tu mi chiedi in grande cosa si potrebbe fare ti rispondo una filiera alternativa di distribuzione e una battaglia sui diritti d’autore. Non possiamo fare la battaglia per i libri di carta? Facciamo la per i futuri diritti digitali.”
Questo mi sembra un punto importante. Il problema è che Schiffrin e altri dovrebbero diventare noti alle persone, allo stesso modo che gino strada e i propugnatori dello slow food. Ora, in quanto autori, oltre alle varie scelte personali, un contributo importante sarebbe mettere questi temi all’ordine del giorno. Il nostro tentativo di “Murene” va in questa direzione. Non siamo certo i primi e neppure saremo gli ultimi. Ma questo discorso non può fare a meno di rivolgersi ai lettori e di ricordare che anche loro hanno una responsabilità, ossia un piccola leva è comunque in mano loro.
Ancora una cosa sull’autoproduzione. Io ho fatto due esempi. Quello di NI, i cui membri non sono più esordienti e hanno i loro ordinari rapporti con il mondo editoriale (più o meno felici, più o meo soddisfacenti). Ma si impegnano in un progetto, che nasce da una critica nei confronti del mondo editoriale, della distribuzione, ecc. Un progetto che sperimenta la possibilità di accedere a libri importanti, di autori non semore conosciuti, magari ritenuti non abbastanza vendibili, e che è possibile – con la cooperazione di semplici lettori di un blog – far ESISTERE.
L’altro esempio è Paul Jorion. Non è un poeta né un esordiente. Ha insegnato nelle univesità, ha lavorato nella finanza, pubblica anche per le più importanti case editrici francesi. Poteva godersi i suoi privilegi di professionista riconosciuto. Ha fatto un’altra scelta. La sottoscrizione, sostenendo che è il modo più sicuro per garantirgli l’indipendenza. Le persone conoscono il suo lavoro, e l’hanno seguito. Il tutto basato su libere donazioni.
La responsabilità del lettore- il lettore ha la responsabilità di fare vivo il libro, di condividire la lettura, di difendere un libro, di comporre parole di questo libro con le sue parole. Intime.
La responsabilità del lettore è di estendere la libertà dello scrittore, di accompagnare la solitudine dello scrittore con la sua, di prolungare la musica. Quando leggo un libro, mi accompagna, il pensiero fugge, si mescola con la realtà, con la mia vita, al punto di entrare in uno spazio
di assenza. Non sono mai davvero presente alla vita reale, l’immaginario ha il dominio del territorio della mia mente.
Per entrare nell’argomento, vorrei evocare un’esperienza di lettrice e mostrare come la battiglia tra casa editrice come la Mondadori e casa più piccola non significa niente. Ho scoperto l’anno scorso La Camera Verde, locale stretto, ma animato dall’arte, da un ambiance particolare bellissima, intima con riflessi verdi, segni della presenza dei poeti maggiori dell’Italia, poeti viaggiatori, traduttori. Avere nelle mani, un piccolo libro bianco, opera perfetta, di una bellezza quasi mistica è una sperienza magnifica. Là è acquattata la bellezza. Il respiro della poesia, il sentimento di avere scoperto una terra, una speranza, un’ isola.
Prendo ora l’esempio di Gomorra pubblicato dalla Mondadori. Questo libro
ha la grandezza delle verità, dell’umanità. E’ un libro scritto dall’esilio, prima della terribile condizione nella quale vive Roberto Saviano, le parole di Gomorra descrivono l’inferno, il dolore di una terra in un’ immensità raggiungiendo quello che conosce l’esilio, il dolore, la crudeltà.
Gli articoli del libro la bellezza e l’inferno toccano al punto della soppravvivenza, sempre nella stessa direzione: l’umanità. E’ la ragione per laquale leggo con ironia e a volta con amarezza tutto questa battiglia
che finalmente non dice niente del potere della scrittura e della lettura.
PS: Mi colpisce sempre l’analisi intelligente, costruita di Andrea Inglese.
Ignoro se ho fatto un passa avnto nel dibattito. da manera generale, non sono al mio agio nel dibattito.
Marketing viscerale
ho riflettuto un po’ sulla seconda parte dell’intervento di Inglese, e sulla sua richiesta di assunzione di responsabilità da parte del lettore.
Bene da lettore mi sento di dire alcune cose che poi penso siano state gia’ evidenziate.
un’iniziativa del genere (produzione di libri cartacei da diffondere attraverso il canale telematico che che si fonda sulla certezza di poter contare su un determinato di lettori “abbonati”) per avere successo e credibilità deve avere alcuni prerequisiti.
1) un progetto editoriale che definisca:
a – gli aspetti attinenti l’organizzazione e la gestione e la comunicazione;
b – le condizioni che assicurano e garantiscono e stabiliscono come criterio unico di selezione e di scelta, il criterio estetico.
2) trasparenza assoluta nei confronti dei lettori di cui si chiede un’assunzione di responsabilta’.
le condizioni 1 e 2 presuppongono che ai lettori non venga semplicemente richiesto di abbonarsi a Murene ma:
– che si dica esplicemente chi sono le persone che si occupano della gestione e organizzazione del progetto
– che si dica esplicitamente chi sono le persone che fanno le scelte editoriali, che cioè decidono quali sono i libri da pubblicare.
Se mi viene chiesto di assumere un ruolo attivo, diciamo cooperativo nella realizzazione del progetto, io voglio sapere chi decide che un libro merita per le sue qualita’ estetiche e letterarie di essere pubblicato rispetto a un’altro, non mi posso accontentare che il libro viene pubblicato con la benedizione del marchio Nazione Indiana. In questo caso posso anche decidere di dare fiducia al marchio ma non m isi puo’ chiedere l’assunzione di responsabilità.
se nazione indiana affida il compito di selezione e di scelta a persone cui io riconosco competenza artistica, allora le cose cambiano.
In questo caso si potrebbe addirittura chiedere al lettore di finanziare in via preventiva il progetto.
non so se sono andato fuori tema ma vorrei che se qualcuno della redazione ritiene di dovermi rispondere, lo facesse in modo pragmatico e puntuale, spiegandomi cioe’ l’essenza (organizzativa ed estetica) del progetto.
@Carmelo
L’essenza estetica del progetto è stata già presentata. C’è l’articolo di Andrea Raos e un estratto dal primo volume pubblicato. Si trovano in alto a destra, nel riquadro: Abbònati a Murene.
Il progetto della collana è collettivo. Le persone che in questa fase si sono occupate della selezione, della cura dei testi e della loro realizzazione sono: Andrea Inglese, Mattia Paganelli, Andrea Raos, Massimo Rizzante ed io. Il colophon del volume di Rodefer reca anche queste informazioni.
L’idea della collana si basa su un atto di fiducia tra NI e i nostri lettori, e sull’offerta di dialogo che il redattore, con la sua storia e il suo percorso critico e poetico, racchiude dentro il libro proposto.
Il problema che poni, quando dici: se nazione indiana affida il compito di selezione e di scelta a persone cui io riconosco competenza artistica, allora le cose cambiano, è un problema cruciale. Si chiede infatti al lettore di NI che ci conosce e che segue il nostro lavoro di collaborare a creare una nuova cornice di riferimento, in un momento in cui il prestigio delle vecchie istituzioni editoriali appare in grave crisi e molto spesso incapace di rischi e scommesse estetiche.
L’intervento di Simone Morgagni, assai lucido e pertinente, ha il grande pregio di riportare al centro della discussione il senso ultimo di una collana che scelga questa strada: reinventare il rapporto fra autore e pubblico e, con esso, l’idea di una comunità.
ti ringrazio domenico (detto sottovoce abbiamo lo stesso cognome)
E’ bene che queste notizie che tu mi dai e che io colpevolmente avrei potuto acquisire da solo, non vengano date per scontate.
Sono felice di conoscere i quattro nomi che hai indicato, di rizzante ho letto moltissimo ed ho un’ammirazione profonda, di raos ho letto poco e m iè piaciuto quel poco, di inglese lo conosco per quello che scrive qui e lo stimo, Mattia paganelli non l ocon osco ma avro’ modo di informarmi.
la mia proposta è questa. Mettiamo che i redattori (le 4 persone che hai citato) decidano di tradurre un libro di poesie. mettiamo che una volta fatti i calcoli del costo dell’operazione, si possa determinare il numero minimo di copie da vendere per raggiungere il pareggio.
bene allora in tal caso si potrebbe:
1) illustrare ai lettori il progetto
2) chiedere un’adesione preventiva di modo che, raggiunto il numero minimo si possa poi tradurre e pubblicare il libro.
non ho letto il post di Inglese.
commento solo la parola AUTOPRODUZIONE contenuta nel titolo.
non mi abbonerò a Murene.
il motivo è semplice: tra autore e lettore mi occorre un garante, che è l’editore.
si può discutere sulle garanzie che può fornire un editore, anzi forse si deve, visto che è proprio uno degli argomenti sul piatto.
tuttavia diffido di chi decide da sé che quella cosa che ha scritto è degna di essere pubblicata e mi invita a comprarla.
se poi a scegliere è un gruppo, un comitato di sodali, la cosa sostanzialmente non cambia: oggi ti pubbico a te, domani mi pubblichi a me.
so benissimo che nella storia della letteratura ci sono esempi di autoproduzione di somma qualità, ma non significa niente: le eccezioni ci sono sempre.
aggiungo che le responsabilità, altra parola contenuta nel titolo, sono TUTTE dell’autore, e/o, quando c’è, dell’editore.
@caro Francesco
Ti faccio notare che noi non pubblichiamo testi dei redattori. Sono opere tradotte, di autori che ci sembrano significativi o poco, se non per nulla, rappresentati nei cataloghi più blasonati.
Ripeto i nomi della prima serie di pubblicazioni: Rodefer Schulze Torga. E non Inglese, Raos, Rizzante.
Ergo il tuo commento per me non ha senso.
Mah, secondo me tra autore e lettore non serve un garante, serve un patto di fiducia. Dato dalla credibilità. Prendiamo un esempio di autoproduzione recente e riuscito, “Il Fatto”. Lì non c’è nessun garante, c’è la fiducia in due o tre giornalisti che, al momento, hanno dimostrato di fare il loro lavoro senza padroni. Per dire, se Travaglio pubblicasse con mondadori, i lettori la fiducia non gliel’avrebbero accordata. Sbaglio?
Ora, in quel contesto loro si ponevano come alternativa a un panorama dell’informazione desolante. Nel caso di murene ci si pone come alternativa a un panorama dell’editoria desolante?
Questa è la risposta che devono dare gli autori dell’iniziativa, secondo me.
@Carmelo
Sì, la possibilità di rendere il lettore partecipe della costruzione del catalogo è tra le ipotesi più affascinanti. In futuro non escludo che possa essere una strada da battere insieme. Ora bisognava cominciare, lo abbiamo fatto con i tre volumi presentati da Raos.
bene chiedo un’ultima cosa. Chiedo che gli abbonati siano puntualmente informati tramite posta elettroniche sia sugl iaspetti organizzativi, ma soprattutto, non so come dire, su quelli estetici o letterari. Che Raos in questo caso presenti in modo un po’ piu’ approfondito i tre volumi da lui scelti. potrebbe farlo anche qui. se lo ha gia fatto chiedo scusa.
caro Andrea [Inglese],
ho letto i commenti velocemente.
e mi sembra che sulla questione “autoproduzione” non ci si sia soffermati abbastanza. almeno su un punto: va benissimo Murene. ma non basta.
occorrerebbe una Rete di autoproduzioni, una distribuzione alternativa, con i soggetti autoprodotti associati nella loro diversità.
con meccanismi simili a quelli di mercato, ma con finalità e spunti diversi. opposti – vorrei dire.
ovvero: ci vuole una soluzione. e una soluzione etica.
ho letto, in un’intervista a Nanni Balestrini, che si era tentata una cosa del genere, alla fine degli anni settanta. mi pare si chiamasse Area.
in Rete non trovo notizie, di questa cosa.
perché non ne parlate su Alfabeta?
vorrei sapere come era stata ideata, chi c’era dentro, che prospetive avrebbe oggi, una cosa del genere…
grazie,
enrico
Mi pare che Domenico sia andato oltre nell’interpretare Carmelo, e questo è un bene, perchè così ha scritto:
“Sì, la possibilità di rendere il lettore partecipe della costruzione del catalogo è tra le ipotesi più affascinanti. In futuro non escludo che possa essere una strada da battere insieme. Ora bisognava cominciare, lo abbiamo fatto con i tre volumi presentati da Raos.”
Che è esattamente il punto su cui volevo scrivere ieri notte prima di crollare.
Trovo infatti improprio il concetto di responsabilità del lettore mentre al contrario, posso concepire un rapporto di fiducia che sia però basato non sulla delega (io mi fido di voi, compro preventivamente tutto quel che volete tradurre) ma sulla cooperazione: io anticipo dei soldi, mi abbono, ma prendo parte alla decisione sulla selezione del catalogo, rendendomi magari anche disponibile a versare un extra per portare avanti scelte più impegnative.
Mi auguro proprio che questo patto cooperativo in futuro possa avverarsi.
Io a Murene mi sono abbonata. Ho ricevuto Roderer. Per ragioni di tempo per ora lo ho solo sfogliato, la pila di cose da leggere è alta, comincerò a intaccarla tra un mese
La ragione per la quale mi sono abbonata è che stimo Inglese, Pinto, Raos e Rizzante, mi aspetto da loro proposte che non mi fanno altri e sono curiosa di vedere se mi interesseranno. Non è detto che continui ad abbonarmi se scoprirò che i loro interessi e le loro proposte sono troppo lontani dai miei, anche se fossero comunque buoni.
Questa stessa curiosità la ho verso ogni proposta nuova, quando mi arriva, non vedo altra strada per capire cosa scegliere.
L’unico problema, per me, oggi, è la grande quantità di iniziative e di testi e l’oggettiva difficoltà, soprattutto – ma non solo – per chi non lo fa di mestiere, di star dietro a tutto.
L’autoproduzione non è cosa del tutto nuova, su questo punto volevo chiedere a Inglese cosa distingue a suo avviso quella odierna dall’antica.
Ma forse sono io che confondo la nascita di tante iniziative di riviste critiche e piccoli editori degli anni ’70, tutti chiusi e falliti, da un lato, ma anche tutti ricchi di lieviti, con l’autoproduzione odierna.
Il “vantaggio” chiamiamolo così, dell’antica, era il numero comunque minore delle iniziative, la coesione ideologica, la maggiore facilità a individuare le posizioni, le poetiche e le intenzioni e a combatterle, anche, ma muovendo sull’ideale campo di battaglia schieramenti tradizionali, battaglioni, compagnie, formazioni dotate di nomi chiari.
E il fatto, e scusatemi se è poco, che la gente prendeva il treno, benché lento, e si riuniva nelle case dove si discuteva.
Il rischio che vedo oggi è la frammentazione, se ognuno si autoproduce la scelta per il lettore rischia di restare sempre in bilico tra la casualità e l’asfissia del piccolissimo gruppo.
E vedo anche il rischio della rete, dove chiunque può proporre iniziative a basso costo e martellare il suo pubblico – ogni blog, collettivo o meno che sia, ne ha uno affezionato – finché i rimbalzi trasformano la mera visibilità e l’autopromozione in qualità.
Mi lascia perplessa invece la fiducia nel lettore.
L’abbonamento a Murene costa 20 euro x 3 libri. Leggo che delle migliaia (se ho capito bene i numeri che ha dato Jan) di lettori di NI, solo 87 sono stati disposti a correre il rischio.
Questo famoso lettore di che cosa è lettore?
Rodefer, ovviamente:–)
@GALBIATI
non vorrei passare per un lettore idiota.
io ho ben specificato che non tanto mi fido di “voi”, ma mi fido ( o non mi fido, dipende dalle persone) delle persone cui riconosco competenze che non ho, conoscenze che non ho. Io non sono esperto di letetteratura mondiale ne ho la presunzione di credere di aver letto la migliore letteratura contemporanea. Quindi riconosco ad alcune persone per averle lette, competenze e capacità che mi inducono a fidarmi delle loro scelte che sicuramente sono piu’ fondate delle mie.
Non ho nemmeno detto che compro a scatola chiusa.
E non mi pare che qui si chiede di comprare a scatola chiusa
Qui se ti abboni sai gia’ chi ha scelto i libri e di qual ilibri si tratta.
io ho detto che di fronte alla possibilita’ di pubblicare un libro che comporta il sostenimento di costi, la redazione puo’ chiedere preventivamente ai lettori di prenotare quel libro di quell’autore.
Quello che dice domenico e’ bello ma puo’ valere solo come suggerimento. Io potrei suggerire la pubblicazione di un libro di horacio Castellanos Moya per esempio.
Ma parliamoci chiaro. smettiamola con la demagogia.
La letteratura non è democratica. Io sono un lettore e tale vogli orestare. Non mi autoproclamo critico o peggi oscrittore, perche’ non l osono non ho le competenze non ho il talento non ho la formazione per potermi attribuire il titolo di critico. Succede cosi’ in tutti campi del sapere, perche’ non deve valere nel campo della letteratura?
@pinto
questa non si chiama auto-produzione.
è semplice produzione, è attività editoriale che salta la distribuzione tradizionale e si affida ad altri mezzi.
quindi la mia osservazione ha senso.
forse non ha senso chiamarla auto-produzione.
Vabbe’, chiamiamola “produzione” senza “auto”. Ti abboni?
Pecoraro mi scusi, mi sembra che dica delle cose a caso. La pubblicazione di murene, non evendo il garante che per lei è sacro e puntando sulla sottoscrizione dei lettori, è a tutti gli effetti un’autoproduzione.
Non è passata neanche la manfrina del pubblicate i vostrii amici, tanto cara ai suoi garanti, ma Pinto le ha risposto che si pubblicano autori esteri. E dunque?
dammi del tu ansuini.
se uno scrittore si auto-produce significa che pubblica da sé le proprie opere.
se pubblica opere di altri è un produttore, cioè un editore.
non ho parlato di sacralità della garanzia editoriale, ovviamente, e ho aggiunto che la questione delle scelte dell’editore è cruciale e discutibile.
qui c’è un gruppo di intelletuali e scrittori che desidera pubblicare opere altrui che ritiene di qualità: dunque si tratta di editori.
fine.
Scusa Francesco, non ci eravamo mai parlati direttamente. Felice di darti del tu. Sono editori che si autoproducono. L’autoproduzione intende necessariamente che pubblichi cose che hai scritto tu. Anche le Fanzine possono essere autoprodotte e riportano cose di altri. “Il fatto” è un’autoproduzione anche lui, non ha garanti, copre le spese con gli abbonamenti. Sono esperienze molto più importanti e incisive di quanto si creda, se supportate. E qui è il punto. Il lettore vuole fidarsi ciecamente, non gliela racconti mica. Ribadisco: se Travaglio fosse edito da mondandori la sua iniziativa sarebbe stata un buco nell’acqua. Fermorestando il tuo sacrosanto diritto di non abbonarti perché non ti piacciono i libri che escono. Murene è un’autorpoduzione, da come ce l’hanno presentata.
Autoproduzione io la ho intesa nel senso che dietro non c’è una struttura industriale, una filiera, ma un gruppo di persone che produce sapere e lo gestisce direttamente pubblicandolo in proprio.
è scomparso un mio commento, ma NI mi dice che l’ho scritto due volte, sono in punizione, lo so, me lo merito, ma era innocuo, davo solo la mia definizione di autoproduzione
la ridò, dai, autoproduzione = produzione di sapere che viene pubblicato in proprio, senza la mediazione della filiera industriale, sia pure piccola ma di proprietà di terzi.
Il famoso “fuori” che secondo Sebaste, la cui dichiarazione arriva solo ultima dopo Wu Ming e Lucarelli, non esiste.
@ Andrea e Domenico
Grazie mille per l’apprezzamento. In questi giorni sono anche io un po’ sotto, ma provo a buttare giù qualcosa di maggiormente sviluppato e coerente da sottoporre alla discussione collettiva…
riuscite a immaginarle le centinaia di persone che traccheggiano per affermare la propria opzione editoriale – il proprio autore o libro – da imporre al catalogo di murene? uno o due anni per accordarsi, e poi, per sfinimento, fosse nelle gengiva, distruzione del tasto “invio”, anche meno, molti meno dei famosi 87.
@ carmelo
In teoria niente da obiettare a quelo che dici,in pratica credo si abbia un’enorme ed infondata fiducia nella rete che desta una certa perplessità.
E’ sempre una fetta marginale che spesso si confonde con mille altre iniziative similmenti ininfluenti.
L’unica autoproduzione possibile (digitale),ammesso e non concesso che funzioni,è che l’autore si faccia il suo sito e pubblichi quel che vuole.
Questo è l’unico modo per essere liberi come dici tu.
Quando intervengano mediatori,o peggio ancora moralizzatori,la libertà non esiste più.
Il resto è fantaeditoria di gente che, se per caso domani Mondadori,Rizzoli…publicassero un loro libro,farebbero il triplo salto mortale…
Jhonny doe, generalizzazione per generalizzazione, parla per te. Il salto mortale forse vuoi farlo tu per Mondadori e Rizzoli. Allora dillo. Non parlare per gli altri.
infondata fiducia perché? ma santa madonna:
https://www.nazioneindiana.com/2010/05/28/murene-il-primo-volume/
qui Raos ha postato un’anteprima COPIOSA del Rodefer tradotto, con tutte le informazioni e le note del caso. ci piace, non ci piace, ci incuriosisce? allora leggiamolo; non colpisce neppure la più piccola delle nostre zone erogene di lettori? allora non facciamone nulla – compreso sbrodolare qui commenti su commenti insensati.
saluti.
La lotta contro Berlusconi e contro il berlusconismo sono due cose ben distinte. Andrea Inglese lo sa, lo dice e però non capisco perché le inserisce in un medesimo discorso.
Se si chiede agli autori influenti delle case editrici berlusconiane di mettere in pratica forme di dissenso palese è perché: 1. gli intellettuali dovrebbero prendere posizione e non scrivere libri che è del tutto secondario; 2. perché l’impatto mediatico di tale azione sarebbe enorme e di grande portata con ripercussioni notevoli (sempre che gli italiani, sotto i capelli, non abbiano degli altri capelli).
La questione del berlusconismo che appartiene a tutti, delle lotte intestine per la conquista di fette di mercato, i diritti d’autore, la merda che si pubblica etc. è tutta un’altra storia. Io, come lettore, esprimo la mia responsabilità leggendo ciò che per me è decente, dando visibilità a ciò che leggo, mettendomi in discussione con coloro che mi circondano. Insomma, nel mio piccolo, faccio ciò che posso. E comprare un libro che ritengo buono da una piccola casa editrice non mi pare molto diverso che comprare un libro da una microscopica casa editrice che è l’autore stesso. Aggiungo poi che un autore non necessariamente è un editore. Sono due RUOLI diversi, ognuno con le proprie funzioni. Se si elimina il rapporto dialettico e perché no conflittuale tra le parti, le uniche lotte a cui si potrà assistere saranno quelle intestinali. Che il “sistema” non funzioni non vi è alcun dubbio, ma ciò a mio avviso non vuol dire cancellare del tutto alcuni ruoli che sono assolutamente fondamentali. Significa fare in modo di mantenere tali ruoli e che funzionino meglio. Perché se c’è un problema che grava sull’editoria come in qualsiasi altro campo umano è la sovrapproduzione dovuta alla facilità d’accesso a determinati mezzi orami a disposizione di tutti. Ai tempi di Verga, assieme a lui si potevano contare su una mano le persone alfabetizzate. Chi volete che scrivesse allora? eppure ci saranno stati centinaia di scrittori sconosciuti anche allora. Figuriamoci oggi. Dunque l’autoproduzione non è una soluzione perché al massimo risolve i problemi dello scrittore (soprattutto quelli con tanti fan su faccialibro e del sud con le famiglie grandi come la mia). Ma i problemi del lettore restano. E da lettore vorace quale sono, nonostante il tempo a disposizione scarseggia perché non sono un intellettuale, ciò che più mi preme e non dover perdere tempo con dell’assoluta merda. Ora, se il mondo si autoproduce mi spiegate chi diavolo mi dice cosa “devo” leggeere? Mi spiegate come scelgo? Ecco che il berlusconismo non scompare ma si fa più subdolo: networks, reti amicali, favoritismi, recensioni appassionate assolutamente fasulle etc. Siti di riferimento dove trovare la lista dei migliori scrittori autoprodotti si sostituirebbero (già sta succedendo altrove) con quelle che oggi sono le “case editrici” etc. penso di essermi spiegato.
Io ho bisogno e pretendo l’editoria, quella vera, quella dove può avvenire il confronto tra scrittori, tra scrittori ed editori, tra editori scrittori e critici. Io non ho bisogno di un mondo pieno di scrittori nel cassetto che si autoproducono e se la cantano e se la suonano e tutti sono contenti. Io ho bisogno e pretendo una critica che stronchi porcocane e di una che non aduli ma dia merito a ciò che lo ha con allegate motivazioni e possibilmente citando il testo. Insomma io c’ho voglia di letteratura, non di un libro o un file con su scritte delle parole. Per l’intrattenimento c’è già la TV.
Il discorso del passaggio dal cartaceo alla rete: io sono un feticista del libro, ma so anche adeguarmi e lo farò. Ma se non si facilita la diffusione di strumenti appropriati (Kindle e compagnia bella) le autoproduzioni digitali manco gratis possono funzionare, ché leggere un romanzo su schermo è come un cazzotto in bocca.
(non mi sono impegnato molto nella forma, però penso si capisca. Se non si capisce è uguale)
Luigi B.
Luigi, bene; sulla critica poi, d’accordissimo. ma resta il punto: perché non dovrei leggere per principio (non mi riferisco a te) i risultati di un’operazione come Murene?
ma davvero tutti i libri che in generale si acquistano, li si acquista sotto consiglio di Croce o di Facebook? dico: non vi capita mai di sfogliare una decina di pagine in libreria, andando anche a fiuto? non si può fare lo stesso con materiali che in libreria non arriverebbero mai? visto poi che qui tutti strapiombano con le analisi e le ricette in punta di fioretto, con i so tutto io: per cotali discettatori universali, che sarà mai intuire il valore di un libro?
saluti, ancora
Luigi perdonami, mi sembra che fai un po’ di confusione. L’editoria classica non te la toglierà nessuno, puoi starne certo. Ma esiste un mondo di autoproduzioni che finora si è arrabbattato anche nel cartaceo, che con l’avvento del digitale può occupare uno spazio più ampio di mercato. Un epub possono farlo tutti, e quando dico tutti vale per il poeta matto che screive 50 poesia al giorno al critico strapeso italiano o francese. Arriviamo al punto dove dici, e io cosa scelgo da leggere? chi me lo dice cosa devo leggere? tanto per cominciare stai sereno, l’editoria normale resterà. Ti orienterai come ti orienti adesso. Per l’altra parte, ti faccio un esempio. Io sono di roma, ogni tanto mi vengono a trovare dei miei parenti e quando andiamo al bar a predere il caffé qui è usanza servirti anche un bicchiere d’acqua. I mie i parenti mi chiedono, ma quando devo berlo? La realtà è che puoi fare come cazzo ti pare. Puoi bero prima, dopo, puoi fare una sorsata all’inizio e una alla fine. Puoi non berlo. Sto terrore io non lo capisco. Faccio altri esempi. La collana fuoriformato di cortellessa dicono stai chiudendo. Bon. Ipotizziamo che convertano tutti i file in digitale. Tu a quel punto, se ti fidi di Cortellessa come critico, ti scarichi la sua collana che in quella dimensione può vivere. Io faccio dei libri cuciti a mano e li sto convertendo anche io in epub. Se ti piace il mio gusto ti prendi i libri che faccio io. Il rapporto diviene diretto. Un po’ come per la politica. La vera novità rappresentata da Grillo è che spinge i cittadini a occuparsi direttamente della cosa pubblica. E’ finito il tempo delle deleghe. Idem vale per la letteratura. Non che non riconsoca che il flusso di dati sarà enorme. E’ un poblema che sottolineava anche Giovenale qui:
http://slowforward.wordpress.com/2010/09/08/9punti/
Ma avere più scelta non mi pare una perdita, ma un guadagno.
a pecoraro,
vabbé che non leggi il post, vabbé che non hai visto quali sono gli autori della collezione murene, vabbé che l’autoproduzione, non avendo noi una casa editrice, significa autori che si assumono i compiti dell’editore, del direttore di collana, del traduttore, del finanziatore, degli azionisti, del distributore. E comunque non è per forza necessario commentare.
ad alcor,
la questione che sollevi è un altro aspetto importante. Paradossalmente siamo in una situazione che è al tempo di penuria e di sovrabbondanza. Se consideriamo tutta la produzione delle piccoli case editrici, scopriremmo una gran quantità di autori e testi rilevanti, che vanno ad aggiungersi alle parti migliori dei cataloghi delle grandi case editrici. Ma il problema è: 1) un lettore che spesso non si muove lungo l’ampio spettro di queste proposte 2) il lettore spesso non accede a questa varietà editoriale, per il semplice fatto che essa è cancellata dagli effetti del marketing editoriale e della pubblicità
a enpi: accolgo la tua sollecitazione sulla Rete; che è questione del tutto attuale; in Francia esiste un portale della piccola editoria molto funzionante. Un esempio realizzato di rete tra piccoli editori.
( da una connessione volante)
ringrazio Ansuini per aver scritto ciò che avrei scritto con sei sette tacche di “santa madonna” in meno. ossia: sottoscrivo.
Tash Pecoraro,
dici: “qui c’è un gruppo di intelletuali e scrittori che desidera pubblicare opere altrui che ritiene di qualità: dunque si tratta di editori.”
Ok. Siamo editori. D’accordo.
Ti abboni?
E no, scusate, se ho capito bbene vi auto-producete come traduttori. Non a caso Stephen Rodefer e’ stato tradotto per Murene da Andrea Raos, o no? Non che manchino a Raos – in qualita’ di traduttore – collaborazioni passate con case editrici importanti!
Resta da capire perche’ dovrei leggere Rodefer e soprattutto perche’ tradotto da Raos.
@johnny doe
vorrei precisare che non sono uno scrittore, non ho la presunzione nè la l’apsirazione e soprattutto la frustrazione di esserlo.
Sono un lettore, sono talmente impegnato e apapsionato nella lettura che non ho tempo di scrivere. Ogni tanto m idiletto a tradurre dallo spagnolo saggi su bolano.
Lo so che chiunque puo’ scrivere 100 pagine, chiamare cio’ che ha scritto opera letteraria e “autoprodursi” “l’opera”.
Daltronde anche mio zio che è un sarto in pensione, siu diverte a filmare i boschi e gl ianimali dei nebrodi. Spero che un giorno non si alzi pensando di essere Rossellini.
Leggo le opere che mi nteressano e non me ne frega chi le pubblica, per caso (cercando materiale su bolano) ho trovato questo sito, leggo articoli interessanti altri meno, ho ocnosciuto e LETTO autori che considero tra i migliori in italia e che mi hanno insegnato un bel po’ di cose.
Ci sono delle eprsone che si prendono l’onere e l’onore di fare delle scelte letterarie e pubblicano dei libri. io ritengo queste persone validi sotto il profilo letterario e mi abbono (mi osn oabbonato);
un libro gia’ l’ho ricevuto altri due li riceverò
male che mi vada ho impiegato male 20 euro se i libri non m ipiaceranno.
ERGO?
ergo seguendo il buon senso dico che conviene abbonarsi, dico ognuno di noi spende ben più di venti euro per le cazzate, per le cose inutili e non mi sembra il caso di scrivere un trattato per verificare se conviene abbonarsi.
Il fatto stesso che uno legge questo blog e quindi in qualche modo usufruisce di un servizio, potrebbe giustificare la scelta di abbonarsi.
ma per carita’ faccia ognuno come gli pare
@AMA
ma scusa cosa c’e’ da capire ?
se ritieni le qualità di raos non all’altezza delle tue aspettative non ti abboni.
Andrea Inglese, Mattia Paganelli, Andrea Raos, Massimo Rizzante non all’altezza delle tue aspettative non ti abboni.
In questo consiste la liberta’ in fondo no?
se credi nel progetto che ovviamente per decollare evolversi in qualità necessita di una massa critica di lettori, allora ti abboni.
E’ una scelta relativamente facile, il massim oche rischi sono 20 euro
@gianni
no, grazie, non mi abbono.
ma vi auguro di riuscire.
AMA,
non ti preoccupare, anch’io è una vita che cerco di darmi ragione dei tuoi commenti. ce la faremo, sù.
a me piace molto l’autoproduzione però non vorrei che quei libri che fate sono un po’ pesanti perciò sto aspettando anche quali saranno i prossimi titoli. a me piace molto derrick e quindi magari sarebbe bella una sua autobiografia. chiaramente è solo un’idea. grazie e scusate
@ carmelo
Quindi i Nostri si autoproducono. Nobile. Pubblicano a loro spese le traduzioni che fanno di alcuni autori abbastanza conosciuti all’estero ma quasi o del tutto ignorati in Italia. Lodevole. Al momento pero’, nonostante tutto quello che hanno dietro, soprattutto la vendita porta a porta di Biondillo, hanno ottenuto circa 80 sottoscrizioni, mi pare di capire. Pochine. Pero’ auguro loro di esaurire al piu’ presto la prima tiratura di 200 copie. Cosi’ almeno, dicono, rientrano con le spese. Credo comunque che le Murene meritino. Aspettiamo conferma da Alcor, quando avra’ sfoltito la pila di libri da leggere.
@ AMA
Non pretendiamo di essere gli unici commendevoli autori-traduttori. Tu non sarai da meno, infatti, nel nobilmente sostenere quell’editoria che ti ha pubblicato, quanto mai bisognosa di finanziamenti, vero? Verrebbe da dirsi: ve li meritate questi editori!
@ Teti et Ansuini:
io non dico che l’autoproduzione sia il male assoluto. Non c’è alcun male nel fatto che io raccolgo alcune cose he ho scritto, ne faccio un pdf e lo metto online in vendita o gratis. Ciò che è “male” secondo me è vedere molte, moltissime persone subire le medesime nefandezze del mondo editoriale e non essere capaci di far “muro”, di unirsi per uno scopo comune che è una editoria più decente. Mi spiace vedere sprecata la “forza mediatica” di alcuni interventi, di molti a dire il vero, sprecata per se stessi piuttosto che unita a quella di tanti altri.
Dipende dal problema di cui si sta parlando:
se il problema è: io sono uno scrittore e mi reputo tale ma il mondo non lo sa allora mi autoproduco per vedere cosa succede – ok, ottima soluzione e se mi piace ciò che scrivi sono il primo a spargere la voce.
se il problema è: il mercato editoriale dovrebbe funzionare diversamente perché non si sta parlando di vestiti ma di libera circolazione di pensiero che si suppone sia il mezzo principale per l’evoluzione di una popolazione alfabetizzata – in questo caso la soluzione non è affatto l’autoproduzione.
Spero di essermi spiegato meglio (effettivamente l’altro commento non era chiarissimo. forse nemmeno questo…).
Luigi
P.S.: murene va benissimo, è un’ottima idea. Non mi sono abbonato perché il primo numero a disposizione di tutti non mi è piaciuto molto. Ma se devo essere sincero non l’ho riletto – ovvero non l’ho approfondito. Quindi magari ci ritorno su.
@AMA
ho fatto un fioretto
certo è strano che tutti abbiano dimenticato i casi eccelsi di libri usciti dall’ autoproduzione e microproduzione del passato e l’ironia dei lettori benpensanti di allora di fronte a certi libri
l’home made spesso è stata l’unica strada per pubblicare autori poco interessanti per il grande pubblico, che ci è arrivato anni e anni dopo, o anche mai
@AMA
continuo a non capire la logica del tuo ragionamento. Non ti piace il traduttore? non ti piace l’autore tradotto ?
vorresti essere uno degli autori pubblicati e siccome non l osei ti rode il culo?
sei contento che questo esperimento fallisca e fai i voti affinche’ non aumentino i sottoscrittori?
@ carmelo
No, guarda, non ho nessun libro da pubblicare, che volgarita’! Sono ateo, nessun voto o fioretto.
@ Carissimo Pinto
Anna Grazia D’Oria e’ una donna straordinaria. Sono felice di averla conosciuta a suo tempo. Mi fece capire tutto con uno sguardo di sfuggita mentre ci stavamo dicendo addio al Castello di Belgioioso. Non la dimentichero’ mai. Una brevissima stagione felice dei miei 20 anni.
Tornando in tema… Con Murene vi autoproducete. Va benissimo. In bocca al lupo.
Il lavoro di Andrea Raos è ottimo. Si dedica alla poesia con la sua anima. E’ il respiro della sua vita. Ha offerto su NI traduzioni dal francese dal inglese e dal giapponese, in una lingua aperta, creativa, nuova. Ha scritto una poesia dell’intimo-voce tenue- con spazio sfiorato dal dolore- nascita e memoria- una poesia della margina, del mondo futuro.
Il duo con Andrea Inglese è originale.
Per il momento non sono abbonnata . La poste aveva bisogna di un indirizzo. Vorrei sapere se quello dell’association Mauta vale.
@AMA
apprezzo la tua ultima frase.
Non aderire è legittimo quanto aderire. ma bicottare, ironizzare, fare del sarcasmo e “gufare” un’iniziativa trasparente (si conoscono i nomi delle persone che che fanno le scelte editoriali, si conoscono igli autori e i traduttori dei libri che vengono pubblicati , si conosce il costo dell’adesione (un libro costa euro 6,66666periodico) che non ha obiettivi di profitto,
fa parte del malcostume di questo paese, pronto a scrivere trattati sul carattare reazionario del mercato librario, sulle perverse logiche di mercato, ma poi refrattario a ogni cambiamento a ogni iniziativa. Un paese che galleggia nella melma
Si’, caro, anche io nel mio piccolo, tanti anni fa, feci esperienza con la melma di cui scrivi. Le sono sopravvissuto pero’. Allora buona giornata.
Mettete dei fiori nei vostri cànoni
(titolo provvisorio)
Innanzitutto vorrei ringraziare Andrea per avere con la sua solita lucidità proposto un campo di discussione “serio” su una questione che come ho già detto in altre sedi rischiava di essere isterica e sterile, isterile.
Devo confessare che una delle riflessioni che mi sono fatto è stata:
bene, qui come in altri casi si presenta con tutte le sfumature del caso, la contrapposizione di due blocchi di lettere. Avevamo qualche tempo fa assistito allo scontro delle civiltà letterarie, con da una parte il cantautorato colto e impegnato (Gruppo Alias) e dall’altra l’ala Rock (quasi Pop) dei wu-Ming. Ora ci ritroviamo una nuova battaglia delle idee con da una parte il Marx Attak dei puristi che dicono sostanzialmente, tu con quelli non ci dovresti andare (Einaudi, Mondadori…) e dall’altra il blocco Indipendence Day degli autori che, semplificando, rivendicano la propria libertà seppure da dipendenti delle majors . Devo allora confessare (e sono due) che ho sentito un certo disagio provocato da una domanda assai innocente in verità: ma io, da solo, o in compagnia ( Nazione Indiana), , perché trovo che siano eluse delle domande ben più essenziali. Mi spiego. Io credo che l’equivalenza tra fare libri e fare letteratura sia un errore grave almeno quanto quella cultura (dei lettori) e mercato della cultura (delle copie vendute). Personalmente stimo che i semplici libri siano merce, melissa P, le barzellette di Totti , un dentifricio, un pacchetto di sigarette, e dunque non ci sia scandalo (avete mai sentito dire che un dentifricio sia reazionario, una carta igienica progressista? ) Perché un libro generalmente non facile (ma non per questo non semplice) acceda allo statuto di letteratura ho bisogno di un cànone, soggettivo del lettore critico ( questa è la mia idea di letteratura) oppure oggettivo, del critico lettore. Un cànone oggettivo è fornito dall’autorevolezza del critico lettore (editore, saggista, studioso, ricercatore…) e dello spazio o potere di cui dispone per dare forza all’idea (quotidiani, case editrici, riviste letterarie, cattedre universitarie) . Il settanta per cento della produzione di libri che si appoggiano sul cànone soggettivo, secondo me, (per essere precisi il 73 % ma non rivelerò le fonti nemmeno sotto tortura) è una produzione di libri e non di letteratura. Allora, domanda, per una piccola casa editrice è proprio necessario pubblicare tremila libri di poesia? Se sì vorrebbe dire che in Italia (in tutta Italia) vivono centinaia di migliaia di poeti Allora dov’è lo scandalo? Lo scandalo è che luoghi e persone un tempo portatori sani di cànone, sembrano avere esaurito la loro missione.
Ci sembrano disertori della vocazione letteraria e del cànone quando cedono alle lusinghe del potere, alle illusioni del mercato, alle lobby (di potere personale e relazionale) ovvero quando smettono di essere all’ascolto della vocazione (voce per l’appunto) La ufficistampizzazione delle pagine culturali, la loro innocuità politica all’interno di progetti più vasti (vd Libero, il Giornale ecc) le baronie universitarie, il disastro delle scuole, la fragilizzazione del corpo (e della mente) docente nelle scuole, la mancanza di una consapevolezza etica e politica della collettività, si riflettono necessariamente in una serie di malintesi e di polemose bene che così bene non fanno. Innanzitutto ai lettori, e in seconda battuta proprio agli autori, privati come sono della possibilità di rendersi conto dell’autenticità della propria vocazione. Elitario, reazionario, populista? Certo, che male c’è
effeffe
ps
in questi giorni per esempio è uscito per le edizioni camera verde http://www.lacameraverde.com/ un capolavoro. il corpus poetico di Giuliano Mesa. La domanda che ci si pone è che cosa danneggia questa opera? Il fatto che non sia pubblicata dalla Bianca Einaudi? Il fatto che siano usciti ventimila libri di poesia in questi mesi, che farebbero ottima carta per il caminetto? Il fatto che la critica abbordi questo tipo di capolavoro con i se, i ma, perché, dedicando intanto le proprie energia a marchettizzare il canone? forse la cosa più grave e questo vale anche per Murene, è che tra trentamila e passa di visitatori unici di Nazione Indiana ce ne sono soltanto ottanta (che si sono abbonati a Murene) con le palle. E la cosa più grave ancora è che il progetto Murene sarebbe in acque migliori se solo si fossero abbonati tutti quegli autori che abbiamo, sentito, a cui abbiamo risposto per mail, editato i loro testi, tradotto , impaginato eccetera. Forse il vero male si annida proprio lì, nel semplice duro e puro, oh certo assai puro, pensare ai cazzi propri effeffe
poscritto al poscritto: fanne un poster, ma GROSSO.
farne, non fanne, pardon.
@ AMA
non vorrei che si pensasse che ho fatto un fioretto ad abbonarmi a Murene
pensavo a ben altro, a BEN ALTRO:–)
mi associo al tuo poscritto, @effeffe
Come lettore sottoscrivo molto di quello che ha detto Pecoraro.
E’ chiaro a tutti che, parlando di autopubblicazione, il problema è in quale modo un lettore si rapporta al mare magnum del leggibile esistente e cosa decide di pescare in questo mare.
Uno dei ruoli dell’editore è quello di selezionare in prima istanza, e portare davanti al lettore giusto in seconda. Una certificazione di qualità, che va intesa in senso ampio.
E’ evidente che non tutto quello che pubblica un grande editore è ipso facto bello, così come quel che ne resta fuori è brutto. Però io so cosa aspettarmi da un libro della collezione Harmony, dagli Oscar Mondadori, da Iperborea, da un saggio in Adelphi. Questo non vuol dire
che decida le mie letture solo in base all’editore. Alla informazione editoriale aggiungerò altre informazioni, che arrivino da esseri umani (il libraio, un amico), da letture (quarta di copertina, recensioni, materiale online) e via così.
L’autoproduzione, termine che anche io in questo caso ritengo improprio, resta e resterà di nicchia a queste condizioni. Perchè mi chiede di acquistare un libro sulla base di una “etichetta” di qualità molto labile. Certo NI può aver ottenuto un capitale di credibilità sufficiente
a permettersi alcune operazioni editoriali. Ma quante altre realtà del genere ci sono, e quanta parte del mercato possono toccare? Io penso che vadano semplicemente a contendere lettori alla piccola editoria, quella che già lavora sul campo della qualità.
Il concetto di “marchio”, “brand”, può anche fare schifo ma c’è un motivo se il 99% dell’umanità nel fare scelte davanti ad una varietà di offerte che non può fisicamente verificare una per una ci si affida.
Ci si può anche appellare alla mia responsabilità di lettore, poi magari io mi abbono a Murene, però mi si sta chiedendo un atto di fede abbastanza peculiare. E’ veramente in grado di avere un impatto sulla berlusconizzazione della cultura? Io, in tutta sincerità, credo di no.
condivido la sostanza del tuo discorso e mi pare di aver gia’ espresso la mia opinione in merito
Non condivido la tua semplificazione quando parli del “blocco Indipendence Day” ovvero degli autori che “rivendicano la propria libertà seppure da dipendenti delle majors”
Tutti gli articoli a cui ti riferisci, compreso quello di inglese (a meno che io abbia perduto il senno), si sono sforzati di dare una giustificazione politica o ideologica, oppure hanno “auspicato” un ruolo politico degli scrittori che restano in mondadori.
E questo io non lo condivido. Sono liberi di rimanere ed hanno tutta la leggittimita’ e il rispetto, ma evitino di spiegarmi in tutte le salse il valore politico della lora scelta che possono solo comprovare con i fatti.
Non capisco perche’ poi sia tu che Inglese vi sotinate nei vostri interventi a mettere insieme due questioni che non c’entrano niente tra di loro.
Osservo infine che tutta l’ala giacobina di questo scheiramento all’atto di fare una scelta che costa euro 6,666 a libro (fosse anche un dentifricio – cosa che non credo) si defilano ma non solo si defilano, ma tirano fuori tutto i lsarcasmo l’ironia lo snobbismo a cu isiamo soliti assistere.
@alcor
io non ho dimenticato “i casi eccelsi di libri usciti dall’ autoproduzione e microproduzione del passato”, ma, come ho detto, li ritengo eccezioni.
se la regola fosse l’auto-produzione avrei qualche problema di scelta delle mie letture (raramente ormai di narrativa).
forse è il caso che ti ricordi che io sono, senza alcun problema da parte mia, “grande pubblico”.
il che, detto alla caciottara, significa che mi piace la parola come mezzo, piuttosto che come fine.
quindi non mi ritrovo (lo so da un pezzo) nei gusti prevalenti dei redattori di murene, per come personalmente li percepisco e come del resto il pezzo d’assaggio di Rodefer mi conferma.
questo è il motivo del mio non abbonarmi a murene: la distonia con l’idea estetica degli editori.
cui per-altro rinnovo i miei auguri sinceri.
@ Tash
a dire il vero il mio commento non era rivolto a te, so che Rodefer non è nel tuo target
caro effeffe, aderisco (pessima parola, vabbé) al 100% al tuo commento delle 13,24, ora di NI. ciao…
Comunque lo sappiamo tutti bene, i numeri di chi si autopromuove sono questi. Se ti va bene non arrivi a 100 copie. Che tu faccia parte della comunita’ letteraria o meno. Che tu abbia scritto un capolavoro o una ciofeca. Certo, poi ci sono le eccezioni.
Io renderei l’accesso al sito NI & commetario privati, lasciando in libera visione solo dei richiami / estratti (pochi), e invitando a versare per l’accesso completo e la condivisione commentata 20 euro annui, alla sottesa ass. cult., per sostenerne gli scopi, nuova collana di poesia inclusa.
molte volte le parole vanno al di la delle intenzioni e creano persino confusione.
Forse invece di parlare autoproduzione era meglio dire:
Il gruppo di Nazione indiana ha istituito una redazione composta da 4 persone che in piena autonomia e libertà e senza nessun condizionamento si assumono la responsabilità di scegliere dei titoli, (eventualmente se stranieri) tradurl ie pubblicarli.
I lettori di nazione indiana (evidentemente se frequentano questo sito in qualche modo si riconoscono sia pure mantenendo la loro autonomia di pensiero) vengono invitati, nella massima trasparenza ad aderire a questa iniziativa che comporta – malissimo che vada – un sacrificio economico di euro 20.
L’iniziativa a mio parere è lodevole, perche’ lascia completa libertà ai lettori che possono continuare a usufruire e godere di questo sito in modo assolutamente gratuito.
Ora per quanto mi riguarda, quand’anche avessi un’opinione negativa riguardo ai nom idella redazione, mi abbonerei uguali, perchè lo riterrei una forma di riconoscimento per il lavoro svolto in forma gratuita dal gruppo che gestisce il sito. E non sarebbe poi un sacrificio così pesante.
si riconoscono nell’orientamento culturale del sito volevo dire
vabbé, e ditelo he avete bisogno di abbonamenti..:-)))
ci abboniamo..ci abboniamo..
besos
que lindia eres viola ! me gusta mucho tu post
un’altra cosa che volevo dire è che secondo me l’iniziativa non è stata pubblicizzata a dovere (a riprova del candore dei promotori) perchè io me ne son oaccorto per caso dopo qualche tempo. Quando mi sono abbonato, cioè il mese scorso, ero convinto che il numero fosse almeno di tre cifre, vista la frequetanzione del sito. Io non so quanti siano gl iiscritti ma temo che il rapporto percentuale abbonati/iscritti sia un numero comincia con l o zerovirgola; è vero?
Io faccio pochissimi, brevi, interventi e ogni volta, dopo, mi taglierei le dita. Però mi sono abbonato a Murene. Io bado ai fatti. Bye.
Che bel commento, quello di Forlani.
Anche se io, a dargli credito, verrei messo nei “puristi”, cosa che non mi appartiene, così come non mi appartiene far parte di uno schieramento che sarebbe in contrapposizione con un altro: i termini del confronto non sono questi, secondo me. E del resto, giusto per non riaprire il dibattito mi limito a dire che gli autori di NI, in questa chiave di lettura, sarebbero a loro volta puristi” per quello schieramento di sinistra (per la destra lo sono di default) che considera normale scrivere pezzi, se non collaborare, con Libero, Giornale, Foglio, Domenicale.
Mi è piaciuto molto il voler fare distinzione tra letteratura e libri. E mi è piaciuto molto il suo stile.
Vedo però che i redattori di NI sono scorati da quello che secondo loro è un risultato insufficiente. Da qui si sono levate considerazioni piuttosto pessimistiche sui frequentatori di questo blog e sui lettori in generale. Secondo me, se tutto questo è comprensibile per il coinvolgimento materiale e, diciamo, spirituale che hanno in questo progetto, non è detto che sia anche una valutazione ponderata.
Personalmente, infatti, credo che le attese nelle scelte (economiche) dei lettori da parte di NI, che secondo me non avrebbe dovuto essere argomentata con concetti impropri quali quello di “responsabilità”, siano eccessive. Perché?
Per almeno tre ottimi motivi.
Il primo è che i frequentatori di questo sito non sono tutti lettori. E’ sbagliata l’equivalenza visualizzazione=lettura. Il navigatore di internet non è un lettore. E’ un passante davanti a una vetrina, o al massimo dentro una libreria. Alcuni conoscono bene la vetrina, va be’ diciamo la libreria e ci vanno per leggere pezzi di libri che non hanno, ma sono una stretta minoranza. La maggioranza dà un’occhiata di scorcio, o leggiucchia qualche pezzo qui e là con inserito, in automatico, il tasto della ripartenza, salvo vedere un oggetto che carpisca la sua attenzione.
Il secondo è che chi legge NI, e quindi oltre a passante è lettore, non è detto che lo faccia in modo assiduo e con la disponibilità a impegnarsi. Se per esempio non scrive mai un commento, è difficile che pensi di spendere dei soldi, abbonarsi per qualcosa di diverso da ciò che segue e che segue mantenendosi a distanza. Certo, può essere una persona timida o osservatrice o altro che abbia una grande passione per la letteratura e una grande fiducia se non attrazione verso le scelte di NI, e allora si abbonerà: ma non è facile trovare tante persone così. E pure molti commentatori, persone che cioè interagiscono con NI, non sono automaticamente dei probabili abbonati. Internet si distingue per la gratuità del gesto e anche per l’anonimato di molti. Chi sceglie di esporsi in modo anonimo, per esempio, troverà distante da sè la chiamata all’alleanza dell’autoproduzione, e sarà più difficile da convincere. Ma chiedere l’azione, in generale, provoca sempre una grande selezione tra chi si limita a discutere.
Come appunto per l’andarsene da Mondadori o Einaudi: fate bene voi che ve ne andate, per i vostri motivi, ma io ci resto, per i miei: però non mi sottraggo al dibattito ;-) Scusate la frecciata, ma secondo me il principio è lo stesso: si viene spesso tirati in causa su questioni che riguardano un certo agire, e ci si sente giustamente in dovere di discuterne: solo che a volte sembra che lo si faccia come se si fosse in un mondo parallelo da quello reale, come se la discussione avesse una vita propria, distinta dal motivo che l’ha provocata, e che i suoi risultati si giudichino unicamente in base a quanti rivoli produca, ma produca sempre e solo all’interno della discussione, senza che nessuno di questi abbia un corrispettivo nell’agire concreto. E quindi: bene, ne abbiamo discusso, come ci avevi chiesto, ed è stata una bella discussione, ha avuto un grande seguito, sono uscite cose molto interessanti ma… cosa dici, cosa cambia nella realtà? nulla, è tutto come prima, anzi, ancora più fisso e immutabile di prima, ora che ne hai fatto una questione (questo per me significano, concretamente, i discorsi di chi dice, dopo l’ennesima discussione sul restare o meno in Mondadori/Einaudi io resto, ma porto avanti la mia battaglia dall’interno, sono ancora più consapevole della contraddizione, e quindi resto e vigilo e giudico se e fino a che punto sia giusto restare ecc.).
Ora, qui in questo post abbiamo letto alcuni commentatori che vogliono discutere la questione dell’autoproduzione di NI più che dare una risposta concreta ad essa, anche se, vista la richiesta esplicita, vi sarete resi conto che il dibattito su questa seconda parte del post è stato sobrio (basta misurare gli sproloqui di L. Massimo e AMA: sono alquanto sobri), proprio perchè chiedendo un’azine precisa, ha fatto selezione dei commentatori, scartando quelli sporadici.
Terzo, e ultimo.
Rodefer, io non lo conosco. Però oggi mi sono abbonato. L’avevo già deciso da luglio, di abbonarmi, sia chiaro. A scatola chiusa, senza interessarmi degli autori in catalogo, ma con le vacanze estive ho rimandato, e questa discussione, e il nuovo inizio lavorativo ecc. mi hanno dato il la ad andare a cercare dove fosse finita la mia carta di credito, che non vedevo da un pezzo. Ma altri non sono me, e non è detto siano interessati a una proposta impegnativa, che può pure non piacere. Insomma, c’è anche un motivo estetico, evidenziato da pecoraro, e in generale anche, più terra terra, il fatto che oggigiorno non si sa più come fare la selezione per decidere le proprie letture, il tempo è poco e la carne al fuoco molta: abbonarsi, anche solo per 20 euro, non è una scelta da poco.
In conclusione, a me sembra un discreto risultato il numero di abbonamenti che avete raggiunto finora.
e sarà ora che mi decida a rileggere prima di postare visti i miei strafalcioni sintattici e grammaticali, ma scrivo da un pc difettoso, abbiate pazienza.
@ ansuini
Generalizzare evidenzia solo un certo fatto,poi ognuno vi legge quel che vuole,può più o meno riconoscervisi…..
Purtroppo questa generalizzazione (che condivido) l’ha fatta Moresco,un vostro ex collega di NI e addetto ai lavori,usando anche parole più crude,che ti riporto:
“:”..argomenti moralmente e politicamente ricattatori,ironie e sfottimenti in caso di risposte non gradite,esibizione di superiorità morale e civile da parte di giornali e gruppi editoriali concorrenti e di persone ben acquartierate in essi…mi chiedon perchè pubblico con Mondadori,persone che in qualche caso sarebbero disposte a far prostituire la madre per pubblicare dallo stesso autore e che ci hanno provato senza successo,persone che il giorno prima mi scrivono che vorrebbero anche loro pubblicare con questo editore e che il giorno dopo mi attaccano….”
Puoi sempre farti dire i nomi,così puoi uscire dalle genaralizzazioni.
Quanto a me,la parola pubblicare non ha significato ,dato che scrivere non mi interessa per nulla e nemmeno son tanto sportivo da far salti mortali per nessuna altra cosa.
Magari può darsi che abbia letto qualcosina,tanto da divertirmi a certe affermazioni e prese di posizione a buon mercato,come la tua.
Sai,come si dice,tra il dire e il (non) fare….
Questa e tua:”… secondo me tra autore e lettore non serve un garante, serve un patto di fiducia, Dato dalla credibilità..”
Già,magari servirebbe anche qualcos’altro…
Se Pulcinella avesse scritto la Recherche o il Viaggio,sarebbe la persona più credibile del mondo…
@Loremzo Galbiati
Sproloquio lo dice a sua sorella. E si guardi allo specchio qualche volta, dato che quanto a vana loquacità non ha nulla da imparare da nessuno.
@lorenzo galbiati
Divertente:
“…appunto per l’andarsene da Mondadori o Einaudi: fate bene voi che ve ne andate, per i vostri motivi, ma io ci resto, per i miei…
… porto avanti la mia battaglia dall’interno, sono ancora più consapevole della contraddizione, e quindi resto e vigilo e giudico se e fino a che punto sia giusto resta..”
Non per sfruculiare nella privacy altrui,ma visto il problema d’interesse nazionale,non potremmo sapere questi motivi,senz’altro nobilissimi,contribuirebbe a chiarire alcuni punti della discussione
Scusi ancora,soldato Ryan,in concreto quale sarebbe questa battaglia da quinta colonna,a parte il vigilare sul traffico…editoriale e metter su tribunale giudicante?
Più che da guerrigliero è un lavoro da impiegato del registro.
Infine,ianto per tornare a terra,non gli è mai venuto in mente che se lei dovesse andarsene,non fregherebbe niente a Einaudi-Mondadori?
Lo so,lo so,lei è allegico agli sproloqui…..
Larry Missino,
io sproloquio quanto lei? però io mi sono abbonato, lei?
Loremmzo G
Johnny Doe
Guardi che io citavo in prima persona (e con un po’ di ironia) le giustificazioni degli scrittori Mondadori: io non rientro nella categoria.
Detective Mills
@ Forlani
Stringi,stringi,questo signore ha fatto piazza pulita di tante inutili parole,portando in primo piano finalmente la qualità della scrittura ,sepolta da mille altre considerazioni di lana caprina.
Alla fine si domanda:”Elitario, reazionario, populista…? ”
Solo realista.
Libri- La fine del copyright. Come creare un mercato culturale aperto a tutti
[10-09-2010]
Le espressioni culturali sono gli elementi che contribuiscono in modo essenziale alla formazione dell’identità personale e sociale degli individui. Aspetti assai delicati della vita il cui controllo non dovrebbe essere lasciato nelle mani di un esiguo gruppo di individui che ne detengono i diritti. Tale controllo è esattamente ciò che oggi viene esercitato, tramite il possesso di milioni di diritti d’autore, sul contenuto degli scambi culturali.
Quello che gli autori di questo volume propongono è una strategia del cambiamento. Secondo loro è possibile modificare i mercati in modo che la proprietà dei mezzi di produzione e della distribuzione non sia nelle mani di una elite ma venga affidata ad un numero più vasto di persone. Si può creare un terreno di gioco delle pari opportunità, un mercato culturale aperto a creativi, ricercatori, imprenditori. In questo modo nessuno potrà controllare in larga misura il contenuto e l’uso delle forme espressive attraverso il possesso di diritti di proprietà esclusivi e monopolistici.
È possibile ed è necessario farlo, perché è a rischio la democrazia stessa. E il primo passo è accettare la morte del copyright per come lo abbiamo conosciuto fino ad ora e ridisegnare le norme internazionali sul diritto d’autore alla luce degli odierni (e futuri) scenari tecnologici.
Joost Smiers, Marieke Van Schijndel. La fine del copyright. Come creare un mercato culturale aperto a tutti. Nuovi Equilibri, 2010. € 12,00
@Lorenzo galbiati
lei è un poveretto. Ma sono certo che la REDAZIONE saprà rimediare al sopruso, anche se gli abbonati hanno notoriamente un posto in prima fila.
@lorenzo galbiati
Peccato detective Mills,con la stessa ironia,lo avevo sopravvalutato,ma vale ugualmente per los otros a cui lei si riferiva.
http://www.classicistranieri.com/finecopyright/final.pdf
Jhonny doe Moresco non è un mio ex collega, né come scrittore né come ex collega di NI.
Il suo intervento l’avevo letto, e molto bene, e lo trovo giusto dal suo punto di vista (nessuno mi ha pubblicato per anni alla fine mi ha preso mondadori cosa avrei dovuto fare?) che purtroppo non è neanche lontanamente il mio. Io mi occupo di poesia principalmente, la poesia non ha mercato, è fuori dal mercato, e io lì sto. Non ho neanche una madre da far prostituire, nemmeno volendo, quindi il discorso di moresco lo trovo patetico, dal mio punto di vista. Però lo capisco. Io magari sembro patetico a lui, o a te. Non succede mica niente. Difendersi dicendo che tutti farebbero come lui mi sembra come minimo puerile.
Per Luigi B.: sei stato più chiaro, io non metto bocca nel sistema editoriale così com’è, non lo condivido e me ne tengo alla larga, onestamente neanche mi preoccupo delle sue sorti, mi sembra un malato terminale di cancro. L’ho descritto lungamente in un intervento proprio qui, mi pare una mafia. Cosa ci sarebbe da cambiare? Tutto. Dai diritti d’autore alla filiera distributiva. E’ possibile? Temo di no. Quindi mo concentrerò sul mercato dell’editoria digitale, dove ‘O Sistema Editoriale sta già cercando di allungare le zampette. Speriamo che da lì si possano conquistare diritti importanti per gli scrittori. Fermorestando che io scrittore non sono.
Per tutti: ma il cazziatone di marina berlusconi ai “cattivi” l’ho letto solo io?
http://www.corriere.it/economia/10_settembre_10/manca_conflitto_interessi_mondadori__64010cd6-bca1-11df-bb9d-00144f02aabe.shtml
Parli di questo, Alessandro?
http://www.corriere.it/economia/10_settembre_10/manca_conflitto_interessi_mondadori__64010cd6-bca1-11df-bb9d-00144f02aabe.shtml
Interessante questo passaggio:
“Ci mancherebbe non pagaste le tasse. Ma la polemica si è allargata molto, intrecciando questioni etiche, morali, politiche.
«Fatto sta che tutti si sono trovati d’accordo su un punto: Mondadori è un gruppo editoriale libero, fatto di grandi professionisti, che ha il rispetto più assoluto della libertà di espressione dei suoi autori, che non ha mai censurato una parola a nessuno».
Appunto, lo hanno riconosciuto tutti.
«Sì, ma non per arrivare a riconoscere che la famiglia Berlusconi è un editore liberale. Quanto per sostenere l’esatto contrario: che la Mondadori è così “nonostante” il suo editore. “Buoni” e “cattivi”, insomma. E quando la realtà viene ribaltata in questo modo, io non posso stare zitta»….
La metta come vuole, ma proprio l’altro ieri il premio Campiello Michela Murgia, che pubblica per Einaudi, ha accusato suo padre di coltivare un sogno segreto: epurare tutti gli scrittori di sinistra. «Se è per questo, Michela Murgia, alla quale vanno i miei complimenti per la vittoria, di cose dalle quali dissento totalmente ne ha dette tante altre. Comunque, l’unico sogno che abbiamo sempre coltivato e realizziamo ogni giorno è quello di pubblicare buoni autori. Se altri sogni in vent’anni non sono diventati realtà è solo perché non sono mai esistiti. Ma secondo lei, quando abbiamo rilevato un’Einaudi in gravi difficoltà, non conoscevamo quello che ha sempre rappresentato per la sinistra italiana? E qualcuno può dire che abbiamo mai cercato di snaturare quelle che sono la storia e la tradizione dell’Einaudi?».”
Beh, io mi aspetterei ora che qualche autore Mondadori/Einaudi le rispondesse citando i casi di censura, e mettendo in luce il conflitto di interessi e la discutibile liberalità dell’azienda. Ma sono sicuro che gli agguerriti autori di sinistra che combattono “dall’interno” non mancheranno in tal senso… vero?
François Jullien:
«La realtà è fatta di maturazioni silenziose, di trasformazioni continue e globali che però, anche se ci stanno davanti agli occhi, noi non riusciamo a vedere»
…Un´altra trasformazione in corso, di cui spesso non si ha coscienza, è quella che riguarda il progressivo restringimento degli spazi di cultura in Europa, dove la cultura mediatica sta progressivamente sostituendo la cultura di qualità. Pur non volendo fare troppo la Cassandra, credo che sia giusto mettere in guardia contro questa vera e propria recessione intellettuale che riduce progressivamente le possibilità della cultura di qualità. È una trasformazione silenziosa, di cui dobbiamo avere coscienza per provare a organizzare forme di resistenza e strategie in grado d´interrompere tale processo».
del francese invito a leggere l’articolo del manifesto
http://www.ilmanifesto.it/il-manifesto/argomenti/numero/20100909/pagina/11/pezzo/286488/
“E davvero qualcuno può credere che in questi vent’anni, scendendo ogni mattina in trincea, elmetto in testa, in Mondadori abbiano dovuto difendere giorno dopo giorno la propria autonomia, i propri principi contro l’invadenza del padrone-censore? Ma andiamo!” marina berlusconi.
un ultimo commento sulla vicenda Mancuso/Mondadori ed effetto mediatico seguente:
abbiamo visto come un semplice articolo di giornale contenente un caso di coscienza singolo e la chiamata in causa dei colleghi (entrambi espressi in modo pacato da un personaggio che non è certo noto e considerato quanto altri, ma che può vantare un po’ di popolarità televisiva) possa scatenare un effetto domino sulla stampa e internet che dura già da due settimane e che è iniziato in tempo di vacanze estive. Per la cronaca, G. Mascia, ossia uno sconosciuto ai più, su internet ha raccolto 6000 adesioni in pochi giorni (di fine agosto) per la sua campagna di boicottaggio di Mondadori.
Basterebbe l’aggancio del caso Mancuso con una trasmissione televisiva per farlo dilagare: e sarebbe successo, forse, se trasmissioni come L’infedele o Annozero fossero andate in onda mentre scoppiava il caso sulla stampa.
Figuriamoci, figurati Andrea, cosa accadrebbe davanti a una campagna studiata mediaticamente e che coinvolga molti personaggi popolari e qualche personaggio televisivo. Davvero sarebbe tanto diverso dall’effetto domino che ho provato a descrivere?
E non ho altro da aggiungere su questo argomento [Forrest Gump].
L’obiettivo di Murene è allargare il campo delle conoscenze e delle letture tramite il gesto, provocatorio ma anche profondamente sincero, di lanciare una sfida alla comunità intellettuale italiana.
Questa sfida non consiste nel pensare di potere scardinare dal basso il monopolio delle grandi case editrici, ma nel semplice (si fa per dire) allargamento del campo dell’esistente (e quindi del possibile).
Questo perchè mi sembra evidente l’abissale povertà di letture e di curiosità intellettuale, il pauroso abbassamento del livello minimo di competenza, che caratterizza il “colto” italiano odierno. Non si tratta di convertire tutti alla scrittura “sperimentale”, ma di 1. sapere che esiste, 2. capirne il senso profondo (che non è, lo preciso a rischio di essere pedante, “ti faccio vedere quanto sono bravo a usare parole strane”), 3. inocularla in ciò che si scrive (e ognuno, ovviamente, scrive ciò che vuole, ma la differenza si sente subito. E la sentono anche i lettori, che ci si creda o no).
Un esempio che forse chiarisce: i musicisti dell’orchestra di Sanremo conoscono e sanno eseguire Stockhausen e Coltrane. E se non li conoscessero e sapessero eseguirli, nell’orchestra di Sanremo non li farebbero entrare. Ed è giusto e normale che sia così.
Invece in letteratura, in Italia, le cose vanno diversamente. Pecoraro / Tashtego qui sopra può tranquillamente sparare una solenne, lillipuziana stronzata come (cito a memoria) “preferisco la lingua come mezzo alla lingua come fine” e malgrado questo continuare a essere considerato (cioè a “essere”) uno scrittore (Francesco non ce l’ho con te, sei solo un esempio tra i diecimila possibili, e tu almeno ti esponi).
E se questi sono gli scrittori, quelli che dovrebbero “creare”, figuriamoci i “semplici” lettori.
A questo si collega la questione della distribuzione “dal basso” e/o dell’autoproduzione: io trovo raggelante che un gesto naturale, vivo, come il voler mettere in mano alle persone dei testi che considero belli e che in Italia, per molti motivi, non trovano spazio, debba passare attraverso i mille distinguo, i mille inni alla paranoia, alla poca voglia di vivere e conoscere e scoprire, che ho letto in questo thread (e che la scarsità di abbonamenti a Murene, nel suo silenzio, conferma nel modo più assordante).
Da questo punto di vista, la polemica “Mondadori sì / Mondadori no” che ho seguito in queste settimane ha qualcosa di skinneriano (Skinner, il behaviourista degli anni 50) che davvero mi fa salire il freddo lungo la schiena. Gli scrittori italiani, oggi, sono topi dentro una scatola di legno. Si fa cadere nella scatola un libro Mondadori: chi lo raccoglie riceve il cibo, chi lo rifiuta riceve una scossa elettrica (o viceversa, a seconda delle “convinzioni” di ciascuno). Ma l’idea di abbattere le pareti della scatola, spiazzare il mondo, sembra non sfiorare nessuno.
Ciò mi conferma una cosa che a me sembra del tutto evidente, cioè che Berlusconi è l’ultimo, davvero l’ultimo, dei problemi dell’Italia di oggi. Il problema vero – uno dei problemi veri – è che l’Italia di oggi molto semplicemente – e le cause sarebbero da indagare senza sconti per nessuno – sembra non disporre di una classe intellettuale all’altezza delle sfide che questo momento storico le lancia.
Ma io non mi rassegno all’idea di essere morto, tantomeno a quella che siano morti tutti gli altri. Nel suo piccolo la collana Murene, piaccia o no a chi le fa l’onore di applicarle il suo sfascismo radical-snob – e, di fatto, ben al di là delle nostre intenzioni originarie – si rivela un discrimine vero, oggi, tra i vivi e i morti. E questo, a ben guardare, è tanto vivificante quanto spaventoso.
Ansuini (e Galbiati), interessantissima l’intervista a Marina Berlusconi. Della quale il punto davvero nevralgico non è quello che dice lei, ma il giornalista che trascrivendo:
D. Non sarà mica tutta colpa di Mancuso, i giornali hanno dato ampio spazio alla polemica, segno che il tema c’era.
R. «Veramente a dare il là è stata, come al solito, Repubblica […]”
scrive “dare il là” con l’accento. Perchè questo significa che quel giornalista – e quindi con lui, probabilmente, buona parte dei suoi lettori, buona parte cioè dell’Italia colta e pensante – letteralmente non sa di cosa si sta parlando.
Le conseguenze politiche, sociali e culturali di questo credo siano sotto gli occhi di tutti.
rispondere con cose a cose e con atti a atti, cercando di sfuggire alla logica auto-consolatoria del contrapporre mere parole a cose e a atti altrui sperando in un riscontro «mediatico» che dovrebbe salvarci tutti, è l’unico modo per non essere morti, in effetti, e per essere «politici», sono d’accordo con te, @andrea R.
[non ripetetemi, o almeno non a me – lo dico per chi lo volesse fare – che uscire da Mondadori sarebbe un «atto», non ci credo, non credo alla sua praticabilità, alla sua efficacia fuori dal breve momento mediatico e spettacolare, vedo solo la costrizione del gioco in difesa, non la costruzione di qualcosa, l’ho già detto e non ci tornerò sopra]
miei cari indiani, mi pare di non avervi mai ringraziati, ci pensavo ieri sera, anche quando non sono d’accordo con alcuni di voi, quando non mi piace un post, quando un thread mi fa alzare la pressione o me la abbatte, persino quando mi pento di essermi lasciata trascinare in una inutile discussione sopra le righe e mi metto il bavaglio, per una naufraga di una generazione militante come la mia non è una piccola cosa poter parlare con le generazione successive, perciò grazie, spero che non sembri sentimentale, non lo è, solo doveroso perché so che ci sono “persone” dietro a tutto questo.
Andrea,
I poeti sono vivi, anche in un paese muto. Il poeta è il campione del digiuno o della fame – il personaggio di kafka- La poesia occupa l’anima, è mistica- un’esperienza non come mezzo, come enigma della vita, della scrittura- una ricerca senza confine. Per il momento, la poesia è una battiglia della sopravvivenza.
La parola vive- anche se fosse un solo lettore da ascoltare. La parola di un poeta ha un tempo di eternità.
Murene è un progetto che ti tieni al cuore- non dall’interesse- ma come opera colletiva- territorio da creare- parole da condividere- esperienza.
Nel mio caso, credimmi, mi abbonno quando posso farlo. Non perché sei un amico, ma perché amo il progetto e ho la curiosità di scoprire nuova terra- sono lettrice di poesia- direi bevitore di poesia- nel senso di un’ebrietà baudelairienne-
Raos sottoscrivo il tuo intervento riga riga, raramente mi è capitato in queste discussioni dove ognuno ha idee alla fine leggermente diverse. Sul tuo intervento davvero non ho nulla da eccepire. Ora non è perché ti occupi di poesia, se lo aveste fatto con autori di narrativa non tradotti in italia sarebbe stato lo stesso. Poche chiacchiere, si fa, si fa quello in cui si crede, anche da soli, si costruisce una scatola di cartone di fianco a quella di legno e si sta lì. Murene potrà anche rimanere sotto i 100 abbonamenti, ma è la prova che qualcuno si rimbocca le maniche e prova a costruire qualcosa di diverso. Potrà anche chiudere se non ci saranno fondi, sono convinto che provereste un’altra strada (fra poco arrivano gli epub che faranno surf sullo tsunami digitale) l’importante è andare dietro alle proprie idee con tutta la forza, le proprie capacità, il proprio talento e la propria fatica. Mettere un piede nella porta. A costo di farselo spezzare.
marina b. ha bacchettato le dita a quanti con l’elmetto vanno a dire in giro che grazie a loro c’è ancora democrazia, c’è ancora libertà. E al tempo stesso fa un nodo al guinzaglio e lo accorcia. Io spero che tanti tipo Sebaste che mi sembrano davvero in dubbio (altri sono certi di quello che fanno) possano rendersi conto di come vengono trattati, di che figura si fa a comparire in quel catalogo in questo momento storico. Il padrone ti ricorda sempre la gerarchia. Te la ricorderà sempre. Finché sarà il tuo padrone.
Nel (complessivamente) bel intervento di Raos io vedo anche qualche contraddizione. Dapprima si rivolge alla “comunità intellettuale italiana” (e in sottofondo penso “allora io non c’entro”) poi se la prende con il pubblico più genericamente “colto” (e in sottofondo penso “se si riferisce al campo letterario non c’entro as well”). Ma poi abbassa talmente il livello del suo target da farmi sentire finalmente chiamato in causa: c’è dunque una “scrittura sperimentale”. Sapevo che esiste? Beh sì, la rete è ampia e ramificata, pochi link ti possono portare lontano. Inoltre, di questa “scrittura sperimentale” bisogna capire il senso profondo. E qui mi sembra che le cose si facciano un po’ autoreferenziali, perché la lista di cose di cui sarebbe bene “capire il senso profondo” è certamente affollatissima e spazia dai derivati finanziari alla teoria della stringhe. Bisognerebbe riconoscere che Internet ci mette di fronte una ricchezza esorbitante: in ogni direzione geografica, tematica e temporale abbiamo a disposizione percorsi realmente illimitati. Pensare che una persona non possa raggiungere uno stato di decente umanità se non coglie l’offerta di Murene mi sembra francamente esagerato, eppure certi commenti sembrano dire proprio questo.
“Pensare che una persona non possa raggiungere uno stato di decente umanità se non coglie l’offerta di Murene mi sembra francamente esagerato, eppure certi commenti sembrano dire proprio questo.”
Oibò Elio, che esagerazione. Se uno dei commenti in questione era il mio ritiro tutto! ;)
A parte gli scherzi però mi pare di aver detto che invece si potrebbe anche non abbonarsi per motivi di “gusto”. Per esempio il vota antonio vota antonio vota antonio di Biondillo (tradotto in abbonati abbonati abbonati) non credo porti molta acqua al mulino. Certo che fra il dare rilievo a un’iniziativa e renderla certificazione di dignità umana ce ne passa.
Il pauroso abbassamento del livello minimo di competenza, che caratterizza il “colto” italiano odierno.
Questo è il punto ahimè.
E vedo teorizzare nei blog la morte dell’autore, la cultura >b>orizzontale dove la poesia di un poeta è uguale (evviva la democrazia) a un testo spezzettato in piu’ righe di una casalinga, dove non esistono competenze non esistono gerarchie e tutti sono poeti e romanzieri, tutti scrivono e nessuno legge. STRONZATE
E vedo aspiranti romanzieri, aspiranti poeti incazzati con il mondo perchè la loro arte non verrebbe riconosciuta, vedo tutta questa gente frustrata che dall’alto della sua presunta superiorità letteraria no nriconosciuta, viene qui a pontificare e ironizzare e teorizzare; a fare del sarcasmo da 4 soldi sulla scommessa murene, senza dissimulare il suo sarcasmo sui componenti della redazione (raos rizzante inglese ) e gli rode il culo.
la verità è, ha ragione galbiati, che tutti scrivono ( 99% spazzatura) e nessuno legge, nessuno studia, nessuno impara.
Raos, intervento accorato, ma fare di Murene il distinguo fra morti e vivi è un’ immeritata e preventiva dichiarazione di impotenza. Chiedetevi piuttosto cosa sia la sinistra oggi, a partire dai trentamila accessi unici fino agli 87 abbonati.
La scrittura di ricerca francese è un “danno collaterale”. Io credo che i post di poesia siano i meno letti in assoluto su questo sito e non perché li fate voi, ma perché la poesia è un rompimento di balle preventivo, un’arte facilissima e ciò nonostante elitaria nel fondo, assolutamente non democratica né solidale.
Se a voi non è bastata neppure l’apertura indiscriminata al dilettante, la politica della buona parola, la fidelizzazione dei centinaia di cui avete lavorato/ospitato testi, il problema è sociale ed è un problema è di sinistra come lo fu quello del Manifesto, cosa cioè è diventato il vostro potenziale target di mercato (o la vostra comunità di riferimento per i doni, se quell’altro linguaggio è troppo bruto) in 15 anni di berlusconismo.
Ripeto, portate NI & commentario in privato, chiedete 20 euro annui per l’accesso completo e avrete almeno 300 iscritti, me compreso; l’1% di paganti è la consueta trasposizione tra utenti aggratis e utenti che accettano di pagare (non mi stupisce che la poesia da sé non arrivi allo 0.3%).
@elio_c
mio padre che aveva la licenza di v elementare mi ha sempre insegnato che in tutte le cose la prima regola da applicare è il buon senso.
Evitiamo per un attimo i discorsi sui massimi sistemi.
Ci sono delle persone che frequentano questo sito, perchè ne traggono in qualche modo vantaggio suppongo; se non altro per esprimere la loro opinione o per fare pubblicità al loro sito.
Questo sito si fonda sul lavoro gratuito di molte persone, che mettono a disposizione di questa comunità una parte del loro tempo, che potrebbero impiegare altrimenti.
Questo sito in modo trasparente ha scelto 4 persone cui si riconoscono competenze letterarie
(propongo che nella pagina dedicata a murene vengano inseriti i curriculum dei quattro di cui parliamo)
queste persone si assumono la responsabilità di fare delle scelte letterarie, scelgono dei testi letterari che vengono pubblicati. Testi letterari che altrimenti non potremmo leggere.
Perchè questa iniziativa abbia successo si chiede di aderire. L’adesione costa 20 euro che, diviso per tre libri fa 6,666 euro.
Il buon senso mi dice che se frequento questo sito e apprezzo la sua linea culturale, se sono una persona curiosa e aperta al nuovo, se credo nel dovere di cercare starde nuove,
il buon sernso m idice di sostenere questa iniziativa.
Ove i libri non mi piacessero, pazienza, avrei speso 20 euro.
ma cazzo quante volte compriamo un libro di 15 euro che si rivela una schifezza ?
ragazzi, sono solo 20 euro, 4 pacchetti di sigarette, due ricariche del cellulare,
e ci mettiamo a scrivere trattati per capire se questa iniziativa è utile, democratica rivoluzionaria, alternativa sperimentale oppure no?
“”””
la poesia è un rompimento di balle preventivo, un’arte facilissima e ciò nonostante elitaria nel fondo, assolutamente non democratica né solidale. “””
ma ti rendi conto delle bestemmie che dici?
Osservazioni:
– La poesia non è materia da mercato.
– Se l’obiettivo è l’autofinanziamento il suggerimento di Giusco è buono, ma 300 abbonati sono comunque pochini. Bisognerebbe aggiungere altri servizi, per raggiungere almeno una quota di 3000, toh.
– Se l’obiettivo invece è “allargare il campo delle conoscenze e delle letture tramite il gesto, provocatorio ma anche profondamente sincero, di lanciare una sfida alla comunità intellettuale italiana.” privatizzare NI non avrebbe senso. Magari in futuro, dopo aver fatto un certo lavoro e studiato, per l’appunto, servizi aggiuntivi. Questo per far sì che il lavoro sia anche “pagato” ma:
– La poesia non è materia da mercato.
Alessandro, non credo che il mio suggerimento sia drastico. Ma io non sono di sinistra, quindi ragiono in altro modo, quanto cioè devo mettere sul piatto per usufruire del servizio e risparmiarmi le patetiche tirate, le mozioni degli affetti e gli insulti preventivi. In termini monetari pagherei anche 50 euro l’anno per un servizio come NI, commentario incluso. Non mi interessa invece pagare per tre libri di poesia perché, con sommo scandalo del candido Carmelo, credo che la poesia sia esattamente quel che ho detto prima e -come tale- seguo solo il mio gusto (o canone soggettivo di lettore, indifferente anche ai richiami comunitari).
A me Carmelo fa tenerezza.
@ GiusCo:
più che “sinistra” tout court, tornerei alla comunità intellettuale e/o supposta tale e/o sedicente tale cui riferiva Raos (il cui passaggio capitale, si badi, è quello sulle competenze dell’orchestra sanremese). detto questo, quanto asserisci nella seconda frase del tuo commento mi pare sostanzialmente esatto e condivisibile.
il resto, ma forse inizio solo a stancarmi di questo thread, è, scusami se te lo dico, al limite dell’allucinazione. (e poi, nel contesto di Murene, perché è di questo che si parla, sarebbe bello sapere cosa c’entri la poesia di ricerca francese).
Hail,
f.
scusami, GiusCo, non avevo letto l’ultimo commento. quanto su si riferisce al tuo precedente.
@raos
grazie raos per l’argomentato commento al mio commento, ma non è colpa mia se mi sembrate macinatori di parole a vuoto.
qualificare un sintetico giudizio critico come una “lillupuziana colossale stronzata” è un lillipuziano atto di violenza, del quale hai voluto fregiarti.
abbi cura di te, in ogni caso.
@AMA e ilfugiusco
vi ringrazio per la tenerezza e il candore mi attribuite.
Sicuramente non ho una mente raffinata e profonda come la vostra che spinge l’uno a teorizzare che
“la poesia è un rompimento di balle preventivo, un’arte facilissima e ciò nonostante elitaria nel fondo, assolutamente non democratica né solidale”
l’altro a considerare a ironizzare sulle competenze di Raos come traduttore e critico.
tutte e due mi chiedo cosi vi spinge e perdere il vostro tempo a frequentare questo sito e leggere cose ingenue che scrivo!
prima di andare a fare la spesa vorrei porre due domande ai nostri due eruditi per cpaire meglio il significato profondo delle loro affermazione:
AMA
tu hai messo in dubbio e hai ironizzato sulle capacità di Raos in quanto traduttore;
benissimo, vorrei che tu, sempre che sia in grado di padroneggiare l’inglese o il francese, o il giapponese (non vedo altrimenti dove fondi questo tuo giudizio) spiegassi su cosa si fonda questo tuo giudizio molto impegnativo. Hai fatto un’analisi critica del libro tradotto da Raos?
Ilfugiusco
tu affermi che la “poesia è….assolutamente non democratica e solidale”
potresti illuminarci su quali sono secondo te le arti democratiche e magari su cosa intendi per democrazia?
vi prego di articolare il vostro profondo pensiero con calma (magari indicando una bibliografia minima per gl iapprofondimenti) perche’ io vi leggero questa sera.
grazie dal vostro candido e tenero carmelo
Sig. GiusCo, quanto qui riporto da lei scritto:
Ripeto, portate NI & commentario in privato, chiedete 20 euro annui per l’accesso completo e avrete almeno 300 iscritti, me compreso; l’1% di paganti è la consueta trasposizione tra utenti aggratis e utenti che accettano di pagare (non mi stupisce che la poesia da sé non arrivi allo 0.3%).
a mio ignorantissimo ed infimo parere, è la cosa meno di sinistra che abbia avuto la sfortuna di leggere ultimamente.
non sono abbonata a Murene (ancora per il momento, aggiungo) unicamente perché – vi sembrerà strano, probabilmente – ma devo far quadrare un bilancio familiare monoreddito per il quale non ho ancora acquistato nemmeno i libri da me prefatti, né l’antologia che fa capo al mio collettivo… vedete un po’ voi. Spero, più per me stessa e la mia famiglia, che per voi tutti, di potermi presto poter permettere il lusso di abbonarmi a scatola chiusa a progett come il vostro.
tanti cari saluti.
nc
No, scusate, ma quando avrei messo in dubbio le capacita’ di traduttore di Raos? Boh! Io dico che dovreste rilassarvi un attimo… Sembrate vivere sotto assedio in tempi di guerra. Mi fate venire l’ansia.
Ho solo detto che Raos autoproduce le sue traduzioni. E fa benissimo. Punto. E che di solito con le autoproduzioni non si arriva a vendere 100 copie. E che Biondillo forse non e’ un buon venditore di riviste. Fine.
Per questo sono stato attaccato anche gratuitamente, o no? Ma la colpa e’ mia: sbaglio sempre il tono!
Un’ultima cosa… A che titolo mi si vengano a chiedere 20 euro non l’ho ancora capito!
Avere un atteggiamento critico è considerato colpevole a prescindere, in Italia.
@raos
Il dottor Stranamore sarebbe entusiasta del suo intervento.
“Murene un discrimine vero, oggi, tra i vivi e i morti.”
Cos’è marketing indiano o metafisica sperimentale?
” l’Italia…. sembra non disporre di una classe intellettuale all’altezza delle sfide che questo momento storico le lancia.”
Non sia così pessimista,c’è sempre lei e gli altri di NI.
@ansuini
Ma perchè prendi l’intervento di Moresco come fosse diretto a te!
Se lo dice,saprà anche i nomi a cui si riferiva,che non eran “tutti” come tu affermi….e casomai i patetici,per non dir di più,son appunto quelli,non lui.
@galbiati
Guardi che la censura editoriale che tanto la scandalizza a senso unico,è sempre stata molto in voga dappertutto.Il compianto Giulio Einaudi non scherzava! E pare,dico pare,che anche i Mulini ne siano colpiti.
A dire il vero,il titolo di questo post dell’Inglès dovrebbe essere Cronache Marziane.
Giusco: non ho detto che sia drastico infatti, mi limitavo a ipotizzarne la valenza. 300 x 20 fa 6.000 euro. E chiuderesti NI. Non mi sembra una grande trovata. Aumentare il “canone” anche non mi pare una buona idea, come hai fatto notare oltre agli articoli apprezzi anche il commentarium e, quest’ultimo, non essendo “stipendiato”, a un sito chiuso rispetto a uno aperto si sposta, in scioltezza. Comunque vista la premessa molto chiara di Raos non credo proprio che qui su Ni si siano messi in testa di camparci, né col sito, né con l’operazione Murene.
Si sta facendo un atto di resistenza culturale che, giustamente, dal punto di vista estetico puoi non condividere. Parafrasando Galbiati, che ipotizzava uno storico del futuro che guardasse a questi tempi bui, fra il pampletto dei carmilliani (che è un documento) e la presenzione di Murene, i posteri un’idea se la faranno. Vero è, su questo mi trovi d’accordo, che a oggi si parte sconfitti, qui, ora. Pace. Sconfitti non vuol dire che non si “esiste”. Gli sconfitti fanno parte della partita a tutti effetti. Servono a evidenziare i vincitori.
Johnny Doe, diviene diretto a me quando dice “tutti farebbero così.” Io l’ho interpretata così, mi sento preso in mezzo. Sul fatto che l’intervento di Moresco sia uno dei più onesti non ci piove. Ma non lo condivido. Anche quello di Corona era onesto. Ma non lo condivido. Tutto qui.
«La lingua comunica l’essere linguistico delle cose. Ma la sua manifestazione più chiara è la lingua stessa. La risposta alla questione: ‘Che cosa’ comunica la lingua? è quindi: ‘Ogni lingua comunica se stessa’. Il linguaggio di questa lampada, per esempio, non comunica la lampada (poiché l’essenza spirituale della lampada, in quanto ‘comunicabile’, non è per nulla la lampada stessa), ma la lampada del linguaggio, la lampada nella comunicazione, la lampada nell’espressione. Poiché così avviene nella lingua: l’ ‘essere linguistico delle cose è la loro lingua’.»
W. Benjamin
@ teti, alessandro, carmelo, castaldi
Questo è un topic importante ma controverso ed emergono visioni diverse; non auspico che si arrivi a condividere la mia, che di certo non è solidale, generosa o comunitaria. Posso capire che in diversi contesti (sudamerica, est europa, cina-giappone) arte e poesia abbiano valenza diversa dall’occidente europeo, ma noi qui siamo e qui viviamo. Se da trentamila lettori, solo 87 danno fiducia all’impegno serio e sentito dei redattori di NI, c’è un problema. Ciò detto, si fa quel che si può, di carne al fuoco ce n’è tanta o ognuno può tararla come gli pare. Pace a voi.
Giusco per quel che mi riguarda infatti si stava solo discutendo, non credo che nessuno dei due abbia le stesse posizioni, ma si può prendere da una o dall’altra ciò che si ritiene opportuno per “l’obiettivo”. Siamo d’accordo che il problema infatti non è tanto il vendere la poesia, quando la completa analfabetizzazione dei lettori italiani in tal senso. Ma tutti è. Per esempio, noi parliamo fra di noi, che già leggiamo, ma dovremmo aprlare con quei 40 milioni che non comprano nemmeno un libro. Lì è il problema.
@ GiusCo
“Se da trentamila lettori, solo 87 danno fiducia all’impegno serio e sentito dei redattori di NI, c’è un problema.”
Già,molto vero…e quale potrebbe essere questo problema?
Sarebbe interessante capire….
Va bene, abbonato, scrivete 88 :-)
Ahimè, elio, dobbiamo scrivere 95!
Ps.
Va da sé che far pagare l’accesso al sito sarebbe una cosa contraria allo spirito e alla storia di Nazione Indiana.
io da lettore “candido” quale sono dico che bisogna avere il coraggio di insistere se si crede a un progetto. Spero di convincere almeno due amici ad abbonarsi.
chiedo alla redazione di creare una mailing list riservata agli abbonati, perchè possano essere informati degli aspetti organizzativi del progetto, ma anche delle riflessioni in merito alle loro scelte estetiche di cui i redattori se ne hanno voglia e lo ritengono opportuno potranno fare partecipi gl iabbonati medesimi.
per carita’ non chiedo una mailing list aperta, una semplice mailing list dove gli abbonati ricevono le comunicazioni.
chiedo anche che nella pagina delle murene, vengano pubblicati i curriculum, ovvero l’attività e le opere dei redattori, di modo che un lettore candido come me, che quando per la prima volta è entrato qui su NI nemmeno sapeva dell’esistenza di queste persone, possa essere informato e magari leggere i testi reperibili in rete degli autori medesimi.
Scusate se forse dico cose che avete già detto o affrontato.
C’è un “problema” murene? Ha “solo” 100 abbonati? Però a me non sembrano pochi. Un autore – un poeta – come Rodefer ha veramente più di 100 lettori in Italia oggi? No (e non è detto che sia un male. Non lo dico ironicamente o polemicamente. Se avessi scritto un giallone con simpatico ispettore gastronomo e poi vendo 100 copie allora sì, mi preoccupo e penso dove ho sbagliato – oppure penso che l’Italia è un paese di morti che non è in grado di capire il mio genio per il giallo. Ma se scrivo poesia che fin dall’inizio seleziona il suo pubblico poi non mi lamento di avere un pubblico selezionato).
Ripeto, magari sbaglio (e di certo non sarete d’accordo), ma Rodefer più di 100 copie fisiologicamente, sanamente non li vende. Dovreste essere felici se siete riusciti a “infettare” 100 lettori con la poesia di Rodefer.
Volete di più, volte allargare il campo dei possibili, come dite? Be’, ma allora cominciare con Rodefer è come invitare qualcuno a fare dell’alpinismo e cominciare con l’Everest. Si può benissimo pescare al di là dello “spettro del visibile” del mercato editoriale, senza per questo ricorrere a degli indigeribili come Rodefer.
In più – e qui è l’unica critica che mi sento di muovermi – avete proposto autori e testi che sarebbero stati eccentrici anche trent’anni fa, li avete gettati alla “ricezione culturale” italiana (che come giustamente dice Raos non è certo migliorata – anche se su questo si potrebbe discutere…) senza un granché di apparato o contestualizzazione, senza in qualche modo “preparare il terreno”. E’ chiaro che poi così appare ancora di più come un oggetto non identificato.
hai ragione le cose si possono vedere da diverse prospettive.
Non entro nel merito delle scelte ora, solo alla fine si potrà fare un bilancio;
io mi aspetto:
1)onestà intellettuale. Se un redattore facesse una scelta dettata dall’amicizia o da un interesse personale, sarebbe un’infame e non gl ibasterebbe la vita per pentirsene. ma non ho assulatemente timore che ciò possa succedere.
2)privilegiare in modo assoluto il criterio estetico, la qualità dell’opera senza porsi quei problemi che si porrebbe una casa editrice.
C’e’ una piccola casa editrice che aveva cominciato a tradurre horacio castellanos moya, ma che poi di fronte alle scarsissime vendite è stata costretta ad abbandonare il progetto.
Questo qui non deve succedere, nessun ammiccamento. Una scelta sol oed esclusivamente estetica che ricade sulle spalle del redattore.
Ritorno in ascolto. E ho visto che la discussione ha messo a fuoco alcune questione importanti. Ringrazio oltre i commentatori, Raos e Forlani che hanno contribuito a chiarire meglio il senso di un’operazione come Murene.
Chiariamo subito un punto. Se c’è una cosa che non ci salta in mente è venire a lamentarci se gli abbonamenti sono 95 (!!!). Già nel mio articolo dicevo che il risultato raggiunto era notevole. E dico che abbiamo fatto questo con senso di sfida: sfida nelle nostre capacità di sputare fuori – da soli – tre libri importanti letterariamente e in più di ottima qualità come oggetti da leggere, sfida nei confronti della grande editoria, che spesso (non sempre) è pavida, prudente; sfida nei confronti dei lettori della rete, dei lettori in generale; avranno voglia di mettersi in gioco? (Quale che sia il risultato, noi e voi avremmo imparato qualcosa, magari sui nostri sogni…).
Intanto, scusate, ma una iniziale risposta la possiamo dare: SI, i LETTORI DI NI hanno voglia di mettersi in gioco.
A fronte di un Pecoraro, che ha commentato sprezzantemente prima di leggere il post e prima di capire che cosa pubblicavamo, a fronte delle battute condiscendenti di un AMA, a fronte di GIUSCO che dall’unico brano di Rodofer ha decretato che noi non possiamo che pubblicare libri noiosissimi, e a fronte di un paio di altri, nostri fedelissimi nel fare il coro cinico, 95 silenziosi lettori sono stati curiosi e hanno fatto un gesto fondamentale: mettere venti euro dentro una proposta che non è quella standard, del mercato editoriale. Non so se tutti loro saranno soddisfatti, se tutti e tre i libri piaceranno loro allo stesso modo. Ogni volta che si compra un libro, d’altra parte, anche di un autore che si ama, non c’è nessuna certezza che anche questo lo ameremo come il precedente.
Quindi intatto GRAZIE a quei 95 che sono pazzi e generosi, quanto noi lo siamo stati buttandoci in questa faccenda.
Se poi arrivassimo un giorno a 200, varebbe davvero la pena di riflette sulla nostra forza, su quello che potremmo fare insieme. Sempre in un ambito, ovviamente, limitato, non di pubblico e mercato, ma di persone e progetto.
La sfida rimane aperta, e la discussione pure. E quest’ultima ha mostrato che il punto non è quello di ribadire o rovesciare una falsa gerarchia, che vede al vertice il prodotto di grande produzione e di grande pubblico e all’ultimo gradino l’autoproduzione; né tantomeno il rovesciamento di ciò, predicando l’autopubblicazione e la scomparsa di ogni gerarchia di valori; la questione più spinosa e centrale, quella che io ho cercato di sollevare, riguarda innanzitutto l’autonomia. E le vie dell’autonomia sono tante: la grande prouduzione, finché ce lo permette, la piccola produzione (anche se spesso non ci paga, o ci abbandona), l’autoproduzione (se attraverso la sottoscrizione possiamo far circolare testi per noi davvero importanti e, dimostrare, che si può fare).
Infine una risposta a Natalia, che rispondeva a una proposta del Giusco di mettere NI a pagamento. Pinto ha già prontamente risposto. Ma nello stesso articolo qui sopra cito appositamente e abbondantemente il caso di Jorion, che difende il principio della gratuità, pur promuovendo una campagna di sottoscrizione per i lettori del suo blog – che possono farlo o che vogliono. E questo è ovviamente anche il nostro punto di vista.
Aggiungo dei ringraziamenti personali. Ad alcor, che si prende la briga, in mezzo a chili di cinismo – ma il cinismo è la merce che più abbonda in Italia – di difendere la dimensione incoraggiante del buon senso (che è cosa diversa dal senso comune) e grazie anche a chi s’incazza con noi, o ci sa criticare, come carmelo, lorenzo, e altri che si ricordano comunque sempre che sono persone vere quelle con cui parlano, e non dei bersagli astratti nelle loro teste, come “quelli di NI”, o cose simili.
(E poi – anche se non gliene frega un cazzo davvero a nessuno – ho preso la patente. E questa è una sfida lanciata contro il trasporto su ruota di uomini e merci dell’intero paese.)
Vedi Andrea, anche io ho risposto a GiusCo, come persona vera… che ci pensa anche per venti euro, pur volendole investire e si riserva di poterlo fare… più di questo che dirti?
felice che tu sia motorizzabile ;)
non condivido l’accanimento tuo e di Raos su Pecoraro. Non mi piace fare l’avvocato e non credo che lui ne ha abbia bisogno.
Mi sembra che abbia premesso di no naver letto tutto l’articolo (e giustamente non aveva capito bene lo spirito del progetto). Dopodichè ha espresso la sua opinione e i motivi che lo inducevano a non partecipare. Lo ha fatto senza retorica e in modo schietto e leale. Ed ha anche fatto gli auguri.
Non sta scritto che chi aderisce è bello e chi non aderisce è brutto.
Sta scritto che si aderisce o non si aderisce, facendo delle scelte dettate dal buon senso, dalle proprie convinzioni e nel massimo rispetto degl ialtri.
Per il resto condivido tutto il resto e credo nel carattere innovativo dell’iniziativa. sogno tante NI sparse per il globo in grado di creare una catena di scambi culturali al di fuori del mercato e della demagogia.
E sono contento che siamo in 95 e sono sicuro che potremo essere ancora di piu’ se ognuno di noi ne parla con i suoi amici.
Io non vorrei essere pedante nè fare la parte di quello che rompe sempre.
E’ stata chiesta un’assunzione di responsabilità ai lettori. Bene il che implica innanzitutto un rapporto di trasparenza e di ocmunicazione tra la redazione e i lettori.
Al riguardo ho chiesto due volte che sugli aspetti organizzativi e sull’evoluzione del progetto gl iabbonati vengano puntualmente informati proponendo la mailing list dove gl iabbonati ricevano le informazioni.
Mi basta una risposta si o no e perche’.
Per esempio 100 x 20 fa 2.000. Con 2000 euro riuscire a pubblicare 3 libri per un totale di 300 copie è una grande impresa. Non conosco i costi produttivi, di sicuro immagino che la traduzione viene fatta quasi gratis.
Mi paicerebbe poter condividere gli aspetti organizzativi-gestionali del progetto. E magari ( ma questo dipende dalla volontà dei redattori, le motivazion iestetiche delle scelte.
No todo esta perdido, come dice un grande poeta
@natàlia castaldi
se non passassi per un bastardo mi verrebbe voglia di chiderti umilmente di accettare come fosse una rosa la mia offerta di offriti l’abbonamento
ah no! Carmelo :) prendo la rosa!
mi abbono presto, ma da me. grazie però!
Un po’ di risposte e precisazioni sparse.
@Carmelo: io (ma penso di poter parlare anche per Inglese) non mi sono “accanito” su Pecoraro (per il poco che conta lo conosco anche di persona, per quanto non bene, e mi è pure simpatico).
Però non vedo perchè dovrei trovare normale che si intervenga a vanvera su testi che non si sono letti, tanto più per sminuire un’operazione di cui palesemente non si è capito molto (anche nelle sue ambizioni politiche, alla faccia della lingua che non “comunica” – e grazie ad Alcor per avere citato Benjamin, oltre che per tutto il resto). Soprattutto – lo dicevo anche nel primo commento – questi atteggiamenti mi fanno girare i coglioni perchè sono l’esempio perfetto dell’eterno, per me insopportabile cinismo italico (ben diffuso sia a destra che a sinistra). A Pecoraro, peraltro, ho riconosciuto il merito (e non ero ironico) di avere parlato chiaro: tanti scrittori e intellettuali, sono convinto, queste cose le pensano ma si guardano bene dal dirle, o semplicemente se ne fregano, e dunque sono mille volte peggio. Questo solo per dire che di tutto si tratta, per me, tranne che di una questione personale tra me e lui.
*
Alle tue diverse domande, se non me ne è sfuggita qualcuna, dovrebbe rispondere questo post di presentazione https://www.nazioneindiana.com/2010/05/27/murene-la-collana/
Le informazioni sui curatori di Murene le trovi qui
https://www.nazioneindiana.com/chi-siamo/
Insisto solo sul numero “magico” di 200 abbonati (= 4000 euro). Non lo abbiamo scelto a caso: il ricavato sarebbe esattamente la cifra necessaria a rimborsare le spese vive di produzione (stampa, impaginazione, spedizione, gestione del sistema paypal etc) dei 3 volumi. Con questi soldi, quindi, si finanzierebbero le stesse spese per i 3 volumi successivi. Tutto il resto invece (essenzialmente traduzione, curatela e progetto grafico) è fatto gratis (e anche questa parziale gratuità è parte integrante, “militante”, del progetto, fin dal suo inizio).
L’idea della mailing list per gli abbonati che permetta loro di seguire in diretta la nascita delle Murene 2011 non sembra male, ne parlerò con gli altri. Ma ti avverto che rischieresti di annoiarti ;)
Grazie, intanto.
@Mu Reno: la decisione di far esordire Murene con Rodefer, oggettivamente l’autore più difficile dei tre, è stata mia e me ne assumo la responsabilità (non sei il primo a criticarla). Solo due cose:
1.“Rodefer più di 100 copie fisiologicamente, sanamente non li vende”. No, non sono d’accordo. A parte il fatto che stiamo parlando di 100 lettori per Rodefer + Torga + Schulze, 100 lettori “forti” (quasi culturisti, direi, in questo caso) per un paese che vuole dirsi civile sono pochi, troppo pochi. E non è scontato che sia così. Se vuoi ti racconto la storia della traduzione giapponese del Finnegans Wake (è uno dei miei cavalli di battaglia). Il pochissimo che potrà fare Murene per allargare questa base sarà uno sforzo ben speso, ne sono convinto.
2.Poi dici “[questi autori] li avete gettati alla “ricezione culturale” italiana […] senza un granché di apparato o contestualizzazione”. In un modo che va molto al di là del caso specifico di Rodefer, io sono convinto che in Italia oggi latiti, sia indebolito, proprio quell’aspetto fondamentale (non solo per me, credo) dell’esperienza estetica che è l’inatteso, e proprio per questo avevo insistito con gli altri perchè si esordisse con l'”illeggibile” Rodefer. Perchè tutto deve essere preparato, predigerito? Di che cosa abbiamo paura? Cosa temiamo di non “capire”? Ma davvero siamo ridotti così male? Gli “oggetti non identificati” dovrebbero essere un elemento essenziale (non l’unico, certo) del bagaglio della vita di chiunque (non penso solo e di necessità ai libri). E dunque, quale vita vogliamo?
*
Grazie a tutti davvero.
“Sconfitti non vuol dire che non si “esiste”. Gli sconfitti fanno parte della partita a tutti effetti. Servono a evidenziare i vincitori.”
Mi piace molto come ingaggi la realtà, Alessandro.
Un saluto
Per chi vuole abbonarsi a Murene con bonifico bancario deve fare così? Ho capito bene?
1-
fare il bonifico intestato a:
Associazione Culturale Mauta
IBAN: IT59R0103001632000010129548
Causale: Murene + proprio nome e cognome + proprio indirizzo email
2-
inviare la ricevuta di pagamento (o il CRO) insieme ai dati per la spedizione ad abbonamenti@mauta.org
3- che cos’è il CRO?
Un caro saluto
ad ar che chiede cos’è il CRO: è il Codice Riferimento Operazione, un numero che la banca assegna al bonifico e che permette alla controparte di verificare. Insomma, se fai un bonifico ti danno in mano dei dati, una ricevuta: quella mandaci.
a carmelo, che si meraviglia del mio “accanimento” contro Pecoraro.
caro carmelo, t’incollo qui il primo commento di Pecoraro, scritto il 9 settembre alle 14.25. Puoi andartelo a vedere integralmente. E sottolineo che le mie risposte (due e brevi) a Pecoraro, riguardano QUESTO commento e non altri. E in QUESTO commento, Pecoraro non ci fa nessun augurio.
“non ho letto il post di Inglese.
commento solo la parola AUTOPRODUZIONE contenuta nel titolo.
non mi abbonerò a Murene.
il motivo è semplice: tra autore e lettore mi occorre un garante, che è l’editore.
si può discutere sulle garanzie che può fornire un editore, anzi forse si deve, visto che è proprio uno degli argomenti sul piatto.
tuttavia diffido di chi decide da sé che quella cosa che ha scritto è degna di essere pubblicata e mi invita a comprarla.”
Pecoraro non ha letto il mio post (lo dice lui), però vuole commentarlo lo stesso. Che cosa commenta? Una parola del titolo. Ovviamente non avendo letto il post, commenta una sua libera interpretazione della parola, che per lui vuol solo dire: “chi decide da sé che quella cosa che ha scritto è degna”. E avendola interpretata così, quell’unica parola che ha letto del titolo, poi decide che per questo lui non si abbona a murene. Ora che lui non si abbona a murene a me non frega nulla. Ci sono altri duemila lettori che non si abbonano a Murene. Ma se noi parliamo di responsabilità del lettore, e QUESTA è la responsabilità del lettore, cioè non sapere di che cosa si sta parlando, ma venire a farti la lezione, allora – con tutta schiettezza – vai al diavolo. In più Pecoraro non è un troll vagante, è un nostro vecchio lettore, un lettore che per parte mia stimo, anche perché spesso ho condivido sue posizioni. In ogni caso è uno che ci dovrebbe un po’ conoscere. E questo è il risultato, la prima volta che gli chiediamo di mettersi in gioco, di sostenerci o eventualmente criticarci (a tono).
Poi si parte con il grande coro che in Italia è tutto una merda. Che tutti sono furbi, cinici, ecc ecc ecc. Ma grazie.
Appena cerchiamo di fare qualcosa di non prettamente individualista, ma in gruppo, con delle finalità di critica e nello stesso tempo realmente culturali, il massimo che mi posso aspettare da un compagno di strada è uno sputacchio distratto. Ma grazie.
E siccome lo dico fuori dai denti, tu, carmelo, mi vieni anche a dire che mi “accanisco” contro il povero Pecoraro, che – conoscendolo – non credo davvero abbia bisogno di avvocati.
Poi chiedi: “Non conosco i costi produttivi, di sicuro immagino che la traduzione viene fatta quasi gratis.”
La riposta è già nelle righe finali del mio post, dove ho scritto:
“Ciò nonostante non abbiamo ottenuto ancora quella situazione pienamente soddisfacente, per cui la forza-lavoro intellettuale presente in un prodotto culturale viene adeguatamente ricompensata. Affinché si riuscissero non solo a coprire le spese di stampa e spedizione, ma anche a retribuire il lungo lavoro dei traduttori e curatori (in questo caso Raos, Rizzante, Zangrando), gli abbonamenti dovrebbero almeno raggiungere il numero di 400.”
Sì, Raos ha lavorato gratuitamente circa ogni sera per almeno tre mesi, dopo il lavoro, per terminare quella traduzione. E tutti gli altri curatori e traduttori hanno fatto lo stesso. E Pinto e Jan e Maria Luisa che si sono occupati della parte stampa, conti, spedizione, pure.
Su una cosa hai perfettamente ragione. L’antinarcisismo di Raos fa sì che nella sua laconica nota bibliografica su NI (finestra “Chi siamo”) non accenni per nulla alla sua lunga esperienza di traduttore e studioso di linguistica, dal francese, inglese e giapponese. Raos, sforzati un pochettino! Estendi un pochino la tua nota biblio, per favore.
per inciso, e lo dico in qualità di ggiovane tout court: ragazzi, Rodefer è una “figata pazzesca”, altro che illeggibile.
“Restate the whole culture. We now know what it’s like
to be without a habitat. If the alternative were bombing,
there’d be no problem. Let’s go out for some dumb song
later on. Isn’t this behavior as telling as another?”
(da: Four Lectures, p. 24 della Murena…)
go on,
un saluto,
f.
per completare il bonifico online mi chiedono indirizzo del destinatario, località, paese…. mi rispondete in tempo reale, please?
@Andrea Raos
ti ringrazio per le risposte. Devo dire che il fatto che date scarsa importanza agli aspetti di Marketing, è allo stesso tempo una nota di merito per il vostro lavoro di impegno concreto, per la gratuità (nel senso piu’ nobile del termine) del vostro gesto. Ma anche, come dire un punto di maggiore difficoltà per la riuscita del progetto che, davvero si affida a lettori forti. andiamo per ordine
1) sono andato al link chi siamo: ho cliccato sul tuo link e su quello di massimo Rizzante. Sul tuo ci sono quattrp righe dove si elencano le tue pubblicazioni; Non si dice per esempio le lingue che conosci e che traduci, nè i libri che hai tradotto (ti ricordo che qui qualcuno ha avanzato dubbi sulle tue capacità di traduttore). in quello di Massimo Rizzante non c’e’ niente. E questo mi dispaice molto. Ci sono solo gli iinterventi su N.I.
Allore io riformulo la mia richiesta:
nella pagina Murene secondo me occorrerebbe dare un’informazione piu’ articolata:
– Sul progetto murene
– accanto ai nomi (4 redattori piu’ responsabile progetto grafico) mettere il link sulla pagina chi siamo di quei cinque nomi.
– sul chi siamo fornire informazioni piu’ dettagliate sui quattro nomi:
Andrea Inglese, Mattia Paganelli, Andrea Raos, Massimo Rizzante
tu prova a metterti nei panni, non di uno scrittore o critico, ma di un semplice lettore come me. Io questi nomi prima di mettere piede su nI non li ocnoscevo. Cercavo materiale su bolano e ho trovato il saggi odi rizzante qui.
Insomma quello che voglio dire è di dare maggiore enfasi, comunicazione e trasparenza al progetto.
Perchè non dire che se non si raggiunge la soglia minima di 200 non si rientra nei costi ?
perchè non dire che le traduzioni non vengono remunerate ?
perchè ove per l’appunto si stabilisce questo rapporto di trasparenza, in caso di difficoltà economiche non chiedere ai lettori una libera sottoscrizione come fa il manifesto ?
E’ stato un bene che inglese abbia parlato di questo progetto con questo articolo. Perche’ io pensavo che gli abbonati fossero di piu’,
Io penso che se ognuno di noi si impegna a convincere (in senso nobile) un amico ad abboanrsi, il numero 200 e’ bello che raggiunto.
Per il resto sono d’accordo sull’ipocrisia e il cinismo che alberga in questo paese, dove tutti predicano bene, sono pronti a spiegare quello che devono o non devo fare gli altri, sono pronti a denunciare i massimi sistemi ma poi quando si tratta di prendere una decisione che investe la nostra responsabilità son obravi a inventarsi qualsiasi cosa per restare immobili e addirittura non paghi
volevo finire chiedo scusa:
a demolire con ironie e sarcasmi da quattro soldi il lavoro altrui
cercando con google esce:
Associazione Culturale Mauta
via Padova 60
20131 Milano
mi confermate?
Siamo a 95 abbonati? Grandioso! Allora i 200 non sono lontani. Gli inizi sono sempre tormentati. Allora in bocca al lupo.
http://www.mauta.org/Pagina_principale
Si Natàlia, ed ecco per tutti il link (interno al sito NI), per avere ulteriori informazioni.
Grazie a Carmelo, di nuovo, perché le sue critiche sui nostri limiti “comunicativi” colpiscono davvero nel segno. Indiani, facciamo tesoro di questo.
Qualcosa in più su Rodefer:
http://en.wikipedia.org/wiki/Stephen_Rodefer
http://www.modernsculpture.com/stephenrodefer.htm
http://humanities.uchicago.edu/orgs/review/54-3_intro.pdf
Bene, tutto inizia a girare per il meglio. Mi aspetto un abbonamento gratuito per l’impegno, il semi trollaggio e la posa del cattivo tenuta in colonnino, funzionali all’emergere finale dei buoni e al conseguente incremento degli abbonamenti. Saluti a tutti da peppuzzo-il-venditore… è stato un piacere aiutarvi anche questa volta. :-D
AMA,
“A che titolo mi si vengano a chiedere 20 euro non l’ho ancora capito!”
Per stima, fiducia, amicizia, rispetto, scommessa?
Natàlia,
Confermo.
Mi abbono. Mi abbono. A fine mese. Promesso. Buona domenica a tutti.
Il cinismo non riguarda certamente l’iniziativa in se stessa,ma gli scopi extraletterari che questa si prefigge,come si può vedere dal post e da gran parte dei commenti iniziali.
Combattere il berlusconismo,addirittura il capitalismo editoriale con queste iniziative è infantile.
Per il resto,è tutto da condividere ““Murene è una collana nata da nazioneindiana.com e distribuita per sottoscrizione a lettori consapevoli e inquieti. Indifferente alle mode, propone testi di autori italiani e stranieri per sondare quelle esperienze letterarie che spesso l’industria culturale non ha il coraggio di sostenere. Scatto artistico e al tempo stesso etico, strumento leggero di esplorazione a tutto campo – narrativa, saggistica, poesia –, Murene respira nelle profondità, attraversandole.”
Quindi,caro Carmelo,non si tratta certo di svilire il lavoro altrui e il sarcasmo da quattro o cinque soldi era rivolto a certe supponenti affermazioni che non meritavano altro.E poi quando sento parlare di morale in letteratura,mi viene l’orticaria.
Quindi,viste la scelte della collana (Rodefer in particolare),se accettano i cinici,mi abbonerò anch’io.
@johnny doe
il mio livore nasceva soprattutto dalla constatazione che i visitatori sono 30.000 gli abbonati 100.
Poi con chi qui si è espresso abbiamo avuto modo di confrontarci nel rispetto delle opinioni altrui ma senza fare sconti.
Io ti confesso, questa discussione mi ha fatto bene perchè mi ha fatto riflettere anche sulla mai scelta.
Ammetto che mi son oaccorto per caso dell’inziativa e ammetto che la mia adesione iniziale è stata più una forma di riconoscimento indiretto del lavoro svlto dal gruppo NI ( da cui ho tratto personalmente grandi benefici come lettore ) che consapevole adesione a un progeeto.
Nemmeno io che questo progetto scardini le fondamenta del mercato editoriale. osservo che quel mercato di sicuro con la diffusione degli e-boock dubirà un terrometo.
Uno scrittore di prosa di talento (per la verità un poeta un po’ meno, non c’e’ più mercato per i poeti), bene o male trova un editore che pubblica la sua opera e male che vada il libro se lo stampa e promuove da solo. E’ i lcaso di alcuni poeti e romanzieri che sono intervenuti qui.non credo che uno scrittore sia pur bravo ma sconosciuto o semi riesca a pubblicare all’estero
E proprio questo l’aspetto rivoluzionario di questa iniziativa:
il fatto cioè che consente ai lettori di leggere libri stranieri importanti che mai e poi mai nemmeno sotto tortura verrebbero tradotti e pubblicati dagli editori che per rientrare dai costi dovrebbero assorbire la remunerazione del traduttore.
Sta proprio qui il vantaggio competitivo di questo progetto.
Io da modesto lettore, conosco un po’ l ospagnolo e la letteratura latinoamericana e ti assicuro che sono tantissimi gli autori di ottima qualità pubblicati in spagnol oe non tradotti in italiano.
Allora io dico: se negli altri paesi siti analoghi a NI che hanno a cuore la diffusione della cultura sviluppano analoghi progetti. Se tutti questi NI sparsi in Hong Kong Zambia, Guatemala, Germania, creano una specie di catena insomma si organizzano e creano un protocollo che:
supera le barriere linguistiche
consente lo scambio culturale
la diffusione di libri italiani di qualità in argentina e di libri argentini in germania e di libri tedeschi in italia
Beh questo l otrovo davvero rivoluzionario.
Perche’ io sono sicuro che i critici e gl iscrittori avranno in mente almeno 20 titoli di libri non tradotti ma che meriterebbero di esserlo.
@carmelo
Su questo, capisco il tuo entusiasmo e non avrei nulla da obiettare,anzi.
Su altre cose,e l’ho pure fatto,invece sì.
Quando sono andata alla poste française: mi hanno chiesto l’indirizzo.
E mi sono scoraggiata, perché mi era spostata tre volte per l’iban da compilare con la mano. Vorrei sapere si puo dare l’indirizzo con i dati che ho già? Di più mi abbono dalla Francia… Quanto devo aggiungere per la spedizione? Grazie per la risposta.
véronique
@Raos: capisco e comprendo il tuo punto di vista. Di più: lo trovo ammirevole.
Mi sembra, però, un po’ da “duri e puri”: sacrosanto modo di agire, ma poi non ci si può lamentare se non tutti lo sono stati come te e si hanno avute poche risposte. Rodefer non circola che per più di 100 copie: è un bene, è un male? non lo so, ma per ora è un fatto. Vogliamo diffonderlo di più? Non dico 5000 lettori consapevoli, ma almeno 200, 400, toh: 500? Si può fare? Boh, secondo me sì, si può fare. Ma non facendolo spuntare “dal nulla”, con un senso di generale “tiè, beccati questo e leggilo perché te lo dico io” e pretendere che tutti rimangano folgorati sulla via di damasco come noi.
Vabbe’, capisco che sono sensibilità diverse e fate bene forse a proseguire sulla strada che vi siete scelti…
@véronique vergé
scusa se mi permetto
ti consiglio di usare la carta di credito e se hai timore che venga colonata, di usare una carta prepagata
ti assicuro che pagare con carta di credito sul web è relativamente meno rischioso che pagare in un negozio.
Inoltre qualora qualcuno riuscisse a fare degl iacquisti con la tua carta di credito puoi chiedere il rimborso alla tua banca. Ne hai pieno diritto.
La via piu’ semplice è una carta prepagata che puoi procurati facilmente, la carica con 50 euro e fai il pagamento
Grazie Carmelo. Non ho mai usato una carta prepagata. Mi manca solo l’indirizzo. Ho tutti i dati Iban. Normalmente dovrebbe andare liscio, se l’indirizzo va bene dell’associazione Mauta.
Mi sono abbonato lunedì e stamattina è già arrivato il libro di Rodefer, bellissimo da subito, in quella metafora non poco problematica – o allarmante – che ha per titolo, “Dormendo con la luce accesa”. Congratulazioni. Sono davvero contento di essermi abbonato.
Se lo traducete in spagnolo lo compro.
Scusate se mi avvalgo delle parole di un altro per esporre il mio pensiero, ma ciò che segue è quanto penso.
Julio Monteiro Martins
Ecco la domanda inevitabile, la più scomoda di questi tempi, per i produttori di arte e cultura italiani: Può uno scrittore impegnato, con una visione progressista del suo paese e del futuro, pubblicare i suoi libri da una casa editrice che appartiene ed è diretta dai Berlusconi, come è il caso della Mondadori e delle sue “sorelle”?
La mia esperienza riguardo a questi “rapporti pericolosi” mi fa credere di no, che non è possibile. E qualsiasi ragionamento che voglia giustificarli è cercare forzatamente la quadratura del cerchio. Riuscite a concepire Pablo Neruda che pubblica da una casa editrice diretta da Pinochet? O Che Guevara che pubblica i suoi saggi politici sponsorizzato dalla CIA? O Pasolini che chiede a Licio Gelli un anticipo per finanziare la produzione di un suo film? Difficile da immaginare. Invece nella grande confusione e nel conflitto tra coerenza ideologica (nel caso assente) e interesse di avere grande visibilità editoriale e mediatica, tanti scrittori e registi che oggi si presentano pubblicamente come “di sinistra”, accettano il patto col diavolo. E cioè di essere finanziati e distribuiti dalla Medusa Film, o da Mediaset, entrambe dei Berlusconi, o pubblicati dopo il suo “Visto, si stampi” nelle imprese editoriali delle quali possiede il controllo azionario, il potere patrimoniale che è il marchio del suo regime, quel potere alla fine decisivo nel sistema in cui ci siamo impantanati, oggi ancor più incancrenito dai nuovi modelli di commistioni spurie tra cultura, politica e affari.
Questa nuova servitù intellettuale ha poi la sfacciataggine di cercare furbescamente di fare bella figura con tutti, con i loro vecchi ammiratori e con il “capo” che è l’oppressore degli stessi ammiratori (forse sarebbe il caso di ricordare loro la saggezza popolare italiana, quando dice che “non si può avere la botte piena e la moglie ubriaca”).
È grottesca anche la semplice discussione pubblica di una tesi così stramba, quella di allearsi al nemico per meglio combatterlo. E “a ridaie” con la vecchia metafora del cavallo di Troia, che non ha mai convinto nessuno. Nella pancia del cavallo troverete un buffet con champagne francese e simpatici, si fa per dire, gadget sotto il tovagliolo, accanto all’argenteria. E da quella pancia poi non se ne esce più. Dopo il banchetto, chi si ricorda più cosa si era andati a fare lì? A quel punto uno si sentirà, magari inconsciamente, già parte di quelle “beautiful people” che il berlusconismo promuove oggi a classe dirigente.
Chi ha esperienza delle cose politiche e culturali si ricorderà quante volte, per non perdere i privilegi della “discreta combutta” che si vuole avere con la destra, scrittori detti “di sinistra” hanno cercato di fare appello alla favola del “cavallo di Troia”, del “sabotaggio da dentro”. Ma chi ci crede più? Gli interessi sono evidenti. Qualcuno sta cercando di nascondere i raggi del sole con un settaccio a maglie larghe. Cercano di imbrogliare i loro lettori, di raggirare la gente che ancora si fida della loro coerenza smarrita e che non vuole dover inghiottire una così grande e così triste delusione politica.
Altrettanto ridicolo è l’argomento della “disideologizzazione” di un lavoro così assolutamente ideologico, sempre e comunque, come fare film o scrivere romanzi. Rileggete le idee di Pasolini a riguardo, imparate qualcosa da Gramsci o da Bertold Brecht sulla coerenza richiesta dal poeta, dall’intellettuale, e sugli stratagemmi “astuti” per provare a raggirarla. Non c’è niente di più patetico che uno scrittore di sinistra tentato dai privilegi e dai valori della destra che cerca di goderli senza perdere il rispetto dei suoi lettori. Li perderà di sicuro, non c’è niente da fare. E merita di perderli, perché commette un tradimento grave e cerca di farla franca.
Ogni periodo storico ha la sua Gestapo e la sua Krupp. A volte viene utilizzata la violenza diretta, brutale, come a Genova nel 2001, e a volte si tenta di cooptare e di comprare gli intellettuali (e non di rado ci si riesce, facendo leva sulle loro difficoltà economiche, ma più spesso ancora sulla loro vanità. È il narcisismo che li frega quando cominciano a credere, per autogiustificarsi, di essere al di sopra del bene e del male e di poter prendere assegni impunemente dalle ditte che fanno capo ai Berlusconi).
Argomenti ridicoli infatti non mancano agli scrittori venali. C’è anche quello che dice che “non si può lasciare case editrici così tradizionali, con un nome storico e rispettato, nelle sole mani di quelli della destra, perché sarebbe una sorta di resa, quindi bisogna fare il ‘sacrificio’ di non mollare e continuare a pubblicare da loro”. Ma, domando io, non te ne accorgi che a questo punto sei diventato anche tu uno di “loro”? Che dietro questa fragile ipocrisia stai soltanto cercando di preservare il tuo posto di lavoro ben remunerato e la nutrita visibilità nei media, proprio come quei “loro” che fai finta di condannare? E poi, non c’è logica più oscena come quella dei “mezzi che giustificano i fini” quando è chiaro che in questo caso sono proprio i mezzi ad inquinare e a cancellare i fini, o meglio a trasmutarli in fini di ben altro tipo, pro domo sua. Non si tratta di un “conflitto di interessi”, ma di interessi puri e semplici. E poi, il nome di una impresa editoriale è rispettato non a causa di una fantomatica “eredità” canonica, ma per quello che oggi fa o non fa, pubblica o non pubblica, per i suoi legami e appartenenze, spesso oscuri e pericolosi, per i fili visibili o invisibili che la tirano, insomma per quello che è diventata. E nel caso in questione già da parecchi anni questo rispetto si è dissolto e quelle case editrici sono diventate strumenti di affermazione e di propaganda di un potere ignobile.
Ma di tutti gli argomenti, il più ridicolo – quasi comico se non fosse tragico – è quello che insiste nel dire che “se i Berlusconi lasciano quelli che sono i loro oppositori liberi di pubblicare quel che vogliono e non fanno alcuna pressione perché cambino il contenuto dei testi, non c’è alcuna ragione perché uno se ne debba andare”. Bene, bravo. Sdogani il “liberale” Berlusconi e gli regali l’ingiusta legittimazione a cui aspira. Ma non ti sei mai chiesto perché interessa tanto ai Berlusconi avere scrittori “di sinistra” – e anche siti internet culturali tradizionalmente “di sinistra” sono oggi colonizzati da funzionari della Mondadori – orbitando intorno al loro potere? O ti sei fatto la domanda e la risposta vera non ti conviene? Comunque collabori (nel senso proprio di “collaborazionismo”) con il deterioramento dello scenario culturale italiano. La strategia di questa destra spavalda è comprare tutti gli spazi per non fare lavorare i loro oppositori, quelli veri, quelli che non sono riusciti a cooptare. E non dimentichiamo che quando l’egemonia culturale è onnicomprensiva e si rigonfia al punto di sfiorare l’unanimità passa a chiamarsi non più egemonia ma totalitarismo. Le parole giuste servono. E ricordati: sarà anche tuo il sigillo morale del totalitarismo.
Così, tra poco non resteranno più spazi che non appartengano in un modo o nell’altro a Berlusconi, e sarà regime. Ai pochi rimasti “desberlusconizzati” non rimarrà alcuna visibilità pubblica, saranno resi invisibili.
Questa anomalia viene ammessa e metabolizzata da alcuni scrittori italiani come normale ma normale non è, perché in altri paesi raramente si trova una tale dissonanza tra la visione di mondo degli autori e la linea editoriale delle case editrici che li pubblicano. Penso alla Francia, alla Spagna, alla Germania certamente, al Brasile, al Messico e all’Argentina, ma anche agli Stati Uniti, dove un autore come Samuel Beckett ha scelto una casa editrice alternativa newyorkese, la Grove Press, per pubblicare la sua opera, e lo stesso fece Jean Genet e William Burroughs, ma anche Lawrence Ferlinghetti e il suo gruppo che da sempre pubblicano per la piccola City Lights Books.
Inoltre, quando un ambiente editoriale diventa complessivamente asfittico, tocca agli scrittori creare dei poli alternativi, come riviste, siti internet e anche case editrici. Molti di loro, forse i più bravi, quando nel loro paese dilagano i miasmi del regime, creano case editrici indipendenti – gli esempi del Messico, del Brasile e degli Stati Uniti degli anni ’60 sono eloquenti – oppure si organizzano in modo da fare appelli collettivi perché si pubblichi solo per quelle case editrici indipendenti o in sintonia con le loro proposte. Domando, non è arrivata l’ora che gli scrittori italiani prendano posizioni pubbliche comuni, anche riguardo a chi dovrà pubblicare i loro libri? Bisogna far chiarezza anche sull’aspetto pratico, su cosa significa essere un autore impegnato, e magari questa polemica sulla Mondadori e le altre case editrici di appartenenza dei Berlusconi sarà il divisore delle acque.
Dallo scrittore impegnato uno si aspetta giustamente coerenza e onestà. E non esiste “coerenza relativa” né mezza onestà. Puoi chiamare il tradimento e la corruzione con mille nomi, il dizionario è pieno di sinonimi e la fantasia può produrre molti eufemismi carini, ma si tratterà pur sempre di tradimento e di corruzione. Forse è l’ora di tornare al dizionario per cercare il senso di parole come “venale” e “prezzolato” e tenerlo ben vivo nella coscienza.
Circa otto anni fa è stato pubblicato un volume storicamente importante, un’antologia di testi di intellettuali, scrittori e registi italiani con il significativo titolo di “Non siamo in vendita!”. C’era anche un racconto mio ispirato al massacro di Genova del 2001. Oggi, dopo un decennio in cui la destra ha imposto la sua egemonia con le buone e con le cattive, con il contratto ben farcito regalato all’artista “addomesticato” o la spietata censura ai talk show televisivi, quanti di quegli intellettuali del “Non siamo in vendita!” possono ancora confermare di non essersi messi all’asta? Meno della metà, sicuramente. Gli altri sono diventati tutti funzionari più o meno mascherati della stampa berlusconiana, di Panorama, Libero o Il Giornale, di Mediaset, di Fininvest o della Mondadori e delle sue sussidiarie.
Invece aveva ragione Brecht: solo quelli che lottano tutta la vita sono gli imprescindibili. Gli altri, quelli che hanno cambiato bandiera, che hanno allungato il muso per le briglie del padrone in cambio dello zuccherino e ora cercano di giustificare l’insanabile contraddizione con goffi ragionamenti arzigogolati, come li dobbiamo chiamare?
Lasciamo perdere i dizionari. La parola giusta la conosciamo tutti.
http://www.sagarana.net/anteprima.php?quale=76