La responsabilità dell’autore: Igiaba Scego

[Dopo gli interventi di Helena Janeczek e Andrea Inglese, abbiamo pensato di mettere a punto un questionario composto di 10 domande, e di mandarlo a un certo numero di autori, critici e addetti al mestiere. Dopo Erri De Luca, Luigi Bernardi, Michela Murgia, Giulio Mozzi, Emanule Trevi, Ferruccio Parazzoli, Claudio Piersanti, Franco Cordelli, Gherardo Bortolotti, Dario Voltolini, Tommaso Pincio, Alberto Abruzzese, Nicola Lagioia, Christian Raimo, Gianni Celati, Marcello Fois, Laura Pugno, Biagio Cepollaro, Ginevra Bompiani, Marco Giovenale, Vincenzo Latronico, Franz Krauspenhaar, Giorgio Vasta, ecco le risposte di Igiaba Scego.]

Con Igiaba si conclude la nostra inchiesta. Le questioni rimangono aperte, ovviamente; ma, proprio per il desiderio di offrire uno strumento di analisi a quanti si siano posti le nostre stesse domande, da scrittori o semplici lettori, noi di Nazione Indiana abbiamo pensato di raccogliere l’insieme delle risposte che ci sono state così gentilmente offerte da scrittrici e scrittori in un libro cartaceo che verrà pubblicato a Dicembre. Nel volume, curato da Francesco Forlani e Antonio Sparzani, per la casa editrice Sottovoce, ci saranno gli interventi di Helena Janeczek e di Andrea Inglese, da cui aveva preso spunto la nostra inchiesta e una prefazione di Andrea Cortellessa, a partire dal testo letto in occasione degli incontri organizzati da Nazione Indiana a Castel Fos di Novo. Parallelamente Nazione Indiana curerà un e-book con gli stessi contenuti nell’ambito di un progetto di cui vi daremo prossimamente informazioni più dettagliate.

1) Come giudichi in generale, come speditivo apprezzamento di massima, lo stato della nostra letteratura contemporanea (narrativa e/o poesia)? Concordi con quei critici, che denunciano la totale mancanza di vitalità del romanzo e della poesia nell’Italia contemporanea?

Io non penso che la narrativa italiana sia in crisi. Lo pensavo anni fa questo, però mi sono accorta che la mia opinione di allora era falsata da un pregiudizio. Come molti in Italia anch’io (non sono esente) mi dedico talvolta allo sport nazionale, ossia alla liturgia del “lamento”. Mi dicevo frasi del tipo In Italia va tutto male, fuori va tutto bene; noi siamo in declino, gli altri stanno benissimo; noi non riusciamo più a esprimerci, gli altri sanno comunicare….e via discorrendo. Certo la liturgia del lamento, mio e di molti altri, ha un fondamento reale.L’Italia sta passando, purtroppo, uno dei periodi peggiori della sua vita sociale e politica. Grazie a Dio questo non significa che anche la vita culturale langue. Mancano purtroppo spazi per l’espressione artistica e in generale la vita degli artisti in Italia è molto dura (mancano sovvenzioni, borse, ecc. ecc.). Nonostante ciò soprattutto in letteratura (sia in poesia sia in prosa) stanno uscendo fuori delle voci interessanti. C’è anche (finalmente direi) nella letteratura italiana di oggi una vocazione all’indagine che sembrava completamente sparita. Indagine non solo introspettiva, ma anche di contenuto storico. Mi sono accorta di questo cominciando a leggere i testi e andando agli slam poetry in giro per la città. Ho letto molta narrativa italiana ultimamente (io che notoriamente sono una esterofila pazzesca). Soprattutto ho cominciato a confrontarmi con le persone che hanno costruito questi testi. Mi sono accorta che il mio pregiudizio sulla narrativa italiana era viziato dalla teoria del lamento. Mi sono accorta che intorno a me era un pullulare di autrici/autori di spessore non indifferente. Gente che aveva e ha nel cuore la voglia di fare delle belle opere, senza banalizzare il quotidiano. Poi, e questo mi fa ben sperare per il futuro della letteratura italiana, c’è molta voglia di mettere a nudo i “misteri” di questo paese. La storia con la S maiuscola non spaventa più gli italiani. Finalmente la letteratura (nel suo insieme) affronta anche i nodi più spinosi della storia patria. Siamo usciti dalla fase “ombelicale”. Questa per me è una buona notizia.

Avere autori come Chiara Valerio, Cristina Ali Farah, Andrea Bajani, Fabio Geda, Lidia Riviello, Vincenzo Ostuni, Christian raimo, Michela Murgia, Vittorio Giacopini, Carola Susani, Elena Stancanelli, Amara Lakhous, ecc secondo me sono una garanzia per una feconda letteratura italiana del futuro.

Noto anche che si sta affacciando una nuova generazione molto interessante. Non c’è solo Moccia per fortuna. Non abbiamo ancora (e speriamo mai) perso la capacità di descrivere il nostro mondo.

2) Ti sembra che la tendenza verso un’industrializzazione crescente dell’editoria freni in qualche modo l’apparizione di opere di qualità?

Questo può essere un pericolo reale. Però noto che in Italia ci sono molte case editrici, soprattutto piccole e medie, che hanno il coraggio di prendersi dei rischi e di lanciare degli autori sconosciuti e spesso sperimentali. Per esempio le case editrici piccole e medie sono state importantissime nello scouting di autori italiani di origine migrante (gente come me, figlia di migranti, con due lingue madri) o di migranti che hanno scelto di scrivere in italiano. Certo molte major editoriali preferiscono puntare su nomi sicuri o sui blockbuster del libro. Ma anche lì, e qui dipende molto dal singolo che lavora nella major, escono opere interessanti e innovative. Inoltre (e qui sarebbe da dar loro un premio) c’è chi ancora punta, nonostante le difficoltà, sulla poesia.

L’industrializzazione, la mercificazione, la prostituzione…sono dietro l’angolo purtroppo. Ma c’è chi la contrasta a suon di sacrifici. Speriamo solo che i sacrifici non schiaccino chi li compie. Solo i posteri potranno saperlo con certezza. Io mi limito a notare la forza, il coraggio, ma anche un pericolo che si avvicina sempre più e che può inghiottirci tutti.

3) Ti sembra che le pagine culturali dei quotidiani e dei settimanali rispecchino in modo soddisfacente lo stato della nostra letteratura (prosa e poesia), e quali critiche faresti?

Le terze pagine dei giornali sono spesso per la sottoscritta una delusione assoluta. Non tutte naturalmente, non sono il tipo da fare di tutta un’erba un fascio. Però noto la tendenza dei giornali (soprattutto di quelli più grandi) di fare più pubblicità che critica. Non libri quindi, ma merci. Sto cominciando a diffidare dei paginoni e delle interviste al “divo” letterario di turno (che stranamente sono quelli che scrivono noir. Mai che un paginone sia dedicato alla poesia per esempio), sto cominciando a non leggere più i paginoni. Un po’ perché sono scritti male, un po’ perché mi da fastidio il tono pubblicitario degli articoli di questo genere. Sembra che la critica non sappia più tastare il suo oggetto di lavoro. La critica almeno sui giornali è lontana dal testo. Si appiglia sempre di più all’extra testo, anche in modo stravagante e voyeuristico.

È chiaro che non è tutto così. Ci sono anche giornali/riviste che fanno un lavoro egregio. Un lavoro puntuale, attento, critico nella sua essenza più pura. Io per esempio leggo sempre con piacere l’allegato del sabato del Sole 24 ore e anche le piccole recensioni della stampa estera che trovo sulla rivista internazionale. Lì ho la sensazione di essere veramente informata. Non amo le celebrazioni slegate dalla realtà. Inoltre mi da sommamente fastidio che alcuni generi non siano proprio trattati. Per esempio la poesia è completamente ignorata dai giornali. Per avere informazioni, dibattiti, ecc ci si deve necessariamente appoggiare alle riviste specializzate. Questo lo trovo ingiusto nei confronti di chi legge e vorrebbe essere adeguatamente informato.

4) Ti sembra che la maggior parte delle case editrici italiane facciano un buon lavoro in rapporto alla ricerca di nuovi autori di buon livello e alla promozione a lungo termine di autori e testi di qualità (prosa e/o poesia)?

Dipende. C’è chi fa scouting e chi invece no. Chi rischia e chi no. Io se devo esaminare la mia vita come autrice devo veramente ringraziare chi ha deciso di rischiare pubblicando i miei scritti. Come figlia di migranti la strada è stata naturalmente tutta in salita. Gli autori come me, non erano considerati credibili in quanto “stranieri”. Tra di noi siamo molto diversi, c’è chi migrante ha scelto l’italiano come lingua scritta (novelli Conrad in un certo senso) o chi figlio di migranti, l’italiano lo possiede dalla nascita. Due percorsi diversi, ma che hanno trovato un punto di congiunzione nella discriminazione che arrivava da terzi. Il nostro aspetto esteriore era considerato un handicap per una eventuale pubblicazione. Nessuno scommetteva su di noi e sulle nostre capacità. Non si pensava che persone con altra origine potessero scrivere veramente in italiano. E lì che il ruolo di alcune case editrici è stato fondamentale. Hanno creduto in noi. Si, i n noi… nel nostro stile, nei nostri contenuti, nella contaminazione linguistica che portavamo. Siamo stati una novità per la letteratura italiana, ma una novità nel solco di quello che era già successo per alcuni scrittori che hanno usato nei loro testi i dialetti. Un testo come per esempio Madre piccola di Cristina Ali Farah pubblicato da Frassinelli è stata una scomessa vinta. Un testo poetico, plurilinguistico, geograficamente vario ha avuto una pubblicazione di prestigio ed è riuscito a farsi apprezzare.

5) Credi che il web abbia mutato le modalità di diffusione e di fruizione della nostra letteratura (narrativa e/o poesia) contemporanea? E se sì, in che modo?

Un po’ si. Però dobbiamo vedere nei prossimi anni come evolverà la fruizione della letteratura sul web. Non solo le informazioni, quindi la critica, ma proprio la lettura. Non so prevedere per esempio come si leggerà nel futuro. Sono sicura che cambierà qualcosa, sia nella lettura sia nella scrittura. L’e-book sarà di fatto una rivoluzione culturale, quasi un’apocalisse (io la vedo benefica però). Mi chiedo da autrice se questo trasformerà il mio modo di scrivere e in generale il modo di scrivere e se si in che modo. Veramente ho vari punti interrogativi in testa sul web. Però aspetto questi cambiamenti con curiosità, in me è assente la diffidenza verso le tecnologie.

6) Pensi che la letteratura, o alcune sue componenti, andrebbero sostenute in qualche modo, e in caso affermativo, in quali forme?

Assolutamente si! Servono spazi, fondi, sovvenzioni. Per esempio in Italia per gli scrittori non c’è quasi nulla. Parlando con scrittori stranieri noto sempre come loro hanno più possibilità di poter mantenere la scrittura senza troppi sacrifici. Hanno un indotto per esempio nelle università, hanno accesso a borse di studio, hanno la possibilità di fare delle residenze all’estero. Io quando parlo con qualche scrittore straniero mi sento sempre un po’ in imbarazzo. Qui in Italia a volte fare lo scrittore è considerata una perdita di tempo. All’estero c’è un certo rispetto invece.

Poi si servirebbe un aiuto alle piccole librerie, un po’ come in Francia. Nella mia città, Roma, ci sono belle realtà. Ma nessuno aiuta queste persone. Grava tutto sulle loro spalle. Secondo me le piccole librerie in un paese come l’Italia (dove non si legge) sono dei presidi di civiltà e democrazia. Infatti sarebbe facile e liquidatorio dire i libri devono essere sostenuti dai lettori. Ma il libro non è solo una faccenda di chi scrive e di chi legge. C’è chi lo produce, lo spedisce, lo tassa, lo ordina, lo riceve, lo espone, lo consiglia, lo ama, lo odia. Spesso chi scrive libri si scorda di questi passaggi. Ma sono passaggi importanti, passaggi che fanno oscillare il prezzo di un libro, la sua permanenza negli scaffali, la sua esistenza fisica. Quindi è necessario il ruolo di un mediatore. Nelle nostre caotiche città questo mediatore è un libraio di una media o piccola libreria. Nelle grandi catene non c’è il tempo materiale di prendersi cura del prodotto. I ritmi sono serrati, concitati, appiattiti sulle novità o sul grande nome. Invece nella piccola libreria c’è la possibilità di curare di più il prodotto. Però serve una legge seria per questi librai, una tutela reale.

7) Nella oggettiva e evidente crisi della nostra democrazia (pervasivo controllo politico sui media e sostanziale impunità giuridica di chi detiene il potere, crescenti xenofobia e razzismo …), che ha una risonanza sempre maggiore all’estero, ti sembra che gli scrittori italiani abbiano modo di dire la loro, o abbiano comunque un qualche peso?

Sono molto d’accordo con quello che hanno scritto Laura Pugno e Inglese. Siamo tutti cittadini e in quanto tali abbiamo delle responsabilità. La scrittrice/ lo scrittore nell’Italia telecentrica di oggi fa fatica a dire la sua, a farsi portavoce di un pensiero democratico. In pochi ci riescono. E sono quelli più conosciuti naturalmente. Però penso che la categoria ha altri modi per farsi sentire. Io per esempio negli ultimi anni insieme a scrittori come Amara Lakhous, Cristina Ali Farah, Ingy Mubiayi ho scoperto il mondo della scuola. Giriamo (anche con sacrifici notevoli) le scuole di tutta Italia. Parliamo di convivenza, immigrazione, razzismo, ovvero di quei temi sociali che riscaldano il dibattito del paese (e che purtroppo sempre più spesso sono usati nelle campagne elettorali per creare scontro sociale e discriminazione). Non sono mai incontri facili quelli con i ragazzi. Ma sono incontri in cui davvero lo scrittore può essere utile ad una crescita personale del ragazzo. In una Italia che sta diventando sempre più una società multiculturale questo mi sembra un buon contributo per accrescere la democrazia nel paese. Certo un singolo non può fare nulla da solo. Il singolo è in una situazione di assoluto svantaggio. Ma io sono una fautrice della politica della goccia. Una goccia da sola si perde del nulla, tante gocce insieme fanno un oceano. Quindi in generale la figura dello scrittore non ha peso, ma se cambiamo per un attimo il punto di vista e la modalità allora il peso diventerà rilevante. Il peso non è mai dato da un singolo, ma da una collettività. L’unica cosa che secondo me manca un po’ in Italia è un confronto serio fra scrittori su questi temi.

8) Nella suddetta evidente crisi della nostra democrazia, ti sembra che gli scrittori abbiano delle responsabilità, vale a dire che avrebbero potuto o potrebbero esporsi maggiormente e in quali forme?

L’ho spiegato nella domanda precedente.

9) Reputi che ci sia una separazione tra mondo della cultura e mondo politico e, in caso affermativo, pensi che abbia dei precisi effetti?

La politica in questo momento non è lontana solo dal mondo culturale…è lontana da tutto. Si da tutto: dai cittadini, dalle regole, dalla civiltà. La politica italiana di questi anni è una politica sterile, triste, autoritaria, sola. La cultura deve diffidare da questa politica mainstream. Per quanto riguarda l’ambito che mi compete, la letteratura cioè, direi questo: dobbiamo ridare dignità alle parole. Ricostruire un senso, ecco cosa dobbiamo fare. Solo attraverso una rivoluzione culturale riusciremo a riapproppiarci di questa politica che è diventata estranea, lontana, nemica.

10) Ti sembra opportuno che uno scrittore con convincimenti democratici collabori alle pagine culturali di quotidiani quali “Libero” e il Giornale, caratterizzati da stili giornalistici non consoni a un paese democratico (marcata faziosità dell’informazione, servilismo nei confronti di chi detiene il potere, prese di posizione xenofobe, razziste e omofobe …), e che appoggiano apertamente politiche che portano a un oggettivo deterioramento della democrazia?

No, non mi sembra opportuno. Io non lo farei. Non mi piacerebbe essere complice di un sistema poco democratico (e con sistemi a dir poco dubbi, vedi in tal senso il caso Boffo). Ognuno di noi fa le sue scelte. Ognuno ha i suoi percorsi. Però alcune scelte pesano come macigni. E questo resta.

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