da “La neve nel bicchiere”
di Francesco Accattoli
Noi passeremo le colline di sale
Noi passeremo le colline di sale
poste a levante,
e a levante andremo,
seguendo il solco cartesiano
del sole,
in una zona che non è più uomo
o femmina o strumento manuale.
Viviamo per punti.
*
10 e 25
Nemmeno a tirargli sampietrini
con la rincorsa, fino a quando non bruci la spalla,
si storneranno le lancette, prenderanno a funzionare
alla rovescia, sino a prima dello scoppio,
della deflagrazione.
Ora ci pisciano i cani, si snudano i tossici
alla stazione, non ci si fa caso, non importa,
è già passato il Comunismo, la Magliana,
la cerimonia dello Stato.
Gridano negli androni, bestemmiano i turisti
anch’essi intrappolati in quelle dieci e venticinque
dell’orologio, che se ne fotte degli ignoranti
ed anzi gode dei ritardi, dei sorpassi
sul filo dei binari, del fiato corto,
del destino disgraziato
che fa perdere l’ultima coincidenza
per tornare in salvo, a casa.
Che se ne frega dei giocattoli
caduti dietro le panchine, dei cartoni
di vino da due lire, degli aperitivi intolleranti
dentro ai bar dei Pavaglioni.
Quando piove, un poco sembra che si muova,
se copri l’occhio destro con la mano
vedi la lancetta corta fare un giro,
se li copri tutti e due
sembra che nulla sia accaduto.
*
Per ora è neve
Da questi lampioni duri
che fanno una luce ovale,
si vede e non si vede, ma se si guarda rinviene
lo strappo, la terra di riporto dove ancora case
e asfalti neri e muratori.
I nomi delle strade stanno appesi ai chiodi come
piante ornamentali, come panni ammutinati
ai rettangoli dei balconi. Dicono che un domani
verranno insegne rosa caramella, aprirà uno spaccio
e un barbiere, forse un centro commerciale.
Per ora è freddo e lampioni duri, per ora è neve,
come quella in pieno centro – anch’essa medievale –
e che non si guasta, non si può toccare.
C’è odore di pitture
e di cucina dozzinale,
resta il popolo in attesa e poi cede
il legno dei cancelli al dubbio
di chi s’affaccia per spiare:
saranno quelle un centinaio di voliere
oppure portici e fontane
e vino che non sa di feccia,
che non fa star male?
*
La casa dagli spazi vuoti (Terme Raval)
Appena entrato,
dalla sinistra,
mi assale il bianco sudato
del pavimento,
un passaggio d’aria
che cancella la presenza,
segno con l’indice la direzione,
ascolto la polvere mimetizzarsi.
Sono trasparente
e attraversato in verticale
dallo slancio delle pareti;
mi complica
la semplicità,
fino alla gola,
mi disorienta
la mia asimmetria.
*
50
Ma ora
che vogliono tutte queste persone?
Che cosa fanno qui,
tutti in fila, come
scagliati dagli ossari di famiglia?
Devono ai loro figli
un pasto frugale,
ed io ad aspettare,
un poco di lato.
Somigliano, senza inciampare,
alla quadratura delle strade,
una noia geometrica
e domenicale;
devono ai loro figli
un pasto frugale,
tra le madie scortecciate,
le tovaglie di trina
opache,
le lezioni di violino,
le viole in due dita di bicchiere.
Passione all’angolo del cinquanta,
detta in parole dure,
sugli odori dei cani passeggiati;
non ascolto perché non voglio,
anche in casa si sta
in silenzio.
Ho lasciato una forma
sulle lenzuola,
ho vestito la figura
con lo zelo di un apprendista
di sartoria.
Passano sulla Gran Via
decine di famiglie intere, gente
perbene, ottime persone,
proletari da non far sapere,
neanche quando piove
ed è più ingenuo bestemmiare.
Oggi mattina ho una dozzina
di attese, sparse in benvenuti
di sigarette,
ed in quel suo pianto
che non mi riesce di colmare.
*
Cambio di stagione
Se ad un tratto apparisse una porta
e per quella porta s’entrasse
in una stanza vuota, vedresti lo sgomento
d’una sedia al centro, sola.
Con tale geometria, per come
mi scopri dal bancone di un bar di seconda,
o da un vassoio di cannoli con la crema,
mi convinci che è troppo amaro, troppo
normale; morire per quella sedia, avere
la colpa, e non la tregua, come ostaggio.
Non è vita artificiale, non c’è nulla
da fotografare, nessuna prova
da esibire come gioia
collettiva, assoluta, senza pudore.
Tra qualche anno, mi dirai,
sarà finita, avremo tutto come i nostri
genitori, la stessa tiepida agonia
per il genere umano dei morti di fame.
Perchè dunque anticipare l’ironia
delle stagioni? Perchè lasciare
che una sedia sia l’immagine che fuori
già si vede, e non dovrebbe, a quanto pare?
Così, quando arriverai di sera,
appendi un lume a quella porta:
muta ne uscirà la morte,
torneranno invece le calde alte ore.
[Francesco Accattoli, La neve nel bicchiere, FaraEditore, Rimini, 2011]
[ . ]
*
si può avere un link per ordinare il libro?
“Nel mezzo del cammino della vera vita, eravamo circondati da una malinconia oscura, che tante parole tristi e beffarde hanno espresso, nel caffè della gioventù perduta»
(In girum imus nocte, ecce, et consumimur igni.By Guy Deboard)
http://files.scottishguy.com/mp3/C/Cash,%20Johnny/Cash,%20Johnny%20-%20Greatest%20Hits/06%20I%20walk%20the%20line.MP3
Ma “La neve nel bicchiere” non è il titolo di un vecchio romanzo di Nerino Rossi?
In effetti… il titolo copiato non è proprio promettente.
gentile giorgio di costanzo e gentile giulia,
vi siete dimenticati dell’omonimo film di Florestano Vincini dell’84, tanto per citare un’altra “neve nel bicchiere”.
Magari leggendo il “non proprio promettente” contenuto vi accorgereste che si tratta di un verso assolutamente alieno dai precedenti riferimenti.
Io, quando nevica, la neve nel bicchiere con la saba me la preparo, in barba a Nerino Rossi e Florestano Vincini ;)
[…] senza cadute. La scrittura di Francesco (che non conoscevo ma ho scoperto per caso e di recente qui ) l’ho trovata morbida e, soprattutto, una scrittura che dice, accompagna parlando e si […]