Trasloco
Testo di Francesca Matteoni – Foto di Cristina Babino
*
Le incandescenze scorrono tra i bulbi
sospendono in una mappa smossa
le reti stradali, le luminarie
sfiorite come un cancro sugli oblò.
Un codice pulsante di girini
appiccicati ai vetri, pari ai nervi.
Quando sono partita non sapevo
stillarmi a poco a poco in un passato
mi ci escoriavo intera, denudata.
Tornare è dissolvenza, emersione –
gli alveoli inturgiditi come bolle.
*
Chiusa fuori sbircio nella finestra
sollevata sopra i cortili interni.
La donna dei gatti ha le lenzuola
mischiate nelle foglie, nell’odore
di fish &chips, kebab, lo stridere
delle auto dal centro di Brixton.
Le assi sono state svuotate,
la coperta piegata nel cassetto.
Due anni – sola, i condomini
al piano terra ignoti, disfatti
sulla sporcizia azzurra, la moquette
di lettere sgranate, cartoline
il nome pakistano sotto il timbro.
Fuori dal cinema, la sera, lo skunk
sussurrato al portone, ripetuto
come un mantra tra i cartoni del fast-food.
Ripercorrendo la strada, salvavo
la bambina Ofelia dal coltello –
il fauno danzava nell’insegna
del vecchio pub di tavoli grezzi
il mercato dei fiori all’entrata.
Mi vedo parlare col crepuscolo
fluito sopra il vetro, senza tenda
esplorare le tasche di centesimi.
Le travelcards grigie e arancioni
fanno un mosaico sotto la lampada.
Il cucchiaino d’ocra appiccicato
nel tè polverizzato della tazza.
Leggevo un lungo poema sul fiume
con le gambe incrociate contro il muro
ricalcando le crepe nelle unghie.
Dalla stazione di Paddington dai treni
ad ovest – Reading, Bath, Bristol, Exeter
sulla pelle granitica del Dartmoor.
Tra i torrioni la parola “brughiera”
è un burrone di pioggia nelle tempie.
Fiume-freccia – verde di morti franti
l’odore inumidito del bestiame
le rocce dislocate fino al mare.
Aghi di sodio a sfare le correnti.
Di notte mi slacciavo la schiena –
le mani disambientate, gli alberi
spolmonati sulle scale, attorti.
Nero di buio e pece sopra il cielo.
Muso di tasso, una scia sbiancata
di polvere, stelle vaporizzate.
Sotto la membrana gli occhi brillano
ruotano via, chicchi di mercurio
stanno sporti, tramano l’oceano.
Dall’altra parte il tempo è spezzettato
nel giallo d’uovo di boschi interiori
rossa ondulazione delle vene –
l’estate indiana dei miei diciotto anni.
La casa accanto al lago in Pennsylvania.
Tra l’acqua s’increspava la foresta
dalla barca era silenzio e suono –
coda di castoro, colpo di remo.
I colori non li avevo mai visti
così spessi, versati sulle braccia.
Le dita quasi grumi di celeste
salivano per l’albero di mele –
l’aria addensata era ferma sulle mani.
Potevo inghiottirla, come sciroppo
d’acero, resina di spaccature.
Poi nella stanza fra le coperte
abbassavo la luce sulla carta –
il giorno cavato via dal corpo
era un colpo di tosse nella porta.
La storia diventava la Locanda
del Puledro Impennato e di Granpasso
sotto un cappuccio verde fino agli occhi.
La scena era fioca di lanterne –
fiato di sego e cera sui banconi.
Frodo scivolava nell’anello
la carne come acqua da una pietra
sul pavimento il freddo, le grida.
Sparire era mostrarsi, gettandosi
nel solido dell’ombre, le ossa
colate nei visi lunghi, equini.
La tenda aveva forma di mantelli
rughe spettrali pressate sui volti.
Pensavo al vento quando punge, cade
esatto dai rami nei respiri
dormendo sopra il bordo dei sentieri.
Nei legni crescevano le impronte.
Non c’era proprio nessuno.
NOTA
Il quartiere di Brixton si trova nel sud di Londra.
La bambina Ofelia è la protagonista del film Il labirinto del fauno di Guillermo del Toro (2006).
Il libro citato nella seconda parte è il poemetto Dart di Alice Oswald (Faber, 2002), ispirato all’omonimo fiume che ha origine nella contea del Devon e scorre in Cornovaglia.
(Foto 1: Two moons – 2006 – Foto 2: The fair – 2007 – Foto 3: Il segreto dell’albero – 2006-)
una coppia d’eccezione. con Franziskus, un tris d’assi.
enchanté.
Amo molto la foto 3, mi sembra esprimere un cuore aperto o un sesso femminile segreto, tra ferita, obscurità, boscoso, pizzo di legno.
La poesia fa intravedere il regno del vegetale; i versi ondeggiano, creano brusio al cuore della città, come bosco magico, ribelle.
Anche mi piace la fuga della visione:
“Leggevo un lungo poema sul fiume
con le gambe incrociate contro il muro.”
SONO INCANTATA.
Mille grazie Franz.
Brave brave brave!!!!
Un caro saluto
è un continuo non esserci che rende cerimonia ogni incontro, complimenti
endecasillabi danzanti,
un viaggio interminabile,
la stanza è dentro il bosco….
l’immagine dell’albero è
molto conturbante!
Complimenti!
:)
un po’ rindondante in alcune parti (quelle del vivere personale), meglio nella descrizione a flusso continuo.
Adesso ne prendo un pezzettino e lo trascrivo. Vediamo cosa succede.
La poesia è un veleno da prendere a piccole dosi. Io con questo bel frammento sarei a posto per una settimana. Francesca Matteoni sa scrivere come pochi. Speriamo non si stanchi troppo tardi.
Bella la foto 3. E’ proprio così che gli alberi si aprono.
“Nero buio e pece sopra il cielo.
Muso di tasso, una scia sbiancata
di polvere, stelle vaporizzate.
Sotto la membrana gli occhi brillano
ruotano via, chicchi di mercurio
stanno sporti, tramano l’oceano”.
“Di notte mi slacciavo la schiena –
le mani disambientate, gli alberi
spolmonati sulle scale, attorti.
*
“Nero di buio e pece sopra il cielo.
Muso di tasso, una scia sbiancata
di polvere, stelle vaporizzate.
Sotto la membrana gli occhi brillano
ruotano via, chicchi di mercurio
stanno sporti, tramano l’oceano.”
Belle davvero queste immagini: la lingua duttile e lievissima di Francesca e lo sguardo selettivo, rapido e diaframmatico di Cristina.
E quelle due lune di cui una sospesa, in alto, nel cielo, come una collana e il suo ciondolo di luce, o un trapezio, una fune tesa da cui le artiste sono appena scese, …a numero finito:-)
Giovanni