Da: Sere
di Roberto Rossi Testa
In queste sere solo
fra muraglie compatte
di pagine serrate
da cui non sfugge motto
quanto più presso il centro
tanto più le parole
si fanno rare e dense.
Una nella sua orbita
già basta a catturare
non ancora e non più,
li fa brillanti e gravidi
come non furon mai,
come non mai sarebbero.
*
Di queste sere solo
senza voci né volti,
sonno precoce e sogni,
indicibili i doni:
di madre che non sa
soggetto-verbo-oggetto,
di figlio che protesta
e protestando impara,
del suo eloquio si scalda,
mentre da lei riceve
con gesto sciatto coltri
che nel letto, è sicuro,
dovrà metter da sé.
*
Sere trascorse a tessere
la musica dei farmaci,
di tanto in tanto cala
dal chiuso di un volume
il ricordo di un detto:
allora via le coltri,
il pavimento scricchiola
sotto il peso dei passi
verso penna e quaderno:
benedizione ancora,
grazie alla solitudine,
grazie o malgrado i farmaci.
*
Io cancello le tracce
di me non si dirà
Ecco com’era un mese
due settimane prima –
come andare in cucina
premer l’interruttore
e non avere il tempo
che per un lampo giallo
e non sentire altro
che un soffio caldo in faccia –
io traccia cancellata
caosmo indecifrabile
per chi lo indagherà.
*
Qui terra-della-sera,
isola sull’oceano
senz’ancora e timone,
solo libri inzuppati
per remi, per zavorra:
portata in giro o giù
sospinta nel profondo,
nell’estremo tentare,
nell’ultimo tramonto.
*
Qui nel giro che serra
lo sguardo tento il fondo
d’oceani e di cieli
ma più ma più le viscere
della mia madre terra.
*
Nel mio serale stadio
affollato deserto
solamente una linea
per il traguardo e il via,
separati riuniti
dal colpo dello starter.
Una corsa estenuante
al ritmo della febbre,
una corsa da fermo.
Discesa e svuotamento
mentre le forme passano
che guardo e non afferro.
*
Sottocoperta o in coffa
il medesimo vento
fa sibilar le cime
e gemere il fasciame,
una stessa visione
ora ch’è sera fa
brancolare lo sguardo
esitante esultante.
*
Nell’oscillante amaca
luce va luce viene,
anche al buio si vede
e il sogno infine è pari
all’immensa speranza.
*
Nelle sere una forse
casuale conoscenza
di persone mentali
di cui prima ignoravo
persino l’esistenza;
e che d’un tratto scattano,
pronunciano una loro
necessaria sentenza.
*
Inaspettata giungi
e m’illumini l’ombra
fra roccia, prato ed acqua
svelando una ferita.
Terrestre dèa accòstati,
tuffa il piede nell’onda,
l’arsa piaga rinfresca;
poi tocca la mia barca,
toccala appena e guardala
staccarsi dalla riva,
entrar nella corrente:
e fulmineamente
da te come dall’altra
lontanarsi e sparire.
*
Pure mai sia da lei
veramente e del tutto
diviso, lei ch’è l’anima
e da sirena canta
perch’io la segua e vada
innamorato e solo,
come compagna avessi
e in compagnia mi fossi,
mentre non ho che un’eco
a guidarmi ove scampo
e schianto si confondono.
(Pubblicato nel n. 224, agosto-settembre 2006, della rivista L’immaginazione – Manni Editori. Immagine: Senza Titolo, di Eric Fischl – 2006)
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un viaggio nella solitudine, nel sentire che si fa luce, e mistero
nel tuo non lasciare che si afferri, cancellando le tracce, l’inquietudine profonda della terra,
Ti ascolto…
‘Qui nel giro che serra
lo sguardo tento il fondo
d’oceani e di cieli
ma più ma più le viscere
della mia madre terra.’
“Forse perchè della fatal quiete/ tu sei l’imago a me si cara vieni / o Sera!…”
La sera come luogo privilegiato della solitudine e dell’incontro con se stessi
e il nulla. Senza la retorica dello “spirto guerrier che entro mi rugge”, con una pacata e sofferta consapevolezza di sé e del proprio destino. Con uso di assonanze e rime non banale ma che intensificano il dettato.
Qui nel giro che serra
lo sguardo tento il fondo
d’oceani e di cieli
ma più ma più le viscere
della mia madre terra.
La solitudine del naufrago.Complicità(wilson,sul serio,dove sei?)
(sono qui dimmi…)
Cari amici,
grazie dei commenti ma per favore non toccatemi lo “spirto guerrier che entro mi rugge”, a cinquant’anni suonati è già tanto se me ne resta un belato ma fra un po’ forse neppure quello, quindi me lo tengo stretto.
Un caro saluto e buon Ferragosto,
Roberto
“Lo spirto guerrier” te lo tieni stretto ma non lo esibisci. Questo era il senso.
(grazie per avermelo riportato indietro Così&Come) Wilson sei un impiastro.Dove credevi di andare? A casa facciamo i conti
p.s. più che un naufragio la mia perdizione rasenta quella dell’esule volontario in una minatissima terra di nessuno protagonista del Shaaraiano “incidente di frontiera”(uno dei migliori libri di effee esse che mi siano mai scivolati tra le mani. Ed era un Urania)
un ritorno. rossi testa classico si fa leggere e rileggere, è ipnosi. le nostre sere attaccati alla zavorra dei libri. bella anche la foto (somiglia a un mio vecchio amico, il tizio).
saluti